Un video pubblicato su Youtube mostra gli ultimi istanti di vita di Gheddafi in mano ai ribelli. Il Rais è stato dunque catturato vivo. La sua morte deve essere venuta dopo, o in conseguenza delle ferite, o per una esecuzione che ci è stata tenuta nascosta.
Naturalmente si potrà discutere a lungo sull’opportunità di far vedere il martirio di un dittatore, sulla violenza di queste immagini, sul destino di una rivoluzione, ma d’altronde, come scrisse Isaac Babel, “la rivoluzione spara” e la rivoluzione al tempo della videocrazia è fatta anche di immagini di sangue.
A voi la visione, con l’avvertenza che questo video non è fatto per i più impressionabili.
Ovvio, che si tratti di un assassinio. Gli UK-FR-USA, ed i loro clienti in loco, non potevano certo permettersi neppure un processo sceneggiata. Son già troppo occupati a scannarsi tra di loro. Il livello è quello…
Ma rivoluzione de che??? Delle bombe della Nato??? Chiamiamo le cose col loro nome: Gheddafi è stato rovesciato dalle potenze occidentali, intervenute col consueto pretesto della causa umanitaria, come con Saddam, come con la Serbia. L’abbiamo visto, l’abbiamo sentito, basta fare due più due…Le parole sono importanti e chi fa informazione, specie se “divergente”, non dovrebbe contribuire a diffondere mistificazioni, perché così facendo non “diverge” ma si “conforma”.
Guardi, in verità non saprei esattamente cosa pensare della primavera araba e di quanto essa sia stata ‘eterodiretta’. Se la guardiamo dal pdv dei new media, allora vediamo la novità di un fenomeno di massa (?) che si autorganizza dal basso, senza gerarchie, senza leadership, ma unicamente connesso in una rete comunicativa. Se invece adottiamo il pdv delle relazioni internazionali, allora non possiamo non vedere quanto l’interventismo occidentale sia stato determinante nel crollo dei regimi del nordafrica (e non parlo solo della Libia, l’impronta francese c’è stata anche in Tunisia, è in azione in Algeria, mentre in Egitto UK e USA hanno indotto un avvicendamento ma il potere rimane nelle mani saldissime dell’esercito e Piazza Tahir è soltanto un fenomeno passeggero destinato più a impressionare noialtri che non gli egiziani medesimi).
Mi scuso se non ho approfondito il merito della questione nel post. Potrà perdonare qualche pausa, ogni tanto, non è vero? Fare informazione non è il mio mestiere e mai lo sarà, sia detto per inciso. Su questo blog, molto modestamente, si provano chiavi di lettura non troppo ortodosse rispetto all’informazione – diciamo così – mainstream. A volte non ci si riesce. A volte no. Cerchi di comprendere: ho una vita al di fuori del blog.
Non eterodiretta. Innescata e gestita. Come tutte le “rivoluzioni”.
Perdoni la veemenza, non volevo crocifiggere nessuno. E’ che leggere un articolo di un blog richiede un investimento maggiore, in termini di tempo e attenzione, che accendere la tv e ascoltare, magari spiattellando in cucina. Se io lo faccio è perché spero di leggere qualcosa di diverso, di meno omologato rispetto al “mainstream”. E’ vero, non tutte le ciambelle vengono col buco, ma di questo articoletto mi ha fatto innervosire soprattutto il riferimento alla “rivoluzione” libica: gira un po’ troppo questo sostantivo in rete, e quasi sempre a sproposito. Ripeto, le parole sono importanti – e, aggiungo, la forma è importante! – e chi fa informazione, anche non professionalmente, affida il proprio messaggio a quelle, in definitiva. Obama ha affermato che nessun americano ha messo piede sul suolo libico. sorvolando sulle bombe Nato piovute dal cielo, come se non sapessimo (ma la maggior parte della gente non lo sa, perché il mainstream non lo dice, ovviamente) che da tempo gli USA fanno fare il lavoro sporco, e costoso, proprio alla Nato. Ecco, lasciamo alla politica e all’informazione asservita i giochetti retorici e l’ipocrisia: noi (operatori e fruitori di controinformazione), facciamo pelo e contropelo alle notizie che ci giungono (dal momento che non possiamo andare a controllare “sul campo”). Altrimenti possiamo anche stare zitti e riposarci, ogni tanto, ci mancherebbe…
Cordialmente.
E’ curioso che lei si arrabbi per il termine ‘rivoluzione libica’: in fondo una rivoluzione che cos’è? Un mutamento profondo e improvviso della forma di governo di un paese. Se ci atteniamo a questa definizione, allora sì, quello che è accaduto è una rivoluzione. Mi pare invece che lei attribuisca al termine una valenza positiva, direi progressista: la rivoluzione del popolo che finalmente si emancipa dal potere dittatoriale (capitalista?). Non tutte le rivoluzioni sono emancipatorie. Appaiono almeno inizialmente come delle guerre giuste, delle guerre civili in cui il popolo o una minima parte di esso agisce violentemente per scalzare dal potere la classe dirigente che governa nel torto e nell’ingiustizia. Anche Gheddafi medesimo è divenuto il Colonnello in seguito a una rivoluzione. Il despota di allora era il Re Idris. Poi la Storia ha trasformato in despota Gheddafi, e così via, il prossimo governo che verrà sarà legittimo finché governerà nell’alveo della legge giusta, fino alla prossima rivoluzione. Si potrà uscire da questa spirale di sangue e morte? Forse la bistrattata democrazia rappresentativa è ancora la soluzione tecnica migliore. O no? Intanto in Tunisia domenica si voterà per la prima volta. Lei cosa ne pensa?
Se ci atteniamo alla sua definizione allora anche quello che è successo in Cile, nel 1973, deve essere considerato una rivoluzione, infatti anche lì si è effettivamente verificato un mutamento profondo e improvviso della forma di governo di quel paese: fino al 10 settembre c’era un parlamento democraticamente eletto, l’11 settembre si è instaurata una dittatura – e che dittatura! – che ha retto fino a quando? La questione è controversa, comunque formalmente fino al 1990. Invece nessuno, che io sappia, si è mai sognato di chiamarlo rivoluzione e il termine “golpe”, termine spagnolo che significa “colpo” (di stato), è entrato nell’uso internazionale a indicare un’azione violenta, di esponenti dello stesso stato (di solito una parte delle forze armate), tesa a rovesciare un governo legittimo (ma non necessariamente), proprio grazie a Pinochet, se non ricordo male (ero giovanissima ma c’ero, e seguivo). Per tornare a tempi più recenti, come definiamo ciò che è successo in Iraq quando è stato rovesciato Saddam? Prima c’era un certo regime, una dittatura (vattelappesca come la considerano loro) e dopo? Il mutamento c’è stato, indubbiamente, e profondo, ma nessuno ne parla come di una rivoluzione, anzi, adesso sappiamo per certo che alcune potenze occidentali han fatto carte false (letteralmente) per trovare un pretesto per invadere il paese e installarcisi, per farsi i fatti propri…Invece la rivoluzione americana, quella francese, quella russa si fregiano di quell’appellativo da secoli, senza discussioni (beh, quella americana è più spesso chiamata guerra d’indipendenza). Che cosa distingue i due tipi di rivolgimenti? Direi che salti a.gli occhi: nell’accezione comune e in storiografia si chiama rivoluzione il rivolgimento violento, di solito preparato e guidato da una elite ma condotto, necessariamente, da una parte più o meno larga della popolazione, teso a rovesciare e sostituire il regime al potere, considerato ingiusto, vessatorio, responsabile delle condizioni del popolo, Che poi, anche i quei casi, potenze straniere ci mettano lo zampino per loro interessi specifici (come la Francia che aiutò i coloni americani contro l’Inghilterra, con cui aveva dei conti in sospeso) non toglie che si tratti di lotta di popolo.
Ora, al momento, sfido chiunque a dimostrare che ciò che è successo in Libia sia eminentemente frutto dell’azione e della volontà del popolo libico, E che le televisioni di tutto il mondo siano prodighe di immagini di libici che festeggiano non prova niente: sappiamo come sia facile confezionare materiale per i media, l’hanno già fatto in questo stesso contesto, ricordi? Vorrei essere una mosca e infilarmi in una casa libica qualsiasi…
Ecco, credo sia presto per definire in qualunque modo i fatti libici, tutto qua, anche se una cosa è già certissima: le potenze straniere hanno foraggiato, addestrato, rifornito massicciamente i ribelli; qualcuno sostiene che li abbiano creati, o che comunque abbiano adottato e orientato delle fazioni ostili a Gheddafi (sappiamo già di cosa son capaci certe agenzie). E poi han buttato le bombe…cosa si poteva desiderare di più?
Non possiamo dimenticare che la Libia sta, stava! (mo vedremo…) ai vertici di tutte le classifiche che parlano di tenore di vita e benessere che riguardano l’Africa: secondo gli indicatori ufficiali dell’ONU (più affidabili del PIL pro capite), in base all’Indice di Sviluppo Umano la Libia è al 55° posto, la Tunisia al 98°, l’Egitto al 123°. Ho meno perplessità riguardo a questi ultimi, alla natura di ciò che è successo, intendo.
Comunque, staremo a vedere, forse.
Siamo d’accordo sulla differenza fra golpe e rivoluzione. Davo per scontato che ci dovesse essere un certo grado di coinvolgimento popolare. Sinceramente non saprei dire quanto i libici (che diamine, nemmeno sulla parola libico son sicuro poiché lei saprà meglio di me che il paese è diviso in Tripolitania e Cirenaica e un sentimento nazionale libico non esiste veramente) siano effettivamente coinvolti nel sovvertimento dell’ordine statuale. Quel che prima intendevo è celato in questa frase di Raymond Aron, autore su cui mi sono scornato più volte e dolorosamente nei miei studi: “Tutti i regimi sono condannabili, se vengono paragonati a un ideale astratto d’eguaglianza o di libertà […] il mito della rivoluzione serve di rifugio al pensiero utopistico, diventa il misterioso e imprevedibile mediatore tra reale e ideale” (L’oppio degli intellettuali, Ideazione Editrice, Roma 1988). L’utopia rivoluzionaria mette l’ideale davanti ad una realtà fatta di sistemi politici in cui il potere pubblico è troppo spesso emanazione di un potere privato. E facendo ciò, noi costruiamo una immagine della rivoluzione come di un evento che ineluttabilmente porta alla emancipazione del popolo. Non è così. Dopo la rivoluzione francese è arrivato Napoleone III. La Comune di Parigi fu spazzata in due mesi. Non credo al precetto kantiano secondo cui la rivoluzione assume il significato di illuminazione e rivelazione di ciò che era stato occultato ingiustamente. Rivoluzione non è sempre illuminazione e rivelazione. E’ spesso un momento di caos e di distruzione, spesso ordito da una avanguardia o da un élite che possiede un certo grado di influenza sul popolo. Ricordo quella novella del Verga, Libertà, quella in cui i contadini si ribellano contro la tassa sul macinato e eliminano di fatto tutta la “classe dirigente” del piccolo paese, prelati compresi: il giorno dopo li coglie un senso di smarrimento e subito cercano di ricostituire l’ordine, esattamente per come era, perché è quello che conoscono e altro non saprebbero fare.
Sempre secondo Aron, la differenza fra rivoluzione e ‘golpe’ risiede nel fatto che quest’ultimo è condotto o dal detentore del potere oppure da un piccolo gruppo di uomini armati senza determinare alcun rivolgimento della classe dirigente di un paese. Nel golpe è di solito un potere dello stato ad effettuare il rivolgimento dell’ordine statuale: nel caso del Cile è l’esercito. Anche Gheddafi e Nasser erano dei golpisti: facevano parte dell’esercito e dall’esercito condussero il loro progetto di conquista del potere. Il golpe di Gheddafi fu in realtà condotto senza un popolo, inventando un popolo.
Oggi, 2011, i ribelli libici, se così si possono chiamare, non sono soldati, sono civili. Hanno trovato la ‘collaborazione’ straniera perché la caduta del regime di Tripoli era vitale per alcune lobbies pretrolifere franco-britanniche. La Francia, in particolar modo, ha compiuto un riposizionamento spettacolare nell’area Maghreb e Medio-orientale. L’ENI, come dice RScaru, dovrà abituarsi alla concorrenza ‘straniera’.
Le rivoluzioni sono tutte così: un impero che che vuole sottrarre territori e risorse ad altri. Qui finisce nell’area della prossima Repubblica Islamica d’Egitto con UK-USA che cercheranno di usarla contro di essa.
Naturalmente la classifica ONU riguarda tutto il mondo, non solo l’Africa…
Per distruggerla, occorreva provocare quello che è successo.
Le operazioni imperiali sono tali: devastazioni.
Ora possono ricostruire, coi soldi dei libici e le compagnie imperiali che incassano, più il passagio di influenza dall’ENI ai franco-britannici.
Napulità è un genio (non a caso l’hanno messi lì), e Belluskò un debole (non a caso non lo vogliono lì), …a sodomizzarvi su incarico dell’Impero!
In effetti m’è passato per il cervello che più che una rivoluzione contro Gheddafi sembra un golpe contro l’Italia…
E con questa vado a nanna che sono cotta e malata. Magari ne riparliamo, era interessante la discussione.
Buonanotte.