Soldati senza divisa: la storia e le incongruenze dei tre connazionali reclusi in Libia

Qualcuno si sarà sorpreso per la storia dei tre italiani reclusi nel carcere di Abu Shalim da un mese e liberati dai ribelli. Tre agenti di sicurezza, creduti spie, malmenati dagli sgherri del regime, chiusi in una galera libica. Fin qui nulla di particolarmente diverso dalle solite storie di lavoratori all’estero, caduti rapiti o incarcerati nei più pericolosi teatri di guerra. Eppure, se indugiaste un po’ più a lungo sulle cronache dei giornali, scovereste un lungo elenco di stranezze.

Ecco quelle più importanti, a parer mio:

  1. Nessuno ne denunciato la scomparsa. Prendete ad esempio la vicenda dell’operatore di Emergency rapito in Darfur: sebbene i giornali mainstream abbiano altro di cui occuparsi, soprattutto in rete e se ne parla e si fanno seguire gli appelli per la liberazione. La Farnesina ha attivato i consueti canali di mediazione per ottenerne la liberazione. Invece dei tre contractors (?) italiani in Libia non è stata nemmeno denunciata la scomparsa. La madre di uno dei tre, Luca Boero, genovese abitante nell’entroterra alessandrino, ha rivelato di aver provato a contattare il figlio al cellulare per un mese senza riuscirci. Condotta curiosa, per una madre che non sa dov’è il proprio figlio. Non ha pensato minimamente di fare denuncia di scomparsa dopo un mese di tentativi?
  2. I tre italiani stavano cercando di sconfinare in Libia dalla Tunisia. Entrare clandestinamente in un altro paese non è proprio la miglior cosa. Ricordate cosa facciamo noi ai clandestini? Li chiudiamo nei CIE, centri di identificazione ed espulsione. I nostri dovevano andare ad un appuntamento nei pressi di Ben Gardane. Ben Gardane  si trova “a 499 km da Tunisi ed a soli 32 km dal confine con la Libia dal villaggio libico di Ras Ajdir” (wikipedia). Non si capisce perché, se uno ha un appuntamento a Ben Gardane, prima del confine libico, poi si ritrovi al di là dello stesso. Poiché è chiaro che se uno si trova in territorio libico e va a Ben Gardane non ha alcuna ragione di esser fermato e incarcerato dalla polizia di Gheddafi: si suppone che sia entrato in Libia con il visto turistico almeno, e che ne abbia uno analogo per entrare in Tunisia. Altrimenti, è chiaro, i tre dovevano trovarsi in territorio tunisino e dovevano andare a Ben Gardane per ottenere quel lavoro, poi, per ragioni ignote, hanno sconfinato illegalmente.
  3. Il lavoro era molto probabilmente fare da security a una famiglia libica. Non si comprende perché il loro datore di lavoro abbia preferito far entrare i tre illegalmente nel paese anziché fargli ottenere un visto.
  4. Luca Boero ha una vicenda personale paradigmatica: 42enne, nato a Genova ma residente a Garbagna, in provincia di Alessandria, è esperto di arti marziali, cultore del fisico e della forma, era stato nei reparti speciali dell’Esercito. Qui aveva collezionato diverse esperienze e missioni all’estero. Era stato in Kossovo ed in Bosnia. Poi aveva abbandonato la divisa e si era congedato. Aveva preso il diploma di investigatore privato e lavorato come addetto alla sicurezza anche per la Ibsa, la stessa società di sicurezza e formazione della quale aveva fatto parte anche Fabrizio Quatrocchi. Un soldato senza divisa. Come Quatrocchi, Cupertino, Stefio, tre dei quattro rapiti in Iraq nel 2004: ex carabiniere, ex militare dell’esercito, ex parà. Boero ha militato nei “reparti speciali dell’Esercito”. Non è chiarito quali. Boero opera nel settore “sicurezza” con guadagni anche di ventimila euro al mese. Chi doveva proteggere in Libia? E’ probabile che non fosse la prima volta che Boero si trovava all’estero per “missioni” di questo genere. Sui giornali raccontano di una sua residenza solo occasionale: “«Lo vediamo quando non è a Genova o all’estero per lavoro », dicono gli amici del bar.” (Agenfax).
  5. IBSA, Investigazioni, bonifiche ambientali e servizi sicurezza, ha un ufficio proprio a Genova, in via Odero Attilio.