L’agguato di via Arenula e gli scontri del #14N: chi comanda la Polizia di Stato?

Il coordinamento quantomeno discutibile dell’ordine pubblico durante la manifestazione del #14N aggiunge un altro tassello alla lunga sequenza di errori, anzi, alla malagestio della Polizia di Stato dalla Diaz ad oggi. I lacrimogeni sparati dalle finestre e dal tetto del Ministero della Giustizia, proprio sopra l’ufficio del Ministro Severino, sono un dettaglio inquietante in un quadro di sospetti ancora più denso. La prassi di trasformare le grandi manifestazioni pubbliche in pestaggi sembra essersi consolidata intorno allo schema ben noto della provocazione-repressione, con l’esito di mettere in scena il disordine e fomentare la paura. Quali le ragioni ultime di questa strategia? La piazza sembra debba essere sempre tenuta sotto scacco da poche decine di violenti che a loro volta devono fronteggiarsi con gli agenti di polizia, in una sorta di rappresentazione scenica del conflitto fra popolo e Stato, fra disordine e ordine. Non c’è grande manifestazione degli ultimi anni che non abbia seguito questo schema. E’ forse più di un sospetto che questo copione sia recitato a memoria, a discapito di chi vuol realmente e pacificamente esprimere le proprie idee e il proprio disaccordo con la politica della crisi. Un sospetto che va inquadrato nel più ampio scenario della cosiddetta guerra di successione interna alla Polizia di Stato.

Antonio Manganelli è capo della Polizia dal 2007. Dopo lo spostamento di De Gennaro alla carica di sottosegretario con delega ai servizi, il suo nome era fra i papabili per il vertice del Dis, il Dipartimento delle Informazioni per la Sicurezza. Ma Mario Monti gli ha preferito un ambasciatore, Giampiero Massolo. Non è stata, quella di Massolo, una scelta di rottura con De Gennaro poiché Massolo medesimo è persona legata a De Gennaro, bensì una sorta di ‘mossa del cavallo’ da parte del governo, impegnato in un tentativo di spending review anche sul fronte del Servizio Segreto. Dopo gli episodi del 14 Novembre e di via Arenula, Manganelli ha dichiarato di volere la testa dei “poliziotti violenti”. Manganelli forse sa di essere isolato all’interno del corpo di polizia. Sta cercando di rifarsi una verginità dinanzi all’opinione pubblica, adottando posizioni fin troppo populiste per un capo di polizia. Per farvi notare quanto Manganelli sia isolato, basta citare le parole del questore di Roma, Fulvio della Rocca: “Se a un certo punto veniamo aggrediti militarmente, con un attacco ‘a testuggine’, è chiaro che dobbiamo reagire, perché siamo qui anche per questo: per tutelare la legge, questo è il nostro compito. Questo stesso sistema di azione è stato messo in atto in altre città, quindi probabilmente c’è una regia in tutto questo” (Repubblica.it). Anche il Ministro Cancellieri si è espressa in maniera dissonante rispetto a Manganelli: “Tutta Italia ieri bolliva, è facile dire le cose dopo, ma dobbiamo pensare che gli agenti hanno operato in condizioni difficili e complesse” (www.fattidicronaca.it).

L’isolamento di Manganelli è cominciato diversi anni fa, quando – malato – si era recato negli USA per le cure, viaggio che gli è costato qualche critica interna. La sua situazione ha avuto per così dire un aggravio con il cambio di governo con la polemica sul suo reddito: il capo di polizia più pagato al mondo, veniva scritto a inizio anno, quando il Ministro Patroni Griffi avviava l’operazione trasparenza sui redditi dei funzionari statali.

Da che parte gli provenivano questi colpi? Per la Polizia di Stato, l’avvento del governo Monti ha rappresentato una cesura netta. Il’ partito’ dei Prefetti, con la nomina di Cancellieri all’Interno, ha ripreso vigore a discapito del cosiddetto partito dei superpoliziotti, gli eredi della Squadra Mobile di Palermo degli anni Ottanta, per intenderci quella che operò al fianco di Giovanni Falcone, una squadra la cui storia è stata oggetto di una recente revisione in senso dubitativo sulla loro reale fedeltà al magistrato. Quei superpoliziotti che rispondevano al nome di La Barbera, De Gennaro, Manganelli, Longo, hanno ‘governato’ la Polizia da metà anni Novanta sino ad ora, rivestendo diversi incarichi e restando pressoché indenni alle responsabilità del G8 di Genova del 2001. Già perché la sentenza sulla scuola Diaz ha decapitato le seconde linee, i vari Gratteri, Calderozzi, Luperi, Canterini. Tutti provenienti dalla lotta al potere mafioso, abituati forse ai modi spicci che al rispetto dello Stato di diritto. Ma ha lasciato praticamente intatto il vertice.

Anche la vicenda del corvo del Viminale potrebbe essere interpretata come parte dell’operazione ‘terra bruciata ‘ intorno a Manganelli.

Le rivelazioni del Corvo sugli appalti truccati al Viminale acquistano uno spessore inedito, in cui l’importante non è il “come”, ma il “quando” […] La prima testa eccellente a rischio è quella di Nicola Izzo – definito dal Corvo “il puparo della combriccola” -, il vice capo della polizia, l’erede naturale di Manganelli […] l regolamento di conti è tra poliziotti e prefetti, con i secondi nettamente avvantaggiati dal fatto di avere al governo diversi “colleghi”. La successione di Manganelli potrebbe essere anche un’occasione per risistemare alcuni “amici in difficoltà” (senzasoste.it).

Il governo Monti, ridisegnando i confini delle province, ha generato malcontento nella classe prefettizia poiché meno province vuol anche dire meno prefetture. Quale miglior occasione per il partito dei prefetti di far pervenire la propria voce e avanzare pretese sul vertice della Polizia? Da alcuni mesi si stanno profilando le candidature, tutte di origine prefettizia: Giuseppe Procaccini (ex prefetto di Latina), Franco Gabrielli (capo della protezione civile) e Alessandro Pansa (ex prefetto di Napoli). Procaccini e Pansa sono entrambi campani e non sono entrambi candidature limpide, sfiorati in modi diversi da soggetti prossimi al potere camorristico (I TRE PAPABILI ALLA GUIDA DELLA POLIZIA – PREFETTI PERFETTI?). Procaccini, fra l’altro, era sponsorizzato da Nicola Cosentino quando questi era sottosegretario all’Economia. Infatti, nella qualità di referente territoriale della maggioranza (Pdl), passava al vaglio gli incarichi dei prefetti provenienti dalla Campania. Su Procaccini l’onorevole Cosentino espresse il suo massimo apprezzamento. E Procaccini venne fatto capo di Gabinetto dell’Interno.

Lo schizzo di fango che ha silurato Nicola Izzo, quell’anonimo che è stato etichettato come opera del corvo del Viminale, ha forse evidenziato un problema grosso che investe il Viminale ma non solo. Gli appalti e la corruzione. Già perché il signor Izzo fu già oggetto di sospetti. Per gli appalti di Finmeccanica, in primis, per i quali è indagato dalla procura di Napoli. Sospetti anche per un suo intervento, inusuale quantomeno, presso la procura di Imperia. Izzo, insieme all’altro vicecapo della polizia, Francesco Cirillo, avrebbero offerto “supporto investigativo” alla procura di Imperia sulle indagini circa la costruzione del porto di Imperia. Nell’inchiesta era coinvolto l’ex Ministro Claudio Scajola e Francesco Bellavista Caltagirone, il costruttore romano che fu fatto rientrare entro i termini dell’appalto in maniera a dir poco oscura.

Questo retroscena viene raccontato in un dossier che parte dal 20 dicembre 2010. Un mese e mezzo prima Caltagirone, Claudio Scajola ed altre quattro persone sono indagate per associazione a delinquere finalizzata alla turbativa. Avrebbero cioè pilotato l’ affidamento dei lavori a Caltagirone facendolo precedentemente entrare nella compagine societaria della Porto Imperia spa senza nessuna procedura di gara pubblica (Il costruttore e i superpoliziotti quegli strani incroci di Imperia – La Repubblica).

Caltagirone, iscritto al registro degli indagati, si adopera presso Manganelli affinché il medesimo gli fornisca informazioni sulle carte dell’inchiesta, rimasta per buona parte coperta da segreto istruttorio. Dagli uffici del capo della polizia naturalmente partirono le smentite. Izzo non era mai stato ad Imperia né tantomeno Caltagirone si era rivolto in alcun modo a Manganelli. In ogni caso, Izzo è stato messo fuorigioco e ora resta un solo candidato dell’area dei superpoliziotti. Si tratta di Nicola Cavaliere, poliziotto, 65 anni, e “rappresenterebbe una scelta di transizione, in attesa di capire i nuovi equilibri politici del Paese” (senzasoste.it). Soltanto una volta completata la transizione e riassegnata la leadership morale dei prefetti sui poliziotti con una nomina, la prassi della repressione violenta di piazza potrà dirsi superata. Ma forse in questa frase è contenuto solo un auspicio personale che probabilemtne non alberga dalle parti del Viminale.

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