#AssembleaPd | Prima la borsa

Alla prima in Assemblea Nazionale Pd da segretario, Matteo Renzi non ha sprecato tempo e, messa da parte per ora la rivalità con Enrico Letta, ha puntato tutta la sua ars retorica contro il nemico numero uno alias Beppe Grillo, il Comico. L’operazione in sé contiene una serie di aspetti che definire critici è dir poco. Lo saprete tutti: il sindaco-segretario ha proposto al Comico una sorta di ‘scambio di prigionieri’: Renzi riconsegna i denari dei rimborsi elettorali previsti sui conti del Pd per il 2014 mentre Grillo accetta la proposta di riforma della legge elettorale e istituzionale del Pd. Lanciata in pompa magna sui social con l’hashtag #Beppefirmaqui, facendo il verso a quelli usati dagli influencer a 5 Stelle, la strategia renziana diventa immediatamente l’apertura di tutti i giornali. D’altronde Renzi, dal palco, ha usato parole forti, parole che simulano il lessico del Comico. Se non accetti sei un buffone. Quel ‘buffone’ viene rimbalzato dalle agenzie, dalla comunicazione ufficiale del Pd (tramite gli account twitter di @youdem e @pdnetwork). Chi l’ha ideata avrebbe dovuto però accorgersi di due aspetti.

Il primo, quello più serio. Ancor oggi non è chiaro se la proposta congressuale di Renzi (per la parte in cui si scrive della legge elettorale del sindaco d’Italia e dell’eliminazione del bicameralismo perfetto) sia stata assunta a programma di governo da parte di Letta. Tanto più che, se le due riforme dovessero procedere di pari passo, ci ritroveremmo nell’alveo di una riforma costituzionale ai sensi dell’articolo 138 (che tuttora è vigente nel testo storico). Ma la riforma del bicameralismo ha implicazioni profonde su buona parte del dettato costituzionale in quanto impatta almeno sui Titoli I, II, III e VI della Parte II. Andrebbero riviste e modificate le procedure legislative, di elezione del Capo dello Stato, di controllo di legittimità costituzionale delle leggi, questo a seconda del ruolo che verrà attribuito al Senato. Se sarà, come detto, Senato delle Autonomie (quindi con una composizione fissa a seconda del potere costituitosi localmente nelle Regioni), molto probabilmente non avrà più la caratura democratica per poter eleggere i membri della Corte Costituzionale, per esempio, o piuttosto per poter eleggere il Capo dello Stato. Certamente, il mancato passaggio delle proposte di legge in Senato, renderebbe più facile l’approvazione di norme non congrue con i principi fondamentali: tutto il sistema di controllo e verifica (checks & balances, direbbe un costituzionalista) andrebbe perciò rivisto dando – per esempio – al Presidente della Repubblica maggior potere di filtro attraverso il potere di rinvio alle Camere; o facilitando il ricorso alla Consulta da parte delle Regioni, o quello al referendum da parte dei cittadini. Potete comprendere che quest’opera di revisione costituzionale non potrebbe esser completata in un anno, specie da questo Parlamento, praticamente bloccato al Senato. Spiegatemi la differenza fra quanto proposto da Renzi oggi e la strategia lettiana delle riforme futuribili contenute in quel temuto attacco al 138.

Inoltre non è ben chiara la figura del cosiddetto ‘sindaco d’Italia’: se si tratti cioè del Presidente del Consiglio o del Presidente della Repubblica. Una implicazione non da poco, poiché nel primo caso, si porrebbe in essere uno sbilancio grave fra la figura del Presidente del Consiglio (nel nostro ordinamento, un primus inter pares, un primo fra pari – non ha infatti potere di licenziare i ministri), così eletto dal popolo, e quella del Presidente della Repubblica, eletto indirettamente dalle Camere (o da una sola). Andrebbe così rafforzato il potere del Presidente del Consiglio, poiché sarebbe inammissibile che un eletto dal popolo fosse costretto a far nominare i propri ministri da un ‘eletto’ dalle Camere. La figura del Presidente della Repubblica sarebbe viceversa fortemente svilita: e si tratta proprio dell’istituzione che rappresenta l’Unità della Nazione.

Nel secondo caso, ovvero quello in cui si eleggesse direttamente il Presidente della Repubblica, si procederebbe, in maniera sproporzionata solo con una riforma della legge elettorale, a modificare la forma di governo, trasformando di fatto la nostra Repubblica da parlamentare in presidenziale. Sarebbe una riforma con profili di incostituzionalità non di poco conto che dovrebbero, sin da ora, suggerire maggiore riflessività. La nuova legge elettorale potrebbe esser approvata già domattina e dovrebbe consistere nel reviviscenza (con modifiche) della legge Mattarella, la via più breve per il ripristino della legalità costituzionale. Poiché se si dovesse anche solo ipotizzare di riformulare un progetto di legge, di dover riscrivere la mappa dei collegi, allora sono da mettere in conto almeno sei mesi di dibattito in Commissione Affari Costituzionali, con slittamento per l’approvazione finale in aula a Maggio-Giugno 2014, periodo di inizio del Semestre di Presidenza Europea per Enrico Letta. Ergo, le elezioni si potrebbero svolgere solo nella tarda primavera del 2015.

La seconda parte di questa critica è relativa ad aspetti comunicativi. I riflessi di carattere costituzionali della proposta di Renzi sono ben chiari a Beppe Grillo, il quale reagirà al gioco di ‘o la borsa o la vita’ intimando a Renzi ‘prima la borsa’. E la borsa consiste nella restituzione dei rimborsi elettorali percepiti sinora dal Partito Democratico in seguito alle elezioni di Febbraio, una somma intorno ai 25-30 milioni di euro. Al di là della restituzione, che mai avverrà perché a Grillo conviene così (e a Renzi conviene che Grillo non accetti la proposta), gli strateghi del sindaco-segretario avrebbero dovuto ponderare meglio. Mi chiedo che differenza c’è fra questo aut-aut e quello rivolto ad Aprile da Bersani circa la formazione del nuovo governo? Pensateci: Renzi oggi fa il medesimo errore di Bersani ieri. Perché, fra dire ‘o me o il caos’ (Bersani) e dire ‘o i rimborsi o niente legge elettorale’ (Renzi), la via è strettissima.

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