Sorveglianza bancaria, ennesimo prologo di unione politica

barroso

La riunione di giovedì è stata l’occasione per Barroso di richiamare i governi a tenere in agenda per il 2013 il “piano per un’Unione economica e monetaria autentica e approfondita”, il piano presentato a Novembre e che include, come fase conclusiva di questo ulteriore processo integrativo, proprio l’unione politica. Non sembra che i capi di governo abbiamo mostrato di aver fretta, né pare che l’accordo sulla sorveglianza bancaria sia del tutto chiuso. Dovranno accordarsi sui requisiti patrimoniali delle banche e sulla standardizzazione dei meccanismi di risoluzione delle banche medesime, nonché dei sistemi di garanzia dei depositi dei singoli paesi. La partita è tutt’altro che chiusa.

Il documento della Commissione Europea pone in discussione alcuni aspetti che sarebbe stato utile discutere in sede di Consiglio. L’unione politica dovrebbe essere orientata secondo due principi cardine:

In primo luogo, nei sistemi di multilevel governance, la responsabilità dovrebbe essere garantita a quel livello in cui viene presa la relativadecisione esecutiva, pur tenendo in debito conto il livello in cui la decisione ha impatto.

In secondo luogo, nello sviluppo di EMU (Economic and Monetary Union) come integrazione europea in generale, il livello di legittimità democratica deve sempre rimanere commisurato al livello di trasferimento di sovranità dagli Stati membri a livello europeo.

Il primo punto dovrebbe avere una realizzazione pratica attraverso un rafforzamento del ruolo del Parlamento europeo in relazione alle decisioni prese dalla Commissione. Ma il ruolo dei parlamenti nazionali è tutt’altro che secondario: rimarrà sempre fondamentale nel garantire la legittimità dell’azione degli Stati membri nel Consiglio europeo, ma soprattutto nella condotta del i bilancio nazionale e delle politiche economiche in coordinamento sempre più stretto da parte dell’UE. Una forma di collaborazione è la benvenuta, poiché costruisce un mutuo riconoscimento fra le istituzioni, ma non può essere la base su cui poggia la legittimazione democratica della EMU: “That requires a parliamentary assembly representatively composed in which votes can be taken. The European Parliament, and only it, is that assembly for the EU and hence for the euro” (A Blueprint for a deep and genuine EMU, EC). Solo il Parlamento Europeo l’assemblea legittima che può assegnare legittimità all’Euro. Possono essere individuati due distinti livelli di discussione: per quelle decisioni che hanno effetto solo a breve termine; per decisioni che hanno effetto sull’architettura istituzionale dell’Unione, che prevedano quindi modifiche dei Trattati.

Da una parte, quindi, vi sarebbe quello che Barroso chiama “Economic dialogue”, il dialogo sulla situazione economica fra Consiglio, Commissione, Eurogruppo e BCE, che dovrebbe coinvolgere il Parlamento Europeo almeno nella discussione del Commission’s Annual Growth Survey, la relazione annuale della Commissione sulla crescita economica attraverso due dibattiti cruciali che il Parlamento dovrebbe tenere:

  1.  prima che il Consiglio europeo discuta la Commission’s Annual Growth Survey
  2. prima della adozione da parte del Consiglio delle raccomandazioni specifiche per paese (CSR) che potrebbero essere definite attraverso un accordo interistituzionale tra il Parlamento europeo, il Consiglio e la Commissione.

il Parlamento dovrebbe anche essere più direttamente coinvolti nella scelta delle priorità pluriennali dell’Unione; inoltre, dovrebbe essere regolarmente informato sulla preparazione e sull’attuazione dei programmi di adeguamento di bilancio per quegli Stati membri che ricevono assistenza finanziaria. In questo senso, il Parlamento potrebbe creare al proprio interno una commissione dedicata agli “Euro matters”, ai problemi dell’Euro.

Inoltre, al fine di creare una vera e propria sfera politica europea, la Commissione individua due aree di lavoro: a) la nomina da parte dei partiti dei candidati alla carica di presidente della Commissione; b) l’adozione della proposta recentemente presentata dalla Commissione per uno statuto riveduto dei partiti politici europei.

La riforma dell’architettura istituzionale, che passerebbe per una riforma dei Trattati, dovrebbe andare nel senso di un conferimento di poteri sopranazionali accompagnato da una forte legittimazione democratica.

Barroso prevede modifiche istituzionali per:

  • introdurre una procedura di codecisione semplificata (una sola lettura) per le revisioni dei bilanci nazionali da parte della Commissione, aspetto che comporterà una ulteriore delegazione di sovranità a Bruxelles da parte degli Stati nazionali;
  • eventuali misure destinate a rafforzare ancora di più rispetto a oggi la posizione del Vice Presidente per gli Affari economici e monetari, richiederebbe adeguamenti al principio di collegialità;
  • contemplare nel lungo periodo, al fine di consentire direzione politica e democratica, la responsabilità di una struttura simile a un Ministero del Tesoro della EMU in seno alla Commissione (di fatto, la comunitarizzazione delle politiche di bilancio);
  • in conseguenza del punto precedente, prevedere uno speciale rapporto di fiducia e di controllo tra il Vice Presidente per gli Affari economici e monetari e un “Comitato euro” del Parlamento europeo;
  • rafforzamento dell’Eurogruppo attribuendogli responsabilità per le decisioni sugli Stati membri, fatto che richiederebbe una modifica dei trattati in quanto l’Eurogruppo ha carattere puramente informale; la Commissione però mette in guardia dal rischio di creare una istituzione separata dai paesi non aderenti all’euro, poiché non terrebbe conto della convergenza fra la vigente composizione e i futuri membri della zona euro;
  • rafforzare la responsabilità democratica sulla BCE in quanto ora funge da supervisore bancario, in particolare consentendo il normale controllo di bilancio oltre che delle attività da parte del Parlamento europeo;
  • estendere le competenze della Corte di giustizia, vale a dire eliminando l’art. 126 comma 10 del TFUE, e quindi ammettendo procedure di infrazione per gli Stati membri o la creazione di nuove competenze e procedure speciali
    • [Art. 126 c. 10 TFEU: I diritti di esperire le azioni di cui agli articoli 258 e 259 (violazione obblighi dei trattati) non possono essere esercitati nel quadro dei paragrafi da 1 a 9 (divieto di disavanzi pubblici eccessivi) del presente articolo.]
  • estensione della procedura legislativa di codecisione alle materie economiche e monetarie, con voto a maggioranza qualificata;
  • autonoma tassazione e possibilità di emettere debito sovrano da parte dell’Unione, con attribuzione della co-legislazione al Parlamento Europeo.

Forse, per molti di questi aspetti, i popoli europei non sono ancora preparati. E l’assenza di una vera e propria opinione pubblica europea che non sia la sommatoria delle opinioni pubbliche nazionali continua ad essere il deficit democratico di gran lunga maggiore che il ‘progetto Barroso’ sfiora appena.

Trattato MES, le contestazioni della Germania

Articolo parzialmente estratto da: http://www.faz.net/aktuell/wirtschaft/europas-schuldenkrise/schuldenkrise-retten-ohne-ende-11832561.html

La Corte costituzionale federale tedesca deve pronunciarsi sui ricorsi contro il meccanismo europeo di stabilità (ESM), il salva-stati permanente. Un articolo pubblicato sulla FAZ ne elenca gli aspetti occulti, anche se il testo del MES è pubblico ed è facilmente reperibile in rete. Scrivono sulla FAZ che questa ambiguità di fondo è strettamente derivata dalla natura medesima del Trattato MES, che ricorda, nella stampa a caratteri piccoli e nei formalismi da studio legale anglosassone, taluni prodotti finanziari, con alcune parti in grassetto, per catturare la vista, ed altre disposizioni egualmente cogenti relegate ai paragrafi subordinati.

Davvero, si domandano sulla FAZ, la responsabilità della Germania è limitata ai 190 miliardi di euro? Il Ministro delle Finanze non si stancherà mai di sottolineare questo limite, ma la sua affermazione non troverebbe sostegno in quanto scritto nel trattato. In particolare, all’articolo 8, paragrafo 5, si parla della responsabilità limitata non al capitale, che ammonta a 700 miliardi di euro, ma al “prezzo di emissione del capitale”. Questo è estremamente importante, perché il consiglio dei governatori può decidere che il prezzo di emissione superi il valore nominale (cfr. articolo 8, comma 2). Ad esempio, “raddoppiando il tasso di emissione del MES, potrebbe aumentare la quota di responsabilità a quasi € 1400 miliardi, senza la necessità di una modifica del trattato e nemmeno di un aumento di capitale”.

Art. 8 comma 2

E’ abbastanza chiaro l’ultimo capoverso: “le altre quote sono emesse alla pari, salvo se in particolari circostanze il consiglio dei governatori decida di emetterle a differenti condizioni“. Questa è la classica clausola capestro che permette all’organizzazione finanziaria di modificare i termini di un contratto senza per questo doverlo ridiscutere con il contraente. Tipico dei Banksters.

I tedeschi hanno il timore, stando alla insolvenza della Grecia, alla condizione di pregiudizialità delle finanze del Portogallo, dell’Irlanda e oggi pure della Spagna, che la propria quota di capitale da versare per rendere solvibile il MES sia sempre e costantemente più alta rispetto a quanto pattuito. Infatti, il meccanismo di finanziamento del MES prevede che se uno stato membro non versa la propria quota di capitale, la medesima debba essere ripartita fra gli altri paesi partecipanti.

I timori sono fondati sulla presunta ambiguità insita nel disposto coordinato dell’articolo 9, commi 2 e 3, e dell’articolo 25, comma 2:

Articolo 9 comma 2

Articolo 9 comma 3

Articolo 25 comma 2

Grazie ai contributi aggiuntivi, l’onere per la Germania potrebbe aumentare ben oltre i 190 miliardi di euro indicati come limite nella parte iniziale del testo. L’aver “relegato” all’articolo 25 la clausola che rende il MES un fondo senza limiti, estensibile all’infinito, fa nascere il sospetto che nel trattato si celi l’inganno. Perché non mettere in chiaro che l’esposizione tedesca, così come quella di qualsiasi altro paese “solvibile”, può essere estesa a piacere, senza che i medesimi paesi siamo chiamati a discuterne?

Per giorni, l’opinione pubblica tedesca e il Parlamento sono stati intrattenuti a dibattere intorno alla questione se dare o meno al MES una licenza bancaria. Ma all’articolo 32, paragrafo 9, l’ESM viene esentato da qualsiasi obbligo di regolamentazione e di concessione di licenza in qualità di istituto finanziario. La licenza bancaria non è pertanto necessaria, e ciò è scritto palesemente.

Inoltre, l’articolo 21 attribuisce al MES la facoltà di finanziarsi anche sul mercato secondario, attraverso emissioni obbligazionarie sui mercati dei capitali. L’ipocrisia del non usare la parola “Euro Bonds” è evidente a chiunque, poiché tutti gli Stati membri sono responsabili in solido per le emissioni obbligazionarie del MES. L’affermazione della Cancelliera federale, Frau Merkel, gli Euro Bonds non verranno mai fatti almeno finché vivrò, contrasta stranamente con quanto emerge all’evidenza di chi legge il testo del Trattato MES.

Il MES si prefigura come uno strumento emergenziale. I parlamenti nazionali sono esautorati in quanto un eventuale loro intervento in forma di controllo o di preventiva approvazione delle deliberazioni del suo ‘Board’, renderebbero il sistema decisionale alquanto inefficace. Stesso discorso vale per il Parlamento Europeo. Ne consegue che sul MES non vi è alcun bilanciamento dei poteri, elemento imprescindibile di un sistema istituzionale democratico. Nessuno controlla il MES. Il Board del MES decide sulla base di emergenze e su richiesta dello Stato membro in difficoltà.  I membri del MES sono soggetti a immunità e le loro azioni sono coperte dal segreto (artt. 34-35):

Le camere e gli archivi sono inviolabili, tutte le attività del MES sono escluse dal controllo amministrativo, giudiziario o legislativo (articolo 32). Secondo la FAZ, viene così favorita l’insorgenza di un sistema finanziario/politico fortemente corrotto.

Abbiamo lasciato ai tedeschi la responsabilità storica di bocciare il Trattato MES come incostituzionale, condannandoli alla sentenza del “popolo che ha ucciso la Moneta Unica”. Ne pagheremo le durissime conseguenze.

https://yespolitical.files.wordpress.com/2012/06/trattato_mes.pdf

Il Trattato MES è antidemocratico ma non è un complotto degli Illuminati

Download Testo TRATTATO ESM (o MES) via Senato della Repubblica

Spiacenti, complottisti e teorici del Golpe bancario massonico. Il Trattato che istituisce il Meccanismo Europeo di Stabilità non è frutto di chissà quale loggia oscura, bensì dei governi europei. E’ invece vero che sia antidemocratico, ma non già per le ragioni enunciate da uomini mascherati in televisione – mi riferisco alla pantomima del complottismo in salsa Mediaset, ovvero a Adam Kadmon, che durante la trasmissione Mistero annunciava il MES come un nuovo strumento della futura Dittatura Europea.

Si può invece affermare che il deficit democratico è la malattia che affligge la costruzione europea sin dalle origini e che il ruolo del Parlamento – l’unica istituzione comunitaria eletta democraticamente – è sempre stato marginale e solo dopo molti anni l’evoluzione della integrazione europea ha prodotto un diverso equilibrio dei poteri ed oggi il Parlamento può discutere e votare alcuni provvedimenti del Consiglio o della Commissione (procedura di codecisione).

Il Trattato MES è, da questo punto di vista, dieci passi indietro. Sebbene anche la Comunità Economica Europea cominciò senza organi istituzionali elettivi, oggi la situazione dell’architettura istituzionale europea è ben diversa e il MES doveva essere calato al suo interno. Invece.

Invece il MES nasce con almeno tre peccati originali. Il primo è relativo al fatto che i prestiti del MES fruiranno dello status di creditore privilegiato (privilegiati sono quei creditori che godono del diritto di prelazione e hanno diritto ad essere soddisfatti prima di altri) in modo analogo a quelli del FMI, pur accettando che lo status di creditore privilegiato del FMI prevalga su quello del MES. Di fatto, il credito di un qualsiasi altro investitore può essere rinegoziato – come accaduto con il caso Grecia – ma il debito con il MES no. Il MES ha lo stesso status del FMI. Credito in cambio di politiche liberiste o ultraliberiste. Per questa ragione il FMI è stato chiamato “il bacio della morte”: i suoi prestiti non danno beneficio alcuno, ma servono a spazzar via quel poco di stato sociale che può esistere in un paese in crisi economica. Ne parlava Debora Billi, su Crisis? What Crisis?, qui.

Gli altri due difetti gravi risiedono uno nel meccanismo di voto, l’altro nel suo fondamento costituzionale. Scrive Antonio Padoa Schioppa:

La procedura prevista ha due difetti. Il primo è di esigere l’unanimità nelle decisioni essenziali, il secondo è di prevedere il voto ponderato anziché il voto per teste. Quando si è voluto creare un organo di decisione veramente funzionale ed efficace, la Banca Centrale Europea, il Trattato di Maastricht ha previsto per tutte le decisioni il principio maggioritario e per di più con il voto per teste e non per quote: conta la qualità degli argomenti, non il peso del Paese di appartenenza di chi li sostiene (Antonio Padoa-Schioppa, Il Trattato MES: osservazioni critiche, Centro Studi sul Federalismo, Aprile 2012).

Il meccanismo di voto ponderato è di diretta derivazione dal sistema già impiegato in Consiglio: un sistema che a lungo andare porta alla paralisi dell’organismo con conseguente necessità di riforme. Storicamente, ogniqualvolta si è riformato il meccanismo decisionale del Consiglio, si sono scelte forme alquanto barocche e inefficienti (vedasi il riparto del voto ponderato come modificato dal Trattato di Nizza e seguenti, quando l’apertura dell’Unione ad est ha allargato il tavolo del consiglio a ventisette capi di stato e di governo). Oggi il Consiglio è governato dalla diarchia Francia-Germania: nulla si muove senza il loro consenso.

Il secondo difetto del Trattato ESM ha natura diversa. Giustamente il Trattato ESM prevede ruoli importanti per la Commissione europea e per la Corte di Giustizia. Dunque la logica intergovernativa che domina in questa fase dell’Unione è stata qui superata e opportunamente corretta. Senonché il Trattato omette completamente il Parlamento europeo. Ciò ci sembra ingiustificabile. In un momento storico nel quale sempre più spesso si lamenta che il cittadino non si senta rappresentato dalle istituzioni dell’Unione, tagliare fuori il solo organo che possiede una legittimazione democratica diretta al livello europeo è peggio di un peccato di omissione: è un grave errore politico (Antonio Padoa-Schioppa, cit.).

Il Parlamento quindi è completamento escluso. Ma anche il presidente del Consiglio e il presidente della Commissione sono esclusi dalle riunioni del MES. Solo “il membro della Commissione europea responsabile degli affari economici e monetari e il presidente della BCE, nonché il presidente dell’Eurogruppo (se non è il presidente o un governatore), possono partecipare alle riunioni del consiglio dei governatori in qualità di osservatori” (Trattato MES, art. 5 c. 3). Infatti i membri del MES sono eletti dai governi che decidono di far parte di esso. Neanche il board della BCE è così dominato dalla logica intergovernativa. Che è poi questo il grande male europeo: le dinamiche politiche così inquinate dagli egoismi nazionali. Non esiste una classe politica europea. Esistono però dei governanti miserrimi che rispondono soltanto alla logica di perpetuare sé stessi e il proprio potere.

Libertà di condivisione in rete, sentenza storica della Corte di Giustizia Europea

Nel pieno delle proteste (non italiane) dell’accordo ACTA, giunge una storica sentenza della Corte di Giustizia Europea che determina così un precedente importante in favore della libertà di condivisione di contenuti audio e video sulle piattaforme di hosting in Internet.

La causa SABAM (una società di gestione che rappresenta gli autori, i compositori e gli editori di opere musicali del Belgio) vs. Netlog (piattaforma di “rete sociale”) è stata definita dall’Alta Corte di Bruxelles a favore di quest’ultima. La SABAM aveva citato in giudizio Netlog nel 2009 perché i suoi utenti divulgavano sul proprio sito contenuti multimediali la cui proprietà intellettuale era – fra l’altro – della SABAM medesima. Gli utenti del sito non facevano altro che postare filmati e canzoni in mancanza di qualsiasi autorizzazione da parte della SABAM e senza che la Netlog versasse alcun compenso a tale titolo. SABAM aveva dapprima richiesto a Netlog di firmare una convenzione relativa al versamento, da parte di Netlog, di un compenso per l’utilizzo del repertorio della SABAM, dopodiché, in seguito al diniego di Netlog, ha intimato alla medesima di cessare qualsiasi attività che violasse il diritto d’autore, ai sensi della legge nazionale belga.

Netlog, dinanzi a tale insistenza, ha opposto alla SABAM alcune obiezioni di carattere giuridico, ovvero:

– l’accoglimento dell’azione della SABAM equivarrebbe ad imporre alla Netlog un obbligo generale di sorveglianza, vietato dal[…]l’articolo 15, paragrafo 1, della direttiva 2000/31;

– la Netlog ha affermato, senza essere contraddetta dalla SABAM, che l’accoglimento di un’azione siffatta potrebbe avere l’effetto di costringerla a predisporre, nei confronti della sua intera clientela, in abstracto e a titolo preventivo, a sue spese e senza limiti nel tempo, un sistema di filtraggio della maggior parte delle informazioni memorizzate sui suoi server, al fine di individuare file elettronici contenenti opere musicali, cinematografiche o audiovisive sulle quali la SABAM affermi di vantare diritti e, successivamente, di bloccarne lo scambio;

– la predisposizione di un simile sistema di filtraggio farebbe, probabilmente, sorgere l’obbligo di sottoporre i dati personali ad un trattamento che deve essere conforme alle disposizioni del diritto dell’Unione sulla protezione dei dati personali e sul segreto delle comunicazioni.

La questione sollevata dinanzi al Giudice delle leggi comunitarie è relativa alle direttive 2000/31, 2001/29, 2004/48, 95/46 e 2002/58. Questo complesso normativo è possibile o no che sia interpretato come condizione ostativa ad un prestatore di servizi di hosting di predisporre un sistema di filtraggio delle informazioni memorizzate sui server? Un sistema che sia applicabile indistintamente nei confronti di tutti gli utenti, a titolo preventivo e a spese esclusive del servizio di hosting, senza limiti nel tempo, “idoneo ad identificare i file elettronici contenenti opere musicali, cinematografiche o audiovisive, onde bloccarne la messa a disposizione del pubblico” altrimenti lesiva del diritto d’autore?

La Corte ha ricordato che ai sensi dell’” articoli 8, paragrafo 3, della direttiva 2001/29 e 11, terza frase, della direttiva 2004/48, i titolari di diritti di proprietà intellettuale possono chiedere un provvedimento inibitorio nei confronti dei gestori di piattaforme di reti sociali in linea, come la Netlog, che agiscono in qualità di intermediari ai sensi delle suddette disposizioni, dato che i loro servizi possono essere utilizzati dagli utenti di simili piattaforme per violare i diritti di proprietà intellettuale”. Ma la competenza di tale ingiunzione inibitoria risiede in capo al giudice nazionale: esso deve avere la possibilità di “ingiungere a detti intermediari di

adottare provvedimenti diretti non solo a porre fine alle violazioni già inferte ai diritti di proprietà intellettuale […], ma anche a prevenire nuove violazioni (v. sentenza del 24 novembre 2011, Scarlet Extended, C-70/10, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 31).

In ogni caso, la normativa nazionale in materia di diritto d’autore non può “pregiudicare le disposizioni della direttiva 2000/31 e, più precisamente, i suoi articoli 12-15” (v. sentenza Scarlet Extended, cit., punto 34). In particolar modo, l’art. 15 paragrafo 1, della direttiva 2000/31, “vieta alle autorità nazionali di adottare misure che impongano ad un prestatore di servizi di hosting di procedere ad una sorveglianza generalizzata sulle informazioni che esso memorizza”. Tanto più che un tale “obbligo di sorveglianza generale sarebbe incompatibile con l’articolo 3 della direttiva 2004/48, il quale enuncia che le misure contemplate da detta direttiva devono essere eque, proporzionate e non eccessivamente costose”.

La Corte ha ricordato come la difesa del diritto fondamentale di proprietà deve “essere bilanciata con quella di altri diritti fondamentali” – punti 62-68 della sentenza del 29 gennaio 2008, Promusicae (C-275/06, Racc. pag. I-271); le autorità e i giudici nazionali devono “garantire un giusto equilibrio tra la tutela del diritto di proprietà intellettuale, di cui godono i titolari di diritti d’autore, e quella della libertà d’impresa, di cui beneficiano operatori quali i prestatori di servizi di hosting”. Pertanto un simile sistema di filtraggio sui contenuti ospitati sui server della Netlog:

– si prefigurerebbe come una “grave violazione della libertà di impresa del prestatore di servizi di hosting, poiché l’obbligherebbe a predisporre un sistema informatico complesso, costoso, permanente e unicamente a sue spese”;

– sarebbe altresì lesivo dei diritti fondamentali degli utenti dei servizi di hosting, ossia lesivo del loro “diritto alla tutela dei dati personali e la loro libertà di ricevere o di comunicare informazioni, diritti, questi ultimi, tutelati dagli articoli 8 e 11 della Carta” dei diritti fondamentali dell’Unione europea;

– potrebbe anche ledere la libertà di informazione, poiché tale sistema potrebbe “non essere in grado di distinguere adeguatamente tra un contenuto illecito ed un contenuto lecito, sicché il suo impiego potrebbe produrre il risultato di bloccare comunicazioni aventi un contenuto lecito”.

La decisione della Corte è stata quindi quella di interpretare il corpus normativo delle direttive 2000/31, 2001/29 e 2004/48 lette in combinato disposto e interpretate alla luce delle esigenze di tutela dei diritti fondamentali applicabili, nel senso che ostano all’ingiunzione, rivolta ad un prestatore di servizi di hosting, di predisporre il suddetto sistema di filtraggio.

ACTA, i segreti e le bugie

Ieri, mentre i giornali italiani erano intenti a osservare la novità della nevicata a Roma, in centinaia di città in tutta Europa si svolgevano manifestazioni contro ACTA, l’accordo commerciale anti contraffazione che l’Unione Europea ha firmato e che si appresta a adottare senza la benché minima discussione pubblica. E guardando la cartina qui sopra si può ben comprendere in quali paesi si stia organizzando una mobilitazione contro ACTA e in quali no. Il nostro paese è in prima linea fra quelli che se ne disinteressano. Tanto per capirci.

E’ stato detto che all’interno di ACTA nessuna norma esplicitamente metteva in opera meccanismi giuridici contro la libertà di internet. In un articolo di Timothy B. Lee, ‘Cosa Acta non dice’, apparso originariamente su Ars Techica con il titolo ‘As Anonymous protests, Internet drowns in inaccurate anti-ACTA arguments’, pubblicato in Italia da Valigia Blu con la traduzione di Fabio Chiusi, viene scritto in tono tranquillizzante e un po’ accademico, che “niente nel trattato sembra richiedere agli ISP di controllare il traffico dei loro clienti”. Lee sostiene che nell’articolo 27 comma 3 del testo finale di ACTA non si può ravvisare alcun riferimento alle pratiche francesi dei three strikes e delle disconnessioni.

Per meglio comprendere la veridicità dell’affermazione di Lee, è necessario prendere in esame l’art. 27 quasi per intero.

ARTICLE 27: ENFORCEMENT IN THE DIGITAL ENVIRONMENT

[Applicazione all’ambito digitale]

1. Ciascuna parte provvede affinché le procedure di attuazione, nella misura di cui alle Sezioni 2 (diritto civile) e 4 (esecuzione penale), siano disponibili nel proprio ordinamento giuridico, in modo da consentire un’azione efficace contro un atto di violazione della proprietà intellettuale e di diritti di proprietà che si svolge in ambito digitale, tra cui rapidi rimedi per prevenire violazioni e rimedi che costituiscano un deterrente contro ulteriori infrazioni.

1. Each Party shall ensure that enforcement procedures, to the extent set forth in Sections 2 (Civil enforcement) and 4 (Criminal Enforcement), are available under its law so as to permit effective action against an act of infringement of intellectual property rights which takes place in the digital environment, including expeditious remedies to prevent infringement and remedies which constitute a deterrent to further infringements.

Il comma 1 definisce le caratteristiche degli strumenti legislativi che devono operare in ambito digitale per “un’azione efficace” contro la violazione del copyright:

  1. rapidi rimedi per prevenire violazioni;
  2. rimedi che costituiscano un deterrente contro ulteriori infrazioni.
Prevenzione e deterrenza: come si possono tradurre questi due criteri – dico, tecnicamente e giuridicamente – in ambito digitale? ACTA non ce lo dice. Quindi è vero, ha ragione Lee: ACTA non prescrive le disconnessioni ma mette – e questo Lee non lo dice – i governi nelle condizioni per doverle adottare.
Il comma 2 rimescola le carte:
2. Fatto salvo il paragrafo 1, le procedure di attuazione di ciascuna parte si applicano alle violazione dei diritti d’autore o connessi su reti digitali, che possono includere l’uso illecito dei mezzi di vasta distribuzione per scopi illeciti. Queste procedure saranno applicate in modo tale da evitare la creazione di ostacoli alle attività legittime, compreso il commercio elettronico, e, coerentemente con la legislazione di detta Parte contraente, preservando i principi fondamentali quali la libertà di espressione, processo equo, e privacy.
2.  Further to paragraph 1, each Party’s enforcement procedures shall apply to infringement of copyright or related rights over digital networks, which may include the unlawful use of means of widespread distribution for infringing purposes. These procedures shall be implemented in a manner that avoids the creation of barriers to legitimate activity, including electronic commerce, and, consistent with that Party’s law, preserves fundamental principles such as freedom of expression, fair process, and privacy.
I mezzi di vasta distribuzione non sono altro che le piattaforme di filesharing. “Evitare la creazione di ostacoli alle attività legittime” può esser considerata una tutela delle migliaia di utenti che – come nel caso di Megaupload – utilizzano tali servizi di hosting per conservare i propri documenti. Una ulteriore tutela può esser intravista nell’ultimo capoverso, in cui è scritto che è necessario preservare i “principi fondamentali quali la libertà di espressione, processo equo, e privacy”. Le disconnessioni previste nell’Hadopi francese dovrebbero così essere scongiurate. Il comma 4 però pone altri problemi:
4. Una parte può fornire, in conformità alle proprie disposizioni legislative e regolamentari, alle sue competenti autorità il potere di ordinare a un provider di servizi online di rivelare rapidamente a un titolare di diritti [di proprietà intellettuale] informazioni sufficienti per identificare un utente il cui account sarebbe stato utilizzato per la violazione, se tale titolare ha presentato a norma di legge un sufficiente reclamo per infrazione di marchio o diritto d’autore o connessi, e laddove tali informazioni vengono richieste al fine di proteggere o di far rispettare tali diritti.
Tali procedure sono attuate in modo tale da evitare la creazione di ostacoli all’attività legittima, compreso il commercio elettronico, e, coerentemente con la legislazione di detta Parte contraente, conserva i principi fondamentali quali la libertà di espressione, di processo equo, e privacy.
4. A Party may provide, in accordance with its laws and regulations, its competent authorities with the authority to order an online service provider to disclose expeditiously to a right holder information sufficient to identify a subscriber whose account was allegedly used for infringement, where that right holder has filed a legally sufficient claim of trademark or copyright or related rights infringement, and where such information is being sought for the purpose of protecting or enforcing those rights.
These procedures shall be implemented in a manner that avoids the creation of barriers to legitimate activity, including electronic commerce, and, consistent with that Party’s law, preserves fundamental principles such as freedom of expression, fair process, and privacy.

Ed ecco il nonsense: quale autorità ha il potere di pretendere dall’ISP i dati dell’utente che viola il copyright? ACTA non specifica. Dice solo che le Parti contraenti hanno la possibilità di individuare all’interno del proprio ordinamento le autorità competenti per farlo. Può anche essere l’autorità giudiziaria, ma non è detto. Un giusto processo ha bisogno di tempo per poter essere celebrato. Come si integra il rispetto ai principi del giusto processo, il potere di poter pretendere i dati sensibili dell’utente e la rapidità dei meccanismi di prevenzione di cui al comma 1?

Secondo LQDN (La Quadrature du Netquesti meccanismi “sono chiamati dalla Commissione europea come “misure extra-giudiziarie” e “alternativi ai tribunali”. Di fatto, un giusto processo è tecnicamente impossibile per prevenire le azioni illegali in internet in materia di diritto d’autore. E di fatto viene attribuito a un privato il potere di perseguire il presunto trasgressore (a cosa volete che servano queste “informazioni” sull’utente?). Non è l’autorità giudiziaria o quella amministrativa (penso ad una Autority in stile HADOPI) a contrastare l’utente che viola il coyright ma lo stesso titolare del diritto d’autore. Questa si chiama giustizia privata.

[Rimando a ulteriore post per la parte relativa alle sanzioni]

Libero: uscire dall’Europa, istruzioni (deliranti) per l’uso

Esilarante prima pagina di Libero, questa mattina: il titolone a otto colonne, L’Europa vada all’Inferno, come una iettatura, una maledizione, un malocchio, un ‘vaffa’ non sanzionabile con le tre giornate di squalifica che invece si danno ai calciatori, regge un sottotitolo ancor più interessante, poiché segna il passaggio dalla pura imprecazione alla razionalizzazione di una scelta tecnica, la fuoriuscita dall’ordinamento europeo, tanto credibile e fattibile come è credibile e fattibile l’insieme degli atti che il governo dovrebbero compiere per dire addio agli ingrati di Bruxelles, fra cui il dimezzamento del debito pubblico. Il dimezzamento. Altro che manovre draconiane, altro che riduzione tasse. Sono pazzi questi berlusconiani?

Permessi di soggiorno, Malmstrom bacchetta Maroni e lui: non c’è niente di nuovo

Lei, Cecilia Malmstrom, è la commissaria europea agli Affari Interni. Ha inviato una lettera a Maroni, venerdì scorso, il cui contenuto è emerso solo in serata. La Malmstrom ha avvisato che Schengen non scatta in maniera automatica con il decreto legge del governo italiano sul permesso temporaneo. La normativa europea parla chiaro:

Direttiva 2001/55/CE: (14) L’esistenza di un afflusso massiccio di sfollati dovrebbe essere accertata con decisione del Consiglio, obbligatoria in tutti gli Stati membri nei confronti degli sfollati cui si riferisce. È altresì opportuno stabilire i casi e modi in cui cessano gli effetti della decisione stessa.

Regolamento CE 56/2006 (Schengen): punto 4.c  – i cittadini di paesi terzi che non soddisfano una o più delle condizioni di cui al paragrafo 1 possono essere autorizzati da uno Stato membro ad entrare nel suo territorio per motivi umanitari o di interesse nazionale o in virtù di obblighi internazionali.

Quindi: 1. è dirimente la decisione del Consiglio, il quale attesta la presenza di questo “massiccio” flusso migratorio; 2. l’autorizzazione “ad entrare” vale per lo Stato che la emette e non per gli altri (cito testuale “entrare nel suo territorio” che è diverso dal dire “entrare nel territorio dell’Unione Europea”).

Bastano questi due commi per spiegare che il nostro paese da solo non può decidere, assegnando il permesso temporaneo, di attribuire i privilegi di Schenghen ai migranti. In primis deve ottemperare ai doveri umanitari di ospitalità. Poi dovrà sollevare la questione all’interno delle istituzioni europee, ovvero nel Consiglio, in cui si accerta la presenza di una crisi umanitaria, di una “massiccio” numero di sfollati. La Germania, infatti, ci contesta proprio questo: il numero dei migranti non è tale da prevedere un intervento normativo ‘speciale’. Non c’è l’emergenza, che semmai è causata dalla impreparazione italiana (il CIE di Lampedusa era chiuso ed ha comuque un numero di posti insufficiente a contenere il principale afflusso di migranti in Italia). Insomma, è una questione di numeri. I migranti sono troppo pochi. Non per i media italiani, secondo cui il canale di Sicilia è invece un crocevia di barconi e zattere. Questione di realtà percepita: in Germania evidentemente possono contare su fonti – diciamo così – autentiche.

Il clima generatosi con le dichiarazioni di Berlusconi di ieri – l’Europa? Meglio dividersi se non c’è solidarietà – nonché la furbata maroniana del permesso temporaneo, rischiano di far saltare lo spazio europeo – infatti i lander tedeschi, dinanzi al lassismo italiano nel concedere diritti di circolazione poco giustificabili secondo le norme, già minacciano la sospensione di Schengen. La Merkel lamenta il fatto che l’Italia è abbastanza restia a concedere asilo politico. Alla base del guasto odierno c’è, ancora una volta, la scarsa armonizzazione delle politiche dell’immigrazione e delle procedure di concessione dell’asilo. Esiste un piano della Commissione diretto a modificare sostanzialmente la disciplina in merito al fine di armonizzare le politiche di asilo:

  • modifica della direttiva sulle condizioni di accoglienza (ES) (DE) (EN) (FR), occupandosi dell’elevato livello di discrezionalità degli Stati membri. La direttiva modificata dovrebbe permettere di ottenere una maggiore armonizzazione e migliori norme sull’accoglienza, tra cui quelle sulle garanzie procedurali per la detenzione;
  • modifica della direttiva sulle procedure d’asilo (ES) (DE) (EN) (FR), al fine di eliminare regimi procedurali eccessivamente disparati negli Stati membri. L’armonizzazione di queste garanzie permetterà di assicurare parità di condizioni di accesso alla protezione nell’Unione europea (UE);
  • modifica della direttiva sulla qualifica di rifugiato, per risolvere il problema delle diverse interpretazioni della direttiva da parte degli Stati membri causato dalla formulazione di alcune disposizioni. La modifica della direttiva permetterebbe inoltre di promuovere l’introduzione di status uniformi (Commissione UE).

Non è vero che l’Europa non è solidale in materia di immigrazione: la Commissione lavora per questo. Sono invece i governi nazionali, e in special modo il nostro, a essere reticenti in fatto di armonizzazione delle normative in merito. La ragione è politica: così come Sarkozy deve fronteggiare Le Pen sul piano del fenomeno migratorio, così Berlusconi deve pagare pegno ai leghisti ben sapendo che l’istigazione alla paura del diverso è un’arma molto redditizia in periodo elettorale (ricordate le elezioni del 2008?).

Invece di adottare un nuovo strumento globale per promuovere la solidarietà tra gli Stati membri, la Commissione intende stabilire una serie di meccanismi di solidarietà. A tal fine, la Commissione proporrà di:

  • lanciare uno studio per valutare le possibilità di trattamento congiunto a livello UE delle domande di asilo;
  • creare gli strumenti per sospendere temporaneamente l’applicazione delle norme di Dublino per il trasferimento dei richiedenti asilo;
  • creare un gruppo di esperti sull’asilo nell’ambito dell’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo, per assistere gli Stati membri nel trattamento delle richieste;
  • elargire finanziamenti per il reinserimento all’interno dell’UE di eventuali beneficiari di protezione internazionale (Commissione UE).

Una più stretta cooperazione europea si fa all’interno delle istituzioni europee, non minacciando fuoriuscite clamorose e dannose per il paese. A Berlusconi, domani a Bruxelles, non basteranno le barzellette per cavarsi d’impiccio. L’Italia è già ai margini della politica europea, ora rischia persino di causare una crisi delle istituzioni dell’Unione, già prima non proprio in buona salute.

Il decreto Maroni viola le norme comunitarie: prevista l’espulsione per i cittadini comunitari

Espulsione per i cittadini comunitari non in regola: così il governo mette il nostro paese fuori dall’Europa. Il decreto Maroni, varato ieri in un CdM turbolento per il dissidio nato fra Tremonti e Prestigiacomo, contiene una norma in palese contrasto con il principio europeo della libera circolazione degli individui (e ribadisco individui, non cittadini).

Il testo del comunicato stampa recita così: “espulsione del cittadino comunitario per motivi di ordine pubblico se questi permane sul territorio in violazione delle prescrizioni previste dalla direttiva europea sulla libera circolazione dei cittadini comunitari”.

La direttiva che regolamenta la materia è la 2004/38/CE. Ne trovate un sunto sul sito dell’Unione. In particolare, vorrei far notare come nella direttiva in questione si parli con tutt’altro tono (“in positivo”) del diritto di libera circolazione e stabilimento dei cittadini europei:

Qualsiasi cittadino dell’Unione ha il diritto di recarsi in uno Stato membro munito di una carta d’identità o di un passaporto validi. In ogni caso, non può essere imposto alcun visto di uscita o di ingresso. Se il cittadino in questione non dispone di documenti di viaggio, lo Stato membro ospitante gli concede ogni ragionevole mezzo affinché egli ottenga o faccia pervenire i documenti richiesti (Direttiva 2004/38/CE, cit.).

Tuttavia, la direttiva prevede chiaramente la possibilità di restrizioni al diritto medesimo per ragioni di “ordine pubblico, di sicurezza e di sanità pubblica”. Ma il legislatore europeo ha voluto porre dei paletti ben distinti all’azione del governo:

Tutti i provvedimenti relativi alla libertà di circolazione e di soggiorno devono rispettare il principio della proporzionalità e basarsi esclusivamente sul comportamento personale dell’interessato. Il comportamento personale deve rappresentare una minaccia effettiva e sufficientemente grave, che pregiudica un interesse fondamentale dello Stato ospitante (ibidem).

La minaccia ha la caratteristica di essere “effettiva e grave”; la responsabilità è “personale”. Ciò può bastare per espellere cittadini comunitari colpevoli di non avere una residenza stabile e di abitare in roulotte o costruzioni precarie e malsane? La risposta è ovviamente no: “in ogni caso, prima di adottare un provvedimento di espulsione dal territorio, lo Stato membro deve valutare alcuni elementi quali la durata della residenza nel suo territorio dell’interessato, l’età di quest’ultimo, il suo stato di salute, la sua situazione familiare e il grado di integrazione sociale nel paese che lo ha accolto così come i suoi legami con il paese d’origine. Solo in casi eccezionali, per motivi imperativi di pubblica sicurezza, un cittadino dell’Unione che abbia soggiornato nei dieci anni precedenti nello Stato ospitante o che sia minorenne può essere oggetto di una decisione di allontanamento”.

Il testo del governo dice un’altra cosa ed è di per sé incomprensibile: l’espulsione del cittadino comunitario – come la si vorrebbe introdurre con questo ennesimo decreto – dovrebbe verificarsi quando questi permane sul territorio in violazione delle prescirizioni della direttiva. Secondo la direttiva, per il diritto di soggiorno fino a tre mesi basta avere con sé i documenti (e se si è sprovvisti, si ha comunque un periodo di tempo per presentarne copia alle autorità); per periodi di tempo suepriori a tre mesi, esistono delle condizioni da rispettare, ovvero:

  • esercitare un’attività in qualità di lavoratore subordinato o autonomo;
  • disporre di risorse economiche sufficienti e di un’assicurazione malattia al fine di non divenire un onere a carico dell’assistenza sociale dello Stato membro ospitante durante il soggiorno. A questo proposito, gli Stati dell’Unione non possono fissare l’ammontare delle risorse considerate sufficienti, ma devono tener conto della situazione personale degli interessati;
  • seguire una formazione in qualità di studente e disporre di risorse sufficienti e di una assicurazione malattia per evitare di diventare un onere per il sistema di assistenza sociale dello Stato membro ospitante durante il soggiorno;
  • essere un familiare di un cittadino dell’Unione facente parte di una delle categorie sopra menzionate (ibidem).

Queste sono le uniche ragioni in mancanza delle quali, ai sensi della normativa comunitaria, si può essere espulsi anche se cittadino comunitario. Uno può anche non lavorare, ma deve dimostrare di avere a disposizione risorse sufficienti per mantenere sé medesimo e chi vive con lui. Quale è il grado ritenuto sufficiente? Si deve tener conto del caso personale.

Ora tutto ciò è già legge dello Stato. La Direttiva è stata recepita con il Dlgs n. 30/2007. Che senso ha allora il nuovo corpus normativo del Decreto Maroni? Verrà usato dai leghisti per chiedere a l’espulsione dei Rom? Oppure è una manovra a solo uso e consumo propagandistico? Questo, per esempio, il titolo de Il Giornale di stamane: