Allarme sanitario: la Sindrome di Stoccolma ha contagiato il Mondo intero!

FONTE: Liberarchia

Secondo recenti studi dell’ OMS (Organizzazione Militanti Sovversivi) una strana epidemia si sta diffondendo a macchia d’ olio in tutto il pianeta, e credo ti convenga leggere attentamente questo testo, perchè molto probabilmente SEI GIA’ STATO CONTAGIATO PURE TU!

Per chi come me è del tutto ignorante in materia medica, la Sindrome di Stoccolma è una condizione psicologica nella quale una persona vittima di un sequestro può manifestare sentimenti positivi (talvolta giungendo all’innamoramento) nei confronti del proprio sequestratore.
E per quanto possa sembrare incredibile questa patologia è stata riscontrata in intere masse di individui che collettivamente manifestano simili sintomi.
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Ddl Gelmini, l’aiutino dei finiani a Mister Cepu

Fra gli emendamenti approvati ieri durante il dibattito in aula sul Ddl Gelmini di riforma dell’Università, ce n’è uno che viene definito ‘anti-parentopoli’. E’ opera del deputato PD Eugenio Mazzarella, ed è stato votato anche dai finiani. Certo la norma è stata poi in parte disinnescata da un controemendamento del governo che impedisce l’assunzione di parenti di docenti o di personale associato solo nell’ambito del medesimo dipartimento, mentre il testo Mazzarella puntava a escludere l’assunzione all’interno dell’intera facoltà.

Tuttavia, poco dopo, gli stessi finiani che si sono scagliati contro l’ignominia di ‘parentopoli’, hanno impiegato il loro dito per votare a favore di un altra norma che non esclude l’attribuzione di una quota del 20% del fondo ‘meritocratico’ per le università private alle università telematiche: deve essere il Ministero a decidere in merito. Presto pronta l’equazione: fra i finiani siede una certa Catia Polidori, che il giornale ItaliaOggi, per mano di Franco Adriano, ci ricorda essere cugina di tal Francesco Polidori, il presidentissimo di Cepu, fedelissimo berlusconiano ma a quanto pare con un piede in FLI:Conclude il giornalista di ItaliaOggi, media affine al governo, “d’altra parte tutti tengono famiglia”, e i finiani non fanno eccezione. Certo che è veramente difficile per i vari Granata, Briguglio, Bocchino spiegare il loro voto a una norma del genere. Chissà cosa hanno promesso quando sono saliti sul tetto de La Sapienza.

 

Ddl Gelmini, le foto della protesta – occupata stazione Termini a Roma

Stazione Termini, roma - studenti occupano i binari

 

L'assedio di studenti e manifestanti a Montecitorio (foto La Repubblica)

L'assalto ai blindati della Polizia (foto La Repubblica)

Ddl Gelmini al voto della Camera: i finiani si riallineano, gli studenti no

La protesta dei ricercatori raggiunge il CERN di Ginevra

Domani alla Camera è previsto il voto definitivo al DdL Gelmini, che contine norme in materia di riorganizzazione delle Università. In realtà il provvedimento è in larga parte e per aspetti sostanzili un “cavallo di Troia”: all’articolo 5 contiene una delega che incarica il governo di redigere altri ulteriori decreti legislativi “finalizzati a riformare il sistema universitario per il raggiungimento” di una serie di obiettivi quali:

  • introduzione di meccanismi premiali nella distribuzione delle risorse pubbliche
  • revisione della disciplina concernente la contabilità, al fine di garantirne coerenza con la programmazione strategica triennale di ateneo
  • introduzione di un sistema di valutazione ex post delle politiche di reclutamento degli atenei
  • revisione, in attuazione del titolo V della parte II della Costituzione, della normativa di principio in materia di diritto allo studio e contestuale definizione dei livelli essenziali delle prestazioni (LEP) destinati a rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitano l’accesso all’istruzione superiore (art. 5, Atto Camera n. 3687).

Per i ricercatori, poi, il medesimo articolo 5 prevede, fra i principi di riordino che il governo è tenuto a seguire, la “revisione del trattamento economico dei ricercatori non confermati a tempo indeterminato, nel primo anno di attività, nel rispetto del limite di spesa di cui all’articolo 25, comma 11, primo periodo” (ibidem). Inoltre, nella predisposizione del piano triennale finanziario-patrimoniale che i senati accademici sono obbligate da questa normativa a preparare, deve essere previsto il riequilibrio dei “rapporti di consistenza del personale docente, ricercatore e tecnico-amministrativo, ed il numero dei professori e ricercatori di cui all’articolo 1, comma 9, della legge 4 novembre 2005, n. 230, e successive modificazioni”; la mancata adozione, parziale o totale, del predetto piano comporta “la non erogazione delle quote di finanziamento ordinario relative alle unità di personale che eccedono i limiti previsti” (ibidem). In poche parole, i Rettori sono obbligati a licenziare i ricercatori, i docenti, il personale tecnico-amministrativo che considerano in eccesso, altrimenti niente finanziamenti dallo Stato.

E gli studenti? Lo studente rappresenta una risorsa per l’Università, ma nel testo della riforma Gelmini, essi compaiono come un costo. Le Università sono obbligate a introdurre un “costo standard unitario di formazione per studente in corso, calcolato secondo indici commisurati alle diverse tipologie dei corsi di studio e ai differenti contesti economici, territoriali e infrastrutturali in cui opera l’università” (ibidem). A questo costo standard è collegata l’attribuzione all’università di una percentuale della parte di fondo di finanziamento ordinario non assegnata.

Le proteste dei ricercatori e degli studenti hanno oggi raggiunto il duomo di Milano e persino il CERN di Ginevra. Domani il dibattito in aula sarà seguito dagli studenti in mobilitazione, riuniti in un sit-in davanti a Montecitorio. Non ci sarà alcuna sorpresa da parte dei finiani: lo stesso Fini ha definito questa riforma come la migliore mai fatta da questo governo, il che la dice lunga sul tenore delle altre riforme.

Su questo blog, la diretta streaming dall’aula della Camera dei Deputati.

Boccia boccia il corteo Fiom, Bersani no: il PD nella bufera

Francesco Boccia è il coordinatore delle commissioni economiche del Pd; è stato l’avversario di Vendola alle primarie in Puglia, perdendo, due volte. Boccia oggi aveva da togliersi qualche sassolino dalle scarpe. Strano prendersela con il corteo Fiom, lui, che dovrebbe essere un dalemiano doc. Si direbbe che un dalemiano debba avere a cuore le sorti della sinistra, soprattutto del sindacato. Dovrebbe certamente non osteggiare la piazza, poiché là solitamente scendono i lavoratori, e allora è utile non metterseli contro, no? Invece oggi scopriamo che Boccia non è più dalemiano, bensì lettiano: strani effetti delle correnti.

Boccia ha avuto qualche prurito sapendo che i lavoratori non sono stati lasciati soli. La manifestazione Fiom è stata appoggiata, da settimane, da intellettuali (girotondini con Flores D’Arcais e il famoso appello di Hack, Camilleri, Don Gallo), da partiti come SeL, IDV, Rifondazione Comunista, ecc. Il PD ha scelto per “l’appoggio esterno”: in piazza vi era Fassina, il responsabile Economia e Lavoro del PD, braccio destro di Bersani. Insomma, Bersani inviando Fassina ha voluto mandare un segnale chiaro a Fiom e alla CGIL. Anche al suo stesso partito. Il PD c’è, anche se non si vede.

Invece Boccia se l’è presa con “gli intellettuali”, quelli con l’auto blu, i politici con la pensione:

Comprendo i deputati ex sindacalisti ma sono nauseato dalle finzioni, di veder sfilare per qualche ora intellettuali che guadagnano milioni di euro l’anno, exdeputati che vivono con il vitalizio e politici che dopo la sfilata e la passerella davanti alle tv tornano a casa con le loro auto blu (AGI – Diritto Oggi).

Solo stamane, Fassina scriveva su L’Unità “aderire no, ma partecipare si”. Riconoscendo che i “movimenti non violenti e democratici sono linfa vitale per un partito di popolo”, Fassina ci spiega che il PD è “il partito fondato sul lavoro”, ma la rincorsa di domande di rappresentanza parziali (l’appoggio a Fiom) indebolirebbe la funzione di proposta generale (l’essere un interlocutore valido per Confindustria una volta che il PD sarà al governo). Il dilemma è risolto con la formula dell’esserci senza farsi vedere. Un PD in borghese, infiltrato fra gli operai, insomma. Però Boccia è infastidito dall’ipocrisia di questi intellettuali e di ex deputati (Ferrero? Diliberto?) con il vitalizio. Certamente uno sfogo comprensibile e condivisibile, se Boccia fosse sceso in piazza, se Boccia avesse fatto veramente le battaglie insieme alla Fiom. Se Boccia si fosse speso sino al midollo per i diritti dei precari. Ma non mi risulta che questo sia avvenuto. Perciò la sua polemica è sterile. Forse che i lavoratori metalmeccanici dovevano scendere in piazza da soli? Meglio isolarli?

Bersani, come la scorsa domenica con Fassino, è dovuto intervenire per correggere – indirettamente –  la dichiarazione di Boccia:

L’unita’ del mondo del lavoro e’ una energia indispensabile per costruire un’alternativa di governo che davvero metta al centro delle politiche economiche l’occupazione che e’ l’assoluta priorita’ per il Paese (AGI News On).

Il richiamo all’unità, dico io, valga anche per il PD.

 

 

Oui, la Gauche! Italia e Francia sindacati in piazza

La crisi non c’è ma in Europa si riempiono le piazze. E’ un Ottobre rosso. In Italia, la manifestazione della Fiom in difesa del Contratto Nazionale, della democrazia e dei diritti dei lavoratori, conta da sola almeno più di cinquecentomila persone. Un corteo infinito, che Piazza S. Giovanni stenta a contenere. In Francia, la manifestazione generale del sindacato contro la riforma delle pensioni voluta dal governo e dal presidente Sarkozy – pensate, si tratta dell’aumento dell’età pensionabile da 60 anni a 62… Si sono così svolte manifestazioni in tutto il paese: Le Monde parla di tre milioni di persone.

foto di Le Monde e La Repubblica

Collegato Lavoro, il governo ci riprova con l’arbitrato

Il Collegato Lavoro, la legge che modifica la disciplina del licenziamento, già rimandata alle Camere dal presidente della Repubblica Napolitiano, approda al Senato nella sua seconda formulazione con altre modifiche apportate dal Governo in senso peggiorativo rispetto al testo come emendato dalla Camera nella seconda rilettura. In particolare, l’intento del relatore di maggioranza (PdL), Maurizio Castro, è puramente orientato a restaurare il testo originale dell’articolo 31, comma 9, relativo all’Arbitrato, cancellando la modifica ottenuta dal Pd nel passaggio alla Camera con il cosiddetto emendamento Damiano (PD).

Il PD alla Camera, infatti, era riuscito con la piccola modifica di una parola a cambiare di senso l’intero articolo:

L’emendamento si riferi[va] all’articolo 31 del testo e in particolare al nono comma. Nella versione precedente si affermava che “le commissioni di certificazione accertano l’effettiva volontà delle parti di devolvere ad arbitri le controversie che dovessero insorgere in relazione al rapporto di lavoro”; il testo dell’emendamento sostituisce alle parole “che dovessero insorgere” con “insorte”, pertanto la nuova formulazione della norma delimita l’arbitrato solo alle controversie passate e non a quelle eventuali e future, com’era nelle intenzioni precedenti. In questo modo ogni lavoratore potrà o meno scegliere l’arbitrato solo dopo che la controversia sarà sorta e non all’inizio del suo rapporto di lavoro (Emendamento 31.33 al ddl C.1441-QUATER-D [Collegato Lavoro – rinviato dal Presidente).

L’articolo 31, comma 9 diventava così il comma 10, con il seguente testo:

10. In relazione alle materie di cui all’articolo 409 del codice di procedura civile, le parti contrattuali possono pattuire clausole compromissorie di cui all’articolo 808 del codice di procedura civile che rinviano alle modalità di espletamento dell’arbitrato di cui agli articoli 412 e 412-quater del codice di procedura civile, solo ove ciò sia previsto da accordi interconfederali o contratti collettivi di lavoro stipulati dalle organizzazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. La clausola compromissoria, a pena di nullità, deve essere certificata in base alle disposizioni di cui al titolo VIII del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, dagli organi di certificazione di cui all’articolo 76 del medesimo decreto legislativo, e successive modificazioni. Le commissioni di certificazione accertano la effettiva volontà delle parti di devolvere ad arbitri le controversie insorte in relazione al rapporto di lavoro. La clausola compromissoria non può essere pattuita e sottoscritta prima della conclusione del periodo di prova, ove previsto, ovvero se non siano trascorsi almeno trenta giorni dalla data di stipulazione del contratto di lavoro, in tutti gli altri casi. La clausola compromissoria non può riguardare controversie relative alla risoluzione del contratto di lavoro. Davanti alle commissioni di certificazione le parti possono farsi assistere da un legale di loro fiducia o da un rappresentante dell’organizzazione sindacale o professionale a cui abbiano conferito mandato (Legislatura 16º – Disegno di legge N. 1167-B/bis).

Castro invece corregge Damiano reintroducendo la formulazione originale del “che dovessero insorgere”; quindi la scelta del lavoratore di optare o meno per l’arbitrato in caso di controversie con il datore di lavoro deve avvenire all’inizio del suo rapporto di lavoro. Secondo il relatore, l’emendamento restaurativo ha l’avvallo del Ministro del Welfare Sacconi. Per il PD e i sindacati è assolutamente peggiorativo e non coglie in alcuna maniera i rilievi del Quirinale. Di fatto il governo, con gran sfoggio di arroganza, pretende di tornare in aula con il Collegato Lavoro nella sua forma originale, con addirittura alcuni cambiamenti ancor più restrittivi per chi intende ricorrere contro un ingiusto licenziamento:

  • Le clausole compromissorie vanno certificate dalle commissioni di certificazione […] Pena l’inefficacia dell’impugnativa
  • Il termine decorre dal deposito del ricorso alla cancelleria del tribunale;
  • [Per il licenziamento orale] il legislatore ha stabilito 90 giorni per rivendicare i propri diritti […] Se non sono indicati i motivi, il lavoratore ha 90 giorni per impugnarlo;
  • Il legislatore, in quest’ultimo caso, inverte l’onere della prova, stabilendo che spetta al datore
  • Co.Co.Co. – disinnescare il contenzioso sorto con la stabilizzazione delle collaborazioni coordinate e continuative: per poter accedere alla “sanatoria”, il datore di lavoro deve aver offerto entro il 30 settembre 2008 la stipula di un contratto subordinato anche a termine; dopo l’entrata in vigore del collegato lavoro, deve offrire di nuovo un’occupazione a tempo indeterminato – qui la novità – «in mansioni equivalenti a quelle accertate» (Ricorso entro 90 giorni sul licenziamento a voce – Il Sole 24 ORE)
l relatore di maggioranza (Pdl) Maurizio Castro ha proposto dicancellare la modifica ottenuta dal Pd nel passaggio alla Camera del Collegato Lavoro con l’emendamento Damiano (Pd).

Una svolta per il PD: andare oltre, verso il lavoro e il contratto unico di inserimento

Ieri si è svolta la riunione della Direzione del PD: Bersani ha parlato di "vergogna" per una "generazione buttata al macero in termini di prospettiva e di diritti". Parlava di lavoro? Forse. Forse si riferiva al fatto che è necessario dotarsi di una proposta chiara in merito. Ha poi aggiunto: ci vuole una "politica industriale e degli investimenti", bisogna "dare lavoro". Non solo. Aggiungiamo da queste colonne: bisogna dare lavoro stabile. Bisogna ripartire dai diritti. E quindi il superamento del dualismo del mercato del lavoro è coessenziale alla vita stessa del PD. ‘Andare Oltre’, per usare ancora una volta le parole di Giuseppe Civati, significa in questo momento, per il dilemma lavoro, mettere insieme i pezzi di normative innovative che qua e là vengono presentate senza una effettiva armonizzazione. Se Bersani vuol davvero andare oltre alle beghe da bocciofila, se vuol davvero superare il guano delle correnti e dei cacicchi, dei prodiani e dei federalisti, dei franceschiniani e della fronda cattolica, bene, unifichi il partito intorno al dilemma lavoro, sintetizzi il tutto in una proposta che sia in grado di far fare al partito medesimo quello scarto verso il futuro che lui stesso auspica. Poiché i lavori già presentati da deputati e senatori e professori del PD sono tre (quattro, considerando il doppio DDL a firma Ichino e altri) e una sistematizzazione dei punti chiave si rende obbligatoria.
Eccoli esposti, attingendo a piene mani dal sito dello stesso prof. Ichino (vedi link sottostante):

DDL n. 1481/09 Ichino + 34 (sperimentazione flexsecurity) e DDL n. 1873/09 Ichino + 53, artt. 2119-2120 (nuovo Codice del lavoro)
PDL n. 2630/09 Madia Miglioli Gatti (C.U.I.F., Contratto Unico di Inserimento Formativo)
DDL n. 2000/10 Nerozzi (modellato sul progetto Boeri-Garibaldi)

Convergenze oramai acquisite:

– adozione della nozione di dipendenza economica come nuovo criterio di delimitazione del campo di applicazione della maggior parte della normativa protettiva in materia di lavoro […] l’idea di far leva su questa nozione per il superamento del dualismo del mercato del lavoro italiano è stata fatta propria dalla Cgil nel suo congresso nazionale del 2006 (Rimini);

– necessità che l’istituzione del nuovo tipo legale di contratto di lavoro si accompagni all’assorbimento in esso di tutte le forme di lavoro atipico oggi utilizzate dalle imprese per ridurre la stabilità del rapporto nella fase di ingresso e a un ritorno alla limitazione del contatto a termine a una casistica ben determinata.

Differenze sostanziali:

due innovazioni, presenti soltanto nel primo e non nei secondi:

severance cost (progetto Blanchard-Tirole 2004): sostituzione del filtro del controllo giudiziale sul motivo dei licenziamenti economico-organizzativi con il filtro costituito dal costo dei licenziamenti stessi volto a responsabilizzare le imprese circa la sorte dei propri ex-dipendenti nel mercato del lavoro;

– istituzione di un trattamento di disoccupazione universale, applicabile a tutti i nuovi rapporti di lavoro caratterizzati da dipendenza economica, fondato su due pilastri:
il trattamento-base a carico dell’Inps;
il trattamento complementare a carico dell’impresa (nel quadro del “contratto di ricollocazione” dovuto a chi perde il posto);
quest’ultimo costituisce un forte incentivo all’attivazione di buoni servizi di assistenza al lavoratore licenziato nel mercato (outplacement, riqualificazione professionale mirata agli sbocchi occupazionali effettivamente possibili, ecc.), poiché più presto il lavoratore viene ricollocato, minore è il costo del trattamento complementare per l’impresa.

– libertà del primo contratto a termine tra le stesse due parti, estendendo ad esso l’indennità finale di mancata conversione in contratto a tempo indeterminato, allo scopo di allineare perfettamente il costo di questa forma di ingresso nel tessuto produttivo rispetto al costo del lavoro ordinario a tempo indeterminato
(http://www.pietroichino.it/?p=6989).

Possibilità di sintesi dei progetti? Una ipotesi: implementazione fra la disciplina Ichino in fatto di licenziamento economico (che prevede sì la deroga complessiva all’art. 18, ma introduce il trattamento complementare di disoccupazione, un costo nuovo per l’impresa, che dura finché il lavoratore non viene ricollocato), con limitazione nel tempo, e disciplina Madia/Nerozzi in fatto di licenziamento disciplinare, ovvero mantenimento dell’articolo 18 senza introdurre pericolosi ambiti di discrezionalità per il giudice. Una valutazione dei benefici ricadenti sulle opportunità di ricollocazione del lavoratore connessi all’introduzione del trattamento complementare a carico dell’impresa è assolutamente necessaria: ovvero, sarebbe opportuno rispondere alle seguenti domande: "fino a quanto l’impresa è interessata a ricollocare il lavoratore?", "lo farebbe in caso di passaggio a soggetti concorrenti?", e poi "quali strumenti formativi dovrebbe poter impiegare e chi è il soggetto che ha la responsabilità di organizzarli?".
I severance cost possono avere soli benefici per il lavoratore? Quindi una fase di sperimentazione potrebbe essere utile per comprendere meglio i ruoli in gioco e la loro effettività.
L’outplacement deve necessariamente diventare una attività dell’impresa, che diventa soggetto sostitutivo in materia di collocamento nel mondo del lavoro. L’impresa diventa responsabile del destino del proprio ex-lavoratore, ma al tempo stesso, la leva dei costi del licenziamento non può cancellare del tutto il diritto del lavoratore (art. 18), semmai lo può sostituire per un periodo limitato di tempo (non superiore ai 5 anni). Al medesimo momento, la necessità condivisa da tutti e tre i progetti di ridurre le forme contrattuali atipiche ad una sola non può cancellare la forma contrattuale a tempo determinato, la quale dovrà subire un restringimento di ambito di applicazione e un aggravio di costi affinché risulti allineata alla forma a tempo indeterminato.

Per riassumere:
Disciplina del licenziamento economico

  • Ichino n. 1: Indennità di licenz. (1 mese per anno anz.) + tratt. complementare di disoccupazione a carico dell’impresa
  • Ichino n. 2: Indennità di licenz. (1 mese per anno anz.) + tratt. complementare di disoccupazione a carico dell’impresa
  • Madia: la prima fase (<3a.) è contratto a termine, con libertà di scelta delle parti circa la convers. in rapporto regolare; poi art. 18 S.L.
  • Nerozzi: Indennità di licenz. pari a 5 gg. per mese di anzianità, fino al limite massimo dei 3 anni; poi art. 18 S.L.

Disciplina del licenziamento disciplinare

  • Ichino n. 1: Controllo giudiziale pieno, con risarcimento e/o reintegrazione a discrezione del giudice – DEROGA all’art. 18
  • Ichino n. 2: Controllo giudiziale pieno, con risarcimento e/o reintegrazione a discrezione del giudice – DEROGA all’art. 18
  • Madia: Controllo giudiziale pieno, con risarcimento e reintegrazione secondo art. 18 S.L.
  • Nerozzi: Controllo giudiziale pieno, con risarcimento e reintegrazione secondo art. 18 S.L.

Trattamento di disoccupazione al termine (base attuale + tratt. complementare a carico impresa)

  • Ichino n. 1: Primo anno 90% con tetto 36.000 euro, poi decresc. per altri 3 anni: 80%, 70%, 60%
  • Ichino n. 2: Primo anno 90% con tetto 36.000 euro, poi decresc. per altri 2 anni: 80% e 70%
  • Madia: Accesso al trattamento di disoccupazione oggi vigente (non è previsto tratt. complementare)
  • Nerozzi: Accesso al trattamento di disoccupazione oggi vigente (non è previsto tratt. complementare)

Quale Contratto Unico contro la precarietà: critica al DDL Nerozzi-Marini e ipotesi per una terza via

Per ‘rirprenderci la politica’ il passaggio obbligato è il confronto con la realtà. E la precarietà del mondo del lavoro è realtà. Perciò, se la realtà dà fastidio, se non si hanno risposte per le domande che inevitabilmente pone, allora si occupano le colonne di giornali perdendosi in discussioni sulla forma del Partito Democratico. Sì, è una critica a Prodi e pure a Chiamparino, che discutono amabilmente, da finissimi teorici del nulla, di partito federale piuttosto che centralizzato, dimenticandosi che il PD è andato a Congresso solo lo scorso Ottobre e le primarie le ha vinte una certa corrente che ha una certa idea, dichiarata, di partito.

Stop. Non c’è altro da aggiungere. E soprattutto, non c’è altro tempo da perdere. Vadano alla bocciofila: alla loro età è rimasto quello.

Perciò qui si parla di precarietà e di lavoro. Di superamento della precarietà come della regola, di relegare la precarietà nell’ambito dell’eccezione. E allora ci sovviene in aiuto il lavoro di Davide Imola, esperto di Mercato del Lavoro e responsabile Professioni CGIL, socio fondatore di “Associazione 20 Maggio – Per una flessibilità sicura”, del Forum per il Lavoro del PD, autore di una analisi della proposta Nerozzi-Marini comparata con i precedenti lavori, la ‘bozza Ichino’ e il progetto di legge riferibile al professor Boeri. Il lavoro che qui si ripropone – è disponibile in diversi documenti sul web – è assolutamente copyleft, anzi, se ne fa un punto di partenza per cominciare a discutere di precarietà, riportando all’attenzione che merita, alla ribalta nazionale, se possibile togliendo la scena alle inutili discussioni del ‘se prender parte’ alla mattanza costituzionale voluta dalla maggioranza. Si può scegliere e cliccare sull’immagine in apertura post oppure no. Ma la scelta è una scelta di campo: o stai dalla parte del vero o dalla parte del nulla. Decidi tu, lettore.

Per Imola, il DDL Nerozzi, così come la bozza Ichino, non “affronta realmente il tema della precarietà e del superamento condiviso e riformista di uno dei grandi problemi della nostra società”. Entrambi i progetti di legge “si nascondono dietro alla precarietà per affrontare il tema della flessibilità” esclusivamente “in uscita”. Si deve invece “considerare sia il punto di vista dei costi delle imprese che hanno usato le forme di lavoro precario per uscire dal costo delle tutele e dei diritti finendo per danneggiare milioni di famiglie e la competitività del nostro paese, sia quello dei lavoratori oramai non solo giovani e per di più con competenze intellettuali ad alta scolarità ma trattati con meno tutele delle donne delle pulizie e dei manovali edili”. E le riforme andrebbero comunque fatte con il sostegno più ampio e la più alta condivibilità possibile. Anche il testo Boeri sarebbe ispirato ai principi della flexsecurity, ma trattando apertamente della flex, dimentica di introdurre elementi concreti di security. Insufficiente sarebbe infatti l’apporto normativo in termini di flessibilità in uscita per i lavoratori, in fatto di percorsi di ricollocazione al lavoro, formazione ed estensione degli ammortizzatori. Il nodo principale che non ha il coraggio di prendere in considerazione, come del resto tutta la politica, è la fuga dal ‘costo dei diritti’.

Il documento qui pubblicato è auspicabile che serva a riaprire il dibattito. Cervelli Fertili, ora al lavoro per cambiare ciò che non va.

sperto di Mercato del Lavoro e responsabile Professioni CGIL

Il PD contro il precariato: contratto unico e flexsecurity. Il DDL Nerozzi-Marini.

Un disegno di legge a firma di 47 senatori del Partito Democratico è forse il primo tentativo fatto durante questa legislatura di metter fine alla questione del lavoro nella formula tutta italiana del precariato senza tutele e senza limiti temporali.
I senatori del PD hanno cercato di concretizzare in questo testo le proposte in materia di contratto unico e salario minimo formulate dagli economisti Boeri e Garibaldi (T. Boeri, P. Garibaldi, «Un nuovo contratto per tutti», Milano, Chiare lettere, 2008), nonché la bozza di riforma proposta a sua volta da Pietro Ichino e imperniata sul concetto della flexsecurity (se ne parla qui), nella nuova formula contrattuale che passa sotto il nome di Contratto Unico di Inserimento con l’intento di eliminare la giungla di forme contrattuali introdotte con la Legge n. 30, la cosiddetta Legge Biagi, e di dare tutele crescenti a quei lavoratori oggi senza tutela alcuna.

Diciamo subito che il disegno di legge non elimina la condizione di precariato: tuttavia, è un tentativo di regolarla sotto una forma certa e ripetibile per tutti i nuovi lavoratori. Dure critiche sono subito piovute sui 47 firmatari: secondo la CISL, il progetto di legge aprirebbe “una voragine per tutti i nuovi contratti per i quali, per almeno tre anni, non si applicherebbe l’art.18, cioè nessuna tutela rispetto ai licenziamenti”. Ma il ddl distinguerebbe – per la fase iniziale, detta di ‘ingresso’, della durata massima di anni tre –  solo la fattispecie del licenziamento economico, tutelando comunque il lavoratore con il riconoscimento della tutela obbligatoria sotto forma di indennità. Per tutte le ulteriori cause di licenziamento, in special modo il licenziamento disciplinare, restano ferme le disposizioni vigenti (quindi anche l’art. 18). Vale a dire, si passa da una condizione di ‘nessuna tutela’ del sistema attuale, dove al precario non viene rinnovato il contratto di lavoro interinale, ad una dove esistono forme di tutela crescenti fino alla condizione di tutela massima che è quella propria del lavoratore cosiddetto ‘insider’. Analoga critica proviene anche da ambienti vicini al ministro del Lavoro Sacconi per bocca del giuslavorista Michele Tiraboschi, ex allievo di Marco Biagi.

Le tutele che si vogliono introdurre sono di due tipi:

  • contrattuale, di tipo crescente;
  • salariale, con lo strumento del salario minimo;

ma intervengono anche nei casi di forme contrattuali di collaborazione coordinata e continuativa, nei cosiddetti Co.Co.Co., e pure nei contratti a progetto, stabilendo che qualora il contenuto economico della prestazione lavorativa sia al di sotto di una soglia minima, fissata in 25.000 euro, il contratto debba considerarsi di tipo subordinato, con l’estensione delle tutele previste dal Contratto Unico di Inserimento.

Insomma, un progetto destinato a far discutere, sia a destra che a sinistra, e a metter in difficioltà il mondo sindacale, ma che ha senza dubbio il merito di dare risposte chiare alla duplice esigenza della stabilità lavorativa e di un certo grado di libertà nelle scelte imprenditoriali in fatto di forza lavoro che ha finora spaccato il mondo del lavoro fra garantiti e precari senza tutela, fra ‘insider’, lavoratori stabilizzati e sottoposti pienamente al diritto del lavoro, e lavoratori ‘outsider’, per i quali il diritto del lavoro non trova applicazione.

Questi i punti fondamentali del Disegno di Legge Nerozzi-Marini:

    • Il nuovo strumento contrattuale – denominato «contratto unico di ingresso» (CUI) – si candida infatti a diventare la forma «tipica» di prima assunzione alle dipendenze del medesimo datore o committente (articolo 1)
    • Concepito secondo un’articolazione in due fasi – una «fase di ingresso», di durata non superiore a tre anni, e una successiva «fase di stabilità» – il CUI è a tutti gli effetti un contratto di dipendenza a tempo indeterminato caratterizzato da un meccanismo di tutela progressiva della stabilità (articolo 2)
    • Esso prevede, nel passaggio di fase, un grado crescente di protezione contro il licenziamento individuale. Durante la fase di ingresso, infatti, in caso di licenziamento per motivi economici (o comunque diversi dal licenziamento disciplinare), si dispone che al lavoratore venga in ogni caso riconosciuta la tutela obbligatoria, nella forma di un’indennità di licenziamento di ammontare pari a cinque giorni di retribuzione per ogni mese di prestazione lavorativa. L’entità della compensazione monetaria è dunque rapportata alla durata del rapporto: dopo sei mesi di lavoro essa è pari a un mese di retribuzione; dopo tre anni è pari a sei mensilità.
    • A decorrere dall’inizio della fase di stabilità, la protezione si espande alla tutela reale, laddove già prevista dall’ordinamento vigente
    • resta comunque ferma l’applicazione della normativa vigente in caso di licenziamento disciplinare e di licenziamento del quale il giudice ravvisi un motivo determinante discriminatorio o un motivo futile totalmente estraneo alle esigenze proprie del processo produttivo (articolo 4)
    • Fermo restando il limite massimo dei tre anni, una diversa durata della fase di ingresso può essere stabilita dai contratti collettivi nazionali o, in mancanza, dalle parti
    • Rispetto alle forme di flessibilità in entrata oggi disponibili, il CUI offre dunque al lavoratore una tutela più intensa – nella forma di un’indennità di licenziamento di entità rapportata alla durata del rapporto – anche nella fase caratterizzata dal minor grado di protezione (quella di ingresso)
    • Quanto alle imprese, l’attrattività del CUI rispetto al contratto di dipendenza a tempo determinato è costituita innanzitutto dalla possibilità di far fruttare l’investimento di risorse nel lavoratore, consentendone il mantenimento in azienda
    • Rispetto alla disciplina vigente, resta tuttavia aperto il problema di precludere l’utilizzo in funzione strettamente «precarizzante» del contratto di dipendenza a tempo determinato, oggi ammesso anche per mansioni ordinarie, cioè prive di alcun carattere di transitorietà, e a bassa qualificazione.
    • L’attuale governo, infatti, con uno dei primi provvedimenti adottati in apertura di legislatura, ha di fatto rimosso i vincoli causali all’apposizione di un termine, ammettendo i contratti a tempo determinato genericamente «a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, anche se riferibili alla ordinaria attività del datore di lavoro» (  articolo 1, comma 1, del decreto legislativo n. 368 del 2001 , come modificato dall’  articolo 21 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 , convertito, con modificazioni, dalla   legge 6 agosto 2008, n.  133 ).
    • Per riequilibrare questa distorsione si impone dunque un intervento legislativo che, per un verso, recuperi il carattere di transitorietà ed eccezionalità di tale strumento contrattuale attraverso un’elencazione stringente delle fattispecie oggettive ammesse e, per altro verso, riconosca comunque alle imprese la possibilità di utilizzare i contratti di dipendenza a termine anche al di fuori di queste fattispecie, ma limitatamente alle prestazioni con un contenuto minimo di qualificazione
    • il presente disegno di legge modifica la disciplina vigente dei contratti a termine, prevedendo, accanto alla reintroduzione di vincoli causali oggettivi (stagionalità, sostituzione temporanea di lavoratori, lavori nello spettacolo), un vincolo – indipendente dai precedenti – riferito esclusivamente al contenuto economico minimo della prestazione lavorativa, fissato in 25.000 euro annui lordi per una prestazione a tempo pieno o l’importo equivalente   pro quota per durate inferiori (articolo 8)
    • Inoltre, allo scopo di aumentare la partecipazione dei datori di lavoro ai costi sostenuti dalla collettività per il mancato rinnovo di tali contratti, si prevede per essi l’incremento di un punto percentuale dell’aliquota contributiva per l’assicurazione obbligatoria contro la disoccupazione involontaria (articolo 9).
    • il presente disegno di legge riconosce l’esigenza di portare gradualmente allo stesso livello del lavoro dipendente la contribuzione previdenziale dovuta per i collaboratori iscritti in via esclusiva alla Gestione separata INPS, con ciò consentendo anche a questi lavoratori di accedere ad un’adeguata copertura pensionistica (articolo 10).
    • sotto il profilo retributivo, per le collaborazioni a monocommittenza si pone a maggior ragione l’esigenza di stabilire un contenuto economico minimo, al di sotto del quale, in alcune condizioni, devono a tutti gli effetti ritenersi delle prestazioni di lavoro subordinato.
    • il presente disegno di legge propone che, in caso di compenso inferiore a 30.000 euro lordi annui, il rapporto di lavoro autonomo continuativo, di lavoro a progetto e di associazione in partecipazione, con committenza pubblica o privata, dal quale il prestatore tragga più di due terzi del proprio reddito di lavoro complessivo, sia considerato a tutti gli effetti un contratto unico di ingresso, a meno che il lavoratore sia iscritto a un albo o un ordine professionale incompatibile con la posizione di dipendenza dall’azienda.
    • proposta di introdurre anche nel nostro ordinamento una nozione di salario minimo legale (articolo 6)
    • largamente diffuso tra i Paesi OCSE in funzione di contrasto alla povertà, l’istituto del salario minimo, nel peculiare contesto del nostro mercato del lavoro, deve ritenersi anche uno strumento per abbattere le differenze di costo fra le diverse fattispecie contrattuali e dunque scoraggiare l’utilizzo improprio delle forme più flessibili.
    • si rinvia ad un’apposita intesa con le parti sociali, da stipularsi entro sei mesi presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, l’individuazione del compenso orario minimo applicabile a tutti i rapporti aventi per oggetto una prestazione lavorativa, inclusi quelli con contenuto formativo
    • allo scopo di verificare l’impatto effettivo della riforma sul mercato del lavoro e di valutare in sede legislativa gli eventuali aggiustamenti normativi necessari, si prevede che, entro tre anni dalla sua entrata in vigore, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali riferisca al Parlamento circa gli effetti sull’andamento dell’occupazione e dei salari
    • si impone all’INPS di rendere accessibili a titolo gratuito i microdati anonimizzati relativi alle carriere e alle retribuzioni dei lavoratori del settore privato iscritti alle rispettive gestioni obbligatorie (articolo 12, comma 2)

Lavoro, arriva l’onda liberalizzatrice della direttiva Bolkestein.

Se qualcuno sospettasse che l’abbiano fatto apposta, bé, dovrebbe sapere che la direttiva Bolkestein, la n. 2006/123/CE, recepita dal governo italiano con un decreto legge approvato lo scorso 26 Marzo, in pieno black out informativo, fu redatta in prima stesura quando presidente della commissione Europea era Romano Prodi. Fu poi approvata, non senza grandi polemiche, dal Parlamento Europeo con sostanziali modifiche al testo originale, che paventava l’introduzione di un nuovo principio nel quadro giuridico europeo, ovvero il principio del paese di origine. Questo obrobrio di principio avrebbe scardinato del tutto le rovine dello stato sociale in europa, tanto più in Italia, con buona pace dei sindacalisti. Secondo tale principio, un fornitore di servizi sarebbe stato sottoposto esclusivamente alla legge del paese in cui ha sede l’impresa, e non a quella del paese dove fornisce il servizio. Ovvero, un’impresa polacca che avesse trasferito lavoratori polacchi in Francia o in Italia, avrebbe potuto farlo senza chiedere l’autorizzazione alle autorità francesi o italiane se aveva già ottenuto l’autorizzazione delle autorità polacche, e a quei lavoratori si sarebbe applicata solo la legislazione polacca.
Che paradiso, assumere dei lavoratori e poi trasferirli in un altro stato, mantenendo leggi, contratti, norme di sicurezza e di controllo del paese d’origine.
Fortunatamente il Parlamento Europeo, nella scorsa legislatura, si mise di traverso e fece un compromesso in cui il principio del paese di origine (il famigerato art. 16) saltò del tutto:

  • Il nuovo testo distingue l’accesso ai mercati europei, che deve essere il più possibile libero e de-regolamentato, dall’esercizio delle attività di servizi, che devono essere quelle del paese di destinazione per non interferire con gli equilibri dei mercati locali
  • Vengono esplicitate numerose eccezioni prima ambigue, come l’esclusione dei servizi di interesse generale forniti dallo Stato, o il fatto che la direttiva si riferisce ai settori già privatizzati, e non riguarda la privatizzazione o l’abolizione dei monopoli (Direttiva Bolkestein – Wikipedia).

Resta il fatto che numerosi mercati di fornitura di servizi e del commercio al minuto ne usciranno fortemente influenzati. Lo scopo della direttiva era quello di semplificare le procedure amministrative, eliminare l’eccesso di burocrazia e soprattutto evitare le discriminazioni basate sulla nazionalità per coloro che intendono stabilirsi in un altro paese europeo per prestare dei servizi. Un esempio: le licenze dei banchi del mercato non saranno più di esclusivo appannaggio alle imprese familiari, ma saranno aperte anche alle società per azioni o alle s.r.l. Un invito a nozze per i già leader del settore, i cinesi, che così potranno trasferire somme dal paese di origine e investirle nei mercati rionali, i cui operatori, da lavoratori autonomi passeranno alle dipendenze di queste società, le quali a loro volta non troveranno alcun ostacolo nel divenire monopolisti di zona. Inoltre, per aprire esercizi commerciali di vicinato (cioè con superficie ridotta) sarà sufficiente la DIA, mentre scompare il contingentamento per le edicole: ognuno potrà aprirne una senza limitazioni, salvo che il Comune non introduca limitazioni a tutela dei quartieri storici. Scompaiono i registri degli agenti di commercio, dei mediatori e degli spedizionieri, per cui ognuno potrà esercitare queste professioni senza necessità di alcuna formazione specifica o titolo.
Il decreto legislativo per avere effettività, necessita di tutta una serie di regolamenti e interventi legislativi anche a carattere regionale e comunale: i suoi contenuti si applicheranno con il principio di “cedevolezza” fino a quando le Regioni italiane non avranno adottato la Direttiva 2006/123/CE con normativa propria.
Nessuno lo ha fatto. Nessuno la ha detto in campagna elettorale. Solo gli ambulanti di Torino se ne sono accorti e hanno dato luogo ad una serrata e ad una marcia di protesta lo scorso 23 Marzo. Poi il nulla. Il decreto apre le porte alla concorrenza brutale fra piccoli operatori del commercio. Il suo effetto, quando il decreto avrà piena effettività, sarà di dumping sociale:

  • a) apertura alla concorrenza e alla privatizzazione di quasi tutte le attività di servizio, dalle attivitè logistiche di qualunque impresa produttiva ai servizi pubblici come istruzione e sanità
  • b) deregolamentazione totale dell’erogazione dei servizi con drastica riduzione, se non annullamento, delle possibilitè d’intervento degli enti locali e delle organizzazioni sindacali;
  • c) destrutturazione e smantellamento del mercato del lavoro attraverso la precarizzazione e il dumping sociale all’interno dell’Unione Europea (Le cose che cambieranno con la direttiva Bolkestein).

Se vi pare poco. Tutto ciò in un clima politico in cui a livello regionale si afferma il partito più antieuropeista e antiliberale dell’intera Europa, la Lega Nord, e a livello nazionale il Presidente della Repubblica Napolitano respinge alle Camere la legge che estende l’arbitrato ai casi di licenziamento di lavoratori dipendenti, con riduzione drastica delle garanzie previste dall’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori. Ah, che paese l’Italia.

Bozza del Decreto che recepisce la Direttiva 2006/123/CE

Caso Ispra, la Prestigiacomo apre un “tavolo di trattative”.

Così l’incontro con il ministro Prestigiacomo si è svolto. La situazione per i lavoratori ISPRA sembrerebbe sbloccarsi. Il Ministro ha fissato per la data dell’11 Gennaio l’avvio del tavolo di trattative a cui cercherà di aggregare Comune e Provincia di Roma, "vista la disponibilità dimostrata a mezzo stampa", nonché sindacato confederale e CuB.
Il Ministro dell’Ambiente nega la volontà del governo di dismettere l’istituto e anzi, spiega come esso si sia impegnato a potenziarne l’attività con – pensate un po’ – un "piano di rilancio".
Di fatto, però, l’incontro di oggi è solamente servito a posticipare ogni decisione sul futuro dei lavoratori precari, pari al 38% delle forza lavoro dell’ISPRA, ovvero 534 persone, delle quali forse si "salveranno" in 400 attraverso regolarizzazioni contrattuali. I rimanenti 134 probabilmente – molto più probabilmente – resteranno precari.

    • Un tavolo tecnico per sbloccare la questione legata alla protesta dei precari dell’Ispra, l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale

    • E’ stato fissato per lunedì prossimo, 11 gennaio. La decisione è arrivata nel corso dei due incontri al ministero dell’Ambiente, il primo con i sindacati confederali (Cgil, Cisl, Uil, Anpri) e il secondo con quelli di base Usi-RdB Ricerca

    • "Nessun abbandono – ha commentato il ministro dell’Ambiente Stefania Prestigiacomo – piuttosto valorizzazione e promozione della ricerca"

    • la situazione dell’Ispra che al momento del commissariamento, fine luglio 2008, contava su 905 dipendenti assunti a tempo indeterminato e 534 persone con contratti flessibili (a tempo determinato, co.co.co, assegni di ricerca, borse di studio) per un totale di 1439 lavoratori

    • il precariato rappresentava il 38% della forza lavoro

    • è stato posto in campo un piano di assunzioni volto a portare nel triennio ad assunzioni a tempo indeterminato per quasi 400 unità ed a ridurre l’area del precariato ad una percentuale fisiologica

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Ecco come Marino e Pedica sono riusciti a riaprire la trattativa ISPRA.

L’annuncio dato ieri sera da Marino attraverso la sua pagina di Facebook era solo la conclusione di una giornata che ha dell’incredibile. Prima arriva la troupe del TG1, poi il senatore chirurgo, mentre i vertici ISPRA chiamano carabinieri e polizia e vigilanza, cercando di far sgombrare il tetto dell’edificio, ma una volta giunto il senatore dell’IDV Stefano Pedica, quest’ultimo e Marino si mettono a parlamentare il ministro Brunetta, al quale strappano un incontro per lunedì 4, e successivamente anche con la ministro Prestigiacomo, la quale è dapprima infastidita, poi si convince a incontrare una delegazione dei ricercatori, sempre per lunedì 4 Gennaio.
Un duo d’assalto, Marino e Pedica (Pedica ha dovuto scavalcare il cancello, Marino lo fece già a Natale) Leggete il racconto dei ricercatori e il diario giornaliero della protesta su l’Antefatto.

    • Verso le 14:00 è arrivata infatti una troupe del tg1, che al solito, come altre testate, non ha ricevuto il permesso di entrare.

    • è arrivato a farci gradita visita il senatore del Pd Ignazio Marino. Il Senatore, infatti, ignorando l’assurda pretesa della Struttura Commissariale di non salire sul tetto (i parlamentari della Repubblica hanno accesso a qualsiasi struttura pubblica in qualunque momento) ha iniziato a salire le scale del nostro Istituto seguito a ruota degli operatori della prima rete nazionale

    • i vertici ISPRA hanno quindi deciso di far intervenire le forze dell’ordine. Dopo circa mezz’ora si è quindi presentata una pattuglia dei Carabinieri

    • a dar man forte alla loro incredulità sono giunte due macchine della Polizia, con alcuni degli stessi agenti che già avevamo avuto il piacere di conoscere il giorno di Natale

    • è giunta quasi contemporaneamente anche una macchina della vigilanza privata a mò di scorta del responsabile della nostra sede ISPRA, il quale giunto sul tetto ha intimato, lo sgombero dei giornalisti additando inesistenti quanto ridicoli motivi di ordine pubblico

    • Al climax di questo teatrino è arrivato il senatore Idv Stefano Pedica, il quale come già accaduto per Marino, è costretto a scavalcare il cancello

    • i due parlamentari si sono confrontati collaborando a cercare nuove ipotesi per l soluzione della nostra situazione ed alla fine Pedica ha deciso di chiamare direttamente il Ministro Prestigiacomo attraverso la Batteria del Viminale, al fine di sensibilizzarla ulteriormente sulla nostra vicenda. Non ricevendo risposta, il Senatore ha provato allora con il Ministro Brunetta, il quale ha risposto.

    • Attraverso il viva voce ascoltiamo quindi il dialogo tra i Senatori Marino e Pedica con il Ministro della Funzione Pubblica, il quale dichiara che non sussistono problemi dal punto di vista legislativo e normativo per regolarizzare la situazione dei ricercatori ISPRA, ma serve il nulla osta del suo analogo all’Ambiente

    • Il Ministro Brunetta si mostra comunque disponibile e fissa un incontro con noi per lunedì prossimo

    • Al termine della chiamata il Senatore Marino informa poi della situazione il Gabinetto del Ministro Prestigiacomo, che si mostra tuttavia abbastanza infastidito dalla notizia

    • mentre aspettiamo il tg3 delle 19 un altro colpo di scena: Ignazio Marino ci chiama per informarci che il Gabinetto del Ministero dell’Ambiente lo ha contattato per fissare un appuntamento tra il Ministro e una rappresentativa Ispra per lunedì mattina alle 10

    • Il 4 gennaio quindi duplice appuntamento: prima con capo del dicastero dell’Ambiente poi con i vertici del Ministero della Funzione Pubblica

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