Cito testuale il post di Giuseppe Civati. Le sue parole, scritte in tempi non sospetti, sono ancora una volta azzeccate.
Ne parlavo ne La rivendicazione della politica (il libro, pubblicato nel 2011, lo trovate qui accanto). Leggendo le cronache di oggi, mi è tornata alla mente quella pagina:
Se qualcuno, però, si azzarda ad affermare che il M5S si riconosce in Grillo quale leader di riferimento – cosa che a molti appare come una delle più limpide ovvietà dei nostri tempi –, i suoi attivisti immediatamente precisano che Grillo è solo il loro «megafono». Che lo seguono, certamente, ma non è il loro leader. No, per loro è diverso, non hanno un capo, ma una sorta di garante, una figura super partes, che ‘garantisce’ loro la massima visibilità e copertura mediatica.
Un gioco delle parti che pare discutibile e che nasconde una scomoda verità. Che il M5S ha potuto raggiungere i propri risultati quasi esclusivamente grazie a Grillo. E che nell’impasto della proposta politica dei suoi attivisti, Grillo conta e conta parecchio. Come conta il suo ‘controllo’ sul movimento, fin dalla proprietà del logo e da quella funzione strategica che supera di gran lunga la funzione di garanzia che sogliono attribuirgli. E conta la sua forza d’urto, che permette a esperienze diverse di avere un riferimento nazionale di fortissimo impatto, anche se non sempre coincidente con le posizioni dei singoli gruppi o militanti del M5S.
Per molti questo è un compromesso accettabile, per altri invece è un elemento problematico, destinato a mostrare la corda. Ed è anche ciò che avvicina di più, con i dovuti distinguo, il M5S alla peggiore politica dei partiti personalistici che hanno egemonizzato la Seconda Repubblica e che forse molti degli stessi militanti del M5S vorrebbero definitivamente archiviare.
La necessaria cessione di sovranità da parte di Grillo e del suo guru Gianroberto Casaleggio sarà un altro tema che il M5S dovrà affrontare. E prima lo farà, prima si renderà credibile per una sfida politica di livello nazionale.