Libia in fiamme, così come la politica estera italiana

La rivoluzione dei gelsomini sta diffondendo il suo carico di sangue sulla Libia intera: si parla, si vocifera di una carneficina. Di razzi sparati sulla folla, su cortei funebri. Una repressione irrazionale e insieme criminosa. Le tribù dei Tuareg si starebbero dirigendo verso Tripoli, in una sorta di alleanza con i rivoltosi senza capi. L’Esercito sarebbe pronto ad un golpe per rovesciare Gheddafi. I siti produttivi di Eni e Bp sono chiusi, le attività estrattrive sospese, il personale evacuato. La violenza del regime è senza limite, ma alla violenza la folla risponde con altrettanta violenza. Da Bengasi la rivolta si è spostata verso Tripoli. Non ci sono feudi per Gheddafi. Tutta la popolazione gli si è rivoltata contro. E lui ha risposto come soltanto un assassino può fare. Ha sparato sulla gente. Ha ucciso. Ha ordinato il massacro.

Come poter stringere mani così intrise di sangue? C’è un governo del Mediterraneo che può vantarsi di essere il primo partner economico del regime libico. Questo paese siamo noi. E’ già abbastanza disdicevole essere governati da un “utilizzatore finale di minorenni”. E un ministro degli Esteri imbelle come Frattini che d’un tratto si scopre difensore dei carnefici di Tripoli, fa pena. E’ un uomo che non sa più come argomentare, un uomo senza più parole credibili. Una settimana dichiara alle stampe l’auspicio che Mubarak resti ancora a lungo alla guida dell’Egitto; l’altra chiede che le parti in conflitto in Libia giungano in fretta ad una riconciliazione. “Non possiamo esportare la democrazia”, ha detto. Ma quale idea di democrazia ha il ministro Frattini? Quale? Perso Ben Alì, con cui B. ha interessi nel settore televisivo, perso Mubarak (telefonia), perso Gheddafi (petrolio e donne?) torneremo genuflessi a Washington?

Come paese abbiamo investito anni in politica estera nelle relazioni con Tunisia, Libia ed Egitto, con i loro regimi illiberali, sostanzialmente a fini privati. Abbiamo permesso che il loro sporco capitale (sporco perché non frutto della libera concorrenza e della parità di condizioni degli attori del mercato) si insinuasse nel nostro sistema economico-finanziario. Se Gheddafi crolla, in Italia saranno in molti a piangere. Impregilo per prima, ma soprattutto Unicredit. Ecco, se Gheddafi crolla, la più grande banca italiana rischia grosso. E se Unicredit finisce nella polvere, poco importa se in Italia siamo troppo vecchi per fare ‘rivoluzioni’. Non c’è niente di peggio di un vecchio a cui sia tolta la propria pensione, il proprio conto in banca, il proprio patrimonio. Allora li vedrete tutti in piedi, questi vecchi, in piazza, dalla parte dei giovani. Uniti nella miseria.

One Comment

  1. Vergogna per un’ Italia ed un’ Europa che in nome degli interessi economici restano muti davanti ad un massacro.
    Come si può restare cinicamente “prudenti” davanti al macello che avviene in Libia? Dove il colonello Gheddafi dopo 42 anni di potere è arrivato perfino a bombardare con l’aiuto di mercenari stranieri il proprio popolo uscito finalmente dal silenzio in cui era stato costretto dopo decenni di dittatura? Come è possibile guardare al risveglio degli stati arabi con l’occhio pavido di temute”invasioni di proporzioni bibliche di barche cariche di disperati”, con la mano aggrappata al portafoglio per il rischio di perdere forniture di gas e petrolio e relazioni finanziarie consolidate, con la coscienza sporca di chi si nasconde dietro quella che non si può che chiamare “ir-realpolitik“.
    La frase di qualche giorno fa del ministro dell’Interno Maroni sulle “proporzioni bibliche” di imminenti emigrazioni verso l’Italia dal Maghreb, ben dimostra la meschinità del Governo, e in generale di tutta la classe politica italiana nei confronti delle attuali rivolte nel mondo arabo. La presidente di Confindustria Marcegaglia conferma, come prevedibile, di essere preoccupata soprattutto per la “roba“. Qualcuno direbbe “fa il suo mestiere”.
    Ma è proprio questo il concetto da ribaltare. Un dittatore che declama per ore in televisione un discorso farneticante in cui promette una nuova Tien An Men per il suo popolo, che, a quanto si apprende dalle testimonianze che arrivano da Tripoli e Bengasi (giornalisti occidentali non ce ne sono, come si apprende anche da Human Rights Watch) ha già iniziato una carneficina, non può essere un interlocutore a cui legarsi economicamente.
    Se l’Europa e il mondo occidentale restano aggrappati ai propri interessi economici, possiamo tranquillamente scordarci di far parte di una comunità che ha ancora dei valori e ha imparato la lezione delle guerre del ’900. Questo sembra di capire dalle reazioni per ora debolissime di capi di stato europei ed istituzioni della Ue.

    Quanto all’Italia, si va dalla padella alla brace, ovviamente. Non è tanto la sbandierata amicizia con i dittatori di Berlusconi e la sua particolare devozione a Gheddafi, quanto la sudditanza spudorata di tutta la classe politica ed economica davanti a un dittatore sanguinario che meno di un anno fa è stato portato in trionfo nel nostro Paese insieme al suo seguito ridicolo.
    Figuriamoci quindi se il governo italiano si degnerà di dare ascolto ad Amnesty International e alla sua richiesta di cessare la vendita di armi al governo libico.
    Ancora una volta, come per la rivolta di Piazza Tahrir, siamo idealmente con chi mette a rischio la propria vita in Libia, come nel resto del mondo maghrebino e mediorientale, con chi ci sta dicendo che le parole libertà, uguaglianza e dignità hanno ancora un senso profondo che in Europa e in Occidente stiamo perdendo.

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