A Gaza dovrebbe svolgersi il processo contro i presunti assassini di Vittorio Arrigoni, attivista per i diritti di Gaza nonché blogger, voce unica e preziosa che stava dietro al muro della segregazione che divide la Striscia dal resto del mondo. L’udienza dello scorso 4 Novembre si è svolta in 50 minuti. Il breve resoconto di ‘Il Pane e le Rose’ descrive una atmosfera desolante: una pubblica accusa inerte e una difesa peggio ancora fanno da cornice a un procedimento che non ha ancora detto nulla sulle reali motivazioni del rapimento e della uccisione di Vittorio. Il silenzio dei media italiani e il disinteresse della Farnesina di certo non aiutano a accelerare il processo.
L’accusa ha chiamato a testimoniare cinque persone: Ibrahim Attab, proprietario dell’autonoleggio dove i rapitori hanno preso l’automobile usata per il rapimento; Khader Bahar, proprietario dell’appartamento dove è stato tenuto ostaggio Vittorio; Mahmud Shindi, cognato di uno degli imputati (Tamer Hasasnah); Nayef Jamalna, un poliziotto collega dell’imputato Mahmud Salfiti; e infine Musa Abu Hassanin, un ufficiale dei vigili del fuoco che conosce bene Hasasnah e un altro imputato, Khader Jram. Ma le dichiarazioni di questi testimoni sono state lapidarie. Tutti e cinque si sono limitati a confermare le deposizioni rese durante le indagini. L’accusa si è detta soddisfatta e non ha quasi aperto bocca per tutta l’udienza. La difesa ha formulato qualche domanda banale. Alla fine i giudici militari hanno aggiornato il processo a fine mese (Il Pane e le rose).
Il dibattimento era quindi stato rimandato al 24 Novembre, ieri. L’udienza è durata cinque minuti appena. Il tempo di accertare l’assenza dei testimoni chiamati dalla Corte Militare di Gaza. In realtà “i testimoni hanno atteso invano l’apertura dell’udienza durante l’intera mattinata, ma a causa dello svolgimento di altri procedimenti la sessione giudiziaria ha avuto inizio solo dopo l’una. A quell’ora i testimoni, per motivi di lavoro, avevano già abbandonato il Tribunale” (Agoravox).
Su Facebook, Meri Calvelli fa un ritratto desolante della giustizia palestinese: “Questa mattina c’erano altre 4 udienze nel tribunale militare di Gaza […] La prima udienza, ha visto un uomo alla sbarra, in prigione da 3 mesi senza nessuna imputazione. La Pubblica Accusa chiedeva di rimandare ancora; la difesa chiedeva una liberazione su cauzione in attesa della presentazione degli atti dell’inchiesta e la formulazione di una accusa per l’imputato. Processo rimandato […] La seconda udienza, un processo per detenzione di polvere di alluminio; l’imputato un giovane che lavora presso una ditta che fornisce sostanze chimiche all’Universita’, Facolta’ di chimica, per gli esperimenti in laboratorio. Accusato di voler costruire armi contro l’autorita’, il processo si e’ svolto con un lungo simposio sulle possibilita’ di utilizzo di questo elemento per utilizzarlo come esplosivo. Processo rimandato.
Infine il 5° processo, ora ormai tarda, le 1 del pomeriggio. i testimoni previsti per la giornata, erano arrivati ma poi sono andati via, cosi il processo e’ stato rimandato ancora.
Ora a quanto pare la verità su Vik non interessa a Gaza. E neanche all’Italia. La morte di Vik resta ancora avvolta in un mistero. Da chi e perché fu rapito? L’uomo che poteva sapere qualcosa, Abdel Rahman Breizat, il giovane giordano capo della cellula salafita, è stato ucciso durante il blitz delle forze di Hamas. La sua bocca è stata messa a tacere per sempre. I tre sgherri in galera sembrano sufficientemente anestetizzati dal sistema per poter dire o fare qualcosa. La verità su Vik si è smarrita. E con essa anche noi.
Vuol dire che la liquidazione è stata chiesta dall’Italia, da Servizi militari (magari su richiesta inglese).
Per cui, nessuno (nessuno che contasse per i palestinisti) si è preoccupato di pretendere un vero processo.
Del resto, nessuno (né mafie né terrorismi) liquida nessuno senza richieste od eteridirezioni di Stato e di Stati.
Provate a portare in tribunale CC o altri servizi operano in loco. Vedrete che Vi opporranno il Segreto di Stato (confessione e beffo di loro colpevolezza, SEMPRE su richiesta od autorizzazione istituzionale).