ILVA Taranto: analisi dei dati hackerati da Anonymous Italy

Anonymous Italy è penetrato nel server dell’Ilva di Taranto e ha copiato i dati delle rilevazioni sulle emissioni. Anche se è già stato detto tutto sull’Ilva e questi dati, che sono per giunta incompleti, sono già stati oggetto di indagine da parte degli stessi hacktivisti di Anonymous. La loro conclusione è molto semplice: a fine Maggio i valori di furfurano immesso in atmosfera sono usciti dai limiti di legge ma all’Ilva hanno fatto una cosa molto semplice: hanno alzato l’asticella. Hanno spostato il limite da 640 ng/m3 a 800.

Scrivono sul blog di Anonymous: “Il furano o furfurano (nome comune dell’ossido di divinilene) è un contaminante ambientale persistente di tipo organico che decade naturalmente in benzofurani policlurati, i quali son associabili alle diossine”. I dati pubblicati su pastebin.com sono suddivisi per valvola. Ogni valvola è distinta con un codice, ad esempio. CK2NO2 giornaliero – il che dovrebbe forse indicare il tipo di furano monitorato, una base NO2, biossido di azoto – e la frequenza, sebbene i controlli in alcuni casi sono mensili. Anonymous ha presentato un paio di grafici che mostrano una tendenza in crescita ma non è chiaro di cosa si tratta. Ho quindi provato a fare di questi dati una analisi su base giornaliera, pertanto ho raccolto media, minimo e massimo per ogni valvola. Ecco cosa ne è uscito fuori:

Vavlola CK3SO2 – si noti la grande variabilità registrata il giorno 31/05/2012 e il cambio di valore limite nella registrazione successiva (da 800 a 640).

Valvola CK4NO2 – anche questa valvola registra nel giorno 31/05/2012 un incremento delle emissioni e una estrema variabilità che non è presente nei giorni precedenti e successivi.

Valvola CK6NO2 – stessa tendenza delle altre valvole – non sono presenti dati relativi a giorni successivi

Valvola CK2NO2 – in questo caso le poche rilevazioni disponibili sono anche molto ravvicinate fra di loro – in ogni modo è inequivocabile la tendenza del giorno 31/05/2012 (estrema variabilità e incremento del valore massimo e medio).

Valvola CK2SO2 – questo è il grafico della discordia, quello che ha permesso ai tipi di Anonymous di sparare la conclusione che all’ILVA hanno truccato i dati. Il limite viene aumentato da una rilevazione all’altra da 640 a 800. Ma è l’unico caso in cui ciò avviene. E’ comunque evidente la tendenza di crescita delle emissioni di furfurani nel giorno 31/05/2012.

 

Valvola CK3NO2

 

Valvola ALGNO2 – inequivocabile tendenza di crescita di emissioni di furfurani fra il 25/05 e il 31/05

Valvola AGLSO2 – la tendenza torna ad aggiustarsi nella registrazione di luglio – da notare l’assenza di ulteriori registrazioni a giugno.

Conclusioni:

  1. l’aumento del limite di tolleranza si verifica solo nel caso della valvola CK2SO2, troppo poco per sostenere la tesi dell’aggiustamento dei dati;
  2. la tendenza degli ultimi giorni di maggio è di un aumento delle emissioni di furfurani, ma le registrazioni successive indicano un rientro nei valori precedenti;
  3. ci sono troppe poche rilevazioni e/o il furto di dati di Anonymous è stato parziale; non solo il database è privo delle registrazioni del mese di giugno, ma anche del mese di aprile e di marzo;
  4. non è chiaro a quale tipo di emissione i dati facciano riferimento (l’attribuzione alle polveri di furfurano è stata fatta dai tipi di Anonymous ed è quindi tutta da verificare).

 

Ilva di Taranto: è falso che il GIP abbia imposto la chiusura

E’ semplicemente falso che il GIP Patrizia Todisco abbia imposto la chiusura degli impianti a caldo dell’Ilva di Taranto. Lo dice Affaritaliani.libero.it pubblicando le quattro pagine dell’ordinanza datata 10/08/2012.

In sostanza, il GIP Todisco ha confermato quanto stabilito dalla sentenza del Tribunale del Riesame del 25/07/2012, vale a dire che il sequestro preventivo è, e non può che essere, una misura funzionale alla tutela delle esigenze preventivo-cautelari indicate dalla legge (art. 321, c. 1, C.P.). Il GIP si limita a rinnovare il sollecito del Tribunale dei Riesame rivolto ai custodi ed amministratori di adottare tutte le misure tecniche necessarie a scongiurare il protrarsi delle situazioni di pericolo e ad eliminare le stesse.

Come si spiegano questi titoloni?

Ilva Taranto: gip, stop a produzione Impianti in funzione ma per ‎ AGI – Agenzia Giornalistica Italia

Ilva, arriva lo stop alla produzione Ordinanza a sorpresa del gip Corriere della Sera – 11 ago 2012

Ilva, gip: non prevista alcuna facoltà d’uso. L’azienda impugna il ‎ Adnkronos/IGN

Ilva, l’ordinanza del Gip: risanare gli impianti ma stop alla ‎ Il Sole 24 Ore

Sicurezza dopo il naufragio del Giglio? Con le trivellazioni off-shore a cinque miglia dalla costa

Insomma, freschi di naufragio, con una emergenza ancora in corso, un’emergenza che è anche ambientale con un rischio severo di sversamento di gasolio pesante sulle coste della Toscana, troviamo nel decreto legge sulle liberalizzazioni una serie di articoli che hanno lo scopo di rilanciare le trivellazioni e la ‘coltura’ di idrocarburi liquidi e gassosi nei nostri mari.  La bozza di decreto contiene all’articolo 21 una modificazione molto serie nelle regole di ricerca dei siti e nello stabilimento delle piattaforme. Ecco le modifiche proposte alla normativa vigente in materia:

Art 21 – (Modifiche al decreto legislativo 3 aprile 2006 n. 152, in materia di promozione degli investimenti offshore)

2. All’articolo 6, comma 17, secondo e quarto periodo, del decreto legislativo 3 aprile 2006 n. 152, le parole “dodici miglia” sono sostituite con le parole “cinque miglia”.

3. All’articolo 6, comma 17, secondo periodo, del decreto legislativo 3 aprile 2006 n. 152, le parole “linee di base” sono sostituite con le parole “linee di costa”.

Così il relatore spiega la necessità di questa norma:

Si vuole […] rendere possibili le attività di ricerca e prospezione di idrocarburi in una area più vicina alle coste senza compromettere l’ecosistema che è, in ogni caso, già protetto dalle stringenti normative nazionali di tutela ambientale. Il limite proposto delle 5 miglia appare adeguato a garantire la protezione ambientale rispetto alle attività di ricerca e prospezione salvaguardandone al contempo le ricadute economiche non solo per le imprese del settore ma anche per lo Stato e gli enti locali. Così come il riferimento alle linee di costa anziché alle linee di base rende omogeneo l’impianto della norma e ne garantisce un’applicazione parametrata a un dato fisico certo, le linee di costa, piuttosto che convenzionale e incerto, come le linee di base (bozza decreto liberalizzazioni.pdf).

Per comprendere, la linea di base “detta così in quanto base di partenza per la definizione delle acque interne e delle acque internazionali, si definisce una linea spezzata che unisce i punti notevoli della costa, mantenendosi generalmente in acque basse, ma laddove la costa sia particolarmente frastagliata o in casi in cui delle isole sono particolarmente vicine alla costa, la linea di base può tagliare e comprendere ampi tratti di mare” (Wikipedia, voce Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare). La linea di costa, invece, “è la linea di confine tra la terra e l’acqua di un bacino aperto come un oceano o un mare, o di un bacino chiuso come un lago o un fiume; questa linea può spostarsi in modo più o meno prevedibile e regolare a seconda del ritmo circadiano, mensile o stagionale del livello del mare” (Ulisse). Ora, se la matematica non è un’opinione, prima avevamo dodici miglia dalla linea di base, quindi non la costa, ma una linea ideale tracciata sulle carte marine e che può essere distante svariate centinaia di metri dalla costa medesima; ora avremo cinque miglia, meno della metà, misurate dalla costa, con avvicinamenti notevoli delle attività di ricerca e perforazione del fondale marino.

Forse Passera e soci hanno dimenticato la Bp e il disastro del Golfo del Messico. La questione, nella relazione allegata al decreto, è trattata da un punto di vista squisitamente economico:

I divieti imposti sfavoriscono il rimpiazzo della produzione nazionale di petrolio e gas naturale dei giacimenti maturi, che attualmente contribuisce a circa il 6% del fabbisogno nazionale di petrolio e gas. La produzione di idrocarburi in Italia assicura una strategica fonte di approvvigionamento di materie prime a fronte di una dipendenza estera del1’84%. Inoltre, la disposizione oggetto di modifica ha comportato i seguenti effetti:

  • riduzione degli investimenti in tecnologie e servizi forniti dalle imprese italiane con un crollo dei progetti in corso, stimabile in circa 3-4 miliardi di euro nei prossimi anni, con abbandono degli investimenti in corso sul territorio italiano da parte delle imprese italiane ed estere operanti nel settore (recente esempio la EXXON);
  • riduzione dei posti di lavoro nel settore stimabile in 65 mila addetti di cui 15 mila direttamente coinvolti nell’attività nazionale;
  • riduzione del 50% del gettito fiscale nell’arco di 3-4 anni, nel 2009 il solo settore E&P e per la sola attività in Italia (escludendo l’indotto), contribuisce alla fiscalità per oltre un miliardo e 200 milioni di euro l’anno comprensivo di royalties e canoni. Sono state stimate minori entrate fiscali a seguito della disposizione in oggetto per circa 600 milioni euro l’anno (bozza decreto liberalizzazioni, cit.).

Questa profonda discrasia fra il bene per l’economia e il bene dell’ambiente sembra già risolto, nelle parole del decreto. L’ambiente? Abbiamo già un sacco di aree protette. Ciò che resta possiamo devastarlo.

Casale e l’Amianto. Morire sorridendo con 18 milioni

Eternit, anni 20, Casale Monferrato

Sono ancora qui a chiedermi cosa sia passato per l’anticamera del cervello al sindaco Demezzi e ai consiglieri comunali di Casale Monferrato, venerdì notte. Perché abbiano stretto la mano al Diavolo, perché abbiano accettato quegli spiccioli che quel tale, Stephan Schmidheiny, ha sventolato loro dinanzi al muso.

Sono stato diverse volte a Casale. A Casale viveva quella ragazza che poi si uccise a Torino (una storia di violenza e depressione la sua). Il padre era un eccellente pittore. Si chiamava Cavalli. Tutta gente eccellente, a Casale. Gente che lavora ma che ha una storia, una coscienza politica, una tradizione industriale non di poco conto. Ebbene, chi ha frequentato Casale, come me, conosce bene quell’odore che si respira entrando in città. E’ ancora là, quella maledetta polvere: appena dopo il sottopasso ferroviario, sulla sinistra. Ha un profumo che ricorda vagamente il cartone, ma no è diverso, non è cartone, sono tante piccole lame che si ficcano negli alveoli, e non te ne accorgi, sono già dentro di te.

Quest’anno – 2011 – sono quarantasette i malati di mesotelioma e asbesto. Persone che non hanno mai lavorato in Eternit. Quarantasette morti che camminano. Da domani potranno farlo sorridendo con quella sporca mazzetta da 18 milioni che il sindaco – così dice – impiegherà per migliorare la città e fare ricerca contro quel tumore. Ve lo dico: diciotto milioni sono una barzelletta. Per curare il mesotelioma ci sarà voluta, in tutti questi anni, una cifra almeno cento volte superiore. Non è nemmeno configurabile come un risarcimento danni, no. I soldi di Schmidheiny sono una pugnalata che sindaco e soci danno ai cittadini di Casale.

Ho riportato su questo blog, quasi per intero, il comunicato stampa del sindaco. Menzogne, parole che scivolano via addosso se solo si pensa alla voragine di dolore che quei due svizzeri (il barone, quello ha addirittura cent’anni e nessuno laggiù all’inferno – perché è lì che andrà – si è mai sognato di chiamarlo) hanno seminato per tutta Casale.

Infine i soldi. «Totalmente» destinati alle bonifiche e alla ricerca all’ inizio della settimana scorsa, quando si fingeva che i giochi fossero ancora aperti, «in parte» oggi che la decisione è presa. Casale Monferrato non aveva urgenza di andare all’ incasso. Tra i comuni piemontesi con oltre trentamila abitanti è quello con il bilancio più florido. E le bonifiche sono finanziate dalla Regione, anche per una legge voluta dall’ assessore monferrino Paolo Ferraris, che riuscì a farla approvare prima di essere ucciso dal mesotelioma (corsera).

Ferraris è morto. A lui hanno intestato il palazzetto dello sport. Ieri Casale, quella del basket, ha sconfitto Cantù in una storica partita. La storia dello sport non cancellerà però la traccia lasciata dalla vergogna di una decisione ridicola e priva di senso, se non quello di profittare dei denari per i propri conti e per quelli del proprio partito. Dopo una scelta del genere, ci sono solo il precipizio della corruzione etica e le dimissioni. Se non altro per manifesta indecenza.

Incidente nucleare in Francia: il comunicato di cessato pericolo

Non si scompone l’ASN, l’autorità di sicurezza nucleare francese. Non una mezza parola sulle cause probabili che hanno scatenato l’incidente, negazione totale di qualsiasi dispersione radiologica. Di fatto è avvenuta l’esplosione di un forno usato per fondere il metallo di rifiuti radioattivi a bassa o molto bassa attività radiologica.

Questo il comunicato ufficiale:

Incidente presso l’impianto nucleare Centraco: Comunicato stampa n ° 2
12/09/2011 16:20
L’incidente dell’impianto nucleare Centraco è terminata (comunicato 2).
L’incidente è avvenuto questa mattina presso la Centraco, impianto nucleare nei pressi del sito di Marcoule (Gard), è concluso.

L’esplosione di un forno usato per fondere il metallo di rifiuti radioattivi ha causato un incendio che è stato spento alle 13 circa. L’edificio in questione non è stato danneggiato. Nessuna contaminazione è stata rilevata: i feriti non sono contaminati e le rilevazioni effettuate al di fuori del palazzo da parte dell’operatore e dalle squadre speciali dei vigili del fuoco non hanno mostrato alcuna contaminazione.
Ci sono un morto e quattro feriti, uno grave (ustioni).
Questo incidente non ha comportato alcun rischio radioattivo né necessità di proteggere le persone.

ASN sospende la gestione della crisi e rimane a contatto con la prefettura di Gard e degli operatori di Socodei. ASN effettuerà ispezioni in connessione conl’ispettorato del lavoro, per analizzare le cause dell’incidente (ASN.fr)

La guerra di Chiomonte

fonte La Repubblica.it

Alla fine l’assalto alla fortezza ha prodotto un centinaio di feriti fra i poliziotti, innumerevoli fra i manifestanti. Come ad ogni manifestazione di protesta, la degenerazione violenta è scientifica: il nucleo degli assalitori si muove a latere rispetto ai manifestanti non violenti e ingaggia le forze dell’ordine solo a un momento dato, quando il corteo si è già organizzato ed è avviato lungo il percorso prestabilito. Solito copione. Che permette ai politici di turno di condannare senza ombra di dubbio l’azione violenta della folla che è per definizione antidemocratica.

Per giunta, ci si è messa anche la Questura di Torino secondo cui l’ala dura del Movimento No Tav ha una impostazione paramilitare. Ecco, affermare una cosa del genere mi pare da stupidi. Per due ragioni: ci raccontiamo che fra i No Tav ci sono degli infiltrati che addirittura “parlano straniero”, “parlano inglese” (La Stampa.it, La Repubblica). Ragion per cui i violenti sarebbero persone provenienti da altri paesi europei, giunti allo scopo di sabotare la manifestazione. Ora, per quanto organizzati, non supererebbero il numero di qualche decina di autovetture. Ragazzi che hanno dormito in tenda o in macchina, tutt’al più. La cui organizzazione massima potrebbe esser stata quella di portarsi da bere e da mangiare. Ciò non fa di loro delle organizzazioni paramilitari. Secondo: se avere delle gerarchie e delle figure di responsabilità organizzativa significa essere automaticamente organizzazioni paramilitari, allora lo sono anche tutte le imprese, persino le onlus. Mi pare che la Questura abbia esagerato. Ma a quale scopo?

Una carrellata di dichiarazioni più o meno deliranti:

ROBERTO COTA (LEGA NORD): Questi violenti non rappresentano la Val di Susa, questa gente venuta da fuori vorrebbe colonizzare la Val di Susa con la violenza e la strumentalizzazione politica. Queste persone vogliono portare la violenza a casa nostra, ma non ce la faranno. Adesso tutte le forze politiche, senza ambiguita condannino quello che è successo. Voglio ricordare che la Torino-Lione è un’opera indispensabile per il Piemonte e per l’intero sistema Paese, è indispensabile per dare opportunita” e futuro alle giovani generazioni, è un’opera che apre le porte alla modernità'”.

MAURIZIO GASPARRI (PDL): “Incoraggiati da ogni demagogia della sinistra, gruppi di violenti scendono in campo sfruttando la vicenda Tav per un chiaro disegno politico. E’ l’Italia peggiore che mostra il suo volto violento. Che vuole bloccare ogni progresso, ogni opera pubblica, si tratti di una ferrovia o di un termovalorizzatore. Una sinistra estrema che condiziona tutta la sinistra. Che non sarebbe mai in grado di governare l’Italia attuando indispensabili programmi di modernizzazione”.

ANDREA BUQUICCHIO (IDV): “I sindaci ed i cittadini della Valle di Susa sono doppiamente vittime di questa situazione. Da una parte subisce la presenza dei soliti professionisti della violenza che inquinano la legittimità della protesta, dall’altra si vedono costretti ad ospitare sul proprio territorio un’opera che non condividono. Alla condanna contro le frange violente – aggiunge – occorre aggiungere l’invito a non associare la parte sana del movimento No Tav ai gravi atti di teppismo registrati oggi e la settimana scorsa”.

(fonte: TorinoToday)

Uno schema argomentativo consolidato: i valligiani non sono violenti, la violenza viene da fuori, condanniamo la violenza, la violenza è deprecabile, è tutta colpa della sinistra che flirta con gli estremismi, non dobbiamo associare la parte sana del No Tav (che sarebbe quella che vuole la Tav!) con i teppisti. I valligiani, che non vogliono la Tav, non sono violenti, e noi siamo con loro perché loro subiscono due volte la stessa violenza. E’ l’europa che ce lo chiede e i teppisti sono tutti stranieri e comunisti. Straniero, quindi diverso, e comunista. all’inizio del ‘900 si diceva anche ebreo e comunista. Il male, in ogni caso, non viene da noi, neppure dai valligiani, che sono come noi, ma è quella parte della politica malsana, malvagia: la sinistra.

Qualcuno disse che la violenza dinanzi alla tirannide diventa resistenza.

Nucleare abrogato, ma la porta è sempre aperta

L’emendamento del Governo all’art. 5 del decreto-legge 31 marzo 2011, n. 34, recante varie disposizioni urgenti fra cui quelle in fatto di moratoria nucleare, opera una pulizia quasi completa della parola “nucleare” dalla legislazione italiana. Un vero e proprio repulisti. E’ davvero tutto così limpido nel cielo di Roma?

Leggete questo comma

8. Entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto il Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dello sviluppo economico e del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano e acquisito il parere delle competenti Commissioni parlamentari, adotta la Strategia energetica nazionale, che individua le priorità e le misure necessarie al fine di garantire la sicurezza nella produzione di energia, la diversificazione delle fonti energetiche e delle aree geografiche di approvvigionamento, il miglioramento della competitività del sistema energetico nazionale e lo sviluppo delle infrastrutture nella prospettiva del mercato interno europeo, l’incremento degli investimenti in ricerca e sviluppo nel settore energetico e la partecipazione ad accordi internazionali di cooperazione tecnologica, la sostenibilità ambientale nella produzione e negli usi dell’energia, anche ai fini della riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra, la valorizzazione e lo sviluppo di filiere industriali nazionali. Nella definizione della Strategia, il Consiglio dei ministri tiene conto delle valutazioni effettuate a livello di Unione europea e a livello internazionale sulla sicurezza delle tecnologie disponibili, degli obiettivi fissati a livello di Unione europea e a livello internazionale in materia di cambiamenti climatici, delle indicazioni dell’Unione europea e degli organismi internazionali in materia di scenari energetici e ambientali» (Atto Senato n. 2665).

Ecco. fra un anno, in sede di definizione della politica energetica, il governo potrà far rientrare il nucleare dalla finestra. Magari cambiandogli il nome.

Nucleare, latte allo iodio 131 anche in Italia. Il caos giornalistico sulle soglie decise dall’Unione Europea

Secondo la rivista online Newscientist non è vero che Fukushima ha raggiunto Chernobyl: nella peggiore delle ipotesi, trattasi di soltanto di 630.000 Bq di materiale radioattivo rilasciato nell’atmosfera, soltanto un decimo di quanto rilasciato nel 1986:

a government panel, said that between 370,000 and 630,000 terabecquerels of radioactive materials have been emitted into the air from the nos 1 to 3 reactors of the plant. Level 7 accidents on the International Nuclear Event Scale correspond to the release into the external environment of radioactive materials equal to more than tens of thousands of terabecquerels of radioactive iodine-131 […]But this does not mean Fukushima is now on a par with Chernobyl. Indeed, as Bloomberg notes, the data so far suggests that Fukushima has released only one-tenth as much radioactive material as Chernobyl did. (Newscientist).

Siamo allora al sicuro? Sappiate che sono state trovate traccia di Iodio 131 nel latte fresco sia in California, in Francia e persino – udite, udite – in Italia:

Ora, i quantitativi registrati sono dell’ordine di 10-5 circa, ampiamente al di sotto della soglia di rischio stabilita per legge. Questi, e solo questi, sono i riferimenti normativi:

  • D.Lgs. 230/95 come modificato dal D.Lgs. 241/00 art. 104 “Controllo sulla radioattività ambientale”
  • Raccomandazione europea 473/00 Euratom
  • “Applicazione dell’art. 36 del Trattato Euratom per quanto concerne il controllo dei livelli di radioattività ambientale al fine di determinare l’esposizione della popolazione nel suo insieme”
  • Reg. CE 2218/89 Euratom “Livelli massimi di radioattività per i prodotti alimentari… a seguito di un incidente nucleare”.
  • Reg. CE 737/90 Euratom “Condizioni di importazione di prodotti agricoli da paesi terzi a seguito incidente di Chernobyl”

(per approfondire potete leggere l’ampia trattazione di Pietro Cambi su Nuove Tecnologie Energetiche).

Per cui negli alimenti in genere si può tollerare sino a 1000 Bq al Kg (Reg. CE 2218/89), eccezioni il latte di prima infanzia 370 Bq/Kg (Reg. CE 737/90), castagne e i funghi, in quanto alimenti, 1250 Bq/Kg (Reg. CE 2218/89), mentre il limite è più restrittivo per i prodotti importati da paesi terzi (extra UE) 600 Bq/Kg (Reg. CE 737/90). Nei giorni scorsi sono comparse notizie contradditorie circa la volontà dell’Unione Europea di adeguare i limiti della radioattività negli alimenti ai livelli del Giappone. Da un lato si affermava che la UE innalzava i valori, dall’altro si diceva l’esatto opposto. Come stanno davvero le cose?

30 Marzo 2011  – Dallo scorso fine settimana l’Unione Europea ha alzato la soglia di contaminazione radioattiva per alcuni determinati beni alimenti provenienti dal Giappone grazie ad una decisione della Commissione. Normalmente il livello massimo consentito per i cibi si trova a 600 bequerel per Cesio-134 e Cesio 137. Da sabato invece la soglia è stata più che raddoppiata fino a 1250. Per i prodotti caseari invece al posto dei normalI 370 Bequerel si è passati a  1000. La soglia massima di radioattività è stata fissata nel 1987 in risposta alla catastrofe di Chernobyl, e da allora i valori non sono stati più cambiati. Se la crisi fosse dichiarata finita, tornerebbe in vigore la soglia abituale. Anche lo Iodio 131, normalmente non rilevato, è stato incluso nei nuovi parametri di sicurezza dell’Unione Europea […] La possibile contaminazione dei cibi giapponesi ha allertato l’Unione Europea, che ha prodotto un regolamento specifico per gestire i beni provenienti da determinate aree nipponiche. (Giornalettismo).

L’articolo pubblicato da Giornalettismo pare inquinato da alcune imprecisioni: viene riferito che la UE ha alzato la soglia di contaminazione radioattiva con una “decisione” – e questo è un atto proprio del Consiglio dell’Unione e non già della Commissione, che invece formula pareri e raccomandazioni (ex art. 211 TCE) – mentre più avanti nell’articolo si parla di “regolamento”, che è un atto giuridico di natura comunitaria avente forza di legge per tutti i paesi aderenti all’Unione, naturalmente previa approvazione da parte del Consiglio e del Parlamento dell’Unione, senza necessità di recepimento da parte del paese membro. Per approvare un regolamento ci vogliono mesi. Qualche paragrafo più in alto ho elencato la normativa vigente in materia: trattasi di regolamenti, di decreti legislativi (norma nazionale ma frutto del recepimento di una direttiva europea), di raccomandazioni. La Commissione – da sola – al massimo può aver espresso una raccomandazione, che non è vincolante nei confronti dei paesi membri. Ecco, forse trattasi solo dell’intenzione di rivedere tali limiti.

Poi viene il 9 aprile 2011, e i titoli cambiano di nuovo.

Mangeremo come in Giappone. Europa più severa sulla radioattività nel cibo

L’articolo di Journal avverte che la UE intende abbassare le soglie sulla radioattività per i cibi che provengono dal Giappone, allineandosi con la normativa nipponica, “più severa della nostra”. E viene pubblicata la seguente tabella:

I limiti UE, per i prodotti importati dai paesi terzi, sinora era di 600 Bq/Kg. Quindi si opererebbe una differenziazione tale per cui si sarà molto restrittivi sul latte per l’infanzia (100 Bq/Kg) e meno sulle verdure in generale. Abbastanza confusa la situazione. Ma nemmeno si comprende quale sia l’atto normativo adottato: una proposta di regolamento? una direttiva? un parere? una raccomandazione? Poiché ciò cambia nei riguardi dei paesi membri, i quali, dinanzi ad una normativa nazionale più restrittiva, potrebbero decidere di mantenere i limiti attuali, ma che di fronte a dun regolamento non potrebbero che riallinearsi alle soglie decise a Bruxelles. Quale la verità? Forse la più probabile è che non sia stato deciso nulla.

Bombe all’uranio impoverito sulla Libia: la semina di morte dei caccia USA

Lo afferma L’Espresso: “sono entrati in azione gli aerei A-10 Warthog: sparano proiettili con questo metallo pesante che lascia intorno al bersaglio una nuvola di microparticelle radioattive. I cui effetti sulla salute possono essere molto gravi”. Soltanto qualche giorno fa, Boris Bellone (ANPPIA – Torino) aveva postato su questo blog un intervento del prof. Zucchetti, Professore ordinario di ‘Impianti Nucleari del Politecnico di Torino – Dipartimento di Energetica, convinto nuclearista ma altrettanto convinto pacifista. Il documento viene qui riproposto pur essendo estremamente tecnico al fine di ribadire ancora una volta la pericolosità di tale sostanza e degli ordigni che la montano: i bombardamenti così eseguiti sono una vera semina di morte.

Oggi mi è capitato di ascoltare una notizia incredibile. Una notizia che dovrebbe campeggiare sulle prime pagine e che invece è ignorata da tutti: il caso del Poligono di tiro di Salto di Quirra, in Sardegna.

Dieci anni fa i primi segnali della cosiddetta “Sindrome di Quirra” avevano indotto Antonio Pili, medico ed ex sindaco di Villaputzu, a denunciare l’elevata incidenza di tumori, linfomi e leucemie tra i suoi pazienti-concittadini: 12 morti su 150 abitanti.

A Quirra, piccola frazione del comune di Villaputzu, poco distante dalla base militare di Perdasdefogu, il sospetto è che l’uranio impoverito sia responsabile dei tumori al sistema emolinfatico, delle malattie e dei lutti, che hanno portato la popolazione, i rappresentanti delle istituzioni e della società civile a richiedere indagini approfondite per fare luce sulle “anomalie sanitarie” della zona e per fornire le risposte attese dai parenti delle vittime e dall’opinione pubblica (Mediapolitika).

Questo l’intervento di Zucchetti:

Un intervento di M. Zucchetti: Missili Cruise all’uranio impoverito sulla Libia

Un primo studio di impatto ambientale e sulla salute

Massimo Zucchetti

Politecnico di Torino, Italia

zucchetti@polito.it

Riassunto

I cruise lanciati sulla Libia contengono Uranio impoverito. Sono state calcolate le conseguenze dell’inquinamento radioattivo. Fino a seimila morti

Introduzione

Le questioni che riguardano l’Uranio impoverito e la sua tossicità hanno talvolta, negli anni recenti, esulato dal campo della scienza. Lo scrivente si occupa di radioprotezione da circa un ventennio e di uranio impoverito dal 1999. Dopo un’esperienza di pubblicazione di lavori scientifici su riviste, atti di convegni internazionali e conferenze in Italia, sul Uranio impoverito, questo articolo cerca di fare una stima del possibile impatto ambientale e sulla salute dell’uso di uranio impoverito nella guerra di Libia (2011). Notizie riguardanti il suo utilizzo sono apparse nei mezzi di informazione fin dall’inizio del conflitto.

Per le sue peculiari caratteristiche fisiche, in particolare la densità che lo rende estremamente penetrante, ma anche il basso costo (il DU costa alla produzione circa 2$ al kg) e la scomodità di trattarlo come rifiuto radioattivo, il DU ha trovato eccellenti modalità di utilizzo in campo militare.

Se adeguatamente trattata, la lega U-Ti costituisce un materiale molto efficace per la costruzione di penetratori ad energia cinetica, dense barre metalliche che possono perforare una corazza quando sono sparate contro di essa ad alta velocità.

Il processo di penetrazione polverizza la maggior parte dell’Uranio che esplode in frammenti incandescenti (combustione violenta a quasi 5000 °C) quando colpisce l’aria dall’altra parte della corazzatura perforata, aumentandone l’effetto distruttivo. Tale proprietà è detta “piroforicità”, per fare un esempio, la caratteristica dello zolfo dei fiammiferi. Quindi, oltre alla elevata densità, anche la piroforicità rende il DU un materiale di grande interesse per queste applicazioni, in particolare come arma incendiaria (API: Armour Piercing Incendiary cioè penetratore di armature incendiario).

Infine, in fase di impatto sull’obiettivo, la relativa durezza del DU (in lega con il Titanio) fornisce al proiettile capacità autoaffilanti: in altre parole, il proiettile non si “appiattisce” contro la corazza che deve sfondare, formando una “testa piatta” – come fa ad esempio un proiettile di Pb – ma mantiene la sua forma affusolata fino alla completa frammentazione, senza quindi perdere le proprietà penetranti.

In battaglia il DU è sicuramente stato impiegato nella Guerra del Golfo del 1991, durante i bombardamenti NATO/ONU sulla Repubblica Serba di Bosnia nel settembre 1995, sulla Jugoslavia nella primavera 1999; in questo secolo, durante lattacco all’Afghanistan e successivamente ancora in Iraq nel 2003.

L’uso di dispositivi al DU nelle guerre in Somalia ed in Bosnia centrale e centro-orientale (soprattutto ampie aree intorno a Sarajevo) negli anni ‘90, in Palestina ed in poligoni di tiro di competenza delle forze militari NATO, è ancora incompletamente documentato.

Tra gli armamenti che usano DU, citiamo anche il missile Cruise Tomahawk il cui utilizzo durante la guerra nei Balcani della primavera 1999, pur non ammesso dalla NATO è stato confermato da ritrovamenti in loco e da fonti della Unione Europea.

D’altra parte, nel decalogo degli ufficiali, consegnato a tutti gli uomini in divisa spediti in Kosovo, vi erano delle raccomandazioni da seguire alla lettera, circa la presenza di Uranio impoverito sul territorio e in particolare nei missili Cruiese Tomahawk. L’introduzione recita così:

«I veicoli ed i materiali dell’esercito serbo in Kosovo possono costituire una minaccia alla salute dei militari e dei civili che ne dovessero venire a contatto. I veicoli e gli equipaggiamenti trovati distrutti, danneggiati o abbandonati devono essere ispezionati e maneggiati solamente da personale qualificato. I pericoli possono derivare dall’Uranio impoverito in conseguenza dei danni dovuti alla campagna di bombardamento NATO relativamente a mezzi colpiti direttamente o indirettamente. Inoltre, i collimatori contengono tritio e le strumentazioni e gli indicatori possono essere trattati con vernice radioattiva, pericolosa per chi dovesse accedere ai mezzi per ispezionarli». Seguono consigli su come evitare l’esposizione all’Uranio impoverito. Testuale: «Evitate ogni mezzo o materiale che sospettate essere stato colpito da munizioni contenenti Uranio impoverito o missili da crociera Tomahawk. Non raccogliere o collezionare munizioni con DU trovare sul terreno. Informate immediatamente il vostro comando circa l’area che ritenete contaminata. Ovunque siate delimitate l’area contaminata con qualsiasi materiale trovato in loco. Se vi trovate in un’area contaminata indossate come minimo la maschera ed i guanti di protezione. Provvedete a un’ottima igiene personale. Lavate frequentemente il corpo e i vestiti».

Le valutazioni sulla quantità di DU utilizzato nei missili Cruise divergono.

In particolare, essi variano, nelle diverse fonti, fra valori intorno ai 3 kg, per andare invece fino a 400 kili circa. In nota si ha una compilazione delle diverse fonti reperibili su questo aspetto, assai importante ai fini della stima dell’impatto ambientale.

Le prevedibili smentite sulla presenza di Uranio in questi missili si scontrano con la pubblicistica sopra riportata, ed anche su fonti di origine militare.

Questa grossa variabilita’ nei dati puo’ essere facilmente spiegata. Alcuni Cruise sono con testata appesantita all’uranio impoverito, altri no. Anche quegli altri, tuttavia, hanno uranio impoverito non nella testata del missile, ma nelle ali, come stabilizzatore durante il volo.

Allora possiamo definire due casi

■WORST CASE: Cruise all’Uranio nella testata. Assumiamo 400 kili di DU.
■BEST CASE: Cruise NON all’Uranio nella testata. Assumiamo 3 kili di DU nelle ali.

Calcolo di impatto ambientale e sulla salute

Nell’ampia letteratura dedidcata dall’autore al problema Uranio Impoverito era gia’ stato affrontato un calcolo di contaminazione radioattiva da Uranio dovuto ai missili Cruise, in particolare quelli lanciati sulla Bosnia nel 1995. Lo studio e’ reperibile anche su internet, oltre che sulla rivista scientifica Tribuna Biologica e Medica.

Riprendendo i modelli utilizzati nell’articolo citato, si puo’ dedurre quale è la situazione di teatro, sui luoghi di inalazione, con un calcolo inteso solo ad accertare se, in almeno un caso realistico, l’ordine di grandezza delle dosi in gioco non permetta di trascurare il problema.

Consideriamo l’impatto di un missile Cruise Tomahawk che porti 3 kg (best case), oppure 400 kg (worst case) di DU.

L’impatto produce una nuvola di detriti di varie dimensioni, dopo combustione violenta a circa 5000°C. Il pulviscolo è, come detto, composto da particelle di dimensioni nel range [0.5 – 5] micron. Tra 500 e 1000 metri dall’impatto si possono respirare nubi con densità sufficiente a causare dosi rilevanti, composte da particelle che hanno una massa da circa 0.6 a circa 5 nanogrammi (6-50×10-10 g). E’ stata effettuata una stima mediante il codice di calcolo di dose GENII[10], trascurando gli effetti dovuti all’incendio e considerando soltanto l’esposizione per una inalazione di un’ora dovuta al semplice rilascio del materiale, non considerando alcuni fattori che potrebbero far ulteriormente crescere l’esposizione. In un’ora si può inalare pulviscolo radioattivo proveniente dalla nube in quantità già notevoli.

Occorre tener conto che i moti fluidodinamici del corpo atmosferico (direzione e velocità del vento, gradiente verticale di temperatura, etc.) possono causare, in angoli solidi relativamente piccoli, concentrazioni dell’inquinante anche parecchi ordini di grandezza superiori a quelli che si avrebbero con un calcolo di dispersione uniforme, che non ha senso in questo scenario. Gruppo critico, in questo caso, sono proprio quelle persone “investite” dalla nube di pulviscolo.

Un missile che colpisce il bersaglio può prendere fuoco e disperdere polveri ossidate nell’ambiente, secondo la stima delle probabilità che verra’ in questo lavoro.

Circa il 70% del DU, contenuto nei missili che si suppone vadano sempre a segno, essendo “intelligenti”, brucia. Di questo, circa la metà sono ossidi solubili.

La granulometria delle particelle costituenti la polvere di ossido di DU appartiene totalmente alle poveri respirabili, e vengono anche create polveri ultrafini. In particolare, il diametro delle particelle è in questo caso più fine rispetto alle polveri di uranio di origine industriale, comuni nell’ambito dell’industria nucleare. Si parla delle grande maggioranza delle polveri contenuta nel range [1-10] micron, con una parte rilevante con diametro inferiore al micron.

Per quanto riguarda il destino delle polveri di DU nel corpo umano, la via di assunzione principale è – come noto – l’inalazione. Come detto, parte delle polveri sono solubili e parte insolubili nei fluidi corporei.

Date le caratteristiche degli ossidi di DU di origine militare, occorre rilevare come esse abbiano comportamento differente rispetto alle polveri industriali di uranio. Si può comunque ancora supporre, secondo ICRP[11] che circa il 60% dell’inalato venga depositato nel sistema respiratorio, il resto viene riesalato.

Si può assumere che circa il 25% delle particole di diametro intorno a 1 micron vengano ritenute per lungo periodo nei polmoni, mentre il resto si deposita nei tratti aerei superiori, passa nel sistema digerente e da qui viene eliminato per la maggior parte attraverso le vie urinarie, mentre piccole parti passano ad accumularsi nelle ossa .

Del 25% di micro-particelle ritenute nei polmoni, circa la metà si comporta come un materiale di classe M secondo ICRP, ovvero è lentamente solubile nei fluidi corporei, mentre il resto è insolubile.

Questo tipo di comportamento e di esposizione non è stato studiato in nessuna situazione precedente di esposizione ad alfa emettitori nei polmoni, riscontrate in ambito civile. La modalità di esposizione è quindi molto differente da quelle sulla base delle quali si sono ricavate le equivalenze dose-danno in radioprotezione.

Non è pertanto del tutto corretto – sebbene costituisca un punto di riferimento – estrapolare valutazioni di rischio per esposizione a questo tipo di micro-polveri radioattive dai dati ricavati per i minatori di uranio, e neppure ovviamente dagli alto-irraggiati di Hiroshima e Nagasaki. Gli standard di radioprotezione dell’ICRP si basano su queste esperienze, e pertanto possono portare a sottostime del rischio in questo caso.

Passando poi ad altro tipo di tossicità rispetto a quella radiologica, è poi plausibile che:

– vista la componente fine ed ultrafine delle polveri di DU d’origine militare,

– vista la tossicità chimica dell’uranio, la contaminazione ambientale da ossidi di DU di origine militare abbia tossicità sia chimica che radiologica: deve essere valutato l’effetto sinergico di queste due componenti.

In altre parole, la radioattività e la tossicità chimica dell’uranio impoverito potrebbero agire insieme creando un effetto “cocktail” che aumenta ulteriormente il rischio.

Si mette poi in risalto il fatto che il clima arido della Libia favorisce la dispersione nell’aria delle particelle di uranio impoverito, che possono venire respirate dai civili per anni. Il meccanismo principale di esposizione a medio-lungo termine riguarda la risospensione di polveri e la conseguente inalazione.

La metodologia e le assunzioni relative a questo modello sono già state pubblicate in altri lavori dell’autore ai quali si rimanda. Vengono messe in evidenza qui soltanto le rifiniture e variazioni rispetto al modello applicato e già pubblicato, ed in particolare:

– Il calcolo di impegno di dose è a 70 anni e non più a 50 anni, secondo quanto raccomandato da ICRP.

– Si sono utilizzati dati per ora approssimati sulla distribuzione della popolazione intorno ai punti di impatto, che tengono anche conto dell’utilizzo principale dei proiettili al DU in aree popolate.

I risultati del modello possono essere così riassunti:

– CEDE (Dose collettiva): 370 mSvp in 70 y, per 1 kg di DU ossidato e disperso nell’ambiente.

– CEDE annuale massima nel primo anno (76 mSvp), cui segue il secondo anno (47 mSvp) e il terzo (33 mSvp).

– La via di esposizione è tutta da inalazione di polveri. L’organo bersaglio sono i polmoni (97.5% del contributo alla CEDE).

– Fra i nuclidi responsabili, 83% della CEDE è da U238, ed il 14% da U234

Per quanto riguarda la quantità totale di DU ossidato disperso nell’ambiente, si parte per questa valutazione dai dati riportati dalla stampa internazionale: nel primo giorno di guerra, circa 112 missili Cruise hanno impattato sul suolo libico[13]. Quanti missili verranno sparati prima della fine della guerra? Non e’ dato saperlo, faremo un’assunzione di circa 1000 missili sparati, e in ogni caso i valori che verranno stimati saranno variabili con una semplice proporzione.

Se tutti i missili fossero “privi” di DU, si avrebbe comunque una quantita’ di:

1000 * 3 = 3000 kili = 3 Tonnellate di DU (best case)

Se tutti i missili fossero con testate al DU avremmo una quantita’ fino a

400.000 kili = 400 tonnellate di DU.

Si confronti questo dato con le 10-15 Tonnellate di DU sparate nel Kossovo nel 1999 per valutarne la gravita’.

Si supponga che circa il 70% dell’uranio bruci e venga disperso nell’ambiente, arrivando così ad una stima della quantità di ossidi di DU dispersa pari a circa 2,1 tonnellate (best case) e 280 tonnellate (worst case).

Questo permette di stimare pertanto una CEDE (dose collettiva) per tutta la popolazione pari a:

■Best case: 370 mSvp/kg * 2100 kg = 780 Svp circa.
■Worst case: 370 mSvp/kg * 280.000 kg = 104000 Svp circa
Ribadiamo come non sia del tutto corretto – sebbene costituisca un punto di riferimento – estrapolare valutazioni di rischio per esposizione a questo tipo di micro-polveri radioattive dagli standard di radioprotezione dell’ICRP, che sono quelli adottati dal codice GEN II.

Se tuttavia applichiamo anche qui il coefficiente del 6% Sv-1 per il rischio di insorgenza di tumori, otteniamo circa

■Best case: circa 50 casi di tumore in più, previsti in 70 anni.
■Worst case: circa 6200 casi di tumore in più, previsti in 70 anni.

Conclusioni

I rischi da esposizione ad uranio impoverito della popolazione della Libia in seguito all’uso di questo materiale nella guerra del 2011 sono stati valutati con un approccio il più possibile ampio, cercando di tenere in conto alcuni recenti risultati di studi nel settore.

Questo tipo di esposizione non è stato studiato in nessuna situazione precedente di esposizione ad alfa emettitori nei polmoni, riscontrate in ambito civile.

Tuttavia, la valutazione fatta delle dosi e del rischio conseguente alle due situazioni (Cruise “senza uranio” o “con uranio”) permette di trarre alcuni conclusioni.

Nel primo caso (best case), il numero di tumori attesi e’ molto esiguo d assolutamente non rilevante dal punto di vista statistico. Questa difficoltà statistica – come è appena ovvio rimarcare – nulla ha a che vedere con una assoluzione di questa pratica, una sua accettazione, o meno che mai con una asserzione di scarsa rilevanza o addirittura di innocuità.

Nel secondo caso (worst case), invece, siamo di fronte ad un numero di insorgente tumorali pari ad alcune migliaia. Queste potrebbero tranquillamente essere rilevabili a livello epidemiologico e destano, indubbiamente, forte preoccupazione.

Occorre, percio, che gli eserciti che bombardano la Libia chiariscano con prove certe, e non asserzioni di comodo, la presenza o meno, e in che quantita’, di uranio nei loro missili.

In passato, ci sono state smentite “ufficiali” della presenza di uranio nei missili Cruise[14], ma proveniendo esse da ambienti militari, l’autore si permette di considerarle, come minimo, con una certa cautela.

Sulla base dei dati a nostra disposizione, le stime sull’andamento dei casi di tumore nei prossimi anni in Libia a causa di questa pratica totalmente ingiustificata sono assolutamente preoccupanti. La discussione sull’incidenza relativa di ognuno degli agenti teratogeni utilizzati in una guerra (Chimici, radioattivi, etc.) ci pare – ad un certo livello – poco significativa ed anche, sia consentita come riflessione conclusiva, poco rispettosa di un dato di fatto: i morti in Libia a cuasa di questo attacco superano e supereranno di gran lunga qualunque cifra che possa venire definita “un giusto prezzo da pagare”.

E’ importante infine raccogliere dati e ricerche – e ve ne sono moltissimi – nel campo degli effetti delle “nuove guerre” su uomo e ambiente; bisogna mostrare come le armi moderne, per nulla chirurgiche, producano dei danni inaccettabili; occorre studiate cosa hanno causato, a uomini e ambiente che le hanno subite, le guerre “umanitarie” a partire dal 1991.

Disastro di Fukushima, trovate tracce di Iodio 131 nei cieli del Piemonte

Con uno scarno comunicato, l’ARPA Piemonte rivela di aver riscontrato tracce di Iodio 131, una sostanza radioattiva rilasciata nei cieli dal disastro nucleare di Fukushima. Questi i dati:

Il punto di campionamento è quello di Ivrea. E’ stato scritto che si tratta di “misure approfondite”, ma non è specificata la modalità di rilevamento. Si tratta di 0.0000473 Bq/m3, una concentrazione molto bassa. Va da sé, la nube è veramente arrivata sin da noi. Scrive l’ARPA:

Per fare un paragone, sono concentrazioni almeno 10.000.000 di volte inferiori a quelle che,  per lo I-131, si registrarono in Italia ai tempi di Chernobyl.
La stessa concentrazione di radioattività naturale presente in aria (dovuta al radon) è da 100.000 a 1.000.000 di volte superiore a questo valore (Sito ARPA Piemonte).

Quelli che seguono invece sono i grafici di ieri di Fany, in Svizzera. Nulla di anomalo, ma si noti il picco di radioattività in corrispondenza delle precipitazioni. Forse un fenomeno del tutto normale, forse no, anche considerati i dati rivelati oggi dall’ARPA.

Questo invece è relativo alla località di Stabio, sempre in Svizzera. I dati fanno riferimento al già citato sito della CENAL.

Aggiornamento ore 20.40: Il Fatto Quotidiano riporta la notizia che lo Iodio 131 è stato rilevato anche dall’ARPA Lombardia.

Sito ARPA Piemonte

Arriva arriva la nube di Fukushima

La nube radioattiva di Fukushima arriverà anche in Italia. Seguirà all’incirca questa evoluzione:

Oggi la Iaea, l’agenzia atomica dell’Onu, ha avvisato che la fuoriuscita di radiazioni dalla centrale di Fukushima è costante e “allarmante”: di fatto si sospetta la parziale fusione delle barre in due/tre reattori, fra cui il temibile reattore tre, che contiene plutonio (equivale a dire che stanno diffondendo cancro nucleare nell’atmosfera e nei mari). La Iaea ha anche detto che non si comprende quale sia l’effettiva origine della emissione. Una dichiarazione disarmante.

Dicevo che la nube sta entrando nei cieli dell’Europa: ha fatto il suo ingresso da nord, dall’Islanda. Quali le ripercussioni sul nostro paese? I media avvertono che sarà una schiocchezza. Per arrivare sin qui ha solcato i cieli di mezzo mondo, quindi se non ha fatto danni altrove non li farà nemmeno da noi. Intanto i dati della vicina Svizzera non mostrano alcuna variazione:

unità di misura nSv/h

unità di misura nSv/h

[fonte dati https://www.naz.ch/it/aktuell/messwerte.html]

Sarebbe interessante comparare le dichiarazioni delle autorità e i titoli dei giornali di oggi con quelli del 1986. All’epoca qualcuno profetizzò la gigantesca operazione di cover up (di copertura) del reale impatto che la nube di Chernobyl ebbe sul nostro paese:

PRIMO MAGGIO 1986, cinque giorni dopo l’incidente di Chernobyl

“BISOGNA ASPETTARSI, PER I GIORNI CHE VERRANNO, UN COMPLOTTO INTERNAZIONALE DEGLI ESPERTI UFFICIALI PER MINIMIZZARE LA STIMA DELLE VITTIME CHE CAUSERÁ QUESTA CATASTROFE. IL PERSEGUIMENTO DEI PROGRAMMI CIVILI E MILITARI IMPONE ALL’ASSEMBLEA DEGLI STATI UNA TACITA COMPLICITÁ CHE OLTREPASSA I CONFLITTI IDEOLOGICI O ECONOMICI” (Estratto di un articolo di MADAME BELLA BELBEOCH, fisico, contenuto nella rivista “Ecologie”, n° 371, maggio 1986).

Esiste uno studio, denominato Progetto Humus, realizzato da André Paris fra il 1999 ed il 2001, una mappatura del sud della Francia e del Nord Italia del contaminamento residuo di Cesio137, il prodotto della fusione del nocciolo di Chernobyl. Si tratta di una “visione leggermente deformata e sottovalutata della situazione del 1986 tenuto conto, da una parte, del decadimento fisico del cesio137 (meno del 30%) e, dall’altra, di una disparità supplementare legata al tipo di terreno ed al suo utilizzo”, quindi non i dati reali del contaminamento del 1986. Si può stimare che “sulla maggioranza dei suoli della Francia continentale presi in considerazione nell’atlante, il livello di contaminazione di cesio137 doveva essere, nel 1986, almeno due volte più importante che le cifre riportate nell’atlante, tenuto conto del decadimento fisico del cesio137 e della sua eliminazione per trasferimento” (Progetto Humus).

Ebbene, ne è uscito “il Nord dell’Italia e l’Austria sono stati e restano più contaminati che la Francia, ma anche che vaste porzioni dell’est del territorio francese – situate pertanto a più di 2.000 km da Chernobyl, sono più colpite che i settori studiati dell’Ungheria o della Slovenia”; le Alpi “che erano considerate un ambiente preservato dalla contaminazione, si sono, al contrario, rivelate tra i posti più colpiti dal fall out di Chernobyl” (Progetto Humus, cit.).

Sulla sommità del Colle del Piccolo San Bernardo, sui grandi prati, la contaminazione uniformemente ripartita è stata misurata ad un valore di 5.300 Bq/m². 180 metri sotto, dalla parte italiana, la contaminazione uniformemente ripartita, misurata sui grandi prati, si attesta sul valore di 10.700 Bq/m². Sotto il borgo di La Thuile in direzione di Colle San Carlo, su terreno boschivo, la contaminazione uniformemente ripartita, mostra un valore di 14.000 Bq/m². A Cogne, sotto il villaggio, il valore della contaminazione uniformemente ripartita è misurato ad un valore di 16.500 Bq/m². È pressoché simile a quello rilevato a La Thuile (ibidem).

Questa una cartina:

Cartina radioattività residua 1999-2001 Val Pellice-PineroloIl nostro paese, le Alpi, furono i più colpiti dalla nube di Chernobyl. Forse saremo soltanto sfiorati da questa nuova catastrofe. Per darvi un’idea della portata del disastro giapponese, “spinaci raccolti a quasi cento chilometri dalle centrali hanno evidenziato qualcosa come 54.000 Bq/Kg, ovvero oltre 50 volte il limite massimo consentito e ben 27 di quello stabilito dal Governo locale. I livelli per il Cesio radioattivo, invece erano ben 190 volte oltre la norma” (Pietro Cambi su Nuove Tecnologie Energetiche).

Resta il fatto che dobbiamo vigilare su quel che accade.

Fukushima, non è colpa dello tsunami. La verità dalle foto di Digital Globe

Non è vero che è stato il devastante tsunami a causare la catastrofe della centrale nucleare di Fukushima. Lo si può dedurre dalle foto di Digital Globe: pochi danni alle strutture di superficie frontali al molo: probabilmente delle pompe di acqua marina o strutture similari:

Una testimonianza del fatto che in questa zona del Giappone lo tsunami non ha fatto grossi danni la potete ritrovare in questa seconda fotografia:

Questa foto è stata scattata dal satellite qualche minuto dopo l’esplosione del reattore 3, il 14 Marzo scorso. Le campagne intorno alla centrale sono intatte. Si distinguono nettamente case e automobili. L’onda dello tsunami avrebbe sommerso tutta l’area, l’avrebbe ricoperta di fango; avrebbe portato via case, automobili e persone.

Se ne deduce:

  1. non è vero che la sicurezza dell’impianto è stata pregiudicata dall’onda di maremoto; i danni provocati dalle onde sono stati minimi, limitati alle strutture accessorie prossime al mare;
  2. è quindi ragionevole affermare che non è affatto vera l’affermazione secondo cui queste centrali sono state progettate per resistere a magnitudo molto alte, ovvero a essere mantenute in sicurezza in casi estremi di malfunzionamento di strutture accesorie: di fatto, ai danni arrecati al sistema di raffreddamento, i tecnici della giapponese TEPCO non sono riusciti a porre rimedio, nemmeno avevano a disposizione sistemi alternativi di emergenza se non il volo degli elicotteri con le ‘bombe’ d’acqua, come si fece nel lontano 1986 a Chernobyl.

Il documento di analisi di Digital Globe: DG_Analysis_Japan_Daiichi_Reactor_March2011

Un video di oggi che circola su Youtube mostra i danni agli edifici che ospitano i reattori:

Nucleare, i rischi delle centrali di terza generazione

  1. L’Électricité de France, nel “Rapporto preliminare di sicurezza” relativo al costruendo reattore di Flamanville 3, ha rilevato gravi rischi in merito a repentine escursioni di potenza con il rischio di crisi di ebollizione, esplosioni di vapore (in grado di danneggiare seriamente il reattore e le barriere di contenimento) ed altresì il rischio di espulsione violenta delle barre di controllo;
  2. Considerato che le barre di controllo hanno la funzione di regolare la potenza del reattore e/o spegnerlo in caso di necessità, la gravità del problema è palese. Poiché si ravvisavano “superamenti significativi dei criteri [di sicurezza]”, sono stati proposti da Areva degli interventi correttivi alle barre di controllo per mitigare (ma non rimuovere) il rischio di questa tipologia di incidente, ma tuttavia persistono margini molto ristretti per l’esercizio in sicurezza dell’impianto in quanto la problematica è intrinseca al design del reattore EPR (e dei precedenti N4) ed alla modalità di esercizio prevista (Reattore nucleare europeo ad acqua pressurizzata – Wikipedia).

Questo il documento che analizza la relazione della società elettrica francese: SDN_1_EPR_une technologie_explosive. Un titolo a dir poco lapidario: una tecnologia esplosiva.

Terzo aspetto negativo: il carburante. Al posto delle consuete barre di uranio, negli EPR si impiegheranno “l’ossido di uranio arricchito in percentuali variabili fra il 4 e il 6% oppure miscele di ossidi di uranio e plutonio, il cosiddetto combustibile MOX (Reattore nucleare di III generazione – Wikipedia). E’ il medesimo combustibile impiegato nel reattore 3 di Fukushima. Un materiale di ricilaggio, poiché combina il plutonio delle bombe nucleari dismesse, o il residuo delle altre centrali nucleari:

    • Il Mixed oxide fuel (o MOX) è una miscela di uranio naturale e plutonio. È composto in genere da una miscela di uranio impoverito, il prodotto di scarto dei processi di arricchimento dell’uranio, e di plutonio. La percentuale di plutonio dentro il combustibile MOX dipende dalle quantità isotopiche dei vari isotopi del plutonio
    • per creare un combustibile MOX equivalente si deve utilizzare una quantità di plutonio weapons grade pari a circa il 4.5% del totale del combustibile (quasi tutto il plutonio in questo caso è fissile), utilizzando un plutonio derivante dal riprocessamento del combustibile esausto di altri reattori, si deve arrivare al 7% del totale di plutonio (se questo è composto per il 65% di materiale fissile)
    • Si può produrre dalla dismissione di armi nucleari dismesse in seguito ai trattati START e SORT. Attualmente esiste un abbondante quantità di plutonio proveniente dallo smantellamento delle testate nucleari in base ai molti accordi contratti dagli Stati Uniti e dall’Unione Sovietica.

Va da sé, il plutonio è altamente nocivo per la salute umana. E’ il combustibile nucleare più nocivo. La bestia peggiore.

Une technologie explosive:
l’EPR
Un réacteur à puissance réduite
Le « Rapport préliminaire de sûreté [RPS] de l’EPR Flamanville 3 » (version publique 2006)
nous donne les caractéristiques de ce réacteur en les comparant à celles des réacteurs du
« palier N4 » (centrales de Chooz et Civaux). Cependant, une note d’étude d’EDF de 2004 [1]
indique que la puissance de l’EPR serait, dans un premier temps, inférieure de 180 MWe à
celle déclarée dans le Rapport préliminaire de sûreté.
Paramètres du réacteur
Puissance thermique (MWth)
Puissance électrique (MWe)
Rendement (%)
Rendement calculé (Pe/Pth)
Rapport de sûreté
EPR
Palier N4
4500
4250
1630
1475
36
34,5
36,2
34,7
Note EDF 2004
EPR
Palier N4
4250/4500
4250
1450/1550
1450
/
/
34,1/34,4
34,1
La puissance du réacteur EPR sera donc équivalente à celle des centrales les plus récentes
(palier N4). Quant à l’effarant saut technologique de 1,5% de rendement, il ne serait que
poudre aux yeux et enfumage. En effet, avec les même puissances thermique (Pth) et
électrique (Pe), les deux types de réacteur ne peuvent avoir qu’un même rendement, de l’ordre
de 34%.
Un autre document explique que « la vocation de l’EPR est de permettre le passage (à moyen
terme) à un niveau de puissance de 4 500 MWth [mégawatt thermique]» [2] (§4.10). La durée
du « moyen terme » n’est pas indiquée. « Toutefois, la puissance retenue dans les études
accidentelles du rapport préliminaire de sûreté EPR est 4250 MWth » [1] (§4.1).
Une énergie ruineuse
Cet écart de puissance est-il important ? Oui car il conditionne le coût de production du
réacteur. Pour un même coût de construction, plus la machine est puissante plus elle produira
de l’énergie, et moins chers seront les mégawatt-heures (MWh).
C. Pierre Zaleski et Sophie Meritet du Centre de géopolitique de l’énergie et des matières
premières (CGEMP) ont estimé en 2004 le coût du MWh EPR à 41 €, pour un coût de
construction de 3 milliards d’€ et avec une puissance de 4 500 MWth [3]. Ce MWh serait
désormais de l’ordre de 55 € compte tenu du surcoût de construction annoncé prudemment à
4 milliards d’€ [4]. Et la facture risque de s’allonger encore en fonction des aléas du chantier
de construction, de la transparence du maître d’œuvre sur le coût réel et de ce qu’on entend
par « moyen terme » pour le passage de 4 250 à 4 500 MWth…
Il est alors intéressant de comparer les coûts de production nucléaire. Aujourd’hui, le MWh
« en base » est vendu par EDF à 35 € sur le marché de l’énergie, pour un prix de revient de 33
à 34 € sortie des centrales REP actuelles.
L’EPR produira donc à perte l’énergie de « base » même si le prix de vente du MWh « en
base » est légèrement relevé comme le souhaite EDF. Cependant, le coût du MWh « en
pointe » de consommation peut dépasser les 100 € sur le « Marché spot » de l’électricité [5].
Mais, l’EPR est conçu pour fonctionner en « suivi de charge » ainsi qu’en « réglage de
fréquence ». Il est sensé réaliser des variations rapides de puissance grâce à son mode de
pilotage révolutionnaire : le « RIP » pour « Retour instantané en puissance ».
Dans ce cas, EDF pourrait éventuellement envisager d’amortir son investissement.
L’accident grave
Eventuellement… En effet, nous avons connaissance d’une note technique d’EDF [6]
évoquant l’« l’EDG FA3 ». Qu’est ce que c’est que ce charabia ? FA3 est le diminutif de
Flamanville 3 et EDG est l’acronyme de l’accident « Ejection de grappe ». Les grappes
servant à contrôler la puissance du réacteur, à le piloter. Ce sont à la fois l’accélérateur et le
frein. L’accident d’éjection de grappe peut se comparer au blocage de l’accélérateur. A fond.
Le paragraphe 15.2.4.e du « Rapport préliminaire de sûreté » décrit « l’EDG FA3 ».
« Cet accident conduit à une perte de réfrigérant primaire via la rupture de l’enveloppe du
mécanisme de commande de la grappe éjectée » et « entraîne un transitoire très rapide avec
un temps d’éjection […] de 0,1 secondes ».
L’éjection de la grappe provoque un « apport de réactivité positif rapide suivi d’une
excursion de puissance ». Heureusement, « la contre réaction Doppler » et « l’arrêt
automatique (…) initié au pic de puissance » arrêtent le phénomène. Normalement.
Cependant, il est écrit que le réacteur peut, en cas d’éjection de grappe à faible puissance,
dépasser « la prompte criticité ».
Que désigne ce terme barbare ? Pour en avoir une idée, tapez « prompte criticité » sur votre
moteur de recherche et allez sur le site de la très pro-nucléaire Société française d’énergie
nucléaire. Vous y trouverez un compte rendu technique de l’accident de Tchernobyl. Sans
qu’il y ait eu d’accident d’éjection de grappe, le réacteur s’est retrouvé « en situation de
prompte criticité et la puissance a pu atteindre en quelques secondes cent fois la valeur
nominale » [7].
« Cependant il ne faut pas perdre de vue que l’accident survenu à Tchernobyl est un accident
de criticité prompte sur un réacteur de puissance.
Comme le souligne l’IPSN [Institut de protection et de sûreté nucléaire], les accident de
criticité présente un danger particulier du fait que lorsque le milieu est sous-critique, la
puissance neutronique est très faible et que si le milieu devient sur-critique pour une raison
quelconque, il peut devenir le siège d’une excursion de puissance neutronique assimilable à
une explosion »[8].
Lu sur l’encyclopédie en ligne « wikipedia » : la « criticité prompte, c’est celle ou opèrent les
armes nucléaires ».
L’EPR risque t’il exploser à son tour ?
On est en droit de se poser la question à la lecture des documents d’EDF.
Le réacteur s’emballe
Dans une étude [9], les ingénieurs d’EDF ont identifié « l’accident d’éjection de grappe »
comme « potentiellement problématique pour EPR ». Il est question de « dépassements très
significatifs » du « critère de nombre de crayons [combustible] en crise d’ébullition ». De
« 20 à 30% » du combustible pourrait alors se rompre en cas d’accident.
En résumé, le réacteur s’emballe localement (excursion de puissance), le combustible chauffe,
l’eau qui le refroidissait se met à bouillir (crise d’ébullition).
Un physicien pourrait faire le bilan entre l’effet Doppler et l’effet de température stabilisant la
réaction sur-critique avec les effets du changement d’état du modérateur (eau/vapeur), de la
moindre quantité de bore dans la vapeur et de la présence d’un « réflecteur lourd » qui limite
le taux de fuite des neutrons rapides.
Le tableau 3 du document [9] présente les résultats de l’étude d’Areva qui montrent que le
combustible pourrait atteindre la température de 2779°C pour une température de fusion de
2800°C. On est admiratif face à une telle précision. Curieusement, la température de la gaine
n’atteindrait que 1458°C bien que contenant l’oxyde d’uranium à près de 2800°C.
Par ailleurs, on sait que la température de fusion du combustible diminue en fonction de
l’irradiation. De l’ordre de 40°C pour le combustible EPR à haut « burn-up ».
Le paragraphe 6.1.6 nous apprend que « l’origine des difficultés rencontrées en éjection de
grappe étant essentiellement liée au mode de pilotage envisagé pour EPR et plus précisément
dans l’exigence de maintien de la capacité de Retour instantané en puissance (…), la voie
ultime d’amélioration de l’étude d’accident réside dans la modification de celui-ci ».
Le « RIP » pose donc problème. La solution serait alors d’abandonner ce mode de pilotage
plutôt contraignant. EDF sacrifierait la rentabilité sur l’autel de la sûreté ? Cela « ne pourrait
toutefois être envisagée que de manière temporaire dans le meilleur des cas, le temps de faire
accepter une voie de résolution pérenne ».
Accepter à qui ? Le chapitre 7 évoque la possibilité de « remplacer les critères actuels » par
une autre méthode « analytique ». Cette solution « devrait s’accompagner d’un dossier
défensif montrant le respect des critères actuels moyennant la prise en compte de contraintes
d’exploitation éventuellement applicables le temps de faire aboutir le dossier auprès de
l’ASN ». L’Autorité de sûreté nucléaire, le « gendarme » de l’atome qui mange son chapeau
plus souvent qu’à son tour. Il est même question dans le « Plan d’action » de préparer « la
stratégie d’approche de l’ASN »…
A noter que « Areva ne semble pas rencontrer de telles difficultés dans le cadre des études
réalisées pour OL3 (…). L’absence de prise en compte de pénalités, le recours à une
méthodologie d’étude moins pénalisante, et l’absence d’étude haut burnup semble en être les
explications principales » (chapitre 5). Là il est question de l’EPR en construction en
Finlande « OL3 » où Areva rencontre d’autres difficultés : 4 années de retard…
Sûreté problématique
Revenons au document au titre évoquant les « voies de sortie de la problématique éjection de
grappe » [2]. Cette note technique fait le tour des solutions envisageables pour sortir « de la
problématique » et confirme « la mise en évidence de dépassements très importants et
généralisés des critères de sûreté » malgré une modification du mode de pilotage. Cela a le
mérite d’être clair…
On apprend également (§ 5. 3), que pour le palier N4, la gestion du combustible « Alcade »
[10] conduit « à respecter sans marges les critères actuels de sûreté en éjection de grappe ».
Ces réacteurs évolue donc déjà sur la corde raide car « sans marge » on n’est pas à l’abri
d’une erreur de calcul.
Modification majeure
En fin d’année 2007, Areva revoit la conception du réacteur en projetant de remplacer un
certain nombre de grappes de pilotage très absorbantes de neutrons (dites « grappes noires »)
par des grappes moins absorbantes (« grappes grises »). Sans renoncer au mode de pilotage
« RIP » à l’origine du problème. Le document [11] explique qu’il restera dans certains cas
« des marges d’arrêt faibles voire insuffisantes », que « des difficultés persistent » et
« resteront présentes à fort niveau de puissance lors de la réalisation de l’étude d’éjection de
grappe », malgré le remplacement des grappes « noires » par des « grises ». Dans l’annexe 1
(page 24), le « NCE » (Nombre de crayons en Crise d’Ebullition) à puissance nominale se
situe aux alentours de 10%.
On peut penser qu’un tel changement dans l’efficacité des grappes de pilotage d’un réacteur
s’apparente à un modification majeure de conception qui pourrait mettre à mal la
démonstration de sûreté accepté par l’ASN. C’est ce que suggère ce dernier document de
l’année 2007 (§ 7): « la reprise du schéma de grappes est une modification importante de
conception par rapport au PSAR [Preliminary safety analysis report] qui a conduit au DAC
[Décret d’autorisation de création] et que l’ASN pourrait y voir une raison de constat de perte
d’actualité du dossier ».
Il faut savoir que les maigres bénéfices obtenues en EDG avec des grappes grises moins
absorbantes de neutrons deviennent défavorables en cas d’accident de Rupture de tuyauterie
vapeur (RTV). C’est la quadrature du cercle.
Un problème insoluble
Nous avons donc vu que le « NCE » reste élevé malgré les diverses modifications apportées.
La note EDF cité en [6] dresse le bilan sur le problème « EDG ». En 2009, les problèmes
persistent et, au niveau de la radioprotection, d’autres semblent poindre (§8.2.1):
« La principale évolution attendue sur EPR étant le passage à 4500MWth, si l’étude EDG du
RdS [Rapport de sûreté] 4300 est réalisée avec peu ou pas de provisions, le bilan des marges
(physiques) se dégradera forcément à 4500.
Dans ces conditions, le choix de provisions faibles pour maximiser les marges physiques, au
prix de contraintes sur l’exploitation, de calculs volumineux en recharge et de dégradation du
bilan des marges lors d’évolutions ultérieures, ne présente que peu d’avantages.
Seule la crainte de difficultés à accommoder les calculs de rejets radioactifs vis à vis de la
qualification du matériel (conception différente du parc) peut conduire à moduler cette
position. En effet sur EPR le matériel n’est classé que jusqu’à 1% de crayons cassés.
Or si dans les études de rejets EPR on considère, comme c’est couramment le cas, que les
crayons entrant en NCE en EDG sont cassés pour l’étude de rejet, on voit bien qu’il convient
de minimiser ce NCE. On notera toutefois qu’il est absolument impossible qu’une étude
d’EDG conduise à un NCE inférieur à 1%, le NCE EPR prévisionnel étant plutôt entre 6 et
9% ».
Rupture des deux premières barrières
En « éjection de grappe », le « nombre de crayons en crise d’ébullition » considérés comme
« cassés » sera largement supérieur à 1%, valeur maximale à laquelle « le matériel EPR est
classé » d’un point de vue radiologique. En clair, au delà de 1% de NCE, le matériel exposé
aux fortes radiations risque de tomber en panne…
Dans ce type d’accident, l’éjection de la grappe a créé une brèche par laquelle le circuit
primaire en train de bouillir (crise d’ébullition) se dépressurise dans l’enceinte. La deuxième
barrière de confinement est donc rompue. Et même si « l’excursion de puissance » est stoppé
en quelques secondes par « l’Arrêt automatique du réacteur », l’eau à 155 bar du circuit
primaire continuera a être pulvérisée dans l’enceinte de confinement (1 bar) sous forme de
vapeur (300°C). Vapeur extrêmement radioactive du fait des « crayons cassés ». Crayons
cassés signifiant rupture de la première barrière de confinement : la gaine du combustible
d’une épaisseur de 0,57 mm seulement.
Le dégagement d’énergie mécanique lors de l’interaction combustible-eau n’est même pas
évoqué alors qu’il risque de provoquer quelques désordres dans ce coin surchauffé du
réacteur. Désordre tel que la déformation des assemblages combustible empêchant ainsi les
grappes de sécurité de chuter pour stopper l’excursion de puissance. Si l’ordre d’arrêt
automatique est donné…
Une illusoire troisième barrière
La santé des populations ne serait donc plus assurée que par la troisième barrière, l’enceinte
de confinement, dont on sait qu’elle n’est pas complètement étanche. Sans oublier que le
matériel, comme les vannes d’isolement enceinte par exemple, n’est pas classé en accident
grave. Sans compter que l’« accessibilité BR en fonctionnement » est prévue : « l’accessibilité
au bâtiment réacteur tranche en marche (7 jour avant et 3 jours après l’arrêt de tranche) est
une condition essentielle au respect de la durée d’arrêt de tranche de 16 jours » [12]. Dans ce
cas, la troisième et dernière barrière de confinement est béante !
Le réacteur ne s’arrête pas en cas d’accident
Mais au fait, l’« Arrêt automatique du réacteur » (AAR) va t’il fonctionner en EDG ? La
note [6] y répond au chapitre 9, « Transitoire d’EDG sans AAR »:
« Nous rappelons au projet une problématique connexe à l’étude d’EDG, il s’agit des cas
d’EDG qui sont trop faibles pour conduire au déclenchement de l’AAR (…). Ces cas ne
figurent pas au RdS et leur étude n’est pas prévue à ce jour dans le cadre des études EPR
avec AREVA (contrat C). Par ailleurs il n’existe pas de méthodologie pour traiter cette
problématique spécifique ».
« A l’heure actuelle il semblerait qu’aucune démarche n’ait été entreprise et le
dimensionnement de protections EPR semble succinct (…) ».
Sans oublier « des temps de chute des grappes trop élevés sur l’EPR en particulier en cas de
séisme » [1] (4.1.2) avec une « vitesse des grappes environ deux fois moins élevée sur EPR
que sur le parc en particulier » [9] (6.1.6).
« Concernant plus spécifiquement l’EDG et ses cas sans AAR, un dossier défensif paraît
nécessaire pour éviter toute lacune dans la démonstration de sûreté ».
Mais attention, il s’agit de rester discret sur cette recommandation « de préparer correctement
un dossier présentant la démarche de dimensionnement des protections dans un document
interne non transmis à l’ASN » [6].
Le « dossier défensif » a intérêt à être en béton car au chapitre 3.6 du « Rapport préliminaire
de sûreté (RPS) de l’EPR Flamanville 3 », à propos des « exigences de sûreté » des
« mécanismes de commande des grappes », il est écrit : « la chute de chaque grappe de
commande doit être garantie dans toutes les situations accidentelles ». En « cas d’EDG », il
est possible qu’aucune grappe ne chute ! Ou qu’elles se bloquent en cours de descente.
Accélérateur bloqué à fond et frein inopérant : Tchernanville 3…
Pour information, sur l’étude EDG du palier N4, l’éjection de la grappe à lieu en 0,1 s et le pic
de l’excursion de puissance est prévu 0,2 s plus tard. Le début de la chute des grappes n’a lieu
que 0,6 s après la détection « haut flux nucléaire seuil haut ».
Conclusion
L’EPR d’Areva est un réacteur inexploitable sans de notables impasses sur la sûreté. Il n’est
pas conforme au Rapport de sûreté concernant la chute des grappes (AAR) en cas d’accident
grave (EDG) ; le matériel n’est pas classé pour les accidents induisant plus de 1% de crayons
combustible cassés. Pourtant, un récupérateur de corium est censé collecter la fusion de 100%
du cœur…
Malgré des modifications majeures du pilotage réalisées sans aucune transparence, EDF va
prendre des risques inconsidérés pour tenter de rentabiliser à tout prix son investissement.
Sans « RIP », l’EPR pourrait être exploité à perte. Avec « RIP », l’EPR pourrait conduire à
notre perte.
RIP : « Repose en paix »…
Références
[1] Présentation synthétique de l’EPR – EDF, avril 2004
[2] EPR FA3 – Synthèse des voies de sortie de la problématique éjection de grappe – EDF, mai 2007
[3] http://www.asn.fr/index.php/S-informer/Publications/La-revue-Controle/Dossiers-de-
Controle-2005/Le-reacteur-EPR
[4] Actu énergie – 09/11/2009, information interne EDF
[5] RTE – Statistiques de l’énergie électrique en France – 2008
[6] Bilan de la phase préliminaire de l’étude d’EDG FA3 et perspectives – EDF, avril 2009
[7] http://www.sfen.org/fr/societe/accidents/tchernobyl/1.htm
[8] Marges disponibles pour les activités d’exploitation du REP par rapport aux risques de criticité – EDF,
décembre 1999
[9] EPR FA3 – Synthèse de l’étude de faisabilité de l’accident d’éjection de grappe – EDF, février 2007
[10] Pour des précisions sur la gestion « Alcade » voir la Décision n° 2007-DC-0066 de l’Autorité de sûreté
nucléaire du 19 juillet 2007 relative à la mise en oeuvre de la gestion du combustible dite « ALCADE » dans les
réacteurs des centrales nucléaires de Chooz B et Civaux.
[11] EPR – Gestion combustible – Lot 1 – Revue de conception du schéma de grappes FA3 du 25/10/2007 –
EDF, novembre 2007
[12] Note de présentation de la deuxième revue de projet radioprotection EPR – EDF, mars 2004

Fukushima, è allerta nucleare per tutto il Giappone. Fra otto giorni sarà come Chernobyl

Questione di tempo. Questione di ore. Poi sarà raggiunta l’esposizione radioattiva registrata a Chernobyl, quella degli ultimi 20 anni, in soli – soli – otto giorni. Lo scrive Pietro Cambi su Crisis, una bibbia in questo momento:

A Nord Ovest dell’impianto, circa quindici ore fa, quindi PRIMA delle due nuove esplosioni, si misuravano 680 microSievert/h, ovvero 0.68 MilliSievert/h, in rapido aumento rispetto a sei ore prima. Tanto, poco? Partiamo, dal fondo naturale da quelle parti. Quale è? Beh, senza pretese di grande precisione, nel documento che vi ho linkato esistono altre misure prese presso l’altra centrale elettrica di Fukushima, quella di  Dai-Ni. Possiamo leggere che i valori misurati si attestano intorno a 0.036 microsievert/h. Intanto: questo è un valore circa 19.000 VOLTE più basso di quello misurato nei dintorni del reattore 1 scoppiato. Come dire che per ogni ora passata da quelle parti ti prendi la dose di radiazioni di due o tre anni (Pietro Cambi su Crisis, What Crisis?).

A Chernobyl, negli ultimi 20 anni, appunto, “il livello CUMULATIVO su VENTI anni nella zona interessata dall’incidente di Chernobyl non supera, se non in una zona ristrettissima, i 150 millisevert” (ibidem). Lo potete verificare sulla mappa ad inizio post.

Inoltre, il comunicato ufficiale delle autorità giapponesi alla Nisa (Nuclear and Industrial Safetu Agency) si conclude con la citazione dell’articolo 15 dell’Act for Special Measures Concerning Nuclear Emergency Preparedness, naturalmente omesso. Un articolo che non lascia spazio ad equivoci: è allarme su tutto il territorio del Giappone, allarme rosso in cui il Capo del Governo sussume in sé poteri speciali, di emergenza. Di fatto è sospeso lo stato di diritto in fatto di materia di sicurezza nucleare e tutti i poteri si concentrano nelle mani di uno. Vuol dire che non c’è più scampo e che vale tutto pur di fermare la catastrofe nucleare.

L’apocalisse giapponese spingerà gli USA alla guerra in Libia?

Per qualche ragione, due mari lontanissimi, il Mediterraneo e l’Oceano Pacifico, diventano stranamente “comunicanti” e non già perché si possa navigare da uno all’altro senza passare per terra, bensì perché la storia e la geologia hanno deciso così. E tutto per colpa della necessità degli uomini di avere energia a buon prezzo per le proprie attività e per le proprie abitazioni. Sì, diciamolo, per colpa del petrolio.

Da un lato, il Giappone con la sua inimmaginabile apocalisse, la distruzione di intere città e di industrie, in primis quella energetica che sta portando al melt down due o tre reattori della centrale di Fukushima. Domani è annunciato il razionamento dell’energia elettrica: per Tokyo sarà il black out. Parliamo di una città di 13 milioni di abitanti. In tutta l’area metropolitana vivono circa 35 milioni di persone. Ergo, il governo giapponese dovrà rivedere la propria politica energetica con misure emergenziali, la prima delle quali sarà incrementare la produzione di elettricità attraverso quella parte di infrastruttura che impiega combustibile non nucleare, ovvero gas e petrolio. Ma mentre per il gas è difficile incrementare la produzione in tempi brevi – sono necessari nuovi gasdotti, nuovi rigassificatori – per il petrolio il problema non sussiste: faranno arrivare qualche petroliera in più. L’energia elettrica di provenienza nucleare in Giappone è circa il 30% di quella prodotta. Considerando che gli impianti coinvolti dal sisma-tsunami sono circa sette, in funzione ne restano almeno undici delle diciotto attualmente funzionanti. Ne consegue – e questo è certo un calcolo spannometrico poiché non conosco la potenzialità degli impianti né il numero di reattori spenti – circa il 10-15% di energia in meno.

Alla riapertura dei mercati sapremo se il rally del prezzo del petrolio di questi giorni si tramuterà in una tendenza chiara al rialzo. L’incremento di fabbisogno di oro nero del Giappone produrrà una scossa sui listini dei mercati. E di riflesso avremo uno shock petrolifero in piena regola. Il sistema produttivo è in grado di reagire alla nuova domanda? I paesi OPEC incrementeranno le attività estrattive? Gli USA metteranno mano alle famigerate riserve?

Qui entra in campo il ‘problema Libia’. L’Europa se n’è lavata le mani, con Italia e Germania su una linea prudente mentre Sarkozy spingeva già per la guerra totale (o Total) al dittatore libico. Gli Stati Uniti sono divisi fra amministrazione Obama desiderosa di cacciare il brutale Gheddafi e gerarchie militari tiepide sull’ipotesi di aprire un terzo gravoso conflitto. In mezzo gli interessi petroliferi degli inglesi – Bp e le sue dannate trivelle – già a far da grancassa agli insorti, speranzosi di trovare il nuovo link per inserirsi nel paese, mentre russi e cinesi, pronti a sostituire i ‘traditori italiani’ con le loro imprese e i loro soldi, restano freddini essendo in buoni rapporti con il Raiss. Questo scenario di blocco potrebbe essere risolto in un batter d’ali se domani i mercati dovessero aprire con il barile sopra i 105 dollari:


A fine Febbraio, infatti, all’apice della crisi libica, quando sembrava che Gheddafi dovesse abbandonare il paese da un momento all’altro, il greggio è volato sopra i 100 dollari. In un solo giorno era aumentato di dodici dollari. E allora la catastrofe giapponese potrebbe far rivedere i piani degli americani: il greggio dell’Arabia Saudita potrebbe non essere sufficiente. Le truppe mercenarie di Gheddafi stanno marciando su Bengasi senza trovare resistenza. Sta a vedere che ora andrà bene anche una No Fly Zone, fatta anche male.