Beppe Grillo ha ricordato negli ultimi suoi comizi che Mario Monti è stato consigliere dell’ex ministro del Bilancio Cirino Pomicino nei furiosi anni 1989, ’90, ’91 e ’92, quelli che produssero il profondissimo debito pubblico italiano e che portarono proprio nel 1992 la Lira e l’Italia a un passo dal default. Facile l’equazione: Mario Monti è stato complice degli artefici del debito! Prova inoppugnabile: nella sua biografia non compare neanche una riga di quella antica consulenza.
Ho voluto guardarci più a fondo. Ho impiegato come strumento di ricerca l’Archivio Storico de La Stampa. Dovrebbe essere il punto di partenza per chiunque voglia scrivere sui blog. D’altronde, forse per deformazione professionale, non mi posso accontentare di accettare le affermazioni di Grillo o di chicchessia senza tentarne una verifica. E poco serve sapere che è stato proprio Cirino Pomicino a ricordarci questo fatto.
Iniziamo con il dire che Cirino Pomicino fu Ministro per la Programmazione Economica e il Bilancio nel governo Andreotti, ovvero dal 22 luglio 1989 al 28 giugno 1992. In realtà, Monti fu nominato, insieme ad altri economisti già durante il precedente governo De Mita, dall’allora Ministro del Tesoro Giuliano Amato. Strana coincidenza: oggi Amato viene chiamato come super consulente sui tagli della politica. Evidentemente fra i due vige una stima reciproca:
E’ curioso vedere che del comitato scientifico scelto da Amato facesse parte anche Francesco Giavazzi, economista, bocconiano, molto amico di Mario Monti e suo acceso critico dalle colonne del Corriere della Sera, fresco di nomina a consigliere per il riordino degli incentivi alle Imprese. Era il 1988, quindi. Nel frattempo Monti (22.10.1989) diventa per la prima volta rettore della Bocconi, il governo De Mita cade, viene varato un nuovo esecutivo a guida Andreotti, quello che conduce direttamente alle strage di Capaci. Cosa succede a Mario Monti? Davvero dicenta “complice” dello sfacelo economico di quel periodo?
Ho una vaga idea che non sia così. E ve lo dimostro con due indizi. Due indizi non fanno una prova, ma aiutano.
Primo indizio.
Nel 1989, a Marzo, il governo Amato ha un deficit di 17-18 mila miliardi di lire. Ad agosto, con il nuovo governo, il buco si incrementa di altri dieci mila miliardi di lire. Il ministro del Tesoro era Guido Carli e il nuovo buco fu reso manifesto in seguito alle critiche dell’economista Mario Monti giunte dalle colonne del Corriere della Sera sulla politica economica dell’esecutivo Andreotti. Non è chiaro se il comitato scientifico creato da Amato fosse allora ancora in essere, ma si presume che non lo fosse.
Secondo indizio.
Non c’è traccia della nomina di Monti a consigliere di Cirino Pomicino. C’è invece traccia di un vero e proprio scandalo che coinvolse l’attuale presidente del consiglio. Monti era infatti anche vicepresidente della Comit, la Banca Commerciale Italiana (oggi confluita in Intesa Sanpaolo). Era una delle tre banche di interesse nazionale (BIN) ed era controllata dall’Iri, quindi dal Tesoro. Nel 1990, nella più tradizionale consuetudine da Prima Repubblica, i vertici della banca vengono lottizzati. E Monti che fa? Semplicemente sbatte la porta.
Il presidente Enrico Braggiotti lascia il più importante degli Istituti dell’Iri, e gli succede Sergio Siglienti, attuale amministratore delegato, a sua volta sostituito dal direttore generale Luigi Fausti. Alla Comit non c’è stato il ribaltone che ha sconvolto il Credito Italiano. Tutte nomine interne, come nella tradizione della banca milanese. L’unica eccezione è il de Camillo Ferrari, designato alla vice presidenza. Un caso clamoroso, comunque, è scoppiato. Il rettore dell’Università Bocconi, Mario Monti, non accetta di restare alla vice presidenza della Comit. In una lettera inviata a Siglienti (e per conoscenza al presidente dell’Iri, Franco Nobili), Monti chiede di «non dare corso alla proposta della mia conferma a vice presidente». Scrive l’economista: «Il contesto nel quale la conferma avverrebbe, l’elevazione a tre del numero dei vice presidenti e il peculiare significato che nell’insieme delle banche d’interesse nazionale sembra ora essere stato attribuito alle vice presidenze, mi fanno ritenere che si tratterebbe di un incarico essenzialmente formale, non giustificato da esigenze funzionali, non in linea con la tradizionale sobrietà della struttura di vertice della nostra banca. Poiché non intendo contribuire a tale evoluzione, chiedo di essere sollevato dalla vice presidenza». Monti informa Siglienti di essere «disponibile a contribuire all’amministrazione della banca nella veste di semplice consigliere, se Tiri e lei lo vorranno». E’ chiaro che Monti non contesta Siglienti o i due amministratori delegati, Fausti e Mario Arcari, persone verso le quali ha la più totale fiducia. Semplicemente non vuole essere confuso con altri vice presidenti (Palladino e Ferrari) di nomina chiaramente politica e sottolinea di non condividere quel «peculiare significato», cioè l’elezione dei vice presidenti secondo criteri di appartenenza partitica e non di professionalità, che ha distinto questa tornata di nomine delle Bin. Monti non aveva cariche operative alla Comit, ma il suo rifiuto, in un momento in cui tutti fanno l’impossibile per ottenere poltrone più o meno importanti, è certamente un fatto molto significativo anche se, purtroppo, isolato (La Stampa, 26 Maggio 1990).
Questa è verità storica, documentata. Non altro. Gianfranco Rotondi potrà dire che Monti era collaboratore di Pomicino, ma peccato che ciò non sia scritto da nessuna parte. Difficile credere a Gianfranco Rotondi. Difficile credere a chi crede a Gianfranco Rotondi. Detto ciò, non significa che tutto quel che fa il governo Monti è giusto. Ma è sbagliato attaccarlo per il suo ruolo negli anni della prima Repubblica.
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Una piccola premessa: io lavoro ed opero in un settore completamente diverso, ma di progetti nei quali ho avuto diretta responsabilità, ne ho portati avanti tanti. Molto spesso ho contribuito alla realizzazione di progetti di un certo rilievo, e la mia responsabilità in quel caso, è sempre stata quella di mettere a disposizoine le mie capacità avanzando proposte ed idee. Molto spesso ho dovuto accettare idee in contrapposizione con le mie e portarle avanti comunque. In tutti i casi, il risultato del progetto, fa parte del mio curriculum.
Quello che viene contestato a Monti, è l’incapacità di trovare soluzioni che siano diverse rispetto a quelle portate avanti fino ad oggi da altri politici. Il solo innalzamento delle tasse, e la loro riscossione dalla solita fascia contribuente, è cosa semplice e non richiede particolari genialità. La contestazione sta nel fatto di non mettere al centro di questa crisi quella che è la condizione sociale e, di conseguenza, la condizione di vita disagiata della maggior parte delle persone. Quando Grillo definisce Monti “cinico contabile”, intende dire che l’unica preoccupazione di Monti, è quella di mettere, in ordine di priorità, la quadratura dei conti e solo dopo la condizione sociale. Intende dire che Monti non si sta preoccupando del che prezzo sta fecendo pagare agli italiani, ma piuttosto, di dimostrare l’esattezza di un formula matematica.
In un progetto deve sempre essere fatto un attento calcolo dei rischi. Più l’impatto di un rischio è alto, più si deve evitare che tale rischio si presenti. Monti non sta tenendo presente l’impatto derivato dal rischio di sottovalutare il disagio sociale. Quando si sente dire che si sono prese certe misure perché i tempi erano ristrettissimi, questo figura solo una capacità progettuale ancora più scarsa e vi spiego perché: se l’impatto derivato da un rischio è alto e, vengono ristretti i tempi entro i quali il progetto dovrà essere concluso, l’impatto e la probabilità del rischio, avendo ancora meno tempo di gestione a disposizione nel caso dovesse verificarsi, diventano ancora più alti; questo, a maggior ragione, dovrebbe portare a tenere ancora più in considerazione quel rischio cercando di evitarne il suo verificarsi. In questo caso, paradossalmente, la squadra di Monti usa come oggetto della motivazione una cosa che invece dovrebbe farli stare ancora più attenti.
Risultato: formula matematica perfetta, risultato del progetto devastante.
Se teniamo conto di quanto esposto fino ad ora e poi ci aggiungiamo la notizia della partecipazione di Monti in un’altra collaborazione importante come quella dell’articolo “Amato ha 7 consiglieri anit-debito pubblico” si deduce che, seppur in un momento storico diverso e meno grave di quello che stiamo passando, ha già fatto simili errori. Il problema è la recidività, seppur di un gruppo e non del singolo, del metodo utilizzato che già in passato ha contribuito a portare dubbi risultati. Questo significa che Monti non ha ancora capito cosa, già a quel tempo, aveva fatto fallire il progetto. Oggi sta reiterando lo stesso metodo e questo spaventa ancora di più perché la condizinoe sociale e al limite della sopportazinoe e, allo stesso tempo, non viene presa in seria considerazione.
Il secondo articolo fa solo capire come Monti non abbia voluto macchiare la sua fama, mischiandosi con persone da lui ritenute poco qualificate. Accettare quell’incarico avrebbe significato per lui essere messo sullo stesso piano di persone che evidentemente non stimava. Questo articolo mostra un’azione, seppur plateale e strumentalizzata, prettamente egoistica, e non altruistica verso la società, volta a salvare la propria immagine professionale e, forse, anche un po’ il proprio ego.
Grazie per avere messo a disposizione un argomento di discussione e confronto interessante
Non sono pienamente d’accordo con lei. Nel senso: Monti non fa parte del partito della spesa pubblica. Questo deve esser chiaro. Monti, nel 1988, aveva a che fare con un sistema pubblico che era ancor più sistematicamente votato allo spreco e alla tangente di quanto non pensiamo oggi. E’ difficile coordinare la Pubblica amminmistrazione. La PA spesso non si muove dove comandano i Ministri e il Governo. E certe norme rimangono solo sulla carta. Mettere un tagliatore di teste come Bondi – che ha pure ottant’anni, ok – alla testa della PA, significa dare un segnale inequivocabile a tutti i quadri dirigenziali e ai loro sottoposti. E’ qualcosa, non è sufficiente, è ovvio.
Intanto però accostare Monti al partito della spesa, al fallimentare Cirino Pomicino e a “quel governo” Andreotti è semplicemente antistorico. La storia ci dice che Monti uscì da Comit quando i partiti la lottizzarono. Fu un’azione che niente ha a che vedere con la salvaguardia della propria immagine professionale, come invece da lei sostenuto. Avrebbe potuto rimanerci, ottenere qualche sostegno di natura politica, far carriera in Iri, o in Comit, o altrove. Invece non l’ha fatto. Questo è un fatto storico. Punto. Però nessuno va nelle piazze a dire che Monti rifiutò di essere lottizzato.
Il primo articolo le può fornire l’idea che Monti ebbe sì qualche incarico in qualche comitato scientifico o di consulenza ai tempi di Amato o Guido Carli o di Pomicino. Ma la Politica allora non faceva altro che prendere i lavori di questi professori e di infilarli nei cassetti. Se lei leggesse le dichiarazioni di Monti di quegli anni, leggerebbe le stesse cose di oggi. Tagliare la spesa pubblica. Monti è un liberista e crede nello Stato minimo. Ma è anche una dottrina – se vuole – che si basa sull’idea di efficienza economica. Qualsiasi azienda che si comportasse come lo Stato, sarebbe già chiusa. Lo Stato non è efficiente e Monti è lì per infondere questa cultura. So di apparire blasfemo, in un tempo in cui è necessario colpire il governo perché altrimenti non resta che da colpire quelle poche macerie che un tempo si chiamavano partiti.
Io credo che Monti sappia quanto sia alto il prezzo che ci sta facendo pagare. Ma non ha alternative. Abbiamo speso diciassette anni a scannarci per un possessore di televisioni, il tempo perso non torna indietro. Provi lei a fermare la nave alla deriva quale noi siamo. Ci sono solo due leve: tagli alla spesa, aumento delle entrate. Le riforme? Finché c’è questo parlamento e questa politica le riforme sono e restano una barzelletta. Per esempio, nessun politico abolirà mai gli ordini professionali. Nessuno. Siamo condannati a rimanere un paese di classi chiuse. A meno di miracoli.
Non voglio entrare troppo sui fatti storici perché alcune cose possono essere documentate ma altre restano sempre all’interpretazione di chi legge.
Io amo l’efficienza e capisco molto bene il tentativo di Monti. L’efficienza economica però non è la sola ed unica cosa da perseguire. Per governare un paese servono diversi tipi di dottrine, finalizzate alla ricerca di un bilanciamento molto importante per il benssere del paese. Non dubito sul talento di Monti di conoscere i meccanismi economici e finanrziari, ma sulla capacità di mettere in moto tuti quei meccanismi per il benessere collettivo.
Volevo inoltre ricordare che un’azienda non nasce per creare profitto, ma bensì, per svolgere una funzione sociale. Il business aziendale deve essere un business sostenibile. Se questi principi sono mantenuti, il profitto è una conseguenza. Quindi lo stato nasce per svolgere prima di tutto una funziona sociale, non economico-finanziaria.
Inoltre le alternative a come si stanno generando queste entrate esistono, il problema è che sono più difficili da trovare e vanno contro interessi di coloro che oggi hanno un potere economico molto forte.
Non è facile fermare una nave alla deriva, ma per farlo ci vuole una squadra che abbia a disposizione differenti talenti e che abbia al centro del proprio obiettivo il cittadino, non il profitto.
Attraverso una ricerca trovo casualmente questo articolo, le faccio i complimenti.
Saluti LL