Il governo provvisorio del Primo Ministro libico Zidan sta affrontando in queste ore una difficile fase di rimpasto. La crisi si è manifestata non improvvisamente ma come risultante di un anno di inefficienza e di mancanza di effettività dell’azione esecutiva e costituente, specie a causa della rissosità delle forze partitiche rappresentate al Congresso. L’instabilità di governo è stata però accentuata dall’omicidio del leader liberale, Abdessalem al-Mesmary, avvocato anti-islamista, noto per il suo impegno a favore della creazione di uno Stato secolare in Libia, a cui hanno fatto seguito rivolte e attacchi terroristici nella capitale, Tripoli, e a Bengasi.
Al-Mesmary è stato ammazzato venerdì scorso, dopo che per mesi era stato oggetto di minacce di morte. L’assassinio è stato immediatamente attribuito ai Fratelli Musulmani poiché Al-Mesmary era portavoce di una durissima critica verso il loro braccio politico in Libia, il Partito Giustizia e Costruzione (Jcp), che è presente in Congresso con ben 19 rappresentanti, secondo partito del paese dopo i liberali di Alleanza delle Forze Nazionali (Afn, 36 seggi). Il Congresso è di fatto bloccato dalla presa di posizione simmetrica di Afn e Jcp che intendono, per motivi diversi, il Congresso come “sviato dai suoi originari obiettivi”. Il ruolo primario del Congresso era quello di supervisionare la stesura di una nuova costituzione, che doveva essere approvata da un referendum, e poi sovrintendere a nuove elezioni. Ad un anno dall’apertura dei lavori, ha approvato soltanto l’istituzione di un Comitato di 15 saggi (vi ricorda qualcosa?) che sinora non ha deciso nulla.
La morte di Al-Mesmary ha scatenato l’ira della popolazione di Bengasi. Venerdì, dopo che si era diffusa la notizia dell’omicidio, una folla di manifestanti ha circondato la prigione Al-Kuifiya, all’interno della quale era già in corso una sommossa. Più di mille detenuti erano riusciti a fuggire e soltanto una minima parte di essi è stata arrestata nuovamente. Il carcere di Al-Kuifiya è noto agli abitanti di Bengasi per l’assenza delle più elementari condizioni igieniche e di vivibilità: l’edificio era in realtà un vecchio bagno pubblico, riadattato.
La sommossa ha poi preso di mira le sedi del partito dei Fratelli Musulmani sia a Bengasi che a Tripoli. Nella notte di Venerdì, due parlamentari, Amina Maghairbi di Benghazi e Mohamed Arish da Sebha, davano le dimissioni, accusando il Congresso di essere una istituzione fallimentare. Sabato sera è continuato il saccheggio delle sedi del Jcp: centinaia di persone sono scese in piazza e hanno preso d’assalto il quartier generale in Bengasi. Quindi è stato un susseguirsi di botta e risposta fra miliziani della rivoluzione del 2011 e i sostenitori dei Fratelli Musulmani:
i Fratelli Musulmani e le loro milizie (legate ai miliziani del Libya Shield e delle milizie di Misurata) non sono stati a guardare. Sabato sera due potenti bombe sono esplose davanti al palazzo di Giustizia e all’ufficio del procuratore generale, ferendo almeno una dozzina di persone e danneggiando gli edifici. Nella notte, inoltre, “uomini armati non identificati” si sono scontrati con le truppe delle Forze speciali che controllavano le strade dopo gli attentati ai palazzi giudiziari (Libia. Fratelli Musulmani cacciati da Bengasi | Esteri | Rinascita.eu – Quotidiano di Sinistra Nazionale).
Dopo le esplosioni ci sono stati altri scontri, con almeno un morto. Secondo Zidan, le violenze in Libia sono causate dalla presenza di troppe armi “che invece dovrebbero essere solo nelle mani dell’esercito e della polizia”. Naturalmente inganna sé stesso. Non vede, o forse non vuole ammettere, che la situazione nel paese è frutto dell’instabilità generale dell’Africa del Nord ed è direttamente correlabile alla esautorazione di Morsi in Egitto. Il conflitto fra partiti laici, di estrazione qatariana, e le formazioni partitiche riconducibili ai Fratelli Musulmani, attraversa i paesi liberati dalla Rivoluzione dei Gelsomini come una lunga frattura che di fatto si sta consumando con l’eliminazione fisica dei leader liberali da parte delle milizie dei Fratelli Musulmani. E’ conoscendo questo contesto che così potete meglio comprendere l’uccisione del leader del principale partito di opposizione in Tunisia, liberale e di sinistra, Mohamed Brahmi.