La prospettiva Hollande spaventa i mercati. Hollande, l’uomo normale della sinistra normale. Un socialista, uomo medio e forse mediocre. Uno che non suscita passioni, che non è affiliato alla Mala delle Banche, né al dogmatismo germanico del rigor mortis del monetarismo deflattivo. Con il crollo della Borsa di oggi, il segnale è dato: la Francia verrà messa a ferro e fuoco dal tritacarne dello Spread e sarà la fine dell’Eurozona. A meno che il progetto di governance creativa dei Banksters non venga prontamente dirottato su Berlino. In questo clima non ci sono amici e nemici, tutti possono finire nell’occhio del ciclone, compreso Monti.
Quindi la prospettiva Hollande spaventa i mercati. Hollande, quello della spesa pubblica. Hollande, quello che romperà l’asse con Frau Merkel. Ma i mercati sanno che il dogma del rigore di bilancio è mortifero e sta trascinando tutti in un gorgo muto. L’Europa, dicono, ha bisogno di crescita. Poi arriva l’uomo della crescita e vendono i titoli. Ciò che spaventa oggigiorno non è Hollande, ma la reazione di Berlino. Se Hollande deciderà di farsi carico del problema europeo, di far passare il Fiscal Compact per il vaglio di un Referendum popolare o di riformarlo sminuendone i caratteri deflattivi, o di mettere la politica di bilancio sotto l’ombrello della Commissione e quindi sottrarla alla dinamica intergovernativa dell’Ecofin come è avvenuto sinora, allora Berlino potrebbe decidere di chiamarsi fuori, e il destino dell’Euro e della Unione Europea si farà sempre più incerto.
Fa strano vedere come la prospettiva Hollande, una prospettiva democratica in cui un popolo sceglie alle urne, liberamente, il proprio presidente, collida fortemente con quanto atteso dai mercati. I mercati prevedono una Germania isolata, quella Germania portatrice di una politica sanzionatoria e punitiva. E allo stesso tempo temono la deflazione e la decrescita. Se non è schizofrenia questa… Merkel e il rigorismo monetario – non Sarkozy – sono i veri sconfitti di ieri:
The French delivered a loud non to Berlin’s euro policies, handing a first-round victory to the socialist François Hollande, whose central campaign pledge was to reopen Chancellor Angela Merkel’s eurozone fiscal pact, an international treaty signed by 25 EU leaders and currently being ratified. Almost one in five French also voted for the europhobic Front National of Marine Le Pen, who wants the single currency scrapped and the French franc restored (Ian Traynor, The Guardian).
L’onda lunga dell’opposizione alla schizofrenia monetarista si sta diffondendo per l’Europa e ha investito ieri l’Olanbda, con la dipartita dal governo dello xenofobo neonazista Geert Wilders e le conseguenti dimissioni del primo ministro Mark Rutte. Piazza Wencelsao a Praga, è stata testimone della più grande manifestazione in Repubblica Ceca dalla Rivoluzione di Velluto del 1968, riferisce Traynor. E’ la crisi delle élite europee? No, è la rivolta contro il formalismo tedesco e contro la fedeltà cieca alla politica monetarista della Bundesbank. Traynor accomuna la dipartita di Sarkozy a quella dei capi di governo di Irlanda, Portogallo, Spagna, Grecia, Finlandia, Slovacchia e Italia. La caduta di tutti questi governi è sintomo della crisi delle élite. Niente di meno vero: le élite di governo non sono messe in crisi dal voto, bensì dall’unilateralismo tedesco e, almeno in un caso, ovvero in quello dell’Italia, il cambio del governo è stato eterodiretto dall’esterno per mezzo della leva dello spread. Così non si può dire della Francia e della Spagna, dove invece sono gli elettori ad aver defenestrato i propri capi di governo. Gli elettori, questi terribili e imprevedibili elettori.
Se in Spagna gli elettori hanno espulso dal sistema i socialisti emblema del Riformismo europeo, in Francia è il pomposo Sarkò a perire: una chiara ed evidente tendenza anticiclica che destituisce i governanti e rompe gli schemi partitici permettendo l’avanzamento di neonate formazioni partitiche aventi funzione antisistemica, come lo sono FN in Francia, il movimento di Wilders in Olanda, o il M5S in Italia. Diversi i loro argomenti e le loro propagande, ma simili le genesi e le carriere elettorali.
Le proteste contro l’obbligo di austerità invadono l’Europa ma non la Germania. Per quanto tempo Berlino resterà il paradiso in terra e fino a quando i tedeschi potranno continuare a crescere tenendo mezzo continente sotto i propri piedi?
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