Caso Ruby, Cicchitto mente sul giudice naturale

Cicchitto, in fase di commento alla notizia del giudizio immediato di Berlusconi per il caso Ruby, si inventa teorie senza senso:

1 – La persecuzione nei confronti di Berlusconi da parte dei magistrati continua con il piede spinto sull’acceleratore. La difesa reagira’ a questo tentativo di sottrarre il premier dal suo giudice naturale

2 – Rinvio a giudizio immediato solo per Berlusconi e non per gli altri indagati (quindi è persecuzione).

FALSITA’ n. 1:

C’è un equivoco fondamentale, però, ed è quello che determina l’imbroglio operato da Cicchitto e da molti difensori di Berlusconi, nonché da Berlusconi stesso. Benché venga informalmente chiamato “tribunale dei ministri”, il collegio che si occupa dei reati ministeriali non ha funzioni giudicanti. Il tribunale dei ministri non ha a che fare col giudizio sull’eventuale reato: istruisce il processo. Ha il compito di condurre le indagini preliminari e poi, al loro termine, decidere se archiviare la pratica – se ritiene che si configurasse l’esercizio delle funzioni – o disporre il rinvio a giudizio. Nel secondo caso, gli atti tornano alla procura e il processo viene poi condotto da un tribunale ordinario: e lì si troverà il “giudice naturale”. Il tribunale dei ministri, quindi, non è affatto un “giudice”, e quindi non può essere il giudice naturale. Il “giudice naturale” di Berlusconi è quello competente per il reato che è accusato di aver commesso telefonando alla questura di Milano per far rilasciare Ruby: il tribunale di Milano (Il Post).

FALSITA’ n. 2:

Il giudizio immediato viene chiesto per l’indagato verso il quale il magistrato ha raccolto prove evidenti, ovvero prove che rendono immediatamente manifesta la sua colpevolezza. E’ Berlusconi ad effettuare la famosa telefonata in Questura per permettere il rilascio di Ruby, non Emilio Fede, non Lele Mora. D’altronde, solo Berlusconi si trova nella posizione di poter compiere il reato di abuso d’ufficio: egli ha fatto valere la propria carica istituzionale per ottenere o far ottenere un favore da un funzionario di polizia. Così recita l’articolo 317 del Codice penale: “Il pubblico ufficiale che abusando della sua qualità o delle sue funzioni costringe o induce taluno a dare o a promettere, indebitamente, a lui o a un terzo, denaro o altra utilità è punito con la reclusione da quattro a dodici anni”. “La concussione è “in re ipsa”, cioè nella telefonata stessa del presidente del Consiglio che è in sé un’indebita pressione, anche se i poliziotti non avessero poi seguito i “desiderata” di Berlusconi”, scrive Massimo Fini su Il Fatto. Sono chiare quindi le ragioni dello stralcio della posizione di Berlusconi, a differenza di quel che vuol farci credere Cicchitto.

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