L’acciaio s’è spento

Non è solo la politica ad essere in ritardo, a Piombino. Sebbene sia stato firmato un accordo fra le parti e il governo al fine di riprendere l’attività dell’altoforno fra “due o tre” anni, le incertezze sul futuro dell’area non sono affatto fugate. A Piombino sono in ritardo tutti, quindi, se come è vero il gruppo Lucchini è in amministrazione straordinaria dal 2012, schiantatosi al suolo a causa del peso di 800 milioni di euro di debiti. Il dibattito pubblico non è mai esistito. Concentrato com’è sui costi della politica, si è perso importanti pezzi del tessuto industriale del paese.

Ma, pazienza, ora che la campagna elettorale entra nel vivo, Piombino può essere un ottimo palcoscenico. Vi sarà certamente qualcuno che urlerà alla piazza eccitando gli animi, facendo accrescere il senso di rivalsa verso chi si è dimenticato di loro, gli operai delle acciaierie.

L’agonia è durata diciotto mesi. Nessuno degli abili oratori è stato a Piombino, in questo tempo. Quando, per le primarie, Civati era passato di là, la situazione era già fortemente compromessa. Civati parlava allora da candidato segretario e sosteneva che, una delle ragioni della “ferita” di Piombino, era lo scollamento fra cittadini e istituzioni. La politica è incapace di vedere il mondo reale intorno a sé ed è sempre più rinchiusa in una narrazione in cortocircuito: il nuovo contrasto bloccante, Casta vs. Anticasta, è sempre di più giocato nel campo dell’iperpopulismo. Mentre il paese, il paese muore.