Chiunque, dico chiunque, avrebbe capito che il cambiamento non è più una opzione ma una esigenza. Bersani, durante la campagna per le primarie, aveva compreso di dover ‘cambiare passo’. La competizione con Renzi aveva improvvisamente fatto scorgere al segretario il pericolo di perdere la possibilità di diventare capo del governo. Fra Agosto e Novembre 2012 accettò di contendere la premiership anche in deroga allo Statuto del Partito Democratico fra più candidati del PD. Aveva persino accettato di definire le liste per Camera e Senato con primarie per i parlamentari. Dopodiché ha letteralmente spento la luce.
Ecco, affrontare il cambiamento con la paura di cambiare non è esattamente la cosa giusta da farsi, soprattutto se c’è qualcuno che con un blog è in grado di riempire delle piazze, in ogni città, superando divisioni storiche fra ciò che resta degli ideologismi del novecento. Si è da più parti affrontato il ‘problema’ M5S proponendo l’analogia con la Lega Nord. La furia pantoclastica – tutto è sbagliato, tutto è da rifare – collima ben poco con l’afflato secessionista del primo leghismo. Il leghismo portava in nuce un elemento di freno alla sua espansione: il legame con il Nord. Naturalmente il M5S non ha questo vincolo: quindi non c’è freno alla sua espansione, poiché l’odio verso la Casta è sentimento comune a tutto il paese. Come in una fornace, tutto il ‘sistema Grillo’ (Il Fatto Quotidiano, Chiarelettere, Casaleggio Associati, il blog, i meet-up, il M5S) mantiene la sua entropia bruciando indignazione. Lo schema argomentativo è sempre lo stesso: esiste una Casta, che è causa della miseria del Popolo; esiste un Popolo che è sempre vittima, che è sempre portatore di nuove idee e intelligenze genuine che non ottengono mai la giusta visibilità poiché la Casta seleziona gli individui solo sulla base di relazioni fiduciarie e mai su valutazioni meritocratiche. Ovviamente tutto ciò è vero, altrimenti non sarebbe creduto, ma è di fatto una ideologia che contiene in sé un vizio capitale: che la Casta è frutto del Popolo, si nutre del Popolo e il Popolo la sostiene. Questo sostegno è soltanto appena vacillato, la scorsa settimana. Il Popolo non è affatto come viene narrato: non è affatto una entità monolitica, tutta dello stesso colore. Nel Popolo si formano e agiscono i gruppi criminali; nel Popolo esistono gruppi che comandano e altri che obbediscono, esattamente come fa la Casta con il Popolo medesimo. Il mito del Popolo è al pari del mito del Dio Po per i leghisti. Non esiste, è frutto di una costruzione narrativa che ha lo scopo di definire una identità collettiva che prima non c’era. L’indignazione è l’anticamera dell’odio. Grillo ha creato una coppia dicotomica, Casta-Popolo, che è niente altro se non la sempiterna coppia schmittiana Amico-Nemico; se la Seconda Repubblica si è sostanziata della lotta fra berlusconismo e antiberlusconismo, Grillo amplia l’ideologia dicotomica a tutto il sistema politico e il Nemico è in ogni organo istituzionale di tipo rappresentativo.
Se la retorica di Grillo ha messo in evidenza la necessità di una maggiore e più trasparente circolazione delle élite, al tempo stesso si sostanzia di questa anomalia. La sfrutta non già per cambiare il paese ma al fine ultimo e oscuro della distruzione dell’esistente. Una prospettiva velatamente anarcoide e rivoluzionaria nel senso novecentesco del termine, che ha tratti in comune con la distruzione dello Stato (Karl Marx). Ma davvero il Popolo di Grillo può rimanere ‘intatto’ anche dopo lo Tsunami? L’obiettivo ultimo della strategia Casaleggio è la riduzione del quadro istituzionale del 1948 a un mucchio di macerie. E’ un obiettivo prettamente politico. Grillo e Casaleggio non hanno scopi reconditi di natura economica. No. Useranno il caos per distruggere. E’ puro nichilismo, il loro.
Ecco, io a tutto questo mi oppongo. Non difendo lo status quo. Pretendo il cambiamento ma: resto Democratico.