Conflitto di attribuzione retroattivo

Correva l’anno 2010. Durante un’udienza del processo Mediaset, Berlusconi si avvalse del legittimo impedimento. In programma nella sua mutevole agenda vi era un Consiglio dei Ministri. Ma i giudici di Milano respinsero l’istanza. Per una serie di semplici ragioni:

  1. l’udienza era stata fissata tenendo conto dell’agenda degli impegni del presidente del Consiglio;
  2. era già stata presa in considerazione la necessità di contemperare le esigenze della “giustizia” con quelle istituzionali inerenti alla funzione rivestita dall’imputato;
  3. le difese dell’imputato Berlusconi non fecero emergere in sede di definizione dell’agenda delle udienze alcuna necessità di fissare per quel giorno un Consiglio dei Ministri;
  4. erano già state soppresse ben tre udienze e la funzione giudiziaria non può essere ulteriormente svilita.

In questi cinque punti non vi è nulla di politico. Oggi la Presidenza del Consiglio ha sollevato il conflitto di attribuzione – con un ritardo, badate bene, di 13 mesi – presso la Corte Costituzionale. Le ragioni addotte dall’Avvocatura di Stato sono le seguenti:

Per quanto riguarda il caso in questione, il Consiglio dei ministri – si fa notare nel ricorso – era stato fatto slittare dal 24 febbraio al 1° di marzo per la «necessità di procedere a una compiuta stesura» del ddl anti-corruzione «che ha comportato una complessa elaborazione» […] Di fronte alle «esigenze sopraggiunte che imponevano lo spostamento» del Cdm, lo «spirito di leale collaborazione tra le istituzioni» richiamato dalla stessa Corte Costituzionale «è stato del tutto disatteso» da parte dei giudici di Milano che «hanno privilegiato esclusivamente l’esercizio del potere giudiziario, senza tenere in debito conto la posizione processuale dell’organo costituzionale, quale è il presidente del Consiglio dei ministri, e il diritto-dovere di svolgere le proprie funzioni costituzionali» (Corriere della Sera).

Pensate, il CdM slittò per il ddl anti corruzione. Un provvedimento talmente importante che è rimasto parcheggiato in qualche cassetto di qualche commissione parlamentare, altro che binario morto. E questi avvocati – la relazione porta la firma di Michele Dipace e Maurizio Borgo – si sono arrovellati per un anno e sono riusciti a motivare questo ennesimo tentativo di annichilire la giustizia con l’urgenza di un provvedimento che urgente non è mai stato. Assurdo. Non solo: i due avvocati si spingono più in là. I giudici avrebbero leso le prerogative costituzionali del presidente del consiglio, poiché solo egli può convocare il CdM e solo lui può decidere quando è necessario farlo. Senza Presidente del consiglio, il CdM non può svolgersi, quindi verrebbe negata la sua capacità di definire e fissare la direzione politica del governo. Peccato che lo stesso Presidente del Consiglio sia anche imputato in svariati procedimenti penali – almeno quattro: la giustizia deve quindi soccombere nei confronti del potere esecutivo?