Se c’è un aspetto comune alle elezioni regionali tedesche e quelle amministrative italiane, è l’emergere di formazioni partitiche sviluppate sul web dalla interazione di una moltitudine di soggetti più o meno eterodiretti. Piratenpartei e Movimento 5 Stelle sono spesso accomunati nelle analisi post elettorali e gli editorialisti dei grandi giornali tendono più a evidenziarne le differenze, che pure abbondano, invece di cogliere la grande rivoluzione che li sottende.
Qui posso solo avviare la discussione, cominciando dalle differenze.
Da un lato, quello tedesco, il Piratenpartei è una formazione politica totalmente senza un centro, slegata dai personalismi, pienamente calata nel sistema politico tedesco. Non fa altro che raccogliere la domanda di nuovi diritti civili – le libertà digitali – e le coagula in una proposta politica. In questo senso, il Piratenpartei, a dispetto del nome, non è affatto antisistemico. Non è affatto una formazione antieuropeista, ma anzi chiede maggior regolazione nell’ambito delle libertà digitali nel senso del riconoscimento della neutralità della Rete e nel riconoscimento dell’accesso alla conoscenza come diritto individuale inalienabile.
Invece in Italia il M5S si pone come elemento di rottura in un quadro partitico fortemente isolato rispetto al tessuto connettivo sociale e però non è pienamente in discontinuità con il recente passato, essendo fortemente caratterizzato dalla personalità di Beppe Grillo, e dipendendo, nella sua articolazione in rete, dalle infrastrutture della Casaleggio Associati. Il M5S non è frutto di una domanda di nuovi diritti civili, ma è frutto della protesta contro la Casta, con i professionisti della politica: inamovibili, si considerano legittimati anche nella sconfitta e nella illegalità e piegano il quadro istituzionale al fine ultimo della perpetuazione del proprio potere.
In entrambi i casi, però, i due neo-movimenti costituiscono l’occasione per l’attivista da tastiera di compiere un balzo ed entrare nelle Istituzioni senza passare per il vaglio dello strumento classico di selezione della élite politica: il partito. Di fatto costituiscono una cesura rispetto all’esclusivismo del professionista, del tecnico dell’Arte Politica (che niente ha a che fare con i tecnici in questo momento al governo, essendo questi ultimi esplicitamente tecnici dell’Economia e della Finanza).
Questo fenomeno che sto cercando di descrivervi, assomiglia molto a quanto avvenuto nella musica, nell’editoria, nella scrittura e nel giornalismo in generale. I non –professionisti, grazie al web, hanno accesso alla possibilità di pubblicare il proprio “prodotto”, non spendibile nel mercato classico, bensì fruibile in un regime di condivisione libera delle idee e dei contenuti che il web può realizzare (e sottolineo il può). Di fatto oggi ognuno di noi può autopubblicarsi un libro o un disco. Il web è un terreno vastissimo ma altrettanto denso di opere di autopubblicazione. Ciò naturalmente si accompagna ad aspetti negativi e anche potenzialmente deleteri. Primo fra tutti il fatto che anche chi non possiede “l’arte” può essere artista. Che anche chi non è giornalista, può essere giornalista. Ma certamente non “di professione”. Molto probabilmente il libro che vi siete autopubblicati a costo zero non meritava tanta gloria. Così il post che sto scrivendo ora potrebbe non essere all’altezza di una pubblicazione su un giornale. Allo stesso tempo, il politico, anzi il politizen (il netizen prestato alla politica) appena eletto a Parma potrebbe non essere all’altezza del suo compito. Viene meno il filtro dell’editore, del direttore di giornale, del segretario di partito. E con ciò, l’accesso libero a ciò che prima era di competenza del professionista, e che un comune mortale poteva svolgere soltanto dopo anni di gavetta nelle retrovie, ora sembrerebbe a portata di mano di individui qualsiasi, perfettamente sostituibili l’un l’altro.
La perdita della esclusività del professionista non significa peraltro che la professionalità non sia più un requisito necessario, anzi. La sua verifica non risiede più nel potere di discernimento di uno solo (sia esso l’editore, il direttore, il segretario). La verifica della professionalità diventa anch’essa un momento pubblico. Il politizen più del politico, deve adoperarsi per rendere pienamente trasparente la sua vita e il suo operato. Deve essere un tutt’uno con il pubblico.
Vi chiedo: il M5S risponde a tutto ciò in che modo? Veramente assegna al pubblico il potere di verifica e di controllo? Davvero il web può diventare strumento per una conoscenza pienamente libera?
Come vedete ho molti dubbi e domande. Il dibattito è aperto.
Reblogged this on i cittadini prima di tutto.
[…] Non abbiamo nemmeno mai udito la sua voce. Egli, come gli altri candidati, come Pizzarotti, è un uomo qualsiasi, perfettamente sostituibile. Cancellieri non ha mai avuto grandi esperienze in politica. E’ […]