Giovanna Mangili è stata eletta senatrice per il M5S in Lombardia. Suo marito è consigliere comunale pentastellato nel comune di Cesano Maderno. La donna vince le primarie della circoscrizione Lombardia I conquistandosi sia il primo posto il lista per il Senato che le antipatie di tutto il Cinque Stelle milanese. Per le pressioni ricevute su Facebook e palesate dal marito in uno o più ‘aggiornamenti di stato’, aveva pensato di dimettersi all’istante, non appena eletta.
Oggi il Senato ha discusso in aula sulle sue dimissioni. Ai sensi dell’articolo 113, comma 3, del Regolamento, il Presidente ha indetto la votazione a scrutinio segreto. E l’aula ha respinto le dimissioni, ritenute piuttosto vaghe. I colleghi senatori non si sono accontentati dei generici ‘motivi personali’; richiedono invece di ascoltare la donna.
Vito Crimi ha argomentato nella maniera ambivalente che lo ha sempre contraddistinto in queste prime settimane della legislatura. A metà marzo aveva dichiarato che “Giovanna Mangili non ha retto alle pressioni, agli attacchi, alle forti illazioni” (blitzquotidiano.it). Oggi ha detto in aula che Mangili non si troverebbe “nelle condizioni di affrontare un agone, un luogo – per intenderci – che non è una piazza qualunque, in cui dover rappresentare le proprie motivazioni personali o il percorso che hanno portato a fare una tale scelta” (Resoconto stenografico Senato, seduta n. 9 del 03/04/2013). Secondo Crimi, la donna avrebbe espresso la volontà di non esercitare l’attività di parlamentare. Questo sarebbe sufficiente per accettarne le dimissioni. Tutto il blocco dei 5 Stelle (48 voti) ha votato a favore della richiesta di dimissioni. Il Senato vuole appurare invece che tale volontà non sia frutto di minacce o di intimidazioni. Era lo stesso Crimi a dire che Mangili era stata oggetto di forti pressioni e di illazioni. Ora queste stesse pressioni sono trasformate da Crimi in qualcosa d’altro. “Non andare a cercare in dibattiti in rete motivazioni inesistenti, che attengono esclusivamente a questioni personali dell’interessata“, ha detto all’aula.
Così scrisse il marito su Facebook:
Eppure qualche giorno dopo…
In realtà credo che Mangili sia una semplice ‘malcapitata’. La risolutezza con la quale il marito, Walter Mio, continua a sostenere il Movimento e specialmente Vito Crimi (è fra quelli che hanno chiesto la dichiarazione di voto pubblica per i 15 votanti eretici di Piero Grasso), è un indice ben chiaro del fatto che non esiste alcun sospetto e, se pure ci fosse stata della discussione sulla elezione della moglie, si sarebbe trattato senz’altro di una miserevole bega da quattro soldi, faccende su cui il Senato dovrebbe astenersi e non spendere altro tempo. Ha pur ragione Anna Finocchiaro a dire quel che ha detto – citando Zagrebelsky [1] – sul divieto di mandato imperativo e sull’articolo 67 della Costituzione che lo contiene. Ma dubito che ci la vicenda di Mangili meriti argomenti tanto rilevanti.
[1] La libertà dei rappresentanti, senza vincolo di mandato, esprime questa esigenza che in Parlamento – il luogo dove ci si parla – sia possibile perseguire il raggiungimento di quel punto mediano e che l’Aula non sia il terreno di battaglia di eserciti schierati per ottenere o tutto o niente. I rappresentanti devono disporre di quel margine di adattabilità alle circostanze rimesso alla loro responsabilità. Ecco, in sintesi direi questo: libertà del mandato, uguale responsabilità; vincolo di mandato, uguale irresponsabilità, ignoranza totale delle qualità personali dei rappresentanti, mortificazione delle personalità.
La senatrice Mangili (cittadina, se preferisce questo titolo obsoleto) ha bisogno di essere eterodiretta? Dal marito per le sue vicende elettive e da Grillo per quelle decisionali? Ce ne sono ancora tanti come lei in questo movimento? Se sì, siamo messi bene!!!