Michael Walzer, perché la guerra di Libia è ingiusta

Michael Walzer, filosofo politico che insegna a Princeton, autore del famoso libro ‘Guerre giuste e ingiuste’, intervistato da La Repubblica, spiega perché non sussistono nel caso della Guerra in Libia i crismi di una ‘guerra umanitaria‘ – il grande ossimoro di questo scorcio di secolo.

In primis, “non spetta alla comunità internazionale intervenire ogni volta una rivolta democratica non raggiunge il suo obiettivo”, altrimenti si dovrebbe intervenire continuamente e ovunque. Questo non può essere la ragione che motiva l’intervento. L’intervento è un errore: a cominciare dal fatto che non è stato definito alcun obiettivo, abbattere il Tiranno o favorire la tregua. In ogni caso si andrà incontro ad esiti nefasti: se il Tiranno resiste – è impensabile deporlo con i soli bombardamenti – allora saà un bagno di sangue; se cade sarà guerra civile, quindi un bagno di sangue.

Può allora l’intervento dei ‘volenterosi’ essere umanitario? E’ forse l’estrema ratio per evitare tale massacro? Evidentemente no, poiché l’intervento medesimo può portare al massacro e non può in alcun modo prevenirlo.

La Repubblica, 24.03.2011, p. 53

Una guerra per fermare il martirio, questa è una guerra giusta. Ma se si sganciano bombe su centrali elettriche, su ponti, se gli obiettivi sono strategici ma non strettamente militari, è ancora una guerra giusta? Rispolvero una vecchia intervista sempre di Walzer, rilasciata a Maurizio Viroli nel 1992. Allora l’intervento militare che suscitava dubbi era la Prima Guerra del Golfo:

Come è noto, la guerra, prima di iniziare a terra, fu combattuta per la maggior parte del tempo in cielo, e si diresse per lo più alle infrastrutture civili della società irachena. Si tratta di obiettivi che solo in alcuni casi possono essere considerati legittimi, là dove, ad esempio, si è trattato di ponti che consentivano i rifornimenti ad una armata sul campo. Al contrario, la distruzione di centrali elettriche o di impianti per il rifornimento d’acqua, costituendo un attacco ingiustificato alla società, non rientra affatto tra i casi previsti e giustificati dallo ius in bello (M. Walzer intervistato da M. Viroli, 1992).

In Libia si stanno bombardando centri strategici o solo obiettivi strettamente militari? La risposta è dirimente sulla questione della legittimità dell’attacco occidentale alla Libia di Gheddafi. “La prima regola di un interventismo democratico”, dice Walzer oggi a La Repubblica, “è quello di non cercare di riportare in vita un movimento di opposizione che non ce la fa a sostenere i suoi obiettivi, autonomamente, sul campo”. E invece il neonato consiglio di Bengasi militarmente non sta in piedi, né pare sufficientemente radicato e organizzato per poter subentrare a Gheddafi alla guida del paese.

 

La Repubblica, 24.03.2011, p. 53

C’è chi invece tifa per la guerra di liberazione libica e per l’aiuto americano. “Perché dopo averle a lungo auspicate, le rivolte per la libertà non hanno trovato l’appoggio incondizionato dei democratici europei? Dov’è l’Europa, dove sono le forze riformiste, dove sono i movimenti pacifisti? […] Non possiamo più essere spettatori passivi. O peggio, custodi e cultori della caricatura cinica di una realpolitik che ormai appartiene al passato”, così disse Walter Veltroni qualche giorno fa. Come chiedere ai movimenti pacifisti di tifare per una guerra, che non è nemmeno umanitaria – quindi, di fatto, è una guerra ingiusta?

Piccola bibliografia di M.Walzer

Guerre giuste e ingiuste. Un discorso morale con esemplificazioni storiche, 1990, Ed. Liguori

La libertà e i suoi nemici nell’età della guerra al terrorismo, 2003, Laterza

Sulla tolleranza, 2003, Laterza

2 Comments

  1. una lettera di mia sorella:
    Le campagne di aggressioni dell’Occidente

    Il 24 marzo è l’anniversario dell’aggressione NATO alla Jugoslavia.
    Il risultato, come noto, furono 3500 vittime, di cui circa l’80% civili, e tra queste ultime più del 70% bambini al di sotto dei 12 anni.
    Inoltre si colpirono tutti quegli obiettivi civili ed economici, che fanno di un paese un paese civile: ospedali, case di riposo per anziani, ponti, strade, centrali elettriche, scuole, asili ed università.
    Si trattò dello stesso modello già applicato (anche se sotto un altro vessillo) all’Iraq durante la prima guerra del Golfo: il tentativo di distruggere lo stato e di fare arretrare il Paese se non all’epoca della pietra, come si augurava un generale americano, per lo meno di cinquanta anni, ponendo serie ipoteche sul futuro stesso e sulle possibilità di risollevarsi.
    Infatti la guerra alla Jugoslavia fu chimica e nucleare, e pertanto creò un disastro ecologico e conseguenze di vastissima portata sulla salute della popolazione e violò le convenzioni di Ginevra. Infatti se da un alto furono lanciate bombe all’uranio impoverito, dall’altro fu sufficiente colpire e distruggere quasi tutti gli impianti chimici jugoslavi per creare una vera e propria catastrofe per il terreno, le acque, l’aria: per la salute e la vita stessa degli abitanti.
    Per preparare l’opinione pubblica dei Paesi aggressori ad accettare la guerra, fu ideata una campagna mediatica, che demonizzò una parte in conflitto (l’esercito regolare dello stato jugoslavo) e santificò l’altra (gli albanesi dell’UCK), che da tempo combatteva una guerriglia armata di tipo secessionista nella provincia serba del Kosovo. La NATO intervenne a favore di una delle due parti belligeranti, spostando l’ago della bilancia in favore dei separatisti albanesi. Naturalmente l’intervento era giustificato dalla necessità di proteggere le popolazioni di origine albanese nel Kosovo e di permettere una convivenza dei kosovari sia Serbi sia Albanesi, che a detta degli alleati della coalizione NATO, era ostacolata da Milošević: il risultato fu da un lato la costruzione in Kosovo della più grande base americana (Camp Boundsteel), dall’altra la cacciata della popolazione serba dal Kosovo, la distruzione delle chiese e dei monasteri ortodossi, e la proclamazione dello staterello “indipendente”.
    I mesi di febbraio e marzo sembrano invogliare le potenze occidentali in queste loro periodiche campagne di aggressione di altri Paesi: basti pensare alle due guerre all’Iraq.
    E in questo mese di marzo ecco puntualmente l’aggressione alla Libia. Gli alleati si mobilitano, si preparano, e nello stesso tempo confezionano la campagna mediatica.
    L’avversario è demonizzato, gli si attribuiscono le nefandezze più efferate e si giustifica di fronte all’opinione pubblica l’intervento.
    Non si tratta di difendere il colonnello Gheddafi, personaggio dal passato anticolonialista, che da un decennio si è avvicinato all’Occidente, forse proprio nel tentativo di salvaguardare la Libia da secessioni e aggressioni, e che si è reso complice degli occidentali per quanto riguarda la repressione dell’immigrazione e le liberalizzazioni economiche.
    Si tratta semplicemente di notare che dalla caduta del muro di Berlino, gli Stati Uniti e l’Europa hanno ripreso le loro politiche neo-colonialiste e imperialiste, impongono al mondo uno stato di guerra permanente, distruggono stati riconosciuti dalle Nazioni Unite, ne creano di altri, spesso su base etnica, si ergono a rappresentanti della civiltà (occidentale), hanno creato un’industria della propaganda di guerra, con la complicità di giornalisti ed intellettuali, fomentano i conflitti invece di mediarli.
    In particolare l’Italia, da venti anni a questa parte, ha abbandonato i principi su cui si basa la sua Costituzione, originati dalle aspirazioni di pace e progresso democratico della Resistenza, ha infatti calpestato il famoso articolo che recita: .”…l’Italia ripudia la guerra come forma di risoluzione dei conflitti…”, partecipando alla prima guerra del Golfo, all’aggressione alla Jugoslavia, combattendo in Afganistan da anni e ora, bombardando la Libia.
    L’Italia ha inoltre colpe e responsabilità gravi nei confronti di alcuni di questi Paesi: la Jugoslavia, invasa nel 1941, dopo i bombardamenti su Belgrado da parte dell’aviazione tedesca, in cui i fascisti e il regio esercito hanno compiuto crimini di guerra mai puniti, e la Libia, invasa già nel 1911, la cui popolazione è stata ridotta di un terzo durante la repressione fascista. Basti pensare ai campi di concentramento per civili Jugoslavi (tra cui donne e bambini), sparsi in Italia, Jugoslavia ed Albania, e a quelli in cui Badoglio imprigionò i civili libici, facendoli morire per fame e stenti.
    Il Presidente della Repubblica dovrebbe custodire la Costituzione, al contrario egli si entusiasma per l’impresa guerresca dei “volonterosi”. La sinistra a sua volta dovrebbe ricordare le sue origini e non essere sempre in prima linea al fronte.
    Vergogna.
    Tamara Bellone – ANPPIA- Torino

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