Stress Test e Mps, un bel giorno per Davide Serra

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Avrete letto che l’esito degli stress test bancari, eseguiti dalla BCE sugli istituti dell’area Euro, è negativo per nove banche italiane. Mps ha manifestato una carenza di 2,1 miliardi; Carige di 814 milioni. Insomma, ci si aspetta un lunedì nero per il mercato italiano, che verrà probabilmente trascinato agli inferi dai titoli bancari. Mps deve quindi ricapitalizzare e, in generale, quando è tale la prospettiva, il mercato tende a reagire deprezzando il titolo.

Nel frattempo, il finanziere di successo Davide Serra, ospite fisso di ogni Leopolda (da quando la Leopolda è il luogo dello show Renzianissimo), ha esternato alcune sue opinioni – rispettabili, ma inutili come tutte le opinioni – sul diritto di sciopero. Per Serra, lo sciopero è un costo (lo è in primis per i lavoratori, non è vero?) e andrebbe abolito. Jacopo Iacoboni, su La Stampa, già titola “Serra, rockstar spericolata”, descrivendo le scene di giubilo durante il suo speech leopoldino. Ma Iacoboni non sa che domani, per il finanziere, non sarà solo il giorno delle prime pagine e della più ampia visibilità.

Serra detiene una posizione ribassista pari allo 0,94% del capitale di Mps: tale informazione è nota poiché la Consob obbliga le società a rendere pubbliche tali esposizioni quando superano lo 0,5%. Domani, per Serra, sarà un giorno di forti guadagni. Fra l’altro, il titolo Mps dal 17 Giugno, giorno del suo più alto valore pari a 2,5 euro per azione (quando il rating della banca era passato da underperform a neutral, secondo Bnp Paribas), ha conosciuto un periodo di pesanti ribassi, arrivando a toccare il picco negativo lo scorso 16 Ottobre, a 0,81 euro/azione. Serra ringrazia. Così va il mondo della Finanza.

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Arrampicata stile libero e caso Cancellieri

A questo fanno pensare le dichiarazioni di Cuperlo e Renzi circa il caso dell’aiutino alla famiglia Ligresti. Il ‘tengo amici’ del Ministro dell’Interno pone in grande imbarazzo due dei tre (quattro..) candidati alle primarie per la segreteria del Pd.

Cuperlo, riporta oggi Repubblica.it, pur essendo favorevole alle dimissioni della Ministro, tiene a precisare il suo pensiero: “Non è in discussione la correttezza del ministro Cancellieri; quel che ho posto è un problema di opportunità politica: se esistono tutte le ragioni di serenità per adempiere appieno a una funzione particolarmente delicata come è quella del Guardasigilli”.

La posizione di Renzi è sempre la stessa da alcuni giorni: “io mi sarei dimesso”.

Forse non si sono accorti che sulla Ministro pende una mozione di sfiducia individuale proposta dal M5S. E che quindi il dilemma non è più dimissioni/non dimissioni bensì quello ben più gravoso per il Pd, il dilemma della fiducia. Non è forse il caso di riflettere bene prima di difendere a spada tratta Cancellieri? Di riunire i gruppi parlamentari e di ascoltare bene le ragioni di coloro che chiedono le dimissioni, di votare valutando accuratamente le conseguenze di tale deliberazione? Non è forse il caso di allargare lo sguardo e di accorgersi dell’opinione pubblica generale prima di limitare l’analisi a ciò che è più consono alla persistenza del governo delle Larghe Intese? Poiché non c’è scritto da alcuna parte che lo stato d’emergenza perpetuo in cui viviamo giustifichi gli abusi d’ufficio di un Ministro.

In Fondazione Carige le Larghe Intese sono finite

Flavio Repetto, il dominus di Fondazione Carige, è caduto. Uno degli ultimi Capitani d’Industria del paese, 81 anni, indomito e immarcescibile, è stato deposto dal Cda della Fondazione. Diciassette voti contrari: voti dei referenti di Claudio Scajola e di altri berlusconiani che in tal modo rientrano nella durissima partita del controllo del board di Banca Carige. Claudio Burlando, Pd, presidente di Regione, aveva già negli scorsi giorni paventato il rischio: “è una guerra fra bande”, aveva dichiarato il 16 Ottobre, attirandosi le critiche del consigliere Pdl Melgrati (“se è così, dica quale è la “banda” che capeggia lui”). Burlando non è certamente un fan di Repetto, ma era riuscito, dopo la defenestrazione del presidente Berneschi, a piazzare Cesare Castelbarco Albani, ex consigliere della medesima banca e dimissionario da fine Settembre. Castelbarco Albani, un uomo, come da tradizione, avente cariche in circa dodici fra società e aziende:

Ebbene, Castelbarco Albani aveva dichiarato, all’atto della sua nomina, che se Repetto fosse stato sfiduciato, avrebbe lasciato testé la presidenza, causando una empasse che farebbe precipitare l’Istituto nel gorgo del commissariamento. A distanza di quasi 24 ore, Castelbarco Albani non ha lasciato dichiarazioni. Neppure Burlando ha osato prender parola. Il dado è tratto e le Larghe Intese, nel Cda della Fondazione, possono dirsi definitivamente archiviate.

Gli esponenti del Pd locale sono evidentemente in disarmo. Burlando ha visto soddisfatta però la sua richiesta della nomina del nuovo Ad di Banca Carige prima della sfiducia a Repetto. Lui è Petro Montani, ex Bpm. Montani è considerato un ‘risanatore’, ben visto dalla Vigilanza di Bankitalia, proposto dal presidente Cesare Castelbarco Albani (e, si immagina, con il favore del presidente di Regione). Ma il fronte si è subito spostato sulla Fondazione.

L’attacco dei prodi di Sciaboletta e della finanza in porpora (Bagnasco) spinge la fase della ridefinizione degli assetti in Carige verso destra. In pista per la successione di Repetto, vi è tal Pierluigi Vignai, attuale vicepresidente della Fondazione, ex candidato sindaco della città di Genova per il Pdl. E’ etichettato come ‘indipendente di centrodestra’, ma ha avuto la tessera del Pdl fino a tutto il 2011. E’ un ex democristiano, aspetto che non si cancella mai dalle biografie. Come candidato sindaco, era espressione sia dell’ala scajolana sia dell’ala cattolica facente riferimento al cardinale Bagnasco. Il suo nome è quindi il suggello finale alla ‘guerra fra bande’ evocata da Burlando. Vignai è altresì soprannominato “l’uomo che sussurra ai Cardinali”. Questo aneddoto forse rende la misura esatta di quanto la figura di Bagnasco sia esposta in questa vicenda. Un cardinale che interviene un po’ troppo spesso per commentare le vicende di un istituto bancario. Come tre giorni fa, prima di questo passaggio di nomine e sfiducie, Bagnasco si espresse in questi termini:

La Carige è una istituzione fondamentale, importante, genovese. Tutti vogliamo che mantenga questa connotazione, questa origine, questa fidelità […] ha detto il cardinale, sottolineando l’importanza della “missione di Carige”[…] Una istituzione – ha detto – che deve mantenere la sua connotazione senza rinchiudersi nella regionalità o nella città, però rimanendo ben ancorata non soltanto come sedi o occupazione, ma anche come missione (Carige, Bagnasco: «Auspichiamo resti genovese» | Liguria | economia | Il Secolo XIX).

Il giorno dopo a rispondergli è il Giovane Turco (dalemiano) Andrea Orlando: “Il localismo non ha portato buoni risultati. Io non sono un mercatista, ma il mercato si incarica sempre di dare risposte. Se questo modello fosse stato efficiente probabilmente non saremmo a fare le discussioni di questi giorni [..] è un sistema bancario fortemente anchilosato, legato a una dimensione quasi esclusivamente pubblica, a un sistema nel quale è venuto meno qualsiasi tipo di governo. Da un lato si è andati verso un gigantismo che spesso ha sradicato le strutture dal territorio mettendo in difficoltà le imprese. Dall’altro ci sono stati anche fenomeni di localismi e di chiusura che in nome della territorialità non hanno saputo cogliere i cambiamenti” (Carige, «Il localismo non ha portato buoni risultati» | Liguria | economia | Il Secolo XIX).

Non una parola, non una sul rapporto abusato dei partiti politici con le Fondazioni Bancarie.

Banca Carige: un mix pesante di derivati, politica e gerontocrazia

La vicenda di Banca Carige sta diventando una vicenda giudiziaria – l’ennesima – che scoperchierà un intreccio fatto di politica, affari, riciclaggio, lottizzazione; soprattutto, una indomita, irremovibile, gerontocrazia militante.

Il declino della banca di Genova, banca locale per antonomasia, comincia – beffardo il destino – il 25 Febbraio 2013, giorno di voto e di fallimenti elettorali (per il Partito Democratico). Quel giorno il titolo in Borsa perse il 7.8%, come tutti i titoli bancari italiani, sottoposti alla speculazione finanziaria innescata dall’imprevisto risultato elettorale. Carige, a mercati chiusi, comunica la decisione del consiglio di amministrazione: “un piano di rafforzamento del patrimonio da 800 milioni di euro, una cifra pesantissima e che verrà realizzata in parte con la cessione di taluni asset non strategici e non funzionali all’attività core del gruppo” (Carige, dismissioni e capitali freschi pronto il piano da 800 milioni di euro – Repubblica.it » Ricerca). Da dove veniva quella frettolosa ricapitalizzazione?

Le mosse del presidente (ora deposto) Giovanni Berneschi finiscono sotto l’occhio vigile (e sveglio e pronto e attento e) della Consob, la quale già ad inizio Febbraio 2013 chiede a Carige di contabilizzare taluni “profili di fiscalità differita”, una moral suasion che viene recepita dal CdA in via prudenziale. Al mercato era invece stato prospettato un risultato ben diverso: “nel bilancio consolidato si determina un beneficio economico non ricorrente di 259,3 milioni anziché di 715 milioni, con uno scarto di quasi cinquecento milioni di euro”. Le assicurazioni sono in effetti una delle pietre dello scandalo. Un bubbone enorme che prende il nome di Filadelfo Arcidiacono. Questo signore non è un signore ma un nome inventato. Ha addirittura un codice fiscale: RCDFLA66E10F952K. E’ stato a lungo utilizzato nei registri della compagnia per coprire i veri beneficiari di super-parcelle. Giovanni Berneschi avrebbe dovuto risanare queste anomalie. Alla stessa maniera, avrebbe dovuto risolvere quell’altro pasticcio, quello della filiale di Nizza, in Francia. E’ il 2005 quando la Banque de France “si occupa di un’operazione da 583 mila euro versati su un conto di Carige Nizza a fronte della vendita di immobili in Italia per 186 mila euro”: naturalmente la vendita era fittizia e il movimento copriva fondi neri il cui ‘beneficiario’ non è ancora balzato agli onori della cronaca giudiziaria.

La vicenda rimane sottotraccia fino all’estate. A fine Luglio il CdA cade a pezzi. E’ il risultato della guerra fra il presidente e la Fondazione, guidata dal sempiterno Flavio Repetto, ottantunenne irriducibile industriale del settore dolciario (è presidente della Novi-Elah Dufor): “cinque consiglieri di amministrazione di banca Carige rassegnano le dimissioni (che saranno effettive dall’assemblea chiamata a nominare il nuovo cda). Se ne vanno quattro consiglieri della Fondazione (Piergiorgio Alberti, Luigi Gastaldi, Gianni Marongiu e Sandro Repetto) e uno indicato dai soci francesi, invocando una “nuova governance” per la banca” (Repubblica.it). Qui viene il bello: a leggere i nomi dei consiglieri forse si sospetta solo una parentela con il presidente della Fondazione (non è così), ma in realtà Sandro è quel Sandro Repetto ex presidente della provincia di Genova, ex parlamentare fra le fila dei democratici (è un ex Margherita, ma ormai poco conta). Nel vecchio CdA siedeva pure il fratello di Claudio Scajola; sì, proprio lui, sciaboletta. Un bel quadretto. Una commistione disarmante.

Berneschi è un matusalemme all’interno di Carige; è stato assunto nel 1957. Da quarantanni è ai vertici della Banca. E’ diventato, dopo il caso Mussari, vicepresidente dell’Abi. Il Partito Democratico genovese rappresentato all’interno di Carige è letteralmente diviso in due: da un lato, Sandro Repetto, rappresentante per la Fondazione; dall’altro Claudio Burlando, presidente della Regione (per ovvi motivi non ha ruoli all’interno della banca) e acerrimo sostenitore di Berneschi. Quando il CdA è andato in pezzi, Burlando ha alzato la voce, dall’alto del proprio ruolo ‘super partes’ (?) di Governatore della Liguria. “È la settima banca d’Italia”, ha detto Burlando, “le persone vanno scelte con attenzione. Meriterebbe una guida in grado di dare il senso di banca nazionale. La scelta di nominare un nuovo consiglio che si farà in così pochi giorni riguarderà solo le persone o è anche un progetto? (carlottascozzari.wordpress.com). Carlotta Scozzari ha giustamente fatto rilevare che il vertice di una banca deve essere scelto dagli azionisti della stessa, fra i quali vi è giocoforza la Fondazione. Che cosa vuol dire, le persone vanno scelte con attenzione? Che tipo di messaggio è questo e a chi è indirizzato? “Non si capisce”, continua Burlando in una intervista a Telenord, “con quali procedure saranno selezionati i nuovi dirigenti della banca, che di solito si scelgono affidandosi a uno studio, attraverso cacciatori di teste?”. Un mistero, direi. Intanto la Fondazione ha prosciugato il proprio capitale, partecipando alla ricapitalizzazione con ben 700 milioni di euro. In una lettera al Secolo XIX, Luciano Port, ex sindaco di Recco (anni ’80, DC) e piccolo azionista della banca, ha rivelato che con la nuova esposizione verso il capitale Carige, la Fondazione è letteralmente rimasta “senza liquidità” (carlottascozzari.wordpress.com).

Mentre Banca d’Italia, a fine Agosto, ha bocciato il piano da 800 milioni, negli ultimi dieci giorni, banca Carige ha dovuto ripetutamente smentire le indiscrezioni di stampa circa lo scoperto generato da alcune operazioni sui derivati. Si tratterebbe di contratti derivati “a leva” (a debito, ovvero con rischi di perdite superiori all’investimento) sui titoli di Stato italiani sottoscritti dall’istituto. Posizioni pari a circa 7 miliardi di euro. La smentita di Carige, però, contiene paradossalmente l’ammissione che la banca è esposta per quella medesima cifra proprio su titoli di Stato italiani sui quali sono state edificate ‘coperture strutturate’: scrivono candidamente su La Stampa Finanza (evidentemente un articolo a pagamento), che “le metodologie attualmente impiegate da Carige per la valutazione degli strumenti derivati sono di vasto utilizzo sul mercato, soggette a periodici aggiornamenti e determinano differenze che non hanno comunque impatto sulla redditività aziendale”. Poco rassicurante davvero.

Ablyazov e i segreti dell’ENI

KulibayevL’Espresso ha rovistato fra i cablogrammi della diplomazia USA rivelati da Wikileaks due anni or sono ed ha rivelato che Ablyazov era ben noto alle cancellerie occidentali, non già in quanto ‘pericoloso latitante’ bensì come dissidente democratico in possesso di scottanti rivelazioni circa la pesante corruzione della azienda petrolifera del governo kazako, la KazMunaiGaz:

Mukhtar Ablyazov, recentemente [2009] ha fatto uscire sui media internazionali “documenti che provano” che le aziende di stato cinesi hanno recentemente dato tangenti a Kulibayev per oltre 100 milioni di dollari per gli affari petroliferi (L’Espresso).

Timur Kulibayev, zar dell’energia del paese nonché genero del presidente kazako Nursultan Nazarbayev, secondo i magistrati milanesi che hanno messo sotto processo la Agip KCO, è stato oggetto di una corruzione milionaria da parte dell’Eni (Agip KCO è la succursale di Scaroni in Kazakhstan), ma il medesimo trattamento gli è stato riservato anche dalla BP. Kulibayev ha ‘brama’ di denari, sostenne il il primo vicepresidente della compagnia petrolifera di stato, KazMunaiGaz, Maksat Idenov, mentre nel gennaio 2010 riceve l’ambasciatore americano al Radisson hotel di Astana. Anche i cinesi hanno corrotto Kulibayev. Il businness ruota intorno ad un enorme giacimento di petrolio:

Lo sviluppo del giacimento di Kashagan, che ha 38 miliardi di barili di petrolio, è fondamentale per il futuro del Kazakistan. Attualmente il giacimento è controllato da un consorzio composto da ENI, Total, Exxon, Shell, la kazaka KazMunaiGaz (con una quota di partecipazione del 16,8%), ConocoPhillips (con l’8,4%) e Inapex (7,5%) (fondazionecdf.it).

Sfruttare il Kashgan è altamente costoso. Si deve lottare contro il ghiaccio, e contro il vento, fortissimo, che stacca le lastre dalle torri di trivellazione. Ancor oggi il progetto Kashgan è in alto mare: il costo è raddoppiato e Eni ha mostrato di essere in ritardo, in difficoltà tecniche, scarsamente efficiente. Eni, nel 2009, stava per essere estromessa dal progetto. La tangente a Kulibayev non risolse del tutto la situazione: solo l’intervento diretto di Berlusconi permise a Eni di restare dentro al paese, in un nuovo consorzio, il North Caspian Operating Company (NCOC).

Lo scorso 3 Luglio si è svolta, presso il giacimento di Kashagan in Kazakhstan con la partecipazione del presidente kazako Nursultan Nazarbayev e il primo ministro britannico David Cameron, una cerimonia di messa in servizio degli impianti di produzione e per la costruzione di quelli necessari per la produzione iniziale. Nazarbayev non è solo amico di Berlusconi. Fra i suoi consiglieri figura un certo Tony Blair. Curiosamente il presidente del Consiglio italiano, Enrico Letta, oggi è volato a Londra proprio da David Cameron. Lo scandalo Ablyazov lo ha inseguito sino nella capitale del Regno Unito, ma i giornalisti italiani si soffermano sulla impacciata relazione del ministro dell’Interno, Alfano. Avranno i due capi di governo parlato dei progressi del consorzio NCOC? Il volume della produzione è previsto essere gradualmente in aumento durante il secondo semestre del 2013. Circa 180.000 barili al giorno saranno estratti in media durante la prima fase, 370.000 barili al giorno nella seconda fase, che coinciderà con il secondo semestre. Eni controlla il 16% del consorzio, tramite Agip Caspian Sea BV che a sua volta controlla Agip KCO.

Ablyazov è una mina vagante. Se, in seguito al fattaccio del rimpatrio della moglie e della figlia, dovesse iniziare a rivelare l’intreccio di interessi internazionali e della corruzione dilagante, saranno guai, al di qua e al di là della Manica. Mal che vada, pagherà il solo Angelino Alfano.

L’agguato di via Arenula e gli scontri del #14N: chi comanda la Polizia di Stato?

Il coordinamento quantomeno discutibile dell’ordine pubblico durante la manifestazione del #14N aggiunge un altro tassello alla lunga sequenza di errori, anzi, alla malagestio della Polizia di Stato dalla Diaz ad oggi. I lacrimogeni sparati dalle finestre e dal tetto del Ministero della Giustizia, proprio sopra l’ufficio del Ministro Severino, sono un dettaglio inquietante in un quadro di sospetti ancora più denso. La prassi di trasformare le grandi manifestazioni pubbliche in pestaggi sembra essersi consolidata intorno allo schema ben noto della provocazione-repressione, con l’esito di mettere in scena il disordine e fomentare la paura. Quali le ragioni ultime di questa strategia? La piazza sembra debba essere sempre tenuta sotto scacco da poche decine di violenti che a loro volta devono fronteggiarsi con gli agenti di polizia, in una sorta di rappresentazione scenica del conflitto fra popolo e Stato, fra disordine e ordine. Non c’è grande manifestazione degli ultimi anni che non abbia seguito questo schema. E’ forse più di un sospetto che questo copione sia recitato a memoria, a discapito di chi vuol realmente e pacificamente esprimere le proprie idee e il proprio disaccordo con la politica della crisi. Un sospetto che va inquadrato nel più ampio scenario della cosiddetta guerra di successione interna alla Polizia di Stato.

Antonio Manganelli è capo della Polizia dal 2007. Dopo lo spostamento di De Gennaro alla carica di sottosegretario con delega ai servizi, il suo nome era fra i papabili per il vertice del Dis, il Dipartimento delle Informazioni per la Sicurezza. Ma Mario Monti gli ha preferito un ambasciatore, Giampiero Massolo. Non è stata, quella di Massolo, una scelta di rottura con De Gennaro poiché Massolo medesimo è persona legata a De Gennaro, bensì una sorta di ‘mossa del cavallo’ da parte del governo, impegnato in un tentativo di spending review anche sul fronte del Servizio Segreto. Dopo gli episodi del 14 Novembre e di via Arenula, Manganelli ha dichiarato di volere la testa dei “poliziotti violenti”. Manganelli forse sa di essere isolato all’interno del corpo di polizia. Sta cercando di rifarsi una verginità dinanzi all’opinione pubblica, adottando posizioni fin troppo populiste per un capo di polizia. Per farvi notare quanto Manganelli sia isolato, basta citare le parole del questore di Roma, Fulvio della Rocca: “Se a un certo punto veniamo aggrediti militarmente, con un attacco ‘a testuggine’, è chiaro che dobbiamo reagire, perché siamo qui anche per questo: per tutelare la legge, questo è il nostro compito. Questo stesso sistema di azione è stato messo in atto in altre città, quindi probabilmente c’è una regia in tutto questo” (Repubblica.it). Anche il Ministro Cancellieri si è espressa in maniera dissonante rispetto a Manganelli: “Tutta Italia ieri bolliva, è facile dire le cose dopo, ma dobbiamo pensare che gli agenti hanno operato in condizioni difficili e complesse” (www.fattidicronaca.it).

L’isolamento di Manganelli è cominciato diversi anni fa, quando – malato – si era recato negli USA per le cure, viaggio che gli è costato qualche critica interna. La sua situazione ha avuto per così dire un aggravio con il cambio di governo con la polemica sul suo reddito: il capo di polizia più pagato al mondo, veniva scritto a inizio anno, quando il Ministro Patroni Griffi avviava l’operazione trasparenza sui redditi dei funzionari statali.

Da che parte gli provenivano questi colpi? Per la Polizia di Stato, l’avvento del governo Monti ha rappresentato una cesura netta. Il’ partito’ dei Prefetti, con la nomina di Cancellieri all’Interno, ha ripreso vigore a discapito del cosiddetto partito dei superpoliziotti, gli eredi della Squadra Mobile di Palermo degli anni Ottanta, per intenderci quella che operò al fianco di Giovanni Falcone, una squadra la cui storia è stata oggetto di una recente revisione in senso dubitativo sulla loro reale fedeltà al magistrato. Quei superpoliziotti che rispondevano al nome di La Barbera, De Gennaro, Manganelli, Longo, hanno ‘governato’ la Polizia da metà anni Novanta sino ad ora, rivestendo diversi incarichi e restando pressoché indenni alle responsabilità del G8 di Genova del 2001. Già perché la sentenza sulla scuola Diaz ha decapitato le seconde linee, i vari Gratteri, Calderozzi, Luperi, Canterini. Tutti provenienti dalla lotta al potere mafioso, abituati forse ai modi spicci che al rispetto dello Stato di diritto. Ma ha lasciato praticamente intatto il vertice.

Anche la vicenda del corvo del Viminale potrebbe essere interpretata come parte dell’operazione ‘terra bruciata ‘ intorno a Manganelli.

Le rivelazioni del Corvo sugli appalti truccati al Viminale acquistano uno spessore inedito, in cui l’importante non è il “come”, ma il “quando” […] La prima testa eccellente a rischio è quella di Nicola Izzo – definito dal Corvo “il puparo della combriccola” -, il vice capo della polizia, l’erede naturale di Manganelli […] l regolamento di conti è tra poliziotti e prefetti, con i secondi nettamente avvantaggiati dal fatto di avere al governo diversi “colleghi”. La successione di Manganelli potrebbe essere anche un’occasione per risistemare alcuni “amici in difficoltà” (senzasoste.it).

Il governo Monti, ridisegnando i confini delle province, ha generato malcontento nella classe prefettizia poiché meno province vuol anche dire meno prefetture. Quale miglior occasione per il partito dei prefetti di far pervenire la propria voce e avanzare pretese sul vertice della Polizia? Da alcuni mesi si stanno profilando le candidature, tutte di origine prefettizia: Giuseppe Procaccini (ex prefetto di Latina), Franco Gabrielli (capo della protezione civile) e Alessandro Pansa (ex prefetto di Napoli). Procaccini e Pansa sono entrambi campani e non sono entrambi candidature limpide, sfiorati in modi diversi da soggetti prossimi al potere camorristico (I TRE PAPABILI ALLA GUIDA DELLA POLIZIA – PREFETTI PERFETTI?). Procaccini, fra l’altro, era sponsorizzato da Nicola Cosentino quando questi era sottosegretario all’Economia. Infatti, nella qualità di referente territoriale della maggioranza (Pdl), passava al vaglio gli incarichi dei prefetti provenienti dalla Campania. Su Procaccini l’onorevole Cosentino espresse il suo massimo apprezzamento. E Procaccini venne fatto capo di Gabinetto dell’Interno.

Lo schizzo di fango che ha silurato Nicola Izzo, quell’anonimo che è stato etichettato come opera del corvo del Viminale, ha forse evidenziato un problema grosso che investe il Viminale ma non solo. Gli appalti e la corruzione. Già perché il signor Izzo fu già oggetto di sospetti. Per gli appalti di Finmeccanica, in primis, per i quali è indagato dalla procura di Napoli. Sospetti anche per un suo intervento, inusuale quantomeno, presso la procura di Imperia. Izzo, insieme all’altro vicecapo della polizia, Francesco Cirillo, avrebbero offerto “supporto investigativo” alla procura di Imperia sulle indagini circa la costruzione del porto di Imperia. Nell’inchiesta era coinvolto l’ex Ministro Claudio Scajola e Francesco Bellavista Caltagirone, il costruttore romano che fu fatto rientrare entro i termini dell’appalto in maniera a dir poco oscura.

Questo retroscena viene raccontato in un dossier che parte dal 20 dicembre 2010. Un mese e mezzo prima Caltagirone, Claudio Scajola ed altre quattro persone sono indagate per associazione a delinquere finalizzata alla turbativa. Avrebbero cioè pilotato l’ affidamento dei lavori a Caltagirone facendolo precedentemente entrare nella compagine societaria della Porto Imperia spa senza nessuna procedura di gara pubblica (Il costruttore e i superpoliziotti quegli strani incroci di Imperia – La Repubblica).

Caltagirone, iscritto al registro degli indagati, si adopera presso Manganelli affinché il medesimo gli fornisca informazioni sulle carte dell’inchiesta, rimasta per buona parte coperta da segreto istruttorio. Dagli uffici del capo della polizia naturalmente partirono le smentite. Izzo non era mai stato ad Imperia né tantomeno Caltagirone si era rivolto in alcun modo a Manganelli. In ogni caso, Izzo è stato messo fuorigioco e ora resta un solo candidato dell’area dei superpoliziotti. Si tratta di Nicola Cavaliere, poliziotto, 65 anni, e “rappresenterebbe una scelta di transizione, in attesa di capire i nuovi equilibri politici del Paese” (senzasoste.it). Soltanto una volta completata la transizione e riassegnata la leadership morale dei prefetti sui poliziotti con una nomina, la prassi della repressione violenta di piazza potrà dirsi superata. Ma forse in questa frase è contenuto solo un auspicio personale che probabilemtne non alberga dalle parti del Viminale.

Fusione Hera-Acegas-Aps, il PD si spacca a Forlì. Chi fermerà il piano Passera?

Forlì resiste. Il consiglio comunale della città, a maggioranza di centro-sinistra, ha votato contro la fusione dell’azienda multiutility dell’Emilia-Romagna, Hera, con Acegas e Aps, aziende analoghe delle province di Padova e Rovigo. Thomas Casadei, consigliere regionale del PD e esponente politico della città di Forlì, ha così commentato, in aperto contrasto con l’orientamento del Partito in tutta la regione Emilia-Romagna, che la decisione assunta dal consiglio comunale di Forlì è di estrema importanza sul piano politico e anche simbolico.

Con questa decisione si chiede al patto di sindacato di sciogliere il nodo della governance pubblica di Hera. E’ infatti urgente risolvere le contraddizioni che si sono determinate tra la gestione dei servizi a mercato liberalizzato e la gestione dei servizi regolamentati. Altrettanto urgente è la definizione di una normativa per i servizi pubblici locali, che sia coerente con i quesiti referendari sui beni comuni del 2011, e che porti ad una gestione dei servizi priva di rilevanza economica. Per i servizi pubblici locali – questo il punto decisivo – l’interesse dei cittadini deve prevalere sulle logiche finanziarie (Thomas Casadei, pagina Fb).

Il dissenso interno al Partito Democratico è emerso anche a Modena, dove invece i democrats hanno interrotto i rapporti con Sel e IDV ed hanno votato per la fusione suscitando i malumori di alcuni consiglieri, fra tutti Giulia Morini, giovane e civatiana, attivista dei movimenti per l’Acqua Pubblica. “Esprimerò voto difforme da quello del mio partito. Sulla fusione Hera-Acegas il confronto con la città non è stato sufficiente e l’operazione non garantisce la qualità della governance”, ha detto Giulia.

In sostanza, la fusione creerà una super azienda che tratta rifiuti, forniture di acqua, di gas, di energia. Il progetto di fusione fa parte di un più generale disegno di integrazione e concentrazione delle imprese multiutility in due grossi monopoli, uno operante a nordovest, l’altro a nordest. I cardini normativi di questo disegno si possono rintracciare nei Decreti Sviluppo a firma Corrado Passera. La spartizione dei mercati acqua-gas-luce-rifiuti del nord dovrebbe avvenire con la fusione di A2a più Iren  e di Hera più Acegas.

La prima fusione ha subito degli intoppi, anche a causa delle resistenze di Tabacci, nella sua veste di assessore al bilancio di Milano (A2a è partecipata dai comuni lombardi di Milano e di Brescia ). Ma, a quanto pare, Passera ha trovato un eccellente alleato nel Pd emiliano-romagnolo. L’idea di Passera è quella di far uscire i comuni dal controllo delle multiutility per dare un limite all’ingerenza del potere politico nella gestione delle nomine ma, al tempo stesso, di creare delle super aziende appetibili sul mercato finanziario e quindi scalabili dai gruppi bancari. L’idea di Passera è semplice: prevede l’ingresso di nuovi soci nella superutility, in primis, la Cassa Depositi Prestiti (al fine di pubblicizzarne il debito), ma in subordine fondi di investimento che potrebbero prendere il posto dei Comuni. E così realizzare di fatto la privatizzazione dei servizi (che il referendum del 2011 aveva scongiurato) della gestione dell’acqua, dell’energia e della gestione dei rifiuti.

Il progetto cui sta lavorando il ministero dello Sviluppo economico porta la firma degli esperti di McKinsey. Non deve stupire visto che lo stesso Passera ha iniziato la sua carriera negli uffici milanesi della società di consulenza. E che al ministero ha scelto come direttore generale del settore energia un manager proprio di derivazione McKinsey. L’incarico ha prodotto un “dossier” che suggerisce un percorso in più tappe per arrivare alla costituzione della Rwe italiana. Secondo quanto è stato possibile ricostruire, il progetto parte inizialmente dalla fusione tra A2a e Iren. Le due società (controllate dai comuni di Milano e Brescia la prima, da Genova, Torino, Piacenza, Parma e Reggio la seconda) metterebbero assieme le loro attività industriali; aprendo poi il loro capitale alla Cassa Depositi e Prestiti in modo da abbattere parte dell’indebitamento. In un secondo momento, si arriverebbe alla superutility vera e propria, con l’aggregazione di Hera (Bologna, Ravenna, Modena e un’altra quarantina di comuni dell’Emila- Romagna) e Acegas-Aps (Padova e Trieste). A differenza di altri studi, il dossier McKinsey non prevede l’ingresso in scena di Acea, che resterebbe, al momento, isolata. Ma non è questa l’unica esclusione. Dall’aggregazione delle attività industriali delle utility non farebbero parte le reti (elettricità, gas e acqua): restano nel patrimonio dei Comuni azionisti, in cambio di una parte delle loro quote azionarie (Repubblica, 28/05/2012).

Naturalmente contrari alla fusione i 5 Stelle: “La fusione Hera S.p.A. con Acegas sembra proprio un trucco col quale ignorare e raggirare l’esito dei referendum sull’acqua, consentendo l’ingresso in massa dei privati nella super-multiutility. Il grimaldello sono un paio di modifiche agli articoli 7 e 26 dello Statuto”, ha scritto Giovanni Favia, consigliere regionale del Movimento 5 Stelle.

Il caso Barclays e la manipolazione del Libor, un’altra storia di banksters

Bob “Red” Diamond, direttore generale di Barclays Bank

Giusto ieri il Serious Fraud Office, un dipartimento indipendente del governo inglese che investiga su casi di frode e corruzione, ha aperto una inchiesta sulla truffa del Libor. Il Libor è nientemeno che il London Interbank Offered Rate (tasso interbancario ‘lettera’ su Londra), un tasso di riferimento per i mercati finanziari. E’ il tasso di riferimento europeo al quale le banche si prestano denaro tra loro, spesso durante la notte (in batch notturno), dopo la chiusura dei mercati. Esso è minore del tasso di sconto che gli istituti di credito pagano per un prestito alla banca centrale (Wikipedia). Secondo la Financial service authority (Fsa), tra il 2005 e il 2009, funzionari e traders della Barclays hanno operato per favorire il proprio istituto bancario manipolando il regime delle transazioni. In poche parole, hanno dichiarato di applicare un tasso molto inferiore al reale. Proprio nel biennio del 2008-2009, quando le banche di mezzo mondo andavano in sofferenza per lo scandalo Lehman-Brothers. La cosiddetta “crisi dei titoli tossici”.

Ebbene Barclays era in procinto di essere nazionalizzata. Il Primo ministro inglese era Gordon Brown, laburista, antipatico, succeduto al collega (e guerrafondaio – ricordate le armi di distruzione di massa di Saddm Hussein?) Tony Blair. Paul Tucker era il vice-presidente della Banca d’Inghilterra (Bank Of England, BOE). Un promemoria interno rilasciata da Barclays Bank indicava che nel 2008 gli alti funzionari di Whitehall (via principale di Westminster, che conduce ai palazzi del governo inglese) avevano manifestato preoccupazione per il livello dei prezzi del Libor presentato dalla Banca. Il memorandum, datato 29 ottobre 2008, si riferiva ad una chiamata fatta da Paul Tucker a qualcuno chiamato RED, che potrebbe essere Bob (Robert Edward) Diamond. Bob Diamond è l’attuale direttore della banca, dimissionario per lo scandalo.

Diamond rispose che erano le altre banche ad operare prezzi al di fuori della realtà e Tucker gli rispose “questo sarebbe anche peggio…”. Diamond disse, “devi pagare quello che hai da pagare” e Tucker se la bevve d’un sorso. Diamond spiegò a Tucker che la politica del tasso di Barclays è una politica “orientata al mercato”, e questo aveva fatto sì che nel 2008-2009 il prezzo Libor della banca apparisse nel quartile superiore, occasionalmente anche nel decile superiore (si trattava quindi di prezzi visibilmente bassi rispetto al “rating” della banca). Diamond mentì per evitare di far passare al mercato l’idea che Barclays fosse in crisi. In realtà lo era, come tutte le altre banche del resto, ma in Barclays erano ostinati ad evitare il peggio, ovvero la nazionalizzazione della banca.

Non c’erano problemi di finanziamento, ha sostenuto Bob Diamond, ma ci sarebbero stati se l’idea, per quanto teorica, di un intervento della mano pubblica si fosse diffusa sui mercati compromettendo un deal che stava maturando […] Poche ore più tardi, infatti, investitori del Golfo iniettarono denaro nella banca, salvandola. Il precipitare del tasso con cui Barclays si finanziava secondo Diamond non dipende dalla diffusione di Libor manomessi, ma dai mercati che consideravano Barclays ormai salvata da Qatar e Abu Dhabi (Barclays, l’ex ceo si difende: «Non sapevo» – Il Sole 24 ORE).

Il salvataggio arrivò per mano dei petrodollari di Abu Dhabi, ma perché Whitehall non approfondì l’indagine? Perché Gordon Brown non intervenì? Si poteva fidare davvero della relazione di Bob “RED” Diamond? Il premier David Cameron ha il sospetto di trovarsi dinanzi ad uno scandalo “made in labour” ed infatti ha subito premuto per aprire una commissione d’inchiesta parlamentare, mentre Ed Milliband ha giocato in difesa vagheggiando di una inchiesta indipendente da parte di un organismo terzo (ammesso che ce ne siano).

Ma di cosa si occupa Barclays? Lo so, non vi aspettate altro: Barclays fa parte di quella schiera di Banksters, della banda dei Derivati. Quello che fa Barclays è creare valore dalla carta. In sostanza, prestidigitazione. Secondo Il Sole 24 Ore, “l’immensa finanza di carta per Barclays valeva da sola a fine 2010 la bellezza di 56mila miliardi di euro”. In pratica due manovrine italiane fatte di nulla. Sono speculazioni sul prezzo del grano, dell’oro, del petrolio e via discorrendo. Tutto ciò che ha un prezzo ed è una merce e si vende può essere trasformato da Barclays in un pezzo di carta dal valore dieci o venti volte la merce cui fa riferimento. Non è magia ma somiglia molto alla truffa. “Un terzo del valore dell’intero bilancio” di Barclays proviene dai Derivati (Il Sole 24 Ore, cit.). Significa che i Derivati sono il suo core businness. Perché truccare il Libor? O l’Euribor? Perché dichiarare un millesimo di tasso in più o in meno sposta, per Barclays e banksters come Barclays, qualche miliardata di euro in un sol giorno. Sapete, per un CEO o un General Manager, legati alla catena della prestazione dai bonus milionari in palio, un millesimo di punto non dichiarato è una bazzecola. Il fine, nel terribile mondo della Finanza dove hobbesianamente “l’uomo è lupo all’uomo”, giustifica il mezzo.

Il problema semmai è un altro. Nei recenti accordi del Consiglio Europeo di Bruxelles si è pensato di fornire l’aiuto del Fondo Salva-Stati ESFS e quindi del Meccanismo Europeo di Stabilità (MES o ESM) per ricapitalizzare gli istituti bancari in difficoltà. Sappiate però che alle banche non è richiesto nessun intervento in senso positivo: non devono fare alcuna ristrutturazione del proprio capitale, né rivedere in alcun senso la loro esposizione ai cosiddetti titoli tossici. Nemmeno è stato formalizzato in alcun modo la separazione fra banca finanziarie e banche commerciali. La City di Londra, la piazza affari di Francoforte possono continuare a speculare su tutto, con qualsiasi margine di rischio. Nessuno le controlla. Se pensate a quel che è stato chiesto alla Grecia, o quel che viene chiesto al nostro paese per potersi rifinanziare sul mercato o ottenere aiuti dai partner europei, potete capire chi comanda nel mondo. Ed è curioso che scavando in direzione del marcio ritrovi il Labour Party, con buona pace di Ed Milliband, faccia d’angelo in un partito compromesso dai brokers londinesi. Fu proprio Tony Blair, insieme a Bill Clinton, a firmare l’accordo per eliminare la separazione fra banche finanziarie e banche commerciali. Quell’atto spalancò le porte del mondo alla world economy. La sporca globalizzazione.

Il governo di David Cameron ha in progetto una legge che ripristini la condizione d’un tempo, quella della separazione fra investimenti e prestiti al consumo. Will Hutton, giornalista dell’Observer, si chiede se “chi critica questa riforma abbia pensato che qualunque ministro del commercio e dell’industria nei governi laburisti di Tony Blair o Gordon Brown avrebbe potuto ottenere lo stesso risultato del conservatore Vince Cable”, cosa che invece non ha fatto. Poi, trionfale: “Questo è un grande momento, e dovremmo riconoscerlo tutti” (internazionale.it). Peccato che la legge avrà i suoi effetti soltanto dal 2015.

Liberati dai Nani e schiavizzati dai Giganti, sulla fine di B.

FONTE:Liberarchia

Certe persone hanno davvero uno strano concetto di “liberazione”.
Finalmente dopo tante promesse il Cavalier Nano ne ha mantenuta una, e si è dimesso. Al suo posto, come sappiamo, verrà istituito un “governo tecnico”, che con rigore scientifico e lungimiranza razionale potrà finalmente risanare quel maledetto debito che ogni cittadino è tenuto a restituire rinunciando ad una adeguata istruzione, alla sanità e alla previdenza sociale anche se a contrarre questo debito è stato qualcun altro, ma ciò poco importa.

Probabilmente molti italiani – come me d’ altronde – dopo aver sentito per la prima volta il nome di Mario Monti sono corsi sul web a controllare la fedina penale del principe illuminato, essendo ormai troppo abituati a scegliere il leader politico sulla base della gravità dei reati sessuali commessi; e dopo aver constatato che Super Mario è un uomo che davvero con la legge è davvero sempre andato d’ accordo resta da chiedersi quale brillante carriera l’ abbia portato da perfetto sconosciuto a governatore del popolo italiano.
Nel suo curriculum troviamo vari incarichi assunti negli anni, tra cui la presidenza della Commissione Trilaterale fondata dai Rockefeller, membro del Gruppo Bildeberg e del comitato esecutivo di Aspen Institute, advisor per la banca Goldman Sachs e multinazionali come Coca Cola Compan; insomma, un personaggio che sembra nato dalla fantasia del più incallito dei complottisti.
Ma soprattutto un personaggio che non ha alcuna relazione con un mondo politico, men che meno sociale, e che dimostra come la fragile situazione italiana degli ultimi anni sia stata colta al balzo dal mondo finanziario per mettere al potere del Paese un uomo fidato perchè potesse rappresentare i voleri della BCE e dell’ alta finanza, da qui appunto deriva il nome “democrazia rappresentativa”.
Con la venuta di Mario Monti muore quella parvenza di democraticità che alcuni potevano ancora intravedere nel sistema politico attuale, d’ ora in avanti il Paese sarà diretto da individui senza il senso del dovere nei confronti del popolo elettore, attuando semplicemente quelle direttive che erano contenute nelle tante lettere che la Banca Europea mandò all’ Europa chiedendo misure di austerità e tagli allo stato sociale al cieco scopo di risanare il debito.
Una delle maggiori critiche che abbiamo esposto nei confronti del Governo Berlusconi era di aver trasformato l’ amministrazione di un Paese in una specie di gestione aziendale, dove dirigere città e regioni significava esclusivamente assicurare il pareggio dei conti di fine anno ed eliminare le spese “superflue”, senza minimamente considerare le necessità comuni che sono cultura, sanità e vita sociale; e questo governo tecnico altro non è che un ulteriore passo in questa direzione.
Folle è dunque gioire davanti al palazzo per la caduta di un tiranno che nè è avvenuta per mano nostra, perchè è invece decisa da poteri ancora più alti, nè porterà ad un cambio di rotta nell’ amministrazione dell’ Italia.
A tale argomentazione ricordo che il governo effettivo altro non sarà che una permutazione degli stessi attuali ministeri con qualche ripescaggio dall’ area di maggioranza e qualche ministero che rischia di restare nelle mani dello stesso individuo. Gira inoltre per il web un interessante articolo riportato dal Corriere che mostra le parole di Monti nel Gennaio 2010 mentre elogia le manovre assassine Gelmini-Tremonti e l’ operato di Marchionne.

Vero è che finalmente con l’ allontanarsi del Puffo si avvicina l’ opportunità di aprire I discorsi della vera politica, quella che non si fa da più di dieci anni in Italia, finora vincolata ad uno stupido binomio “anti” e “pro”-nano.
E personalmente ritengo che l’ imposizione dittatoriale di questo governo tecnico debba farci riflettere su quello che è il vero problema, che non è questo o quel rappresentante ma è un sistema politico, è il meccanismo stesso della attuale democrazia.
Come dice Zizek in un lodevole articolo sull’ Internazionale, “la questione della libertà non riguarda solo le elezioni, l’indipendenza della magistratura, l’informazione o il rispetto dei diritti umani. Bisogna cambiare i rapporti sociali di produzione”.
Personalmente, per quanto possa sembrare strano a molti, ho visto più chiaramente l’ avvicinarsi di una alternativa durante la costruzione di movimenti, nella riappropriazione di spazi collettivi, nelle vittorie referendarie, nell’ attiva tutela del patrimonio ambientale piuttosto che nella sostituzione di un burattino con un altro.
Ciò di cui ci stiamo dimenticando è che il Paese (Mondo intendo) altro non è che il popolo che lo abita, e il popolo essendo costituito da individui ha gli stessi bisogni naturali che ha l’ individuo; dunque le decisioni politiche ad altro non devono puntare se non alla costruzione di relazioni sociali che nascono nel piccolo, per essere il primo elemento di dinamiche orizzontali su cui fondare modelli sociali.
E quando sento cittadini, studenti e lavoratori che chiedono che questo governo metta subito in atto le direttive della BCE per saldare il debito davvero mi chiedo quando il masochismo sia divenuto una malattia contagiosa.
Di malattie (socialmente intese) ce ne sono tante al giorno d’ oggi, di cui è assai difficile identificare un virus responsabile, ma soprattutto è impossibile credere che vi possano essere medicine che portino la salute in quattro e quattr’ otto. I problemi sociali che abbiamo di fronte sono problemi sorti in anni ed anni, e soprattutto grazie all’ appoggio di ognuno di noi, perchè ogni sfruttamento umano e ambientale sono causati da un sistema economico che appoggia la propria fiducia sulla partecipazione collettiva.
La soluzione, dunque, se esiste, altro non può che avvenire anch’ essa in tempi lunghi e grazie ad una ulteriore partecipazione collettiva.
E una tale partecipazione può conseguire solo ad una presa di coscienza dei problemi sociali quali problemi personali, mettendo dunque anche i provvedimenti pratici a questi problemi all’ interno della nostra agenda, a fianco di ogni altro impegno quotidiano.
D’ altronde al giorno d’ oggi nessuno ha tempo di occuparsi della vita politica, tutti infatti siamo oberati di impegni: dobbiamo andare a scuola, lamentandoci dei pochi servizi offerti, dobbiamo lavorare, perchè è sempre più difficile arrivare a fine mese, poi dobbiamo andare in posta, per pagare tasse la cui legittimità è discutibile, ed infine dedichiamo qualche minuto di relax alla televisione, perchè qualcuno ci dica cosa fare il giorno dopo.
Ma come può esistere una scissione tra la vita privata e la vita politica del cittadino quando la seconda determina inevitabilmente le forme e le modalità della prima?

E cosa accadrebbe se tutti coloro che stanno leggendo le mie parole e tutti coloro a cui verranno divulgate iniziassero sin da oggi (non in senso metaforico) a considerare in maniera differente il loro rapporto con il mondo politico circostante, cercando nel proprio tempo una via pratica per portare contributo alla causa sociale, grazie ovviamente alla collaborazione reciproca nella costruzione di progetti autogestiti?
Sarebbe una vera rivoluzione.

FONTE:Liberarchia

Il colloquio Di Pietro-Berlusconi porta dritto a Bisignani

Genere, fantasy. Titolo: Di Pietro inciucia con Berlusconi. Un romanzo di centinaia di pagine ancora da scrivere che potrebbe interessare il proseguio di questa stagione politica. Fioccano le ricostruzioni e i ricami giornalistici. Secondo Il Giornale, per esempio, Tonino avrebbe posto a Berlusconi le condizioni per un aiuto. Secondo La Repubblica Di Pietro avrebbe parlato con B. e subito dopo avrebbe attaccato un indifeso PD (chiara l’allusione al fatto che B. avrebbe imbeccato l’ex magistrato). Libero?

A quelli di Libero Tolkien fa un baffo…

Ora tentiamo una ricostruzione seria:

1. Ecco la curiosa scena che si presenta ai deputati di maggioranza e opposizione. Ore 17,10: seduta sospesa per venti minuti, Antonio Di Pietro è al telefono mentre Silvio Berlusconi sta per lasciare l’Aula.  Il premier – per quasi tutta la giornata presente nell’emiciclo per ascoltare gli interventi sulla verifica parlamentare – vede il leader dell’Idv e si avvicina alla prima fila, al tavolo dei 9. Visto che loro sentono le nostre telefonate, voglio sentire le loro…, dice il Cavaliere all’esponente del Pdl che lo accompagna. Così il presidente del Consiglio si siede al fianco dell’ex Pm, spiegandogli in modo scherzoso di voler ascoltare la sua telefonata. Poi i due continuano a parlare per alcuni minuti. «Io stavo nel mio banco in aula. Il Presidente del Consiglio quando ha terminato il suo discorso ha detto che voleva parlare ai leader dell’opposizione per spiegare che il suo Governo fa il bene del Paese. E quando si è avvicinato a me me lo ha ribadito. Ed io gli ho risposto che il sottoscritto leader dell’opposizione è convinto che farebbe il bene del Paese se il suo Governo se ne andasse». Antonio Di Pietro ha spiegato così, ospite al Tg 3, il breve colloquio in aula con Silvio Berlusconi, andato a sedersi vicino a lui alla Camera (

2. Mi soffermo su questa frase: visto che loro sentono le nostre telefonate. Evidente il riferimento all’inchiesta P4 di John Woodkock. Le nostre telefonate, ovvero quelle fra Bisignani, nostro faccendiere, e quelle fra Gianni Letta, nostro sottosegretario. Nostre sono le indicazioni date e fatte passare per l’ufficio del Bisi. Nostre le pressioni che il Bisi rivolgeva a giornalisti e direttori di giornali. Gli interessi che il Bisi difendeva spiando i magistrati per mezzo del sen. Papa sono i nostri interessi. Il Bisi è nostro amico, uno di noi: lo dice pure Franco Bechisi su Libero. Anche io, confessa Bechis, faccio parte della P4. Bechis? Bechis… Mi ricorda qualcosa. Sì! Certo, il caso Tulliani.

Correva l’estate 2010 e Dagospia cascò sul tarocco:

Fini-Tulliani, Dagospia scivola sul tarocco

Ebbenen, al centro di quel caso c’era un presunto tarocco di un blog che Dagospia prese per fatto certo. Su tale blog, a firma di Matilde di Canossa, veniva attribuita la proprietà della casa di Montecarlo alla coppia Fini-Tulliani, e tutto ciò in tempi non sospetti. Ma qualcuno smascherò l’inganno. Lo pseudonimo era stato attribuito proprio a Franco Bechis, editorialista di Libero.

Ora, tirando le somme: sono noti i rapporti fra il Bisi e Dagospia; noto il teorema secondo cui il caso Tulliani fu montato ad arte per colpire Fini; noto anche il ruolo di Walter Lavitola nel caso del ministro degli esteri dell’sioal caraibica dove avevano sede le società off-shore attribuite a Tulliani; Lavitola è finito anche lui nella rete di Woodcock; Bechis è in rapporti con tutte queste persone ed è sospettato di aver fornito il tarocco a Dagospia. Avete bisogno di altro aiuto? Questa è la nostra società, signori. Una società segreta.

Dietro il golpe di Generali l’ombra di Montezemolo

Sono pochi i commentatori che si sono sbilanciati ad analizzare quanto accaduto ieri in Generali. Il pre-pensionamento di Geronzi, il capo-cricca, ha lasciato esterrefatti i più. A cominciare da Vittorio Feltri che, ieri sera a Otto e Mezzo su La7, era quasi interdetto e non sapeva che balbettare e ribalbettare alla domanda della Gruber. Geronzi giù da Generali equivale a dire Berlusconi giù dal Corriere della Sera. Da qualche mese si combatteva una guerra intestina all’interno del CdA, fra i consiglieri in quota Mediobanca – quindi Mediaset – e quelli orientati verso il cartello Fiat-Telecom-Tod’s-Benetton & Friends, oggi prevalente in Confindustria e malamente rappresentato dalla Marcegaglia, ovvero quel capitalismo radical chic che vuole cambiare le regole del paese a proprio piacimento ma che ha trovato in B. solo uno che si fa gli affaracci suoi. Si stava giocando una partita decisiva in Generali: se avesse prevalso Mediobanca, quindi il partito Mediaset, presto il governo avrebbe rimosso quella norma transitoria della legge Gasparri, quella che vieta ai proprietari di televisioni di possedere giornali. E via: con il controllo di Generali si può ben fare la guerra per il Corriere. Ma qualcosa è andato storto. Non si sa cosa. Mediobanca si è poi riallineata al parere prevalente nel CdA, ma non con il beneplacito di Mediaset (nella fattispecie rappresentata da Marina Berlusconi).

Nessuno o quasi ha osato dire che l’uscita di scena di Geronzi è una sconfitta per B. Si è detto che è solo una questione anagrafica: Geronzi è un anno più vecchio di Berlusconi. E’ un sintomo ma non è una previsione della imminente caduta del premier. In realtà, la caduta di Geronzi è il segno che il capitalismo italiano non è più con Berlusconi. Significa che si sono rotti gli indugi e che presto o tardi il partito Fiat si farà: presidente Montezemolo, collocazione centro-centro-destra, simbolo generico con richiamo alla Nazione. Lo diceva Massimo Cacciari: Fini, Casini e Rutelli sono leader compromessi con una stagione politica da superare. Il nuovo non può che promanare dalla élite di Confindustria. Scopo ultimo: cambiare le regole del mercato del lavoro. In primis, però, gli interessi personali:

Naturalmente ci sarà chi vedrà dietro la sfida di Della Valle un disegno più ampio che passa dalle intenzioni dell’amico e socio Luca di Montezemolo, sempre più tentato dall’avventura in politica, nel caso certamente con un profilo ostile al declinante status quo berlusconiano. Nel caso di discesa in campo, però, qualche conflitto d’interessi dovrà essere sciolto se è vero che Generali (nel cui consiglio Della Valle siede come indipendente) è tra gli azionisti di Ntv, la società per il trasporto ferroviario che si appresta a fare concorrenza nell’alta velocità alle Fs. Si spera che la scossa che arriva da Trieste non si limiti a sostituire nuovi conflitti di interesse ai vecchi (Europa).

Ruby e Casa di Montecarlo: è guerra aperta fra PdL e FLI

E’ guerra aperta fra il PdL e Futuro e Libertà, una guerra che si consuma a colpi di comunicati contenenti richieste di dimissioni, da una parte e dall’altra. E’ il risultato della strategia “difensiva” di Berlusconi messa in atto oggi da Frattini e dai deputati PdL con il voto affermativo della Giunta per le Autorizzazioni al rinvio delle carte dell’inchiesta Ruby.

1. Cominciamo con ordine: Frattini stamane è stato ascoltato dai senatori sul caso della Casa di Montecarlo, attribuita dai media berlusconiani al cognato di Fini, Giancarlo Tulliani. E’ stato il caos in aula. Di fatto Frattini non ha mostrato alcun documento. Si è limitato ad affermare che si tratta di documenti “autentici”. E che in essi si fa riferimento al suddetto Tulliani come reale beneficiario delle società off-shore coinvolte. La strategia è chiara tanto quanto è confusa e disperata la mente che l’ha partorita: distrarre dal Ruby-gate indirizzando l’odio dei berluscones su Gianfranco Fini e la sua mancata promessa di dimissioni. E’ una mossa disperata, che rivela l’affanno di chi sta cercando di sotttrarsi alla gogna pubblica. Una mossa ingenua, che solo la mente di un “povero vecchio” poteva studiare.

Stasera Il Fatto Quotidiano ha svelato le “carte” di Frattini. Ebbene, Frattini ha bleffato. Le carte inviate da Saint Lucia sono una chimera: la comunicazione di termine delle indagini corredata di copia della documentazione già nota da tempo, ovvero dalla scorsa estate quando Il Giornale di Feltri e Sallusti pubblicava quotidianamente fango sul Presidente della Camera. Il documento svelato da Il Fatto consta di una lettera, datata 10 Dicembre 2010, a firma del solito Stephenson King, primo ministro dell’isola caraibica:

“Abbiamo accluso – si legge –  una copia del memorandum ufficiale rilasciato dal procuratore generale ed a me indirizzato che e stato pubblicato su diversi giornali internazionali e che ha concluso che il sig. Giancarlo Tulliani era l’utilizzatore beneficiario di dette compagnie […]

II nostro primario interesse era di assicurare che le predette compagnie ed i predetti agenti fossero in regola con le leggi e la disciplina esistenti in materia di compagnie off-shore in Santa Lucia . E’ stata sempre nostra intenzione che il solo scopo delle indagini fosse di accertare che le compagnie ed i loro rispettivi agenti fossero in regola con le nostre leggi e che si proteggesse la reputazione della nostra giurisdizione in materia di società off-shore.

Gli attuali agenti e i fruitori beneficiari delle Compagnie esistevano in conformità con le nostre leggi ed i nostri regolamenti; di conseguenza il Governo di Saint Lucia ha ufficialmente chiuso le indagini riguardanti le società Printemps ltd, Timara Ltd, e Jaman Directors.ltd e quindi non c’e più alcun ulteriore interesse da parte della nostra giurisdizione su tale materia” (Il Fatto Quotidiano).

Di fatto Tulliani viene indicato come “beneficial owner” delle suddette società off-shore. Ho già ampiamente trattato su questo blog della differenza fra beneficial owner e proprietà di una società. Vi rimando a questo post:

https://yespolitical.wordpress.com/2010/09/27/caraibi-corallo-e-walfenzao-i-nomi-chiave-del-giallo-fini-tulliani/

Avrete pertanto capito che i documenti in possesso della Farnesina sono cartaccia. Spazzatura. Servono solo ad aizzare contro il nemico Fini. E a chiederne le dimissioni strappandosi le vesti, in modo da farsi riprendere dal TG1 e da diventarne la prima notizia del giorno, come è accaduto oggi.

2. La Giunta per le autorizzazioni della Camera, intanto, ha votato a favore di una mozione della maggioranza che richiedeva il rinvio della documentazione dell’inchiesta Ruby al mittente: la Giunta, quindi il Parlamento – si è così convenuto – non è competente a decidere sull’autorizzazione a effettuare le perquisizioni degli uffici del Rag. Spinelli, uffici di pertinenza della segreteria dell’onorevole Berlusconi. La competenza è del Tribunale dei Ministri. B. avrebbe agito per difendere l’onorabilità di Mubarak, quindi per ragioni di opportunità dettate dalla politica estera del governo medesimo. Lui credeva che Ruby fosse la nipote del presidente egiziano. Era stato indotto in errore dalla ragazza medesima. Pertanto quella telefonata è stata compiuta da B. in quanto primo ministro. Da ciò la competenza a giudicare B. sarebbe del suddetto Tribunale dei Ministri e non della Procura di Milano. Questa la teoria della maggioranza, architettata dal geniale pool di avvocati di B medesimo. L’obbiettivo è di giungere al “conflitto di attribuzione” dinanzi alla Consulta: quindi di allungare i tempi dell’indagine e del processo. Anche questa una mossa disperata, vista e considerata la gravità del reato che comporta una prescrizione del reato stesso molto lontana negli anni. Per B. questa volta è veramente difficile sottrarsi dal processo. Difficilissimo.

La linea della maggioranza è passata anche a causa delle defezioni dell’opposizione – 11 a 8 il voto finale (composizione: 9 maggioranza, 10 opposizione, 2 gruppo misto) – ma soprattutto per il voto favorevole degli appartenenti al gruppo Misto. La vittoria di oggi rischia però di essere un boomerang: dovrà essere riconfermata dal voto dell’aula la prossima settimana, e dovrà essere un voto a maggioranza assoluta, ovvero di almeno 316 deputati. Un nuovo voto di fiducia, si può ben dire. Che si svolgerà per voto palese. Non ci potranno essere voti ribelli, a meno di essere pubblicamente additati come salvatori di Berlusconi.

3. Il vergognoso attacco de Il Giornale a Ilda Boccassini, pm di Milano del caso Ruby:

Un caso risalente al 1982. Pensate, ventinove anni fa. Ventinove. Se non è gogna questa… La prima pagina de Il Giornale vi fornisce l’esatta proporzione della disperazione di B. Sì, è talmente spacciato da dover ricorrere a questi mezzi. E non parlate di giornalismo: questo è in realtà fasc-ismo.

Casa An, Frattini in diretta al Senato svela i segreti di Saint Lucia

Misteriosi atti provenienti dall’isola caraibica di Saint Lucia, relativi alla proprieta’ delle due societa’ che, in tempi diversi hanno gestito l’immobile di Montecarlo ereditato da An nel ’99 e venduto nel 2008 per circa 300 mila euro, sarebbero ora nelle mani della Procura di Roma. Secondo indiscrezioni dalle carte risulterebbe che il titolare delle societa’ sarebbe Giancarlo Tulliani, cognato di Fini.

Stamane è atteso il ministro degli Esteri in persona, Franco Frattini, in aula al Senato per rispondere ad una interrogazione del senatore PdL Compagna sulla questione in oggetto.

Ora, è palese a tutti che si tratta di un pessimo teatrino organizzato per distrarre dal grosso guaio dei festini di Arcore. gli atti sono giunti all’improssivo ieri l’altro, guarda caso all’apice del sex-scandal. E’ una strategia dettata dallo stesso Berlusconi: “Il terzo polo va spaccato […] colpire Fini per costringere Casini a un negoziato (La strategia del Cavalier Pompetta, Il Foglio, 26/01/2011). Indiscrezioni del Corriere della Sera indicano in Walter Lavitola l’artefice del pamphlet di accusa al cognato di Fini. La medesima firma in opera la scorsa estate.

In attesa di scoprire le nuove carte, ecco la diretta streaming del Senato.

Berlusconi e Gazprom, l’ombra di società off-shore

Ieri Repubblica.it apriva con un articolo sulle relazioni pericolose di Berlusconi in Russia. I cablelogs di Wikileaks hanno svelato le preoccupazioni dell’amministrazione americana circa i rapporti fra il premier russo Putin e quello italiano, sulla politica energetica italiana e il ruolo di ENI in questa vicenda dai contorni oscuri. La premessa: ENI ha aperto il mercato interno a un concorrente e Washington sospetta che dietro questa “liberalizzazione” ci siano interessi commerciali di Berlusconi in prima persona. La relazione Roma-Mosca è puro businness, e ciò la rende pericolosa poiché è businness potenzialmente dannoso per gli interessi americani, sia economici che politici (che senso avrebbero poi le basi missilistiche Nato su un territorio come quello italiano dipendente energeticamente da Mosca e Tripoli?). Di fatto si è creato nel corso degli anni un asse del gas fra Gazprom ed ENI, allenza alimentata con fragore da Palazzo Chigi. Il trio D’avanzo, Greco, Rampini che firma l’articolo, cita l’episodio del biglietto di Berlusconi: una cena, a Milano, nel 2003, fra manager di ENi e manager di Gazprom e quella raccomandazione dei russi in favore di un certo Mentasti, l’uomo che cedette la San Pellegrino alla Nestlé. ENI vuole rinnovare i contratti con il gigante russo, Gazprom dal suo canto vuole inserirsi nel mercato italiano. Ci sono da decidere i vertici delle società che tratteranno la commercializione del gas, i cosiddetti acquirenti al Punto di Scambio Virtuale, ovvero quel punto del gasdotto in cui il gas diventa di proprietà di società italiane o aventi diritto alla commercializzazione in Italia del metano.

Dalla tasca, l’alto dirigente di Gazprom estrae un fogliettino come se fosse una santa icona che da sola avrebbe spazzato via ogni dubbio profano. Sopra c’è scritto: “Mentasti”. Gli italiani cadono dalle nuvole. Quel nome non l’hanno mai sentito. Chi è? Il russo spiega: “Ma come non conoscete il patron della San Pellegrino?”. Gli italiani sorridono: “Anche se gassata, l’acqua ha poco a che fare con il gas, bisogna che qualcuno glielo spieghi a questo Mentasti…”. Il russo non ride, agita ancora il foglietto e dice: “Druzia, amici, ma davvero non riconoscete la grafia del vostro capo di governo?”. Quelli di Eni fingono di non capire e chiedono: “… ma questo biglietto con questa grafia chi te l’ha dato?”. Risposta: “Da dove volete che venga, dal Cremlino!”. A conferma che la faccenda è molto seria perché molto voluta da Putin, gli uomini di Eni vengono invitati a stringere le sedie intorno al tavolo per far posto a un altro convitato che attende un cenno nell’albergo dall’altra parte di piazza della Repubblica, il Principe di Savoia. L’uomo si chiama Alexander Ivanovic Medvedev, è un amico d’affari del professor Fallico, è stato come Vladimir Putin un colonnello del Kgb, oggi è il numero due di Gazprom (Berlusconi, Putin e quel biglietto la vera storia del gas di Mosca – Repubblica.it).

Valentini, Fallico, Mentasti: un trio di nomi che connette Berlusconi e Gazprom. Sulle relazioni dei primi due non mi dilungo, visto l’esaustivo articolo di Repubblica. Ma Mentasti Granelli merita un approfondimento. In particolar modo è da chiarire il suo ruolo all’interno di Centrex. Centrex è la società intermediaria che vende il gas al Punto di Scambio Virtuale. Questo il suo CdA:

Consiglio di Amministrazione
– Dr. Thomas Kozich, Presidente
– Mag. Michael E. Klinger, MBA, Consigliere
– Stefano Gasparini, Segretario
CEA Centrex Italia Srl è registrata presso il “Registro delle Imprese di Milano” REA n° 1835547 (Centrex Italia).

Stefano Gasparini, che in questo organigramma compare come segretario di Centrex, è stato in passato Chief Financial Officer di EPA Thessaloniki, oscietà di Eni Group; prima ancora Finance Manager, Foreign Companies per Eni Gas & Power Division; un remoto passato in RCS Mediagroup. Ma Centrex è una società controllata indirettamente da Gazprom. Un manager di formazione ENI migra in una società del colosso russo. Questo potrà sembrare normale, e forse lo è. Meno normale se si leggono le parole di Roman Kupchinsky. Kupchinsky, riportando una notizia di Bloomberg del 18 Ottobre 2005, racconta della denuncia di una  Commissione Parlamentare italiana nei confronti dell’accordo ENI-Gazpromexport, “accordo che avrebbe consentito Gazpromexport, guidata dal vice CEO di Gazprom, Alexander Medvedev, che è anche presumibilmente uno dei “cardinali invisibili” del torbido Centrex Group in Europa, a partecipare nella vendita di gas russo per i consumatori domestici italiani” (Berlusconi, Centrex, Hexagon 1 and 2 and Gazprom – The Jamestown Foundation).

Si tratta di subentrare all’ Eni nella negoziazione di 2 miliardi di metri cubi di gas, circa il 10% di quanto acquistato dalla russa Gazprom e rivenduto all’ ingrosso italiano. Si tratta poi di trovare spazio per il combustibile nei tubi dell’ Eni che da Tarvisio lo smistano a imprese e amministrazioni, e ottenere margini che a spanne porteranno alla nuova nata 50-60 milioni di euro l’ anno di utile netto […] L’ Antitrust da tempo chiede a Eni di potenziare la capacità dei tubi, e venderne una parte; Eni ne ha piazzato in Borsa il 50%, entro il 2007 deve scendere sotto il 20%, ma di questo non vi è certezza. Comunque l’ Eni, che farà spazio al gas di Mentasti nei tubi, finora colma molto bene tutti i pertugi delle proprie condotte con gas intermediato dalla stessa (Gas, tutti i misteri della partita russa, Repubblica.it – Archivio 2005).

Nodo della contestazione era l’assetto proprietario di Centrex Italia, allora chiamata Central Energy Italian Gas Holding (CEIGH), parte di Centrex Group, che in quell’accordo giocava la parte del leone. La medesima Commissione Parlamentare, nella sua azione investigativa, avrebbe rivelato che “un importante uomo d’affari italiano di nome Bruno Mentasti Granelli, noto per essere un amico intimo di Silvio Berlusconi, detiene la proprietà del 33 per cento di CEIGH attraverso due società, Hexagon Prima e Hexagon Seconda, entrambi registrate allo stesso indirizzo di Milano”, mentre “Gazprom, società russa a controllo statale, detiene il 25 per cento delle azioni di CEIGH tramite ZMB, la controllata tedesca di Gazpromexport, mentre Centrex Europe Energy Gas AG con sede a Vienna vale il 41,6 per cento” (Berlusconi, Centrex, Hexagon 1 and 2 and Gazprom – The Jamestown Foundation). Le relazioni di Mentasti-Granelli con Berlusconi emersero subito: erano soci a Telepiù. Chi si nasconde dietro Hexagon Prima ed Hexagon Seconda (nomi che ricordano da lontano le 22 holdings in cui si disperdeva il capitale sociale della Fininvest, da Holding Italiana Uno a Holding Italiana Ventidue)? Per giunta dietro Centrex c’è il vuoto:

Centrex, dopo tutto, ha inviato i suoi profitti ad una società off-shore denominato Ventures Siritia a Cipro, che poi ha trasmesso i guadagni ad un’altra società ombra, OOO Rubin, un business con un indirizzo falso in un condominio a Mosca (Berlusconi, Centrex, Hexagon 1 and 2 and Gazprom – The Jamestown Foundation).

Ci fu un passaggio precedente che coinvolse l’austriaca Centrex, prima proprietà di una misteriosa holding del Liechtenstein, la Idf, poi passata di mano alla Gazprombank di Andrey Akimov proprio nel 2005:

Una prima sforbiciata, peraltro, è stata data da Mosca con l’austriaca Centrex, rompendone la vecchia struttura di controllo per affidarla dallo scorso anno alle mani dell’ italiano Massimo Nicolazzi, ex Eni con esperienza pluriennale nella Lukoil di Vagit Alekperov (un altro italiano, Enrico Grigesi, ex Snam, ha invece lasciato Centrex Italia per guidare l’ ex municipalizzata di Como)  Fondata nel 2003, già nel 2005 la Centrex era scomparsa dalla lista delle società affiliate a Gazprom e Gazprombank, e risultava controllata, via una Centrex Group basata a Cipro, da una società del Liechtenstein: la Idf […] I soci della Idf sono rimasti sconosciuti fino al 2009, quando è emerso che sin dal 2005-06 l’ 80% è stato venduto alla Russische Kommerzial Bank, controllata svizzera del colosso bancario russo Vtb […] Doppio comparto La Idf, si è scoperto in seguito, ha sempre funzionato come un fondo esclusivo di investimenti (il principale in Centrex) ed è probabile che molti sconosciuti soci eccellenti – di nazionalità russa ma non solo – siano ormai usciti da anni […] La Idf, nell’ ultimo rendiconto disponibile al 2008, risultava possedere attivi per 283 milioni di dollari, suddivisi su due comparti. Il Gas1, investito appunto in Centrex e, per poche centinaia di migliaia di dollari, in titoli della Lukoil e della siberiana Surgutneftegaz. Il secondo, Energie1, con pochi titoli Total, Bp, ancora Surgutneftegaz, e azioni e bond di società energetiche non quotate che in apparenza potrebbero fare capo a Dubai e alle Barbados (Gazprom Nuovi equilibri per il colosso russo del gas).

Insomma, secondo voi è anormale che gli americani fossero perlomeno incuriositi dal genere di link che collega Berlusconi e Putin? Questa vicenda, come tutte le vicende di società off-shore, si perde nel nulla. Ma certamente ci sono responsabilità politiche del governo. E’ evidente che non è stato fatto l’interesse generale nel permettere a Gazprom di metter piede nel mercato italiano del gas, peraltro non in una cornice di libero mercato, ma in regime di monopolio di ENI. E se si scoprissero interessi personali di Berlusconi nelle società Hexagon Prima e Seconda (sono tutte registrate a Milano, così come Centrex Italia) sarebbe forse il colpo finale a questo sistema di potere. Grazie anche a Wikileaks.

Statelogs, la diretta web delle rivelazioni Wikileaks

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Le notizie minuto per minuto

Le reazioni di Frattini

Tutto su Berlusconi e Wikileaks

The New York Times, le prime rivelazioni: ecco i documenti!

    Below are a selection of the documents from a cache of a quarter-million confidential American diplomatic cables that WikiLeaks intends to make public starting on Nov. 28. A small number of names and passages in some of the cables have been removed by The New York Times to protect diplomats’ confidential sources, to keep from compromising American intelligence efforts or to protect the privacy of ordinary citizens.

    Candid and Frank Assessments

    Iran’s Nuclear Ambition

    Diplomats or Spies?

Su Berlusconi e Putin:

Una fedeltà interessante: I diplomatici statunitensi a Roma hanno annotato nel 2009 ciò che i loro contatti italiani hanno descritto come una relazione straordinariamente stretta tra Vladimir Putin, primo ministro russo, e Silvio Berlusconi, primo ministro italiano e magnate degli affari, inclusi “sontuosi regali”, contratti energetici vantaggiosi e un “umbratile” mediatore italiano che si esprime in lingua russa. Hanno scritto che Berlusconi «sembra sempre più il portavoce di Putin» in Europa. I diplomatici hanno anche notato che mentre Putin gode della supremazia su ogni altro personaggio pubblico in Russia, lui è indebolito da una burocrazia difficile da amministrare, che spesso ignora i suoi editti (fonte: Il Nichilista).

Frattini frustrato dalla Turchia:

Il ministro degli Esteri Franco Frattini “ha espresso particolare frustrazione per il doppio gioco di espansione verso l’Europa e l’Iran da parte della Turchia”. E’ quanto rivela un telegramma – pubblicato da Wikileaks e classificato come segreto – inviato a Washington dall’ambasciata americana a Roma lo scorso 8 febbraio, in seguito a un incontro tenutosi tra il titolare della Farnesina e il segretario della Difesa degli Stati Uniti Robert Gates. La “sfida, secondo Frattini, è portare la Cina al tavolo” dei colloqui sulla questione iraniana. Cina e India, secondo Frattini sono “Paesi critici per adottare misure che potrebbero influenzare il governo iraniano senza ferire la popolazione”. Il ministro “ha anche proposto di inserire Arabia Saudita, Turchia, Brasile, Venezuela e Egitto nelle conversazioni”, si legge nel documento. Frattini “ha anche proposto un incontro informale tra i Paesi del Medio Oriente” per “consultarsi sulla questione iraniana”. E – ha riferito – “il segretario di Stato Clinton è d’accordo”.

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