La Guerra del Futuro e la ricerca del nemico

La morte di Osama non smette di occupare le pagine dei giornali. Ho già detto delle “due” morti di Osama: quella del corpo e quella dell’ologramma. Ieri i video rilasciati dal Pentagono, a loro dire sequestrati nel “compound” di Abbottabad, hanno mostrato un Osama invecchiato e intento a rimirarsi nei video messaggi preparati per i suoi seguaci. Una visione paradossale del misero ometto che osserva se stesso, “icona” del male, rapito dallo schermo e trasformato in questa mimesis del Capo della jihad.

Osama non era un nemico diretto degli Stati Uniti. L’intento suo ultimo era quello di rovesciare la monarchia saudita. L’Occidente doveva essere cacciato dalla Terra Santa, e Terra Santa era la terra dell’Islam. Ben prima delle Torri Gemelle, sul finire degli anni novanta, il lungo conflitto del terrore era già ampiamente teorizzato dall’amministrazione americana come conflitto del futuro: così disse Madeleine Albright, allora segretario di stato del Presidente Clinton, secondo la quale per tramite di quella guerra si sarebbe deciso il “nostro declino o la nostra sopravvivenza politica”. Non aveva torto: oggi sappiamo che dopo l’11 Settembre gli Stati Uniti non sono più riusciti a realizzare il pareggio di bilancio, che il debito pubblico americano ha un “destino greco” scritto addosso e il dollaro presto o tardi subirà una svalutazione che peserà sull’intero sistema commerciale mondiale. Se di sopravvivenza politica si tratta, sarà necessariamente connotata dal declino nella potenza globale quale essi sono stati fino a questo momento. E se al tempo di Clinton gli USA necessitavano di un nemico – selezionato e individuato in Osama Bin Laden e nella sua rete terroristica – l’odierno è fatto di masse in agitazione che rovesciano regimi corrotti al potere da trent’anni. E l’America, terra della libertà, non può stare dalla parte di quegli attempati dittatori. Gli USA non possono ricercare il nuovo nemico nelle masse arabe. Pertanto, il sistema dualistico che dal dopoguerra ha regolato i rapporti internazionali (dalla spartizione di Yalta al bushiano “o con noi o contro di noi”) non trova più alcuna applicazione nel nuovo scenario. Obama forse questo lo sa; forse ne è stato il primo teorico con il concetto della multilateralità. La sopravvivenza politica degli USA passa oggi per il ritorno a una democratizzazione dei rapporti fra le nazioni. Passa per forza di cose per il modello europeo della multigovernance (seppur con notevoli difetti). Poiché lasciare l’ordine mondiale alla mercé delle contrattazioni fra le nuove potenze commerciali, significa di nuovo caos, dazi doganali, guerre per il mercato.