No, non era la ministro del Lavoro, Elsa Fornero, ad attraversare le cascate del Niagara su una fune. Ma oggi, durante l’audizione al Senato, ha mostrato di avere una certa abilità a restare sospesa nel vuoto. Eppure sembrava sempre sul punto di cadere, di precipitare in una ammissione. Sì, ho mentito sugli esodati. Ho mentito perché mi vergogno di quello che faccio, me ne vergogno profondamente e non riesco ad accettare la verità, ovvero che con la riforma delle pensioni ci siamo dimenticati di 350 mila italiani che sono usciti dal mondo del lavoro e che, grazie a questa dannata riforma, ora non hanno nemmeno una pensione.
Invece, l’equilibrista ha tentato di tenersi in piedi usando un’arma che un docente universitario quale è lei sa ben impiegare: le parole. Fornero ha esordito in aula al Senato subito puntualizzando che il termine esodati contiene “elementi di incertezza già a partire dall’individuazione dei soggetti interessati, anzitutto in termini concettuali e conseguentemente in termini numerici”. Ecco l’arma che giustifica il numero: la definizione concettuale di esodati. Esodati non sono semplicemente quelle persone che hanno lasciato il posto di lavoro sulla base di accordi intersindacali o che sono stati parcheggiati in mobilità, mancando loro pochi anni alla pensione. Ed è colpa dei giornali, perché è il “linguaggio giornalistico” ad aver “usato indifferentemente i termini salvaguardati, esodati ed esodandi, collocati e collocandi in mobilità”. Gli esodati, secondo Fornero sono lavoratori da salvaguardare: “si tratta, piuttosto, di tener conto delle comprensibili aspettative dei lavoratori verso un prossimo pensionamento, operandone un contemperamento con le contrapposte esigenze di stabilizzazione finanziaria”. Si tratterebbe di una pia intenzione, se non fosse che il guaio esodati l’ha prodotto il suo Dicastero. Ma Fornero non se ne rende conto, o non vuole. Ha persino trovato un nuovo capro espiatorio, un obiettivo facile facile: il Parlamento.
In sede di definizione della riforma, i lavoratori da salvaguardare rispetto ai nuovi, più stringenti requisiti furono stimati da INPS e Ragioneria generale in circa 50.000. Tale numero fu quindi aumentato a 65.000 per garantire un margine di flessibilità, e si stanziarono le relative risorse. Poiché il decreto disponeva che i pensionamenti del 2012 avvenissero comunque sulla base delle vecchie regole, la legge stabilì nel 31 marzo il termine per la presentazione del relativo decreto interministeriale, così da consentire al Governo di approntare un provvedimento ragionato. Successivamente, con l’approvazione del decreto milleproroghe, il Parlamento ha aumentato il numero dei lavoratori da salvaguardare inserendo, pur con restrizioni, “accordi individuali” e “genitori di figli disabili” e stabilendo una clausola di salvaguardia, questa volta finanziaria, implicante l’aumento dell’aliquota contributiva nel caso di costo eccedente le risorse già accantonate. Nello stesso tempo il termine per l’emanazione del decreto interministeriale fu spostato al 30 giugno 2012 (Senato, Resoconto stenografico seduta 746 del 19/06/2012).
Certo, è vero: si tratta di un parlamento di inqualificabili, di fannulloni e malfattori. Ma nel decreto milleproroghe si cercava di riparare ai danni della Riforma delle pensioni. Il parlamento ha esteso la clausola di salvaguardia poiché il danno c’era già. Ma Fornero si contraddice quando afferma che, durante le attività di studio per la preparazione del decreto sugli esodati, “è apparso molto rilevante il numero dei lavoratori ancora in attività o in cassa integrazione interessati da accordi collettivi stipulati a livello governativo, ma ancor più a livello territoriale, per la gestione di crisi aziendali attraverso la fruizione di ammortizzatori sociali”. Quindi, delle due l’una: o il numero dei lavoratori interessati da questi accordi non era chiaro, oppure era rilevante. Fornero afferma che era difficile quantificare il numero di questi accordi? Allora perché dire che si trattava di un “numero rilevante”?
Fornero spiega pertanto la scelta di concentrarsi solo sui “lavoratori in più immediata situazione di necessità e quindi preparare il decreto per la salvaguardia del contingente già uscito dal lavoro, secondo un naturale criterio di equità tendente a dare precedenza ai soggetti con maggiore rischio di trovarsi senza reddito e senza pensione”. La restante parte dei lavoratori esodati andrà in pensione dal 2014, non sono petranto un “problema imminente”:
La non imminenza del problema (che riguarda pensionamenti a partire dal 2014) e l’assenza di risorse finanziarie immediatamente reperibili in un bilancio pubblico già messo a dura prova da vincoli interni e internazionali hanno indotto a ritenere che lo si sarebbe potuto affrontare nei mesi successivi. Peraltro non già con decreto interministeriale, bensì con uno specifico intervento normativo inteso ad estendere la salvaguardia anche a tali lavoratori (senato, Resoconto stenografico, cit.).
Solo ora viene la parte più convincente del discorso di Fornero. Quella dei numeri. Doveva andare in Senato per fornirli, soltanto questo. Ecco gli esodati secondo Elsa Fornero:
- 60.000 lavoratori che già hanno maturato i requisiti al 31 dicembre 2011, e quindi già fatti esplicitamente salvi dall’applicazione dei nuovi requisiti dalle disposizioni della riforma;
- a questi si aggiungono oltre 16.000 soggetti per i quali nulla cambia con la riforma, data la stessa decorrenza tra il nuovo e il vecchio regime;
- i soggetti che maturano i requisiti previgenti al di fuori del periodo di mobilità e la cui inclusione nella platea dei salvaguardati comporta non solo una modifica della legislazione, ma anche una modifica dell’impostazione assunta negli schemi di deroghe degli ultimi 15 anni;
- i lavoratori collocati in mobilità dopo la data del 4 dicembre 2011, mentre la disposizione di legge si riferisce a questa data;
- tutti i soggetti licenziati entro il 31 dicembre 2011, in seguito ad accordi individuali o collettivi, a prescindere dalla data di maturazione del diritto alla decorrenza, mentre il decreto proroga termini prevede espressamente che la deroga operi per chi matura la decorrenza del trattamento entro 24 mesi dalla data di entrata in vigore della nuova normativa;
- i soggetti beneficiari della prosecuzione volontaria, senza alcun criterio selettivo di prossimità al pensionamento: per questi soggetti il decreto ha in effetti adottato, in coerenza con la soluzione proposta dal legislatore per i licenziamenti individuali, lo stesso criterio di prossimità di 24 mesi dal pensionamento;
- i “collocandi in mobilità”, ai sensi di accordi collettivi stipulati entro il 4 dicembre (o entro il 31 dicembre, secondo un ordine del giorno approvato dal Parlamento), che avrebbero conseguito il trattamento pensionistico secondo le vecchie regole al termine del periodo di mobilità (maturandi dei requisiti di pensione al 2019) – non è possibile, attraverso i dati a disposizione del Ministero del lavoro e dell’INPS, pervenire ad un’esatta quantificazione, né soprattutto alla scansione temporale delle uscite; questa categoria è stimabile in 55.000 lavoratori.
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una persona bugiarda,inqualificante messa a paravento dei politici per salvaguardare le incapacità, dei politici ad assumersi e a non voler ,rinunciare ai privilegi che in questi anni hanno portato il paese i gli italiani sulla sogglia di povertà e sul baratro,quando un lavoratore è incapace di svolgere onetstamente e con professionalità il proprio lavoro deve rifarsi un bel corso di aggiornamento, se incapace deve essere applicato l’art 18, questo deve valere innanzi tutto per tutti i lavoratori comporesi ministri, o fantomatici tecnici, messi li non per volontà polare,giusto o sbagliato,quindi va licenziata, senza se e senza ma.Il popolo è sovrano e va ascoltata la propria volontà.