Il valore di un’astensione

Il voto sulla sospensione dei lavori richiesta dal PdL lo scorso mercoledì ha agitato molto le coscienze specie nel Partito Democratico. Mentre il vertice ha tentato di spiegare in tutta fretta le ragioni del sì alla richiesta di Brunetta (“abbiamo rifiutato con sdegno lo stop di tre giorni”), i democratici dissenzienti rispetto alla linea del Gruppo hanno dovuto esprimersi astenendosi dal voto. Taluni commentatori hanno giudicato questa scelta come segno di viltà. Uno di essi è Andrea Scanzi. Il quale ha nuovamente intinto il ditino nella fiele dipingendo Giuseppe Civati come il solito ‘tentenna’. L’indeciso, uno che vorrebbe ma non può. E così di seguito. Tutto già visto e già sentito. L’uso dei nomignoli è di moda, peraltro. Un filone giornalistico non eccelso inaugurato da Travaglio, proseguito sotto diverse forme da Beppe Grillo (che giornalista non è, ma la vena sarcastica e un po’ cinica ben si confà ad un comico).

Evitando di sfociare nella partigianeria (non nascondo quel che penso di Civati, non nascondo che lo considero la voce di un intero elettorato che negli anni si è smarrito dietro cambi di sigle e simboli), posso però dirvi che gli argomenti, impiegati da Scanzi per dileggiare la pratica dell’astensione da parte di Civati, sono perlomeno messi male in arnese, per usare un eufemismo.

L’astensione è raccontata da Scanzi come mancanza di coraggio. Coraggio di votare no ad una proposta irricevibile, la sospensione dei lavori parlamentari per i guai giudiziari di Berlusconi. Guardate, in questa dicotomia sì-no, favorevole-contrario (a questa precisa fattispecie), si nasconde ancora l’arcinoto dualismo fra berlusconismo e antiberlusconismo, ovvero ciò che ci ha cacciato in questo brutto pasticcio che passa sotto al nome di crisi della politica. Negli ultimi venti anni, in Italia, tutto lo scibile è stato suddiviso fra berlusconismo e antiberlusconismo: categorie irrinunciabili e che al medesimo tempo hanno annullato lo spazio dei non militanti. L’astensione, in questo preciso istante, equivale al rifiuto della riproposizione ennesima del dualismo che ci ha soffocato. Sottrarsi alla dicotomia berlusconismo-antiberlusconismo significa avere il coraggio di immaginare un paese diverso, scevro da questa trincea di perpetua belligeranza. Pensateci: proprio coloro che negano la differenza fra i due poli (sono tutti uguali, sono tutti morti) in realtà spostano la linea della divaricazione dal livello dei sostenitori del Cavaliere vs. suoi oppositori a quella generale di Popolo vs. Kasta. Scanzi, che evidentemente si è mosso anche lui nel filone dell’anticastismo, è allo stesso tempo un antiberlusconiano. Fa cioè parte dello schema cristallino che ha immobilizzato questo paese. Il superamento del bipolarismo belligerante è necessario, se non urgente. Il che equivale a dire che ciò può avvenire solo con la rimozione della anomalia (avverrà finalmente per via giudiziaria?) di un esponente della sfera degli interessi privati che ha cannibalizzato la sfera pubblica facendola divenire una propria dépendance.

L’astensione è rifiuto dello schema del conflitto perpetuo. E’ anche, nel caso di Civati, rifiuto della disciplina di partito, la quale prevede, nel caso di posizioni differenti all’interno del gruppo parlamentare, che alla fine il conflitto sia risolto a maggioranza semplice. Stando a quanto deciso dal capogruppo PD, mercoledì mattina, la richiesta di Brunetta doveva essere votata per tutta una serie di ragioni: in primis, poiché, recentemente, il PdL ha votato una richiesta analoga da parte del PD.

Ma questa decisione non è stata affatto discussa. E’ stata calata dall’alto, per il tramite del vice capogruppo Ettore Rosati. Nessuna discussione interna. Nessuna deliberazione preliminare. Matteo Orfini si è affannato a spiegare che ciò non è avvenuto poiché, nelle tre ore di attesa mattutina, “chi voleva che il Pd rifiutasse ogni rinvio avrebbe potuto tranquillamente chiedere la convocazione di una riunione del gruppo per discutere tutti insieme. Ovviamente nessuno lo ha fatto”. Scuse deboli, debolissime. Significa che nel PD non esiste una abitudine alla consultazione, non solo dei propri iscritti, ma pure dei propri parlamentari.

Tornando a Scanzi, posso smentirvi anche una ulteriore critica. Scanzi ha lamentato che Civati si è fatto superare a sinistra persino da Bindi e Gentiloni, che al momento del voto sono usciti dall’aula. Scanzi dimentica di dirvi che il valore dell’astensione è differente fra Camera e Senato. Al Senato, gli astenuti rientrano nel computo dei voti validi (pertanto l’astensione diventa un diverso modo di dirsi contrari al provvedimento). La vera astensione pertanto è praticata uscendo materialmente dall’aula. Alla Camera, invece, gli astenuti non influenzano il numero legale, pertanto stare dentro all’aula o uscire non reca alcuna differenza agli effetti della votazione. Semmai, uscire o meno dall’aula potrà far guadagnare un titolo o un sottotitolo in più sui giornali. Null’altro.