Produttività, i punti cruciali dell’accordo Governo-Parti sociali

Così il Governo Monti istituzionalizza il sistema ‘Fabbrica Italia’. Quello che segue è un estratto del comunicato stampa del governo; da leggere con attenzione il terzo punto (regolamentazione contrattuale per settori specifici), il quarto punto (equivalenza delle mansioni), il quinto (fabbrica degli esodati), il sesto (defiscalizzazione del salario di produttività), l’ottavo (il problema della rappresentanza sindacale e delle relazioni industriali).

L’intesa raggiunta tra la Parti firmatarie

• attribuisce alla contrattazione collettiva nazionale, la cui funzione è quella di garantire la certezza dei trattamenti economici e normativi comuni per tutti i lavoratori rientranti nel settore di applicazione del contratto, l’obiettivo mirato di tutelare il potere di acquisto dei salari assicurando che la dinamica degli effetti economici, superata ogni forma di automatica indicizzazione, nei limiti fissati dai principi vigenti sia sempre coerente con le tendenze generali dell’economica, del mercato del lavoro, del raffronto competitivo internazionale e degli andamenti specifici del settore;

• valorizza la contrattazione di secondo livello affidandole una quota degli aumenti economici eventualmente disposti dai rinnovi dei contratti collettivi nazionali con l’obiettivo di sostenere, negli specifici contesti produttivi, efficaci e mirate misure di incremento della produttività;

• consente di adeguare la regolamentazione contrattuale dei rapporti di lavoro alle esigenze degli specifici contesti produttivi di riferimento, anche con riguardo alle materie che possono incidere positivamente sulla crescita della produttività quali gli istituti contrattuali che disciplinano la prestazione lavorativa, gli orari e l’organizzazione del lavoro;

• contiene, tra l’altro, l’esplicito impegno delle Parti firmatarie ad affrontare in sede di contrattazione, in via prioritaria, le tematiche relative all’equivalenza delle mansioni, all’organizzazione del lavoro, all’orario di lavoro ed alla sua distribuzione flessibile, all’impiego di nuove tecnologie;

• conferma la volontà, condivisa dal Governo, di individuare soluzioni che, in una logica di “solidarietà intergenerazionale”, agevolino la transizione dal lavoro alla pensione;

• crea il presupposto perché vengano introdotte, nell’ambito della legislazione vigente e nei limiti delle risorse disponibili, stabili e certe misure di defiscalizzazione del salario di produttività finalizzate ad incoraggiare selettivamente le intese che siano concretamente idonee, negli specifici contesti produttivi di riferimento, a sostenere l’incremento della produttività intervenendo in via prioritaria nelle materie già individuate tra le Parti firmatarie;

• permette pertanto alla contrattazione di secondo livello di incrementare i salari netti percepiti dai lavoratori facendo scattare le misure di defiscalizzazione per le quote di incrementi salariali che verranno concretamente legate, negli specifici contesti produttivi, all’incremento della produttività.

• individua nel termine del 31 dicembre 2012 la data entro la quale le Parti firmatarie dell’accordo interconfederale 28 giugno 2011 completeranno il quadro delle nuove regole in materia di rappresentanza, con ciò dando auspicabilmente vita ad un sistema di relazioni industriali più stabile ed efficace;

Per sostenere la defiscalizzazione del salario di produttività, il Governo ha proposto nella legge di Stabilità uno stanziamento complessivo di 1,6 miliardi di euro per il periodo 2013/2014 per la detassazione del salario di produttività – stanziamento che si è poi ulteriormente esteso nel tempo e rafforzato a 2,1 miliardi per effetto degli emendamenti approvati alla Camera.

La CGIL non ha firmato questo accordo. I punti discriminanti sono stati chiaramente il problema della rappresentanza e soprattutto la dequalificazione del lavoratore – che nel testo del comunicato del governo è nascosta dietro la formula della “equivalenza delle mansioni”. Il problema della equivalenza delle mansioni nasce con l’art.13 della legge n.300 del 1970, il quale stabilisce che il datore ha la facoltà di modificare le mansioni assegnate al lavoratore nel rispetto di alcuni limiti inderogabili: il lavoratore “non può essere adibito a mansioni inferiori, ma soltanto a mansioni superiori ovvero a mansioni equivalenti alle ultime effettivamente svolte, senza alcuna diminuzione della retribuzione” (Diritto & Diritti).

Recentemente la Corte di Cassazione ha ribadito il principio secondo il quale ai fini della valutazione della sussistenza di un corretto esercizio dello ius variandi da parte del datore …..  il giudice deve stabilire se le mansioni effettivamente svolte finiscano per impedire la piena utilizzazione e l’ulteriore arricchimento della professionalità acquisita nella fase pregressa del rapporto, tenendo conto che non ogni modifica quantitativa delle mansioni, con riduzione delle stesse, si traduce automaticamente in una dequalificazione professionale, in quanto tale fattispecie implica una sottrazione di mansioni tale, da comportare un abbassamento del globale livello delle prestazioni del lavoratore con una sottoutilizzazione delle capacità dello stesso acquisite e un conseguente impoverimento della sua professionalità (Diritto & Diritti).

In realtà, la giurisprudenza in materia si è approfondita a tal punto da specificare che il lavoratore possa essere riposizionato in una mansione pregressa, per la quale non serve una vera e propria riqualificazione. Non si capisce come questo aspetto possa divenire oggetto di contrattazione quando la normativa in materia è stata per lunghi anni così discussa e riesaminata e dibattuta in giurisprudenza. Possono davvero le parti derogare rispetto all’articolo 13 della legge 300/1970? Può la contrattazione fra le parti firmatarie derogare a norme di legge e a sentenze della Corte di Cassazione? La dequalificazione è un’arma che il datore di lavoro può impiegare in senso intimidatorio verso il singolo lavoratore. Ma è anche una tutela troppo rigida che rischia di ingessare il tessuto organizzativo di una azienda e impedisce la cosiddetta flessibilità interna.

Allarme sanitario: la Sindrome di Stoccolma ha contagiato il Mondo intero!

FONTE: Liberarchia

Secondo recenti studi dell’ OMS (Organizzazione Militanti Sovversivi) una strana epidemia si sta diffondendo a macchia d’ olio in tutto il pianeta, e credo ti convenga leggere attentamente questo testo, perchè molto probabilmente SEI GIA’ STATO CONTAGIATO PURE TU!

Per chi come me è del tutto ignorante in materia medica, la Sindrome di Stoccolma è una condizione psicologica nella quale una persona vittima di un sequestro può manifestare sentimenti positivi (talvolta giungendo all’innamoramento) nei confronti del proprio sequestratore.
E per quanto possa sembrare incredibile questa patologia è stata riscontrata in intere masse di individui che collettivamente manifestano simili sintomi.
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Manovra-bis, l’articolo 8 è sovversivo

Non si tratta solo di deroga all’art.18. Non è solo deroga allo Statuto dei Lavoratori, ma anche a qualsiasi norma di legge che disciplina una delle materie richiamate dal comma 2 ed alle relative regolamentazioni contenute nei contratti collettivi nazionali di lavoro. Quali?

Sarà possibile derogare rispetto:

  1. agli impianti audiovisivi (???) e alla introduzione di nuove tecnologie;
  2. alle mansioni del lavoratore, alla classificazione e inquadramento del personale;
  3. ai contratti a termine, ai contratti a orario ridotto, modulato o flessibile, al regime della solidarietà negli appalti e ai casi di ricorso alla somministrazione di lavoro;
  4. alla disciplina dell’orario di lavoro;
  5. alle modalità di assunzione e disciplina del rapporto di lavoro, comprese le collaborazioni coordinate e continuative a progetto e le partite IVA, alla trasformazione e conversione dei contratti di lavoro e alle conseguenze del recesso dal rapporto di lavoro, fatta eccezione per il licenziamento discriminatorio e il licenziamento della lavoratrice in concomitanza del matrimonio.
In particolare il punto 2 deroga all’art. 2103 del Codice Civile nonché a tutto l’armamentario giuridico fatto di sentenze della magistratura che cito rigorosamente in coda al testo:

Art. 2103. – Mansioni del lavoratore: Il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti alla categoria superiore che abbia successivamente acquisito ovvero a mansioni equivalenti alle ultime effettivamente svolte, senza alcuna diminuzione della retribuzione. Nel caso di assegnazione a mansioni superiori il prestatore ha diritto al trattamento corrispondente all’attività svolta, e l’assegnazione stessa diviene definitiva, ove la medesima non abbia avuto luogo per sostituzione di lavoratore assente con diritto alla conservazione del posto, dopo un periodo fissato dai contratti collettivi, e comunque non superiore a tre mesi. Egli non può essere trasferito da una unità produttiva ad una altra se non per comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive.

 Ogni patto contrario è nullo.

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Cfr. Cassazione Civile, sez. lavoro, sentenza 23 agosto 2007, n. 17940, Cassazione Civile, sez. lavoro, sentenza 4 settembre 2007, n. 18580, Cassazione Civile, sez. lavoro, sentenza 5 dicembre 2007, n. 25313, Cassazione Civile, sez. lavoro, sentenza 21 dicembre 2007, n. 27113, Cassazione Civile, sez. lavoro, sentenza 23 gennaio 2008, n. 1430, Cassazione Civile, sez. lavoro, sentenza 4 febbraio 2008, n. 2621, Cassazione Civile, sez. lavoro, sentenza 12 febbraio 2008, n. 3304, Cassazione Civile, sez. lavoro, sentenza 5 febbraio 2008, n. 2729, Cassazione Civile, sez. lavoro, sentenza 18 febbraio 2008, n. 4000, Cassazione Civile, sez. lavoro, sentenza 19 febbraio 2008, n. 4060, Cassazione Civile, sez. lavoro, sentenza 22 febbraio 2008, n. 4673, Cassazione Civile, sez. lavoro, sentenza 26 marzo 2008, n. 7871, Cassazione Civile, SS.UU., sentenza 4 aprile 2008, n. 8740, Cassazione Civile, sez. lavoro, sentenza 14 aprile 2008, n. 9814, Cassazione Civile, sez. lavoro, sentenza 7 maggio 2008, n. 11142, Cassazione Civile, sez. lavoro, sentenza 8 maggio 2008, n. 11362, Cassazione Civile, sez. lavoro, sentenza 9 maggio 2008, n. 11601, Cassazione Civile, sez. lavoro, sentenza 10 giugno 2008, n. 15327, Cassazione Civile, sez. lavoro, sentenza 2 settembre 2008, n. 22055, Cassazione Civile, sez. lavoro, sentenza 6 ottobre 2008, n. 24658, Cassazione Civile, sez. lavoro, sentenza 22 ottobre 2008, n. 25574 e Cassazione Civile, sez. tributaria, sentenza 9 dicembre 2008, n. 28887, Cassazione Civile, sez. lavoro, sentenza 1° luglio 2009, n. 15405, Cassazione Civile, sez. lavoro, sentenza 30 settembre 2009, n. 20980 e Cassazione Civile, sez. lavoro, sentenza 14 aprile 2010, n. 8893 in Altalex Massimario.

Possiamo pensare di derogare a questo articolo del codice civile? Possiamo veramente credere che tutto rimanga come prima? Possiamo tollerare che un dipendente sia spostato di mansione con diminuzione della retribuzione? O che sia promosso senza che abbia alcun adeguamento? Possiamo veramente permettere accordi del genere? Accordi in cui un lavoratore sia spostato come una pedina da uno stabilimento all’altro, anche all’estero, senza che vi siano le necessarie – comprovate – ragioni tecniche?

Possiamo, certo. Ma dal giorno successivo in cui verrà approvata una norma simile, una norma che mette un accordo fra privati, con norme al di fuori della legge, al di sopra della legge, si è come dichiarata guerra alla società medesima. L’articolo 8 è sovversivo. Non è soltanto contro la costituzione e contro lo stato di diritto, ma è anche e soprattutto contro il cittadino, la persona, l’individuo. E’ un attacco a tutti noi, alla nostra vita in comune, alla vita condivisa e pacifica di questo paese.

Combattere contro l’articolo 8 è un atto di resistenza contro un atto di guerra.

Scusate l’enfasi, ma è vergognoso che l’unica opposizione giunta contro questa norma – a parte lo sciopero della CGIL, che però non ha messo sufficientemente in luce la portata sovversiva dell’emendamento – provenga solo da Confindustria, la quale fa sapere che la base di partenza resta l’accordo confederale del 28 giugno 2011, il quale prevede sì un rafforzamento della contrattazione di secondo livello – territoriale, aziendale – ma sempre all’interno della cornice superiore e condivisa della Costituzione, della Legge, dello Statuto dei Lavoratori e del CCNL. L’irresponsabilità del governo e di Sacconi è palese e deve essere duramente condannata.

Vendola contestato a Mirafiori dai sindacalisti autonomi favorevoli a Marchionne. I punti negativi dell’accordo

FISMIC, si chiama. E’ un sindacato autonomo, fortissimo a Mirafiori, nato negli anni ’50 da una costola della CISL, in polemica sulla politica sindacale di allora, con “una diversa visione del modo di sviluppare la contrattazione e, quindi, di fare attività sindacale per meglio tutelare gli interessi e i diritti dei lavoratori” (FISMIC – sito ufficiale).

Mentre la CISL marciava a tappe forzate verso un modello contrattuale che aveva nel Contratto Nazionale di Lavoro il perno dell’azione sindacale, coloro che formavano il nucleo centrale di quella che sarebbe divenuta col tempo la FISMIC, affermavano che era la contrattazione in azienda il perno della contrattazione, vicino ai lavoratori e vicino al luogo dove si produce la ricchezza (FISMIC, ibidem).

FISMIC, diciamolo subito, ha firmato l’accordo-ricatto di Mirafiori. Perciò perché sorprendersi per la contestzione a Vendola? A Vendola, gli autonomi di FISMIC hanno gridato che il comunismo è morto. I manifestanti mostravano alle telecamere – naturalmente – copie di un articolo de Il Giornale in cui si accusava il governatore della Puglia di “fare come Marchionne”, e ciò la dice lunga sull’intenzione polemica e profondamente politica della loro iniziativa. La questione accordo non c’entra nulla. D’altronde, chi può credere a un articolo de Il Giornale?

E’possibile immaginare la tensione che c’è in queste ore fra i lavoratori: i capireparto sono intervenuti presso le maestranze per spiegare le ragioni del Si al referendum. FISMIC è molto forte in Fiat: insieme a Fim, Uilm e Uglm, rispettivamente le sigle dei metalmeccanici di CISL, UIL e UGL, rappresenta il 73% dei lavoratori. Mirafiori non voterà mai la sua condanna a morte. Ma certamente il successo prevedibile del sì non equivale a dire che questo tipo di relazioni sindacali, estorte con il ricatto e la complicita dei sindacati cooptati dall’azienda, siano un nuovo paradigma da estendere agli altri settori produttivi. In realtà le relazioni industriali ne escono a pezzi, come già era preventivabile anche solo osservando le dinamiche dei rinnovi contrattuali-salariali dell’ultimo decennio. L’azione di oggi di FISMIC non fa altro che confermare l’ambiguità di queste sigle sindacali. Non erano certo davanti ai cancelli per propagandare il sì, ma unicamente per contestare Vendola, il quale ha tutto il diritto di sostenere la parte che desidera e di accorrere dalla Puglia in suo sostegno. Ragion per cui è l’azione FISMIC ha tutta l’aria di essere una imboscata politica ordita da avversari di Vendola.

Detto ciò, sacrifici senza compartecipazione è una sconfitta per il sindacato, per tutto il sindacato, pure per FISMIC che negli anni ’50 già preconizzava la contrattazione di base come modello preminenete per le relazioni industriali. Oggi, 2001, FISMIC ha dimenticato i buoni propositi e si è resa corresponsabile di un accordo farsa in cui a prescindere dalla produttività dei lavoratori, si impongono obiettivi illogici e difficilmente irrealizzabili, come ad esempio la riduzione della percentuale di assenteismo dal 6% al 3.5% in tre anni. Il solo fatto di introdurre un indicatore collettivo su un comportamento individuale (essere assente dal lavoro per malattia) mette i lavoratori uno contro l’altro in una sorta di guerriglia quotidiana nella quale a essere pregiudicata sarà la qualità del lavoro nonché la qualità del prodotto. In secondo luogo, c’è la questione della rappresentanza:

Il nuovo accordo non prevede l’elezione dei delegati sindacali di fabbrica: i sindacati che firmeranno l’accordo potranno nominare dei rappresentanti aziendali. I sindacati che sciopereranno contro l’accordo potranno essere puniti con l’annullamento dei permessi sindacali. L’azienda non tratterrà le quote di iscrizione ai sindacati dalle buste paga: saranno i sindacati a raccoglierle. Tutti i lavoratori firmeranno personalmente il nuovo contratto: se poi sciopereranno contro l’accordo, potranno essere licenziati (Pagina Fb del Popolo Viola).

FISMIC ha discusso di tutto ciò con i lavoratori che rappresenta? Quale idea di rappresentanza ha FISMIC? Perché un lavoratore non può scegliere liberamente i propri rappresentanti in libere elezioni interne? Qaule incremento retributivo è stato raggiunto con questo accordo? I 32 euro mensili? E’ questo un prezzo congruo alla vendita dei diritti di rappresentanza? FISMIC, anziché sventolare fotocopie all’arrivo di Vendola, provi a fornire le risposte a queste domande, se ci riesce.

Fiom e CGIL quasi alla rottura: scontro sul salario di produttività

Durante la riunione del Comitato Centrale della FIOM di oggi si è palesata una frattura profonda e dolorosissima, che comunque era latente e prima o poi sarebbe affiorata sulla superficie mielosa del dopo manifestazione del 16 Ottobre, fra la minoranza interna al sindacato dei metalmeccanici, orientata sulle posizioni della CGIL, e la maggioranza raccolta intorno al presidente FIOM, Giorgio Cremaschi.

Lo strappo si è consumato quando al momento di sottoporre al voto il documento della seduta, la minoranza si è sfilata. Il documento è stato così approvato all’unanimità dei presenti. Si è manifestato un forte dissenso intorno alla necessità o meno di continuare a sedere al tavolo promosso da Confindustria sulla produttività. Cremaschi sostiene che la produttività si debba discutere con le categorie e le Rsu e non vada inserita in un accordo quadro confederale. Le detassazioni solo per la parte salariale flessibile agganciata a criteri di valutazione della produttività non sono sufficienti: tagliare le tasse su tutto il salario, questa deve essere la battaglia della CGIL, secondo Cremaschi. FIOM torna a chiedere lo sciopero generale, di due ore, entro la fine di Gennaio 2011.

Invece, l’obiettivo di Susanna Camusso, neo eletta segretario generale della CGIL, pare essere quello di riportare il sindacato di sinistra al tavolo della contrattazione collettiva. Si ammette, per bocca di Michele Scudiere, segretario confederale, che

la produttività è un tema vero su cui accettare la sfida proponendo una via alternativa a quanti individuano solo nel lavoro le origini della scarsa produttività nel paese, mettendo invece in testa la produttivita’ di sistema” […] “è importante fare anche con la Fiom, cosi’ come con tutte le categorie della Cgil, una discussione seria sui contratti di lavoro. E’ un peccato se in questa fase cosi’ complicata non emergesse chiaramente qual e’ la materia del contendere, ovvero l’oggetto del dissenso tra Fiom e Cgil”.

Insomma, CGIL rompe con la politica dell’isolazionismo a sinistra e FIOM entra in crisi. Il fatto avvenuto oggi in Comitato Centrale appare sconcertante se si tiene presente che al centro del dibattito dovrebbe esserci l’interesse dei lavoratori, mentre l’uscita della minoranza e quel voto all’unanimità paiono una scenetta tetra tipica del più bieco parlamentarismo. Solo la scorsa settimana, durante la conferenza stampa per la sua elezione, Susanna Camusso aveva avvertito FIOM: ”questa e’ una stagione in cui la confederazione ha l’onere di fare una proprosta e chiediamo anche alla Fiom di essere un sindacato che oltre a difendere sappia anche proporre” (Asca News).

 

La Serbia verso l’UE, Fiat e Marchionne si fregano le mani

Marchionne chiede più flessibilità agli operai italiani? Dice, pesantemente, che non un euro del profitto di Fiat del 2009 proviene dall’Italia – ah! e gli incentivi? certo sono andati alla Fiat solo per la propria quota di mercato italiano; pensate, solo per il 30% – ma non dice una parola sulla Zastava. Oggi, dall’America, giunge un grido di allarme. Non già per gli operai italiani che si vedrebbero sottrarre quote impportanti di lavoro, ma perché gli americani vedono profilarsi all’orizzonte uno spettro automobilistico che per anni li ha tormentati: la Yugo.

Yugo era un progetto di auto che Fiat vendette alla Zastava, storica azienda della Yugoslavia di Tito. Fu la prima autovettura costruita al di là della cortina di ferro ad essere esportata in America. In Italia doveva sostituire la 127, ma Ghidella le preferì la Uno (che intuito). Ebbene, la Yugo in USa se la ricordano bene: è divenuta negli anni sinonimo di scarsa o nulla affidabilità.

Ora che Fiat si è appropriata di Chrysler, sta cercando di vendere, di piazzare auto italiane in ogni modo sul mercato statunitense. Il sito DriveOn ci ricorda che Fiat sta investendo milioni di euro, con lo sponsor del governo italiano e di quello serbo, proprio nell’ex stabilimento Zastava in Serbia.

Fiat in Serbia ha avuto un grosso sconto: dal governo serbo 50 mln di capitale più 150 mln in incentivi; dalle autorità locali serbe, l’esenzione dai dazi e dalle tasse locali per dieci anni; dal comune di Kragujevac, i terreni su cui sorgeranno i nuovi stabilimenti, gratis. Pensate che il governo italiano sia stato all’oscuro di tutto questo? (Yes, political, 26/07/2010).

Il governo italiano sapeva tutto ed ha incoraggiato Fiat ad investire in Serbia. L’alternativa investimento Zastava/investimento in Italia è falsa perché gli accordi sono già stati presi e Fiat è quasi pronta a produrre una monovolume in Serbia, la L0. Lo scorso 11 Ottobre, Bloomberg BusinnessWeek spiega come la Fiat abbia già presentato a funzionari del governo serbo i modelli che saranno prodotti nel sito di Kragujevac a partire dal 2012, quando sarà completata la ristrutturazione:

Un modello a cinque posti progettato per l’UE e un veicolo a sette posti che sarà venduto in UE e negli Stati Uniti saranno costruiti presso lo stabilimento Fiat a Kragujevac circa nel secondo trimestre del 2012, ha detto Mladjan Dinkic, Vice Primo Ministro della Serbia e il responsabile dell’economia  in un comunicato inviato via e-mail ieri dopo che i funzionari hanno visitato la sede della Fiat a Torino, Italia. Il progetto aumenterà di 1.433 unità i posti di lavoro di una forza lavoro esistente presso l’impianto pari 1000, e la capacità produttiva sarà pari a 200.000 vetture all’anno, con espansione a 300.000 veicoli possibilmente, ha detto il ministero. Le esportazioni dei modelli nel 2012 ammonteranno a circa 500 milioni di euro (697 milioni dollari) e l’aumento a 1,3 miliardi di euro è previsto  nel 2013, ha detto. Ciò equivarrebbe a circa il 20 per cento delle vendite all’estero della Serbia nel 2009 (Bloomberg).

Naturalmente per Fiat l’esportare i veicoli prodotti dalla Serbia all’UE rappresenta un costo. E nonostante le intemperanze dei tifosi della nazionale che sono venuti in Italia, a Genova, con intenti bellicosi non più di dieci giorni fa, è ripartito a spron battuto il processo di avvicinamento della Serbia all’Unione Europea. Non si può abbattere il costo del lavoro in Italia? Non si può nemmeno abbattere la pressione fiscale, considerato il rapporto debito/pil, il più alto d’Europa? Chi se ne importa: si investe in un paese dell’Est, là dove i diritti degli operai sono stati depennati in nome della libertà ritrovata dopo gli anni del comunismo, si ridipinge la facciata dei palazzi della politica per metterne in mostra il profondo spirito democratico che li anima (ricordate come fu deposto Milosevic? non una goccia di sangue fu sparsa ed era certamente una rivoluzione genuina e spontanea quella dei giovani serbi; ma Mladic, il macellaio dei bosniaci, è ancora a piede libero): ecco abbattuto l’ultimo diaframma che divide la Fiat Zastava dalla libera circolazione dei suoi veicoli. La Serbia in UE conviene. A Marchionne e agli Agnelli (o quel che ne resta). E il governo Berlusconi?

Il governo italiano ha caldeggiato e sposato sin dall’inizio la nuova fase dell’avventura di Fiat in Serbia. E’ nell’interesse strategico italiano (?) far riavvicinare la Serbia all’Europa. Qualcuno ha intelligentemente osservato il silenzio del ministro degli Esteri Frattini sulla sentenza di piena legittimità della dichiarazione di indipendenza del Kosovo del 2008 pronunciata nei giorni scorsi dal Tribunale Internazionale di Giustizia de L’Aia. Frattini si è esibito in seguito in un capolavoro di cerchiobottismo: sentenza giusta, ma rimanga caso isolato. Oggi ha affermato che bisogna accelerare il processo di adesione della Serbia alla Unione Europea. Ma perché il governo Berlusconi è diventato filo-serbo? Quali sono i reali interessi del nostro paese in Serbia? Ai posteri l’ardua sentenza (Yes, political, 26/07/2010).

A quanto pare, il nostro ministro degli Esteri ha fatto proprio un bel lavoro. La svolta nei negoziati con Bruxelles è avvenuta proprio oggi:

Boccia boccia il corteo Fiom, Bersani no: il PD nella bufera

Francesco Boccia è il coordinatore delle commissioni economiche del Pd; è stato l’avversario di Vendola alle primarie in Puglia, perdendo, due volte. Boccia oggi aveva da togliersi qualche sassolino dalle scarpe. Strano prendersela con il corteo Fiom, lui, che dovrebbe essere un dalemiano doc. Si direbbe che un dalemiano debba avere a cuore le sorti della sinistra, soprattutto del sindacato. Dovrebbe certamente non osteggiare la piazza, poiché là solitamente scendono i lavoratori, e allora è utile non metterseli contro, no? Invece oggi scopriamo che Boccia non è più dalemiano, bensì lettiano: strani effetti delle correnti.

Boccia ha avuto qualche prurito sapendo che i lavoratori non sono stati lasciati soli. La manifestazione Fiom è stata appoggiata, da settimane, da intellettuali (girotondini con Flores D’Arcais e il famoso appello di Hack, Camilleri, Don Gallo), da partiti come SeL, IDV, Rifondazione Comunista, ecc. Il PD ha scelto per “l’appoggio esterno”: in piazza vi era Fassina, il responsabile Economia e Lavoro del PD, braccio destro di Bersani. Insomma, Bersani inviando Fassina ha voluto mandare un segnale chiaro a Fiom e alla CGIL. Anche al suo stesso partito. Il PD c’è, anche se non si vede.

Invece Boccia se l’è presa con “gli intellettuali”, quelli con l’auto blu, i politici con la pensione:

Comprendo i deputati ex sindacalisti ma sono nauseato dalle finzioni, di veder sfilare per qualche ora intellettuali che guadagnano milioni di euro l’anno, exdeputati che vivono con il vitalizio e politici che dopo la sfilata e la passerella davanti alle tv tornano a casa con le loro auto blu (AGI – Diritto Oggi).

Solo stamane, Fassina scriveva su L’Unità “aderire no, ma partecipare si”. Riconoscendo che i “movimenti non violenti e democratici sono linfa vitale per un partito di popolo”, Fassina ci spiega che il PD è “il partito fondato sul lavoro”, ma la rincorsa di domande di rappresentanza parziali (l’appoggio a Fiom) indebolirebbe la funzione di proposta generale (l’essere un interlocutore valido per Confindustria una volta che il PD sarà al governo). Il dilemma è risolto con la formula dell’esserci senza farsi vedere. Un PD in borghese, infiltrato fra gli operai, insomma. Però Boccia è infastidito dall’ipocrisia di questi intellettuali e di ex deputati (Ferrero? Diliberto?) con il vitalizio. Certamente uno sfogo comprensibile e condivisibile, se Boccia fosse sceso in piazza, se Boccia avesse fatto veramente le battaglie insieme alla Fiom. Se Boccia si fosse speso sino al midollo per i diritti dei precari. Ma non mi risulta che questo sia avvenuto. Perciò la sua polemica è sterile. Forse che i lavoratori metalmeccanici dovevano scendere in piazza da soli? Meglio isolarli?

Bersani, come la scorsa domenica con Fassino, è dovuto intervenire per correggere – indirettamente –  la dichiarazione di Boccia:

L’unita’ del mondo del lavoro e’ una energia indispensabile per costruire un’alternativa di governo che davvero metta al centro delle politiche economiche l’occupazione che e’ l’assoluta priorita’ per il Paese (AGI News On).

Il richiamo all’unità, dico io, valga anche per il PD.

 

 

Oui, la Gauche! Italia e Francia sindacati in piazza

La crisi non c’è ma in Europa si riempiono le piazze. E’ un Ottobre rosso. In Italia, la manifestazione della Fiom in difesa del Contratto Nazionale, della democrazia e dei diritti dei lavoratori, conta da sola almeno più di cinquecentomila persone. Un corteo infinito, che Piazza S. Giovanni stenta a contenere. In Francia, la manifestazione generale del sindacato contro la riforma delle pensioni voluta dal governo e dal presidente Sarkozy – pensate, si tratta dell’aumento dell’età pensionabile da 60 anni a 62… Si sono così svolte manifestazioni in tutto il paese: Le Monde parla di tre milioni di persone.

foto di Le Monde e La Repubblica

Festa PD: Bonanni contestato, “squadristi”. Ma è crisi delle relazioni industriali

Liberi fischi in libero Stato, scriveva ieri Travaglio nella sua striscia settimanale sul blog di Grillo. Ora dovrebbe coniare un altro detto, del tipo Libero Fumogeno in libero Stato. A questo si è giunti oggi alla Festa PD, durante il dibattito con Bonanni (CISL). La contestazione è scesa a livelli da stadio: c’è stata anche l’invasione di palco.

Bonanni è stato prima accolto dai centri sociali con da fischi, urla e lanci di banconote finte. Quindi, quando è stato raggiunto da un fumogeno che gli ha bruciato il giubbotto senza però ferirlo (La Repubblica.it).

Marchionne comanda e Bonanni obbedisce, uno degli slogan. Tanto per capirci: a ciò si arriva perché manca la politica. Federmeccanica disdetta il CCNL, la Fiom si oppone e minaccia il ricorso a vie legali. Dove è il governo in tutto questo? Le parti sociali hanno oramai aperto il conflitto, la concertazione è solo più un campo di cenere e non c’è più freno all’arroganza. Si potrà mai fermare questa discesa all’inferno del conflitto sociale? Sacconi ha diviso il sindacato. Berlusconi ancora dimentica di nominare il Ministro allo Sviluppo Economico. Il governo con la scadenza abbandona il paese; i lavoratori mai li ha presi in considerazione.

Ma ora gli effetti nefasti della globalizzazione hanno avviato l’Italia verso una infelice deindustrializzazione. Non c’è un solo settore dell’industria a essere salvato dalla concorrenza cinese, dell’est Europa o dell’America Latina. Per un imprenditore non c’è alcuna convenienza a produrre in Italia. Produrre qui da noi costa venti volte che in Cina o in Messico. La globalizzazione ha emesso una condanna per la nostra industria. O si cambia, o si chiude. Lo dicono in molti, anche fra i finiani: serve un nuovo patto fra Capitale e Lavoro. Non già a senso unico, sia chiaro. Il lavoro deve essere rispettato, concedendo aumenti salariali e ribadendo la necessità di combattere la precarietà. Eppure, per poter essere competitivi, le relazioni industriali devono rinnovarsi. A cominciare dalle forme contrattuali, i cui rinnovi costano troppo in termini di contrattazione e ore di sciopero. Aprire le Assise del Lavoro sarebbe una buona idea. Discutere del lavoro è necessario e urgente.

Ecco perciò che un sindacato asservito al governo, come sembra essere quello guidato da Bonanni, non serve a nulla. Bonanni oggi è vittima di un’aggressione verbale. Però è anche arteficie di questa situazione di blocco: lui e Angeletti hanno rotto con CGIL; loro hanno permesso la creazione di un ghetto per il sindacato di sinistra. Un ghetto nel quale rimane ancor più isolata la FIOM. Anziché creare i presupposti di un dialogo che comprendesse anche Epifani e Landini, hanno lavorato per delegittimarli. Questa è la loro grave colpa.

Oggi viene facile gridare ‘squadristi’ a coloro che danno alla loro protesta la forma poco democratica della rivolta. La rivolta è ciò che serve per uscire dai ghetti, se lo ricordino. Invece, a questo paese, servono dialogo e democrazia, a cominciare dalle relazioni industriali. Certamente, al governo non ci tengono a dare il buon esempio. Prendete ad esempio le dichiarazioni di oggi di Bossi a margine della condizione di quasi crisi di governo:

Governo: Bossi, se tecnico portiamo dieci milioni di persone a Roma

Fini: Bossi, ognuno si fa uccidere dall’elettorato come vuole

Ecco, questo lessico trasuda violenza e conflitto. E generalmente il lessico è una anticipazione dell’agire collettivo. Se il lessico politico si fa violento, allora, prima o poi, quella violenza verbale si farà atto compiuto. La storia recente ce lo ha insegnato. Tenete presente ciò che accadde negli anni ’70 in questo paese.

Per concludere, il premio dell’Incoerenza è assegnato a Antonio di Pietro, prima difensore del diritto di fischiare Schifani e ora…

BONANNI CONTESTATO: DI PIETRO, VIOLENZA DANNEGGIA DEMOCRAZIA

Sul Lavoro il vuoto della politica e dell’imprenditoria

Dire che le relazioni industriali in Italia devono essere riformate è cosa ovvia: il sistema attuale della contrattazione collettiva partorito dall’Accordo del 23 Luglio 1993 è farraginoso e non produce quei miglioramenti retributivi che i lavoratori si aspettano, mentre costa ore di lavoro di sciopero e la contrattazione sulle norme è arrivata anche a mettere in discussione principi basilari come l’indennità di malattia. Dall’altro lato, c’è il problema della rappresentanza, che è sempre meno rappresentativa degli effettivi voleri dei lavoratori e non procede quasi mai dalla discussione deliberativa delle assemblee di fabbrica che al contrario sono delle mere riunioni in cui si comunicano le decisioni prese da altri e altrove.

Sulla base di queste ragioni non si può affermare che Marchionne sia un innovatore: ha solo portato alla luce del dibattito il difetto del mondo del lavoro dipendente, vincolato a schemi inefficienti e inefficaci. Marchionne, semmai, ha invaso una terra di nessuno, un vuoto che è innanzitutto politico. Ciò gli è consentito dall’arretramento della Politica alla sfera del privato (lotta di egemonia fra personalismi e pertanto di interessi particolari, fatto testimoniato dalla personalizzazione dei partiti politici – partito di Berlusconi, partito di Di Pietro, di Fini, di Casini, e così via). Un vuoto che nemmeno il Sindacato è stato in grado di percepire e di prevenire, assorto com’è dalla comodità delle posizioni consolidata all’interno di organigrammi gerarchici in cui – anche lì – la discussione è messa alla porta.

Di tutto questo non si è parlato e non si parla. Marchionne punta a deregolamentare il lavoro: la sfida della globalizzazione non la si vuol combattere sul piano della Ricerca e Sviluppo, bensì passando per la riduzione della sfera del diritto del lavoro. Come ci ricorda Oscar Giannino, su Il Messaggero,

L’intera storia della globalizzazione, dalla prima rivoluzione industriale manchesteriana, è fatta di Paesi che si affermano e restano per lungo tempo leader anche nell’espansione dei mercati ad aree a più basso costo del lavoro. Purché naturalmente quei Paesi avanzati non dimentichino che devono preservare due condizioni. La prima è che devono avere una struttura produttiva flessibile, in grado di rispondere rapidamente alla mutata domanda internazionale. La seconda è che devono restare titolari di tecnologie di prodotto e processo, gestionali, commerciali e distributive, capaci di preservare m la leadership nella parte più elevata del valore aggiunto, quella che i Paesi emergenti metteranno più tempo a raggiungere (Oscar Giannino, Il Messaggero, 27/08/2010).

Bè, viene da chiedersi se l’Italia ha davvero conservato la titolarità delle “tecnologie di prodotto e di processo”.  Non è forse vero, piuttosto, che Fiat, come buona parte dell’imprenditoria italiana, è sopravvissuta grazie al sussidio statale (incentivi auto) e grazie all’abuso di contratti di lavoro a tempo determinato (interinali e altre tipologie atipiche)? La verità è che l’imprenditoria italiana non “fa”, non crea più nulla: anch’essa, come le relazioni industriali, è ferma al paradigma degli anni sessanta dell’imprenditore padre di famiglia, alla prima industrializzazione. Anziché convertire le produzioni (vedi caso Omsa), gli imprenditori preferiscono delocalizzare. Oppure pretendono che i lavoratori rinuncino ai loro diritti, accordandosi con quella spirale di compromessi verso il basso che la competizione globale impone: una tesi falsa, secondo Giannino, “abilmente insufflata da quel pezzo di sindacato e di sinistra che continua a guardare alla storia attraverso lo specchietto retrovisore”. Naturalmente Giannino punta il dito al solo sindacato, e ignora del tutto le colpe di una imprenditoria che ha guardato al mero guadagno di oggi, sacrificando la competitività del futuro. Giannino condanna Fiom e assolve Confindustria, ma è Confindustria ad aver spalleggiato per anni la politica del privato berlusconiano, scommettendo su una riduzione delle tasse che non vi è mai stata e mai vi sarà. Sono loro i primi colpevoli di questa stagnazione della cultura industriale.

Quando parla della necessità di abbandonare i vecchi schemi, compreso quello della contrapposizione fra capitale e lavoro nei termini di cento anni fa, l’amministratore delegato della Fiat segnala insomma un ritardo delle culture politiche a cui siamo tutti, destra e sinistra, abbarbicati, perché le nostre categorie sono interessanti per gli studiosi di storia ma non servono per fare politica oggi. Ma i cittadini, i lavoratori, vivono nell’oggi (Nicola Rossi, Europa, 27/08/2010).

I rimedi? Una legge sulla rappresentanza, che pure già esiste ma è parcheggiata in un angolo delle Commissioni Lavoro. E la novità è che Bersani ha aperto alla riforma:

«Un nuovo patto sociale lo vogliamo tutti» […] Il segretario del Pd indica anche una possibile via: «Un rafforzamento dei meccanismi di democrazia e partecipazione diretta dei lavoratori nelle aziende» […]  (P. Bersani, CorSera, 27/08/2010).

Qualcuno per favore però dica che ‘partecipazione’ deve andare di pari passo ad adeguata retribuzione.

Operai Fiat e Nuovo Modello di Relazioni Industriali

Pietro Ichino, giuslavorista, senatore del PD, insiste: Marchionne ha sollevato una giusta questione. L’arrembaggio del Professore arriva sia dalle colonne del CorSera, che da quelle di Repubblica. Ma è un tentativo solitario: si percepisce – profonda – la distanza fra le sue proposte e la segreteria Bersani, volta esclusivamente alle gestione della fase di crisi di governo.

Ichino ha in mente un nuovo Modello di Relazioni Industriali che attui il superamento della “conflittualità permanente, i cui fasti si sono celebrati negli anni ’70, e che oggi in Italia è praticata ancora soltanto nel settore dei trasporti e in quello metalmeccanico” (La Repubblica, 12/08/10, pag. 9).

Sul caso Fiat, Ichino dà la sua interpretazione sulla sentenza del giudice che ha reintegrato i tre lavoratori di Melfi, accusati di aver interrotto i carrelli automatici, vale a dire di aver operato un sabotaggio nei confronti dell’Azienda:

la Fiat avrebbe potuto anche vincere la causa: il giudice ha ritenuto, in via provvisoria, il licenziamento ingiustificato solo perché ha considerato che l’istruttoria sommaria non avesse dimostrato il dolo dei lavoratori, cioè la loro volontà di ostruire il flusso dei carrelli automatici. Con questo, lo stesso giudice implicitamente avverte che, se invece nel giudizio di merito quella volontà risultasse dimostrata, il licenziamento potrebbe essere convalidato (Repubblica, cit.).

Il suo parere contrasta con quello di Epifani, segretario generale CGIL, secondo il quale la sentenza riporta “verità e giustizia” sul un provvedimento che i lavoratori avevano subito.

Sapevamo che non c’era stato boicottaggio che è un accusa pesante se rivolta a dei lavoratori di un’azienda del Mezzogiorno che lottano per mantenere la produzione e il posto di lavoro. Abbiamo ancora altri due casi di licenziamenti in piedi. Ma spero che intanto l’azienda rispetti la sentenza del Tribunale di Melfi e si torni a discutere in un ambito di correttezza (Corsera, 12/08/2010, p. 29).

Epifani si dice anche disponibile a riaprire il dialogo con Fiat, ma solo su assenteismo e sui 18 turni. E’ evidente che i due punti di vista sopra esposti non collimano. Può Epifani abbracciare il più ampio discorso di riforma delle relazioni Industriali come ipotizzato da Ichino?

Il lavoro del sen. Ichino in Parlamento è fermo in Commissione da un anno. Il motivo è molto semplice: il governo non è interessato a riforme, vuole fare a pezzi ciò che resta del sindacato e lascia pertanto carta bianca a Fiat. Il testo unificato, opera della Commissione Lavoro, doveva esser approvato lo scorso anno. Si componeva di quattro diversi disegni di legge di iniziativa parlamentare sulla partecipazione dei lavoratori nelle imprese. Ichino si augura che l’iter parlamentare possa riprendere, ma visti i tempi, si può ben credere che il progetto si diriga verso il binario morto e alla decadenza per fine legislatura.

Il testo unificato bipartisan indica nove diverse forme possibili di partecipazione dei lavoratori nelle imprese, da quella più elementare consistente nell’esercizio di diritti di informazione, alla presenza dei lavoratori nel Consiglio di sorveglianza, alla partecipazione agli utili, fino alla partecipazione azionaria, disponendo alcune agevolazioni fiscali per queste ultime ipotesi, in linea con le migliori esperienze straniere (Ichino, Corsera, cit.).

L’idea di base, ispirata al più moderno giuslavorismo, è quello di integrare il lavoratore all’impresa secondo diversi gradi, che sono: l’informazione, la sorveglianza, la codecisione, per finire con il più alto grado di connessione, realizzato con la partecipazione agli utili. Il modello ha trovato ampia applicazione in Germania e Nord Europa. Si vorrebbe realizzare, così, quell’ideale utopico che è la democrazia sindacale/aziendale.

Il progetto di legge non prevedeva alcun obbligo per aziende e sindacati di adottare una o più di queste forme di partecipazione:

il principio cardine è quello della volontarietà, che si concreta nella necessità di un «contratto aziendale istitutivo», stipulato secondo regole di democrazia sindacale. L’obiettivo non è di promuovere questo o quel modello di partecipazione, ma di promuovere la fioritura di una grande pluralità di esperienze in questo campo, lasciando che modelli diversi si confrontino e competano tra loro (ibidem).

E’ chiaro che il modello decentra la responsabilità della contrattazione e le affida ai lavoratori nelle fabbriche, ovvero ai loro organi di rappresentanza. Apre cioè al contratto aziendale, depotenziando il contratto nazionale. Un aspetto che CGIL non accetterà e che Ichino aveva ben previsto, agevolando perciò l’introduzione nel testo di una norma che acconsentirebbe sì a deroghe rispetto al CCNL (come nel caso di Pomigliano), ma attribuendo la facoltà di contrattazione all’organo sindacale più rappresentativo dei lavoratori, che nella maggior parte delle aziende è ancora CGIL (quando invece, con il modello attuale, a Pomigliano CGIL è stata messa in minoranza).

L’efficacia dell’accordo stipulato in quello stabilimento (Pomigliano) da Cisl e Uil senza la Cgil, in mancanza di quel principio di democrazia sindacale, è gravemente in forse per via della deroga al contratto nazionale; per questo la Fiat sta progettando di trasferire lo stabilimento a una nuova società (la «newco») non iscritta a Confindustria, quindi sottratta al campo di applicazione del contratto nazionale dei metalmeccanici, in modo che l’accordo aziendale in deroga possa applicarsi nello stabilimento senza problemi. La Cgil, così, resterebbe esclusa dal sistema di relazioni industriali della nuova impresa (ibidem).

La vicenda appare alquanto controversa. Riforme che conducano verso una effettiva applicazione del principio democratico all’interno delle aziende, per il tramite di organi e responsabilità che concretizzino la partecipazione dei lavoratori al destino aziendale, corrisponderebbero a una idealità fin qui insperata; d’altro canto, se l’alternativa sono le NewCo, pare che non ci sia scampo e che non si possa far altro che procedere verso tale riforma. Il governo ha ceduto il campo a Fiat, la quale è decisa a rompere con Confindustria e a procedere verso la più completa deregulation. E’ questo che necessitiamo? Quale proposta ha CGIL?

Il sindacato è chiamato a un’opera non facile: immaginare il futuro delle relazioni industriali. E a farlo liberandosi il più possibile della logica antagonista. Epifani, nell’intervista al Corsera, devia sulle consuete considerazioni: “il confronto si dovrebbe svolgere su riorganizzazione produttiva, diritti dei lavoratori e piano industriale con gli investimenti per l’innovazione e la nuova offerta di prodotti su cui si gioca la sfida competitiva”. Ma non è solo questione di prodotti; è anche questione di come produrli, di farlo cioè in una forma economicamente competitiva con il resto del mondo. Dove spesso le regole e i diritti non esistono.

Fiat in Serbia? Era tutto scritto. Firmato: il ministro degli Esteri Frattini

Scandaloso Marchionne: gli operai di Pomigliano si dividono sull’accordo “cappio al collo” e lui che fa? Minaccia di portare le nuove produzioni della monovolume L0 in Serbia. Mirafiori si arrangi. Colpa del sindacato, fa sapere. Subito il governo corre al capezzale dell’AD Fiat ed è un profluvio di preghierine: riapriamo la trattativa, dice Epifani, trattiamo su tutto, ma proprio tutto. Per darvi un’idea, questi i titoli di oggi:

CORRIERE DELLA SERA – FIAT, I PALETTI DI BONANNI “IL CONTRATTO NON SI TOCCA”

REPUBBLICA – BOSSI: UN DANNO SE FIAT SE NE VA, TRATTIAMO

MESSAGGERO – I VINCOLI NEGLI USA SPINGONO MARCHIONNE A FARE PRESTO

STAMPA – IL GOVERNO INSISTE “FIAT GARANTISCA IL LAVORO IN ITALIA”

STAMPA – “FIAT, IL GOVERNO INTERVENGA COME HANNO FATTO GLI USA”

MATTINO – Int. a ICHINO PIETRO – ICHINO: “SBAGLIATO ACCUSARE MARCHIONNE E’ IL SISTEMA ITALIA CHE NON ATTRAE PIU’ “

MATTINO – Int. a BONANNI RAFFAELE – BONANNI: “SI’ ALLA NEWCO A POMIGLIANO MA SUI NUOVI CONTRATTI NON TRATTEREMO”

UNITA’ – Int. a DURANTE FAUSTO – “LA NEWCO E’ INUTILE FIAT ABBANDONI LA STRATEGIA DEL PRENDERE O LASCIARE”

MESSAGGERO – Int. a CAMUSSO SUSANNA – CAMUSSO: “TOCCA AL LINGOTTO FARE UN PASSO”

In serata, il ministro Sacconi ha dichiarato alla stampa che l’accordo Fiat-Mirafiori è possibile. Già, ma accordo su di che? A Mirafiori si era per caso messo in discussione il futuro dello stabilimento? Forse che questo allarmismo generalizzato in casa Fiat sia uno stratagemma per spingere il governo all’angolo? Finché c’erano gli incentivi alla rottamazione nessun problema. Si potevano aprire anche cento Pomigliano. Finiti i soldi, finito l’idilio. Se il governo non paga, allora paghino i lavoratori, questa la morale. Ma c’è dell’altro. Poiché Marchionne fa della comunicazione un uso formidabile e ciò mostra come egli sia in grado di sparigliare il campo avverso con solo un paio di annunci fasulli. Sì perché la Fiat in Serbia ci ha messo piede da tempo. Dal 2006 incassa le royalties sulla produzione della Punto Zastava 10, il clone della Punto Fiat, assemblata negli stabilimenti Zastava, la gloriosa azienda di stato di produzione di automobili yugoslava, poi solo serba. Ebbene, l’accordo che venne raggiunto nel 2005 con il governo serbo comportò lo spostamento di una liena di assemblaggio da Termini Imerese a Kragujevac. Il clone della Punto veniva comunque realizzato con semilavorati prodotti in Italia. Poi la svolta del 2008. Gli stabilimenti Zastava devono riprendere a pieno regime le produzioni. Ciò è parte fondante del nuovo corso politico della Serbia democratica del presidente filoeuropeo Boris Tadić. L’accordo con Fiat farebbe parte di una serie di più ampie collaborazioni con i nuovi partner europei volti a far emergere il paese dalla crisi conseguente alla guerra del Kosovo. Tanto più che lo scorso 30 novembre 2009 l’Unione Europea ha sbloccato l’Accordo di Associazione e Stabilizzazione facendo entrare la Serbia nella lista bianca Schengen. Ma Fiat e il governo italiano hanno fatto da “apri-pista”:

è stato firmato a Belgrado l’accordo tra Fiat e Zastava per uno dei più importanti investimenti stranieri in Serbia con la creazione di una società mista italo-serba (70% Fiat e 30% Stato serbo) per la realizzazione di un polo automobilistico a Kragujevac […] Con un investimento complessivo di circa 700 milioni di euro, l’accordo sottoscritto dall’amministratore delegato del gruppo Fiat, Sergio Marchionne, e dal vicepremier e ministro dell’Economia servo Mladjan Dinkic, formalizza gli impegni assunti con il Memorandum d’intesa del 30 aprile […] (Fiat e Zastava accordo fatto Da qui nascerà la Topolino – Motori – Repubblica.it  – 2008).

L’investimento di 700 mln equivale a quello promesso a Pomigliano da Marchionne per riportare la produzione della Fiat Panda in Italia. Le similitudini non finiscono qui: Fiat costituisce una “newco”, new corporation, una società ex novo che incopora Zastava, fatto che implica la liquidazione della vecchia società, con la messa in mobilità di tutti i suoi lavoratori e la loro successiva riassunzione nella nuova creatura, azzerando anzianità e mansioni. E’ ciò che si vorrebbe fare a Pomigliano (Bonanni oggi lo ha “caldamente consigliato” a Marchionne, come si evince dal titolo de Il Mattino, facendo intendere che la newco è il male minore). Ma non è vero che Fiat ha deciso oggi di portare la nuova monovolume L0 in Serbia. Marchionne mente, poiché nel 2008 aveva firmato un accordo che prevedeva proprio questo:

In parallelo, verranno predisposte le linee di produzione per la futura “city-car” e per la nuova auto di “fascia B” (lo stesso segmento della Punto) che l’azienda italiana si propone di immettere sul mercato mondiale, rispettivamente a partire dal 2010 e dal 2011, con un obiettivo finale di 300mila unità all’anno entro il 2011, una soglia che farebbe dell’Europa dell’Est il terzo polo produttivo della casa torinese, dopo Italia e Brasile (La Repubblica.it, cit.).

Fiat in Serbia ha avuto un grosso sconto: dal governo serbo 50 mln di capitale più 150 mln in incentivi; dalle autorità locali serbe, l’esenzione dai dazi e dalle tasse locali per dieci anni; dal comune di Kragujevac, i terreni su cui sorgeranno i nuovi stabilimenti, gratis. Pensate che il governo italiano sia stato all’oscuro di tutto questo?

Alla cerimonia di firma erano presenti il ministro degli Esteri, Franco Frattini, il presidente serbo e il premier Mirko Cvetkovic (ibidem).

Il governo italiano ha caldeggiato e sposato sin dall’inizio la nuova fase dell’avventura di Fiat in Serbia. E’ nell’interesse strategico italiano (?) far riavvicinare la Serbia all’Europa. Qualcuno ha intelligentemente osservato il silenzio del ministro degli Esteri Frattini sulla sentenza di piena legittimità della dichiarazione di indipendenza del Kosovo del 2008 pronunciata nei giorni scorsi dal Tribunale Internazionale di Giustizia de L’Aia. Frattini si è esibito in seguito in un capolavoro di cerchiobottismo: sentenza giusta, ma rimanga caso isolato. Oggi ha affermato che bisogna accelerare il processo di adesione della Serbia alla Unione Europea. Ma perché il governo Berlusconi è diventato filo-serbo? Quali sono i reali interessi del nostro paese in Serbia? Ai posteri l’ardua sentenza.

Sitografia:

Collegato Lavoro, verso il voto definitivo in aula. Ichino: rivedere le relazioni industriali

La vicenda dell’arbitrato, la disposizione di legge che Napolitano ha ritenuto irricevibile tanto da rinviare il testo alle Camere, è in dirittura d’arrivo in aula al Senato. Al momento attuale la discussione finale non è ancora stata calendarizzata. Ma la scorsa settimana è giunto il via libera delle Commissioni Affari Costituzionali e Lavoro. Con la seduta del 15 Giugno scorso, la maggioranza ha liquidato tutti gli emendamenti presentati dalle opposizioni. Approvati solo gli emendamenti del governo, riferiti all’art. 31 e 32. L’arbitrato, appunto.

Cosa cambia? Poco.

Art. 31, comma 10. In relazione alle materie di cui all’articolo 409 del codice di procedura civile, le parti contrattuali possono pattuire clausole compromissorie di cui all’articolo 808 del codice di procedura civile che rinviano alle modalità di espletamento dell’arbitrato di cui agli articoli 412 e 412-quater del codice di procedura civile, solo ove ciò sia previsto da accordi interconfederali o contratti collettivi di lavoro stipulati dalle organizzazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. La clausola compromissoria, a pena di nullità, deve essere certificata in base alle disposizioni di cui al titolo VIII del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, dagli organi di certificazione di cui all’articolo 76 del medesimo decreto legislativo, e successive modificazioni. Le commissioni di certificazione accertano, all’atto della sottoscrizione della clausola compromissoria, la effettiva volontà delle parti di devolvere ad arbitri le controversie insorte in relazione al le eventuali controversie nascenti dal rapporto di lavoro. La clausola compromissoria non può essere pattuita e sottoscritta prima della conclusione del periodo di prova, ove previsto, ovvero se non siano trascorsi almeno trenta giorni dalla data di stipulazione del contratto di lavoro, in tutti gli altri casi. La clausola compromissoria non può riguardare controversie relative alla risoluzione del contratto di lavoro. Davanti alle commissioni di certificazione le parti possono farsi assistere da un legale di loro fiducia o da un rappresentante dell’organizzazione sindacale o professionale a cui abbiano conferito mandato (XVI Legislatura – Atto Senato n. 1167-B/bis) – [in neretto le modificazioni della Camera al testo originale; in corsivo-neretto le modificazioni operate in sede referente in Commissione Lavoro al Senato].

Le Commissioni di certificazione  accertano la volontà delle parti all’atto della sottoscrizione della clausola compromissoria, che non può avvenire prima del termine del periodo di prova di trenta giorni. Da notare la sottigliezza di anteporre “eventuali” a “controversie”, queste ultime non più insorte, o che “dovessero insorgere in relazione al rapporto di lavoro”, ma “nascenti” dal rapporto di lavoro. Una formulazione che solamente un giurista ci potrebbe aiutare a capire fin nei suoi più intimi risvolti. Quale la differenza fra “nascere da” rispetto a “insorgere in relazione da”? Da profano posso solo dire che si tratta di un sofisma della peggior specie.

C’è chi ha salutato come successo tale modificazione. D’altronde alla vicepresidenza della Commissione Lavoro siede Tiziano Treu (PD). Treu è riuscito a confondere il proprio pensiero con quello del Mnistro del Welfare Sacconi. Per Treu, infatti, l’art. 18 è un freno “alla competitività” ed è proprio ora di “passare dallo statuto dei lavoratori allo statuto dei lavori” (Treu: ”L’articolo 18 freno alla competitività d’impresa”). Treu è diventato il ventriloquo di Sacconi?

Sempre in tema di lavoro, e a margine della vicenda di Pomigliano e della Fiat, oggi Pietro Ichino torna a farsi sentire dalle colonne di ‘Cambia L’Italia’. Secondo Ichino le richieste della Fiat in fatto di tregua sindacale non sono affatto immotivate, anzi, il nostro paese avrebbe a suo dire una legislazione troppo vecchia in fatto di ‘relazioni industriali’. La cosiddetta clausola di responsabilità contenuta in un contratto collettivo vincolerebbe “soltanto il sindacato firmatario e non i singoli lavoratori; può così accadere che un sindacato non firmatario – anche se minoritario – proclami uno sciopero per paralizzare una o più clausole del contratto” (Che cosa può fare davvero la politica per gli operai di Pomigliano- Pietro Ichino). E Ichino si spinge allora a suggerire quali iniziative la politica dovrebbe mettere in atto: 1) una legge ordinaria che contenga il seguente articolo: “la clausola di tregua che sia contenuta in un contratto collettivo vincola le organizzazioni sindacali che lo hanno stipulato e i lavoratori a cui esso si applica”; 2) una ulteriore disposizione che regoli “ragionevolmente la possibilità di deroga del contratto nazionale da parte del contratto aziendale, secondo un elementare principio di democrazia sindacale”, ovvero attraverso il referendum dei lavoratori, emancipati dalla tutela dell’organizzazione sindacale. Ichino ricorda che una norma di questo genere è “contenuta nel testo unificato del disegno di legge sulla partecipazione dei lavoratori nell’azienda elaborato con consenso bi-partisan dalla Commissione Lavoro del Senato, fermo ormai da più di un anno, non è chiaro perché”.

Un’osservazione: sinora, almeno sino alla rottura della triade confederale, non vi è mai stato alcun bisogno di ipotizzare l’impiego di strumenti di democrazia diretta sui luoghi di lavoro. Questa apertura non può definirsi democratica: essa è il sintomo di una più generale (in)(e)voluzione (scegliete voi secondo il vostro orientamento) verso un mondo del lavoro senza lavoratori dipendenti. D’altronde Fiat si trastulla fra Pomigliano e lo stabilimento polacco quando il costo di un lavoratore per unità prodotta è meno del 5%. Stiamo parlando del 5% del prezzo di una Panda al listino italiano. Pensate sia troppo? Questo i lavoratori non lo sanno e nemmeno sono ammessi a saperlo. Dove è finito il modello com-partecipativo dei lavoratori ai destini della propria azienda? La vera rivoluzione democratica nelle relazioni industriali non potrebbe che avvenire “attraverso il salvataggio INTERNO delle aziende, con i lavoratori che diventano soci e proprietari della propria azienda ed artefici del proprio destino” (http://crisis.blogosfere.it/2010/06/pomigliano-darco-verso-la-schiavitu-del-xxi-secolo.html) e non invece limitandosi ad attribuire il potere di smentire il proprio sindacato e derogare al CCNL mediante consultazioni plebiscitarie fra i lavoratori.

(Si apra il dibattito).

Tutti amano Pomigliano

Ora tutti amano Pomigliano d’Arco. Anche quelli che chiedono il voto affermativo degli operai all’accordo-ricatto proposto da Fiat. E’ per il bene delle loro famiglie. E’ per il bene delle famiglie degli operai dell’indotto se viene chiesto questo ‘sacrificio’. D’altronde l’accordo, altrimenti irricevibile, di Pomigliano è stato determinato da “condizioni oggettive”, dice Veltroni. Assenteismo galoppante, produttività fra le più basse, uso spregiudicato del certificato medico: in poche parole, abuso di diritti. E come è potuto avvenire?

Dice Veltroni, e dice il vero: 1.600 permessi per fare i rappresentanti di lista tra gli operai di Pomigliano alle ultime elezioni politiche. Omette di aggiungere che 1.200 richieste portavano la firma del suo partito, il Pd (Claudio Fava – Operai Fiat, il popolo Viola dov’è? – Commenti – l’Unità.it).

Claudio Fava, in una sola riga, scrive l’epitaffio di una classe politica ipocrita. I difensori della legalità di oggi sono gli stessi che utilizzano i gruppi sociali organizzati come bacino di consenso. Gli operai di Pomigliano sono una di queste riserve a cui si attinge a piene mani in prossimità delle elezioni. Anche i disoccupati sono una riserva di voto. Alle ultime Regionali, in Campania, i disoccupati, o perlomeno le organizzazioni che li rappresentano, hanno giocato il medesimo ruolo. Un’inchiesta per RaiNews dei giornalisti Angelo Saso e Maria Pirro si è occupata del ruolo delle ‘liste’ dei disoccupati nel meccanismo del voto di scambio alle Regionali 2010, vinte da Caldoro (PdL):

I disoccupati sarebbero – ormai da un decennio – organizzati in vere e proprie liste con degli iscritti. Il disoccupato paga una cifra settimanale per rimanere iscritto in lista. Viene fatta la manifestazione in prossimità del voto; alla fine,  si fanno gli appelli dei presenti. Ogni lista ‘porta’ dei voti al candidato di riferimento, il quale, se eletto, si impegna a regolarizzare il disoccupato. Presto detta l’equazione: a Pomigliano, i gruppi di pressione scambiano il voto con ‘privilegi’, quali i permessi per fare i rappresentanti di lista o lo scrutatore al seggio, che dall’ultima riforma elettorale viene chiamato in maniera “diretta e nominativa” (ovvero non casuale – legge n. 270 del 2005). Sia detto per inciso: qui non si vuole colpevolizzare i lavoratori di Pomigliano o i disocccupati della Campania. Essi si sono adattati all'”ambiente” in cui vivono. La vera responsabilità è quella dei partiti. E di dirigenti del calibro di Veltroni, che fingono di non vedere.

Il sistema è questo: una vera e propria simbiosi fra partito e bacino votante; il primo riceve il sostegno, poi ‘paga’ il voto con regali personali ai primi della lista, a coloro che si sono spesi maggiormente. La questione morale non è limitata alla ‘cricca’ di Anemone e Balducci, a Propaganda Fide e a Bertolaso: tutto il sistema politico drena consenso attraverso l’approccio corruttivo, e a sua volta rilascia favori o si lascia irretire in una rete clientelare.

Fiat pretende rigore, derogando alle leggi e alla Costituzione, in una regione in cui legge e Costituzione sono quotidianamente calpestate. Fiom grida allo scandalo ma per prima dovrebbe ammettere che l’humus campano è putrescente. Quale la soluzione?

In questa cornice si inserisce la vicenda dei presunti brogli elettorali denunciati da Francesco Barbato, parlamentare di Idv, alle scorse regionali candidato per la lista Noi Sud, che si è visto superare in extremis da tal Raffaele Sentiero, della sua medesima lista. La lista sosteneva la candidatura del presidente Caldoro (tralasciamo di dire della ‘migrazione’ a destra di Barbato, ai tempi del congresso Idv addirittura sostenitore di una mozione contro Di Pietro, in polemica sul sostegno dato da Idv a De Luca). Secondo Barbato, i voti di Sentiero sarebbero lievitati in modo innaturale. Barbato ha denunciato i brogli ed è stato poi ascoltato in Procura, a Torre Annunziata. Dubito che abbia giustizia. Tanto per dire, alla vigilia delle elezioni furono sequestrate cinquemila schede elettorali già votate a Casal di Principe.

Accordo Fiat-Pomigliano, pareri opposti

La vicenda dell’accordo sindacato-Fiat per l’investimento produttivo nello stabilimento di Pomigliano lascia interdetti. Da una parte le ovvie ragioni di una azienda che si accinge, dopo anni di smantellamento, di delocalizzazioni e di denari pubblici, a dirottare 700 mln di euro su uno stabilimento italiano. Fatto più unico che raro. Dall’altra, la posizione di un sindacato che si è messo di traverso, la Fiom, ultimo baluardo contro la politica dell’eccezione e della deroga.
Chi si chiede se le richieste della Fiat siano fuori dell’ordinario. Le risposte che i giuslavoristi delle varie tradizioni ci possono fornire sono contrastanti.
Fiat chiede:

  1. annullamento degli accordi precedentemente presi;
  2. introduzione orario lavorativo con turnazione a ciclo continuo;
  3. incremento delle ore di straordinario dalle 40 previste dal CCNL a 120, in deroga allo stesso CCNL;
  4. introduzione della franchigia dei tre giorni non pagati in caso di astensione dal lavoro per malattia con tasso di assenteismo anomalo, con verifica della condizione affidata a un comitato interno paritetico sindacati-azienda;
  5. clausola di responsabilità, tale per cui ogni attività sindacale – collettiva o individuale – volta a rendere inesegibili le condizioni contrattuali stabilite con questo accordo determinano la immediata risoluzione dell’accordo medesimo.

Secondo Pietro Ichino l’accordo non presenta affatto profili di llegittimità:

  • la franchigia dei tre giorni era prevista dai contratti fino al 1972; quindi fu rimossa, per poi ritornare per alcune tipologia contrattuali (contratti di inserimento e/o formazione) e comunque è comune ormai – purtroppo, aggiungo io – l’introduzione di forme di incentivo per la riduzione delle assenze per malattia sotto forma di “premi di presenza”;
  • nessuna norma legislativa impedisce una deroga al CCNL in tal senso;
  • la clausola di responsabilità è di fatto un patto di tregua sindacale, “che è oggi considerato pacificamente valido e vincolante per il sindacato che lo stipula” (Pietro Ichino); qui però ichino si fa più confuso: “se la proclamazione dello sciopero è illegittima per violazione di un patto di tregua validamente sottoscritto dal sindacato proclamante, debba considerarsi illegittima anche l’adesione del lavoratore a quello sciopero: mi sembra pertanto che anche quest’ultima parte della disposizione proposta debba considerarsi pienamente valida”. Ma una tregua sindacale quanto può durare? Il rinnovo del contratto per la parte salariale avviene con cadenza biennale: è possibile e giusto privare i lavoratori dell’arma dello sciopero anche in questa fase?

Ichino, nella sua dissertazione, cita anche i pareri di Mariucci e Romagnoli sulla clausola di responsabilità:

  • secondo i due, la clausola vincolerebbe soltanto il sindacato stipulante ma non i singoli lavoratori, ovvero la clausola di tregua dovrebbe appartenere alla cosiddetta ‘parte obbligatoria’ del contratto collettivo, “cioè a quella che disciplina i rapporti tra le parti collettive firmatarie del contratto stesso, e non alla cosiddetta ‘parte normativa’, che disciplina i rapporti individuali di lavoro (onde i singoli lavoratori – anche se iscritti al sindacato che ha stipulato la clausola di tregua – sarebbero sempre liberi di aderire a qualsiasi sciopero) – (Pietro Ichino).
  • Ichino contrasta con questa ipotesi, priva del necessario “fondamento testuale nella legge oggi vigente nel nostro Paese” (ibidem).

Diversa la posizione di Tito Boeri, secondo cui l’accordo si occupa di due questioni che normalmente non dovrebbero competere alla contrattazione aziendale:

  • clausola di responsabilità: “il problema non si porrebbe se avessimo una legge sulle rappresentanze che vincola i lavoratori al rispetto degli impegni presi dai loro rappresentanti, liberamente eletti, che rispondono regolarmente del loro operato di fronte ai lavoratori […] se questi rappresentanti non riescono a trovare un accordo tra di loro, saranno i lavoratori a scegliere con gli strumenti della democrazia diretta, mediante un referendum che vincoli poi tutti al rispetto delle volontà della maggioranza”; ergo, è necessario l’intervento del legislatore approvando il ddl Nerozzi in tema di rappresentanza;
  • assenteismo: esiste un problema morale e di infiltrazione criminale, camorristica, che azienda e sindacato dovrebbero insieme combattere;
  • denaro pubblico: eh già, per la ristrutturazione di Pomigliano, Fiat farà ricorso alla Cig (cassa integrazione) per i prossimi due anni; ergo, Pomigliano la pagheremo tutti.

La mia opinione? Il giro di vite di Fiat su Pomigliano è tardivo, perciò colpevole. Perché tollerare per anni l’assenteismo galoppante? Perché non sanare le eventuali infiltrazioni camorristiche denunciate da Tito Boeri? Riportare della produzione in patria è sicuramente un merito. Ma derogare su un diritto costituzionale non è possibile. E’ possibile introdurre strumenti per premiare il merito, ma non è giusto rendere le condizioni lavorative un inferno. Se Fiat non riesce a aver rispetto per i lavoratori di Pomigliano, almeno abbia rispetto per il Lavoro: garantisca i diritti e al contempo faccia rispettare la sua scelta di investire in un paese allo sbando. Poiché alla Politica ora non è possibile chiedere niente.

Il testo completo dell’accordo al link che segue:

  • 8.) Assenteismo
    • Per contrastare forme anomale di assenteismo che si verifichino in occasione di particolari eventi non riconducibili a forme epidemiologiche, quali in via esemplificativa ma non esaustiva, astensioni collettive dal lavoro, manifestazioni esterne, messa in libertà per cause di forza maggiore o per mancanza di forniture, nel caso in cui la percentuale di assenteismo sia significativamente superiore alla media, viene individuata quale modalità efficace la non copertura retributiva a carico dell’azienda dei periodi di malattia correlati al periodo dell’evento. A tale proposito l’Azienda è disponibile a costituire una commissione paritetica, formata da un componente della RSU per ciascuna delle organizzazioni sindacali interessate e da responsabili aziendali, per esaminare i casi di particolare criticità a cui non applicare quanto sopra previsto.
    • Considerato l’elevato livello di assenteismo che si è in passato verificato nello stabilimento in concomitanza con le tornate elettorali politiche, amministrative e referendum, tale da compromettere la normale effettuazione dell’attività produttiva, lo stabilimento potrà essere chiuso per il tempo necessario e la copertura retributiva sarà effettuata con il ricorso a istituti retributivi collettivi (PAR residui e/o ferie) e l’eventuale recupero della produzione sarà effettuato senza oneri aggiuntivi a carico dell’azienda e secondo le modalità definite.
      Il riconoscimento dei riposi/pagamenti, di cui alla normativa vigente in materia elettorale, sarà effettuato, in tale fattispecie, esclusivamente nei confronti dei presidenti, dei segretari e degli scrutatori di seggio regolarmente nominati e dietro presentazione di regolare certificazione. Saranno altresì individuate, a livello di stabilimento, le modalità per un’equilibrata gestione dei permessi retribuiti di legge e/o contratto nell’arco della settimana lavorativa.
    13) Clausola di responsabilità
    • Tutti i punti di questo documento costituiscono un insieme integrato, sicché tutte le sue clausole sono correlate ed inscindibili tra loro, con la conseguenza che il mancato rispetto degli impegni eventualmente assunti dalle Organizzazioni Sindacali e/o dalla RSU ovvero comportamenti idonei a rendere inesigibili le condizioni concordate per la realizzazione del Piano e i conseguenti diritti o l’esercizio dei poteri riconosciuti all’Azienda dal presente accordo, posti in essere dalle Organizzazioni Sindacali e/o dalla RSU, anche a livello di singoli componenti, libera l’Azienda dagli obblighi derivanti dalla eventuale intesa nonché da quelli derivanti dal CCNL Metalmeccanici in materia di:
    • -contributi sindacali
    • -permessi sindacali retribuiti di 24 ore al trimestre per i componenti degli organi direttivi nazionali e provinciali delle Organizzazioni Sindacali ed esonera l’Azienda dal riconoscimento e conseguente applicazione delle condizioni di miglior favore rispetto al CCNL Metalmeccanici contenute negli accordi aziendali in materia di permessi sindacali aggiuntivi oltre le ore previste dalla legge 300/70 per i componenti della RSU -riconoscimento della figura di esperto sindacale e relativi permessi sindacali.
    • Inoltre comportamenti, individuali e/o collettivi, dei lavoratori idonei a violare, in tutto o in parte e in misura significativa, le presenti clausole ovvero a rendere inesigibili i diritti o l’esercizio dei poteri riconosciuti da esso all’Azienda, facendo venir meno l’interesse aziendale alla permanenza dello scambio contrattuale ed inficiando lo spirito che lo anima, producono per l’Azienda gli stessi effetti liberatori di quanto indicato alla precedente parte del presente punto.

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