#enews | Della riforma del Senato e delle Province di @matteorenzi

Nella newsletter di Matteo Renzi, divulgata ieri sera, sono contenuti, oltre che ad una breve descrizione dei contenuti del Job Act (sul quale tutti stanno puntando lo sguardo), due paragrafi relativi alle riforme istituzionali: quella del Senato e quella delle Province.

Circa il Senato era già stato detto, anche su questo blog, che la riforma, come la intende il neo-segretario del Pd, contiene nel sottotesto una complessità tale da determinare la modifica pesante della Parte II della Costituzione poiché la cancellazione della seconda camera elettiva impatta su procedure legislative, elezione del Capo dello Stato, controllo di legittimità costituzionale delle leggi, elezione dei componenti laici del Csm, che resterebbero in capo alla sola Camera dei Deputati. Infatti, ieri Renzi ha confermato che nel suo progetto di riforma, il Senato non è camera elettiva ed che sarebbe composto da governatori o da delegati dei governatori, dai sindaci delle aree metropolitane e simili. L’obiettivo della riforma non è quindi la sola semplificazione dell’iter legislativo, per la quale basterebbe cancellare in costituzione il bicameralismo perfetto revisionando l’articolo 72 (che definisce l’iter legislativo) introducendo una commissione congiunta di conciliazione (alla stregua di ciò che accade in ambito europeo nella cosiddetta procedura di ‘codecisione’ Parlamento-Consiglio). La conciliazione è una fase speciale, una terza lettura in cui Camera e Senato intervengono congiuntamente sul progetto di legge e lo approvano con modifiche entro un termine di tempo prestabilito. Si tratta di una vera e propria negoziazione. Inserita in Costituzione, alleggerirebbe l’iter legislativo e spezzerebbe il circuito vizioso dei continui rimandi all’una o all’altra camera, sinché il provvedimento non è approvato nello stesso testo.

Invece Renzi vuole cavalcare il sentimento diffuso che chiede la testa delle Istituzioni, colpevoli dello sfascio. Cancellare il privilegio viene tradotto da Renzi in cancellare il Senato, ritenuto di ostacolo ad un consesso istituzionale efficiente. Questo sentimento, però, lo ha spinto su un terreno insidioso. Da un lato, una riforma simile, vista la radicalità e la profondità su cui interviene nel delicato sistema dei checks&balances costituzionali, diventa difficilmente approvabile nel breve termine, anzi, richiede tempi molto lunghi per la sua preparazione e discussione (anche una legislatura piena). Dall’altro, viene da chiedersi se tutto ciò sia approvabile a colpi di maggioranza (giocoforza, dovendo modificare il sistema di elezione del Capo dello Stato – non c’è più il Senato! – per esempio, si toccano le regole di noi tutti, pertanto è auspicabile che le modifiche siano approvate con largo consenso in aula e nel paese). Non è un aspetto da banalizzare. Specie dinanzi a questa maggioranza, conoscendo come è nata e come si evoluta negli ultimi dieci mesi.

Non solo. Renzi cita il disegno di legge Delrio sulla cancellazione delle Province. Un’altra istituzione a carattere elettivo viene spazzata via. Anziché accorpare e migliorare, si è preferito sopprimere l’ambito della rappresentatività. Anche in questo caso la volontà è di colpire la Casta politica. Anche se il ddl Delrio non prevede la cancellazione delle Province (costituzionalmente previste) ma il loro svuotamento, ciò che le sostituirà nasce con il difetto di non essere organo elettivo, in aperto contrasto con la Carta Europea delle Autonomie Locali che il nostro paese ha ratificato. Le Unioni di Comuni saranno costituite dai sindaci dei comuni aderenti. Avranno un proprio presidente e un proprio organo consultivo. Ma saranno organi ad elezione indiretta. Fors’anche ambiti di scarsa trasparenza, per i loro componenti diverrebbe preferibile persino la non pubblicità degli atti, non essendo necessaria la rielezione. In ogni caso, l’aspetto che più preoccupa della dialettica impiegata nella newsletter su questo argomento, è l’uso della seguente frase: “Eliminazione dei politici delle Province”. Che conferma la sensazione secondo cui Renzi voglia – più che altro – sedurre l’elettorato sulla via della vendetta contro la Kasta.

Probabilmente ciò lo avvantaggia in eventuali imminenti elezioni politiche. Ma non fa del bene al paese.

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5 Comments

  1. 1. Non direi che la riforma del Senato come “camera delle autonomie” richiede una modfica della Costituzione con riguardo all’elezione del Presidente, almeno non una così significativa: si potrebbero forse ridurre i delegati regionali (vedasi elezione in Germania, dove partecipano anche i membri del Bundesrat).

    2. Con questa riforma, si potrebbe anche eliminare la conferenza Stato-regioni.

    3. Sinceramente mi convince meno l’idea della conciliazione Camera-Senato per l’iter legislativo, che (come si vede anche in UE) non necessariamente semplifica l’iter… una terza lettura, per quanto congiunta, sarebbe comnque un passaggio supplementare.

    4. Sulle Province, in parte dissento: anche in questo caso, uno sguardo alla Germania è incoraggiante. Lì, esistono da sempre organi intermedi di diversa ampiezza (le cittaà, in base alla dimensione, sono inglobate negli organi di livello superiore) amministrate in via indiretta dai sindaci. La cosa esiste già in molte parti d’Italia con le “federazioni dei comuni” che svolgono ruoli anche più importanti delle province.
    Insomma, si perderebbe un controllo democratico (molto limitato in verità) nelle elezioni, ma questo potrebbe esser recuperato con il controllo del lavoro di tali enti.

    In ogni caso, concordo che simili riforme necessitano di tempi assai più lunghi.

    1. In Germania hanno un organo istituzionale dedicato alla elezione del Presidente della Repubblica [Federale], si chiama Bundesversammlung. Il Bundesrat non partecipa a tale organo. Vengono designati appositamente dei delegati regionali. Anche in Italia abbiamo la presenza di delegati regionali in occasione dell’Elezione del Presidente della Repubblica. Chiaramente non è un cambiamento difficile da realizzare, ma tant’è, il cambiamento della natura non elettiva del Senato implica la modifica di tutta una serie di articoli della Costituzione, fra cui quelli che sottendono all’elezione del Capo dello Stato. La parte più ostica, è naturalmente la revisione dell’iter legislativo, che perderebbe del tutto il filtro della seconda camera (saremmo più esposti a leggi ‘canaglia’ o ad personam).

      1. Probabilmente ho fatto confusione riguardo la partecipazione dei Laender al Bundesversammlung, visto che spesso si delegano gli stessi rappresentanti del Bundesrat.

        Ovviamente una simile modifica richiede un cambiamento costituzionale nelle parti che menzioni, ma non lo considererei uno stravolgimento.

        Infine, dubito che il Senato (o una seconda camera “generalista”) di per sé rappresenti un valido filtro nell’iter legislativo.
        Lo capirei se il Parlamento fosse (come in USA) un organo chiaramente contrapposto all’esecutivo o se le maggioranze fossero diverse, ma così non è.
        E direi che la storia repubblicana ce ne da prova.
        Inoltre, anche un’eventuale riforma del Senato come camera delle autonomie non implicherebbe una sua radicale esclusione dall’iter legislativo: semplicemente, sarebbe limitato alle materie di competenza concorrente o a tutte quelle ipotesi in cui lo Stato interviene a supplire o aromizzare la normativa regionale (art. 117 Cost). Con l’occasione, si potrebbe anche ripensare questo riparto in modo più razionale.

      2. Diventerebbe una seconda camera in un quadro di quasi-federalismo. Tutto molto bello e condivisibile, ma è attuabile da questa maggioranza e/o da questo parlamento (così diviso e frammentato)? Il nucleo del mio dubbio è tutto racchiuso in questa frase e nella considerazione che questo passaggio di modifiche costituzionali richiede una volontà politica che non c’è o che è poco diffusa.

      3. Certamente, ho sbrigativamente liquidato questo punto di assenso nell’ultima riga del mio primo commento, ma è evidente che in un clima politico frammentato (ben aldilà di questa maggioranza, peraltro), uno spirito “costituente” che affronti radicalmente una riforma dello Stato è ben difficile da trovare.
        Fra PD-FI-M5S difficilmente potrà esservi un’unità di vedute veramente rappresentativa di tutto il paese (diciamo più o meno 2/3?). E la maggioranza raffazonata riflette questa condizione.

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