Shutdown della politica

La crisi del governo federale degli Stati Uniti nasconde un lunghissimo braccio di ferro che alcune parti del partito Repubblicano conducono sin dal 2010, anno di approvazione dell’Obamacare, la riforma sanitaria. Il New York Times racconta, in un resoconto a firma di Sheryl Gay Stolberg e Mike McIntire, che immediatamente dopo la conferma del secondo mandato di Barack Obama, un gruppo di attivisti conservatori, capeggiati da Edwin Meese III, politico e avvocato statunitense, 81 anni, si sono riuniti in Washigton per definire la strategia. Obiettivo: fare a pezzi la riforma sanitaria tramite il cosiddetto ‘defunding’, togliere i fondi all’Obamacare. Il mezzo per ottenere questo obiettivo è la minaccia. Che il gruppo di ultra-conservatori ha instillato poco a poco fra le file dei repubblicani più cauti: tagliare il finanziamento per l’intero governo federale.

Questa è l’origine dello shutdown. E’ un’origine pienamente politica. Per molti americani, lo shutdown è venuto fuori dal nulla. Ma diverse interviste con esponenti conservatori mostrano che il confronto che ha determinato la crisi è stata la conseguenza di uno sforzo di lunga durata per annullare la legge, l’Affordable Care Act, sin dal momento della sua approvazione, condotto da una galassia di gruppi conservatori, le cui interconnessioni sono comunemente note. La determinazione con la quale questi gruppi hanno operato va al di là di ciò che definiamo ‘opposizione’. Sebbene l’83% del governo federale sia ancora in opera (‘Where’s sense of crisis in a 17 percent government shutdown?’ @ByronYork) e Wall Street sia più attratta dall’ingresso sul mercato azionario di Twitter, lo scenario è preoccupante più per il metodo impiegato per affossare una legge osteggiata, piuttosto che per le reali conseguenze della crisi finanziaria. Non è la prima volta che negli Stati Uniti avviene uno shutdown (nel nostro ordinamento si parlerebbe di esercizio provvisorio).

Alla testa del gruppo di sabotatori troviamo al solito il Tea Party Patriots, il gruppo denominato Americans for Prosperity and FreedomWorks, il Club of Growth (una organizzazione no-profit); altre associazioni sono più defilate ma lo stesso partecipi dell’iniziativa e sono Generation Opportunity, Young Americans for Liberty e quella di più recente fondazione, Heritage Action. I miliardari fratelli Koch, Charles e David, sono stati profondamente coinvolti con un cospicuo finanziamento. Un gruppo legato ai Koch, Freedom Partners Chamber of Commerce, ha erogato più di 200 milioni di dollari l’anno scorso alle organizzazioni no profit impegnate nella lotta. Sono incluso i 5 milioni di dollari erogati a Opportunity Generation, che ha creato una propaganda, il mese scorso, con una pubblicità internet che mostrava un minaccioso zio Sam raffigurato mentre spuntava tra le gambe di una donna durante un esame ginecologico.

Questo pulviscolo di organizzazioni è riuscito a fare pressione sul Gop moderato e in definitiva a bloccare la macchina statale federale. Può la dialettica politica trasformarsi in una tale battaglia, con massimo dispregio del funzionamento dell’amministrazione pubblica? L’iniziativa politica di Obama è paralizzata. Il conflitto fra i Repubblicani e un partito Democratico non più così convinto della necessità dell’Obamacare, è la più coerente rappresentazione della crisi dei sistemi democratici, del tutto avulsi dalla realtà economica e sociale, divenuti teatro di uno sterile e distruttivo confronto fra lobbies.

Egitto, dubbi sulla foto della camionetta della polizia

Avrete presente la foto della camionetta della polizia “spinta” – secondo le ricostruzioni del giornali italiani e stranieri – giù da un viadotto dalla folla inferocita dei manifestanti pro-Morsi?

Foto Egitto, il blindato spinto giù dal ponte – Repubblica.it

Il Guardian ha riportato pochi istanti fa una ricostruzione alternativa fatta da Zahra Damji, la quale ha spiegato che le cose potrebbero non essere andate così.

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In queste ultime ore è stato pubblicato su youtube un video che potrebbe smentire le ricostruzioni circolate sinora. Nel video si vede in lontananza un blindato della Polizia compiere una manovra in retromarcia e cadere giù dal viadotto. Nessun manifestante l’avrebbe quindi spinta. In entrambi i casi si tratterebbe del ponte 6 Ottobre. Qualche dubbio permane per il fatto che il video è stato ripreso da lontano.

Riot, un software per controllare i social network

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Si chiama Raytheon ed è una società multinazionale che si occupa di ‘Difesa e sicurezza’. E’ il quinto produttore al mondo di questo genere di servizi. Il Guardian ha pubblicato un video che svela come il software prodotto da Raytheon, Riot (che sarebbe l’acronimo di Rapid Information Overlay Technology), sia in grado di scandagliare trilioni di entità attraverso i vari social network. Lo ‘strumento’ di controllo sarebbe in grado di fornire previsioni circa gli spostamenti o i comportamenti degli utenti. Guardian parla di sofisticata tecnologia che potrebbe trasformare i social media in “Google delle spie”. Chiaramente questo tipo di tracking online verrebbe messo in opera a prescindere dalle intenzioni dei proprietari delle identità sui social. Così Facebook, Twitter, Foursquare ci fanno accettare le loro policy sulla privacy online mentre questi software spia bypassano la burocrazia e registrano ogni nostro click. Riot sfrutterebbe soprattutto le fotografie pubblicate sui social, dalle quali estrarrebbe i dati della geolocalizzazione, ovvero latitudine e longitudine.

Riot è in grado di visualizzare in un diagramma le associazioni e le relazioni tra gli individui online, cercando fra quelli con cui hanno comunicato di più su Twitter. Si può anche estrarre i dati da Facebook e vagliare le informazioni sulla posizione GPS da Foursquare, i cui dati possono essere utilizzati per visualizzare, in forma grafica, i primi 10 posti visitati dai singoli individui e gli orari in cui li hanno visitati. In sostanza, sfrutta tutte le informazioni che noi pubblichiamo ignari che queste possano avere una qualche risultanza per qualcuno.

La tracciabilità dei comportamenti elimina lo spazio di incertezza che ogni individuo porta con sé: in altre parole, elimina lo spazio della libertà individuale. Se tutto può essere tracciato e controllato, anche le nostre decisioni future possono essere inglobate in un algoritmo che tutto prevede poiché può attingere da un serbatoio smisurato di profili. Sinora l’obiezione più grande verso questi software era che mai e poi mai avrebbero potuto gestire terabyte di dati di informazioni inutili. Che mai avrebbero potuto prevedere una insurrezione popolare – come la Primavera Araba – poiché il software non può distinguere la semplice opinione dalla intenzione. Cosa avrebbe di diverso Riot? L’uso dei dati pubblici di Facebook o di Twitter a scopo di ‘garantire la sicurezza di un paese‘ non è un reato. I dati sono pubblici, abbiamo scelto di renderli tali, abbiamo cliccato su ‘Mi piace’ ben consci che altri possono vederlo, anche i funzionari del servizio segreto del nostro governo. Quando questo strumento è nelle mani di un potere legittimo e democraticamente costituito, è un potere altrettanto legittimo, esattamente come quello di stabilire delle pene per dei reati, o come il potere di emettere sanzioni amministrative. C’è una indagine, si individua una fattispecie di reato,c’è un giudice che stabilisce la liceità di intercettazioni telefoniche, si scoprono le prove, si istruisce un capo d’accusa. Ma quando invece la natura del potere è illegittima, o legittima ma antidemocratica, allora questo strumento diventa l’arma letale che annienta la sfera privata dei diritti civili.

Il video pubblicato su Guardian

Mali, la lunga guerra francese del caos

Lawrence Freeman è editorialista della rivista Executive Intelligence Review, edita dalla casa editrice di proprietà di un senatore democratico americano, tale Lyndon LaRouche (un signore che, fra l’altro, ha fondato il Partito Laburista americano). Freeman è specializzato in questioni socio-politiche africane ed è spesso intervistato sui siti esteri per commentare la politica occidentale in Africa.

Sul Mali, Freeman ha le idee chiare: la guerra della Francia sarà lunga, volutamente lunga, e non ha un obiettivo preciso. Alcune di queste sue considerazioni sono state raccolte dal sito Press Tv. Secondo il giornalista americano, la guerra è un disegno francese e inglese:

Le dichiarazioni del governo francese mostrano che non stanno in realtà pensando affatto agli interessi dei Mali o una qualsiasi delle nazioni africane. Cioè è entrata in quello che ci si poteva aspettare – io l’ho fatto io – e verrà trasformata in una guerra a lungo termine usando un asimmetrico conflitto di qualche gruppo di insorti e ribelli e non è qualcosa che può essere vinto.

E’ un disegno politico che ha le sue origini nell’occupazione da parte di Francia e Gran Bretagna della Primavera Araba per tramite del conflitto libico e della uccisione di Gheddafi.  Quella guerra ha contribuito a innescare le attività dei ribelli tuareg e dei jihadisti, soprattutto delle cellule di al-Qaeda. L’assassinio dell’ambasciatore americano Christopher Stephens deve essere inquadrato in questa escalation. Alcune reti di al-Qaeda erano state coinvolte nel rovesciamento del Rais e dopo la guerra queste si sono rivoltate contro gli americani. Probabilmente i francesi stanno operando nell’area anche per difendere gli interessi delle proprie corporations, in primis di AREVA, che estrae uranio nella valle del Niger. Freeman parla più in steso di élite finanziarie della city di Londra che è al collasso e sta cercando comunque di controllare il Medio Oriente (la Siria) e il Nord Africa tramite le proprie guerre destabilizzanti, tramite le guerre del caos. Questo è un nuovo fronte della guerra commerciale con Russia e Cina. “Il Nord Africa sta andando in fiamme e potremmo essere sull’orlo di una guerra fra superpotenze”, il risultato della politica di Cameron e Sarkozy e Obama.

Il conflitto intanto si sta orientando verso l’Algeria. La Spagna ha suggerito ai suoi connazionali presenti nel paese di dirigersi verso il confine con la Mauritania. C’è un rischio elevato di essere soggetti a sequestri di persona. I ministri degli esteri di Spagna, Portogallo, Francia e Marocco si incontreranno a Rabat per discutere della stabilità dell’area. Spagna e Portogallo temono di esser coinvolte in emergenze umanitarie e in fughe di profughi dall’Algeria e dal Marocco.

FT: Monti tratta per candidarsi primo ministro. Ma è un fake

Il Financial Times titola su Monti e sulle sue presunte trattative per candidarsi con i partiti di centro, ma non c’è nessuna informazione esclusiva. E’ solo un taglia e cuci delle indiscrezioni dei giornali italiani. Qui una parziale traduzione dell’articolo.
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Mario Monti è in trattative con i gruppi centristi chiedendo loro eleggibilità alle elezioni italiane all’inizio del prossimo anno. E’ quanto è emerso oggi, lunedì, in seguito all’aumentare della pressione sul primo ministro tecnocrate in primis dai mercati finanziari, dagli altri leader europei e dalla Chiesa per rimanere in politica e salvaguardare le sue riforme.

Gli oneri finanziari dei titoli di Stato italiani sono in rialzo e il mercato azionario italiano è caduto bruscamente dopo la sua decisione a sorpresa durante il fine settimana di dimettersi prima del previsto, riaccendendo l’incertezza su una delle economie più deboli della zona euro.

Monti, le cui riforme economiche hanno guidato l’Italia fuori dal centro della crisi del debito sovrano della zona euro l’anno scorso, ha detto che farà un passo indietro non appena la legge di stabilità sarà approvata, forse già da questo mese, anticipando le elezioni nel mese di febbraio.

Mentre la preoccupazione che l’Italia possa abbandonare le sue recenti riforme riviveva a Bruxelles e tra gli investitori, i politici centristi erano in trattative con lui incoraggiandolo a eleggibilità.candidarsi. E’ stato detto che Monti è in trattative con Luca Cordero di Montezemolo, presidente della Ferrari, che ha lanciato un movimento politico ultima mese, e Pier Ferdinando Casini, leader del partito centrista e cattolico, l’UDC.

Politici centristi si aspettano che il signor Monti dia una risposta entro una settimana. Se dovesse decide di correre come candidato potrebbe fare una dichiarazione formale appena dopo che il Parlamento approva la legge finanziaria del 2013, probabilmente nella settimana prima di Natale.

Monti ha minimizzato le ipotesi che stesse per saltare dal ruolo di tecnocrate non eletto ad una campagna politica. “Io non sto considerando questo particolare problema in questa fase”, ha detto a Oslo in cui l’UE si è raccolta del Nobel per la pace . “Tutti i miei sforzi sono destinati al completamento del tempo restante del governo attuale, che sembra essere un tempo piuttosto breve, ma richiede ancora una applicazione intensiva delle mie energie.”

[…]

I sondaggi di opinione al momento attuale indicano che emergerà dalle elezioni un parlamento frammentato, con il centro-sinistra partito democratico che prenderà circa il 30 per cento dei voti, seguito dall’anti-establishment Movimento Cinque Stelle e dal partito di centrodestra di Berlusconi. I sostenitori di un’alleanza centrista con il signor Monti dicono che potrebbe catturare il 15-25 per cento dei voti.

http://www.ft.com/cms/s/0/642c7326-42f5-11e2-aa8f-00144feabdc0.html#ixzz2EgNuNQUS

Grillo, un comico da prendere sul serio via @guardian

Per John Foot (Guardian) nessuno conosce le reali ragioni del successo del Movimento 5 Stelle in Sicilia. Ma un fatto è certo: “tutti i partiti tradizionali sono terrorizzati da quel che potrà accadere alle elezioni generali nella primavera 2013”. Il M5S è in procinto di mettere da parte tutta la classe politica italiana. Non ha tutti i torti, John Foot. La sua analisi per una parte è molto simile a quanto già si è letto in Italia: ci ricorda che Grillo era un comico di successo e che si bruciò – televisivamente parlando – quando disse che i socialisti di Bettino Crazi erano dei ladri. Da allora ebbe inizio l’esilio di Grillo dalla Tv, fatto che lo ha condotto, dopo un lungo e tortuoso viaggio, all’attività di blogger e ora di capopolitico.

I seguaci di Grillo, per quanto ne sappiamo, tendono ad essere giovani e idealisti. La maggior parte dei suoi candidati non ha alcuna esperienza politica. Molti, se non tutti, sono cresciuti con internet e lo usano quasi esclusivamente per comunicare e ottenere informazioni e notizie. Il Partito di Grillo è sia postmoderno che post-politico. Ma il Movimento Cinque Stelle combina questi nuovi elementi con un vecchio stile, il populismo anti-politico.

Appunto, la vecchia retorica dell’antipolitica è stata il carburante poco nobile su cui è stato edificato un consenso ventennale, quello di Berlusconi e dei suoi alleati, in primis Bossi. Era antipolitica la figura del candidato-imprenditore, del secessionista in canottiera. Lo era rispetto alle facce lugubri e alle perifrasi dei capicorrente del pentapartito. A quella retorica abbiamo sostituito la retorica del berlusconismo-antiberlusconismo, ingurgitando per anni dibattiti televisivi orientati sul nulla e legislature piegate alla volontà di uno solo. Ora che proviamo odio per tutto ciò, qualcuno è già pronto per cavalcarlo. E’ stato tanto scaltro da prevederlo per tempo, che avremmo odiato la politica e tutti i suoi privilegi, anche quelli meritati.

Che cosa significa il successo di Grillo per l’Italia? E ‘interessante guardare il “programma” a 5 Stelle, che è quasi del tutto negativo. Il manifesto è costituito in gran parte da una serie di leggi esistenti che saranno abrogate una volta preso il potere, oltre a un po’ di ecologia (Grillo è quasi un messia in materia ambientale) e una buona dose di euroscetticismo. Non è un programma di governo. Grillo non ha nulla da dire a 5 milioni di immigrati, e molto poco da dire in Europa. Il suo messaggio è solo per gli italiani, e il suo linguaggio violento e anti-istituzionale gli ha attirato accuse occasionali circa il fatto che lui sarebbe un “fascista del web”. Altri hanno visto in lui una versione di Berlusconi basata u internet. Ci sono dubbi anche sul suo controllo sul “movimento”, che sembra essere assoluto, e forse un po’ simile alle strutture di potere che lui è così pronto a criticare in altri. […] Qualunque cosa accada, il Movimento a Cinque Stelle non può più essere ignorato, e la reazione violenta della politica (e dell’élite intellettuale) al sorgere di Grillo è una chiara indicazione che abbiamo bisogno di prendere questo comico molto sul serio.

Articolo originale:

A different place: Beppe Grillo va sul Washington Post

Cominciamo dalla conclusione, ovvero dalle parole – tradotte in inglese – di Giovanni Favia: “The figure of Beppe Grillo is a necessity if Italy is going to be a different place”. Grillo come una necessità, se l’Italia vuol essere un paese diverso. Ma l’impressione che se ne ricava, se nulla ne sapessimo, leggendo le tre pagine che il Washington Post dedica al fenomeno 5 Stelle, sarebbe una brutta – bruttissima – impressione.

La questione della partecipazione dal basso emerge solo ed esclusivamente per il famoso fuorionda di Favia a Piazzapulita. Del resto, si intuisce appena che il M5S sia un movimento a sé stante, mentre la figura di Grillo campeggia quasi come quella di un nuovo Berlusconi, ed è pericolosa come Berlusconi. Nel testo, Grillo è accostato a leader populisti europei, come Le Pen in Francia, Stronach in Austria e Geert Wilders in Olanda. Il personalismo, in questa ricostruzione, è preminente. La vulgata a 5 Stelle dirà che è un articolo pagato da qualche partito italiano o opera del complotto mondiale delle Banche che sostiene il Monti-bis. Più probabilmente questo articolo è molto più fedele di quanto non lo siamo noi, che ci vediamo con i nostri troppo generosi occhi. Forse non ci siamo accorti che stiamo sostituendo un personalismo televisivo con un personalismo a mezzo blog. Per essere effettivamente un “different place” dovremmo avere la “fiducia e il coraggio” (prendo in presto queste parole di Civati) di riformare il sistema partitico in senso maggiormente partecipativo e inclusivo e trasparente, esattamente ciò che la politica non fa e che Grillo dice di voler fare ma è il primo a non praticare.

Grillo raccoglie il sentimento antieuropeista dalla estrema sinistra. Con il consolidato argomento che l’Unione Europea è una macchina costruita dalle plutocrazie europee allo scopo di scippare il popolo della sua sovranità, Grillo aggiunge e fonde ad esso la retorica anti moneta unica e anti austerità, temi di forte presa sul “pubblico” alle prese con la più forte recessione dal 2009 (cosiddetta double-dip). Le medesime argomentazioni sono impiegate da Paolo Ferrero, FdS. E da Berlusconi, seppur con accenti diversi. L’idea di Europa come unione pacifica di stati, come superamento del dogma della sovranità assoluta e della forma della Nazione-Potenza, non viene nemmeno lontanamente sfiorato. L’Europa è un nemico burocratico, che ci tratta come numeri, che cancella posti di lavoro tracciando righe su fogli di carta. Un nemico che non ha volto ma che il leader populista agita come uno spettro. Non è del tutto sbagliata la dichiarazione del giornalista Massimo Franco al Washington Post: “Grillo represents a sort of blurring of the far left and far right” (Grillo rappresenta una sorta di con-fusione dell’estrema sinistra e dell’estrema destra). Da un lato si depreca l’uso di denaro pubblico per alimentare il sistema politico, dall’altro si chiede che la mano pubblica gestisca le utilities municipali, in un sorta di riedizione dello Stato sociale degli Settanta in un’epoca in cui i bilanci pubblici sono soggetti a forti cure dimagranti.

Il collante vero, ed è ciò che sfugge all’auto dell’articolo del WP, ciò che coagula questa massa critica che è ormai divenuto il “pubblico” dei 5 Stelle, è l’ideologia della democrazia diretta, una forma di governo che gestisce il rapporto cittadino-stato attraverso i new media e quindi lo meccanizza attraverso il software. L’idea è totalizzante: l’individuo è sussunto in una sorta di plebiscito quotidiano, in una deliberazione perpetua, che comunque non potrà mai essere immediata, ma è gestita, guidata, anticipata dal marketing politico e dai software di gestione dei flussi di informazione. Il grande inganno risiede nel fatto che la rete non è libera. Grillo dice che la rete è invincibile, che è autocorrettiva, ma egli stesso è un campione del marketing politico. E usa la rete come un media alternativo, avendo egli perso le chiavi di accesso al media di massa per eccellenza, la televisione. Il suo linguaggio è un linguaggio diverso da quello di Wilders. Non è un linguaggio causale, ma agisce sempre attraverso ripetizioni, attraverso l’uso dei nomi distorti, attraverso la retorica anticasta, alimentando la corrente dell’indignazione. Ed è attraverso il motore dell’indignazione che Grillo a sua volta alimenta il proprio bacino elettorale potenziale. Di ciò non c’è traccia nell’articolo del Washington Post e, se mi permettete, questa è infine la vera novità del fenomeno del “the funny man”.

Grillo apre la via della Politica 2.0? E’ effettivamente una rivoluzione profonda la sua, anche rispetto ai più avanzati progetti di marketing virale applicati al campo politico, come poteva esserlo la campagna Obama-Biden del 2008. Grazie al M5S, una nuova generazione di cittadini viene socializzata alla politica. Ma – a mio avviso – il suo progetto rischia già di essere vecchio. Grillo dinanzi alla esplosione dei social-media è fondamentalmente disarmato (Facebook nel 2008 in Italia contava 700.000 profili, oggi 21 milioni). Grillo non è un attore nel mondo del tweeting. Lui e il suo staff curano la diffusione dei contenuti anche sulla rete di contatti che si dipana da Twitter o da Facebook, ma le interazioni sono quasi nulle. Potrei definire il rapporto di Grillo con il web come uno-molti. Ed è anche unidirezionale. Esattamente l’opposto di ciò che propaganda. Qui si cela l’inganno. Ma sulla stampa estera spicca la figura del leader populista. Per questa ragione, e non altre, si può dire che l’analisi del WP è superficiale. L’anomalia Grillo non è semplicemente una anomalia partitica, ma costituisce l’apertura del mondo politico a un tipo di interazione che è mediata dalla macchina software. E si tratta solo di metà della rivoluzione. Che avverrà pienamente soltanto quando il flusso informativo avverrà in ambedue le direzioni, da e verso il leader/rappresentante/eletto. L’inquadramento dato dal WP a Grillo è per queste ragioni deficitario.

Monti ha minacciato le dimissioni per forzare il sì di Merkel

Secondo El Pais, Mario Monti avrebbe tenuto in scacco il Consiglio Europeo per un’ora – quell’ora di mistero in cui Angela Merkel ha rimandato la propria conferenza stampa – minacciando le dimissioni se non fossero state prese in considerazione le sue proposte. “E’ stato un momento di grande tensione”, ha rivelato un dirigente comunitario di massimo livello. La situazione si è sbloccata soltanto alle tre della mattina di Venerdì, durante l’incontro bilaterale Monti-Merkel. Gli accordi siglati in precedenza, al G-20 a Los Cabos (Messico), e durante i due incontri a Roma e Parigi, che avevano praticamente delineato le misure per fronteggiare la crisi del debito e la mancata crescita, una volta che i leader europei erano arrivati a Bruxelles, erano diventati “lettera morta”, riportano le fonti de El Pais. Questa circostanza avrebbe fatto infuriare il primo ministro italiano, sino alla minaccia di dimissioni.

Continua a leggere: http://internacional.elpais.com/internacional/2012/06/29/actualidad/1340996603_211857.html

Rossella Urru, nuovi particolari sulla stampa africana

L’Agenzia Nouakchott d’Information aggiunge alcuni particolari sulla presunta trattativa che avrebbe portato alla liberazione di Rossella Urru e del gendarme mauritano Edy Ould. Secondo l’agenzia di stampa, i due rapiti dovevano già ieri tornare in libertà sulla base di un accordo i cui termini sono rimasti indefiniti. In ogni caso, il successo della trattativa verrebbe dal coordinamento fra il presidente della Mauritania, Mohamed Ould Abdel Aziz, e l’inviato speciale del governo italiano Margherita Boniver. L’accordo ruoterebbe intorno alla scarcerazione del membro di Al Qaeda, Abdel Rahman Madou al-Azawadi, il quale sarebbe stato portato in una località sconosciuta in attesa dello scambio. Abdel Rahman Madou al-Azawadi era stato ondannato a 5 anni di carcere dai giudici della Mauritania per il sequestro nel 2010 di un italiano, Sergio Cicala.

Fatimettou Mint Brahim, madre di Ely Ould Elmoctar, ha detto in un contatto con ANI, che la moglie di suo figlio è stata informato dalla polizia di Amourj (es Mauritaniat) della sua liberazione e che dovrebbe arrivare in pochi ore a Nouakchott. Invece, sempre secondo ANI, Rossella Urru dovrebbe arrivare a Bamako, nel Mali. Ma dalla divulgazione di questi dettagli sono passate più di ventiquattro ore.

Secondo fonti di Sky TG 24, Rossella sarebbe libera, ma non in mani italiane.

Bamako, sud Mali

ore 11.45: AdnKronos rilancia informazioni del sito mauritano al-Akhbar:

“Resta fitto il mistero sullo scambio che sarebbe dovuto avvenire ieri tra le autorita’ Mauritane e i terroristi di al-Qaeda nel maghreb islamico”. E’ quanto si legge sul sito informativo mauritano ‘al-Akhbar’ a proposito della vicenda della nostra connazionale Rossella Urru e del poliziotto mauritano. Il sito commenta la notte di attesa e di assenza di notizie parlando unicamente dell’agente mauritano in mano ai terroristi. “La famiglia del poliziotto mauritano Aal Ould al-Mukhtar – si legge – e’ in forte ansia per il loro caro perche’ temono che la trattativa, data ieri per riuscita, sia invece saltata”. Alcuni rappresentanti della famiglia del poliziotto, rapito due mesi fa nel sud della Mauritania, sostengono che “il silenzio tenuto dal governo di Nouakchott sulla vicenda potrebbe voler dire all’opinione pubblica che tutto quanto venuto fuori ieri potrebbe essere falso”. I familiari dell’agente affermano inoltre che “ora iniziamo ad avere paura perche’ ci troviamo di fronte al governo che non parla e questo e’ un brutto segno” (via iltempo.it).

Su Mallorca Diario si afferma che gli ostaggi spagnoli sequestrati con Rossella Urru starebbero bene.

Inoltre, secondo Point Chauds On Line, la liberazione del gendarme mauritano non sarebbe avvenuta in maniera contemporanea a quella di Rossella. Edy Ould sarebbe stato condotto nel deserto fra Mali e Mauritania e là scambiato con il membro di Al Qaeda scarcerato dal governo mauritano ieri. Di Rossella si scrive, con una buona dose di approssimazione, che la sua liberazione sarebbe avvenuta solo dietro il pagamento di un riscatto da 30 milioni da parte del governo italiano.

Ore 13.37: il giornale maghrebino Taqadoumy afferma che fonti governative malesi smentiscono sia la liberazione di Rossella Urru che quella del gendarme mauritano Edy Ould. Non ci sarebbe stato nessuno scambio nel deserto, né nessuna liberazione.

Stamane il Corsera ha precisato che: “I detenuti dei quali è stato chiesto il rilascio appartengono ad Aqim, la branca qaedista principale nel Maghreb mentre la volontaria italiana è stata catturata dagli scissionisti del «Tawhid», formazione composta soprattutto da africani”.

ore 14.32: La notizia della liberazione di Rossella Urru è stata ufficialmente smentita dallo stesso Sahara Media, fonte primaria della notizia come descritto qui. Sahara Media afferma che la medesima fonte, dalla quale è venuta a conoscenza della presunta liberazione, ha detto che le informazioni ricevute a sua volta non erano corrette. Non c’è stato alcuno scambio nel deserto, e quindi anche il gendarme, nella mani della Jihad Al Qaeda del Mali, è ancora nelle mani dei propri sequestratori.

[in aggiornamento]

Rossella Urru, ecco la prima notizia della liberazione

Il giallo della liberazione di Rossella Urru comincia ieri alle 23.42, ora in cui la testata giornalistica della Mauritania, Sahara News, pubblica la notizia che vedete qui sopra. Nell’articolo si afferma che il giornale “ha appreso da una fonte speciale che al-Qaida ha liberato un gendarme scelto della Mauritania, Ely Ould, e l’italiana Urru Rossella, facente parte di una organizzazione di beneficenza”. L’ostaggio italiano era dato in viaggio verso Roma su un jet privato (di chi’?).

E’ quasi acquisito – continua l’articolo nella sua versione francese – , tuttavia, che in cambio del rilascio di Ely Ould Moctar e Rossella Urru, Nouakchott ha finalmente acconsentito a rilasciare Abderrahmane Ould Meddou, commerciante arrestato nel Mali orientale e fortemente sospettato dai servizi segreti mauritani di ordinare il sequestro di ostaggi italiani”. Ould Meddou era ritenuto responsabile dalle autorità mauritane del sequestro di italiani avvenuto nel 2010, persso il Kubni, nell’est della Mauritania. Per tale ragione era stato arrestato. La sua scarcerazione è stato il prerequisito della liberazione del gendarme mauritano e di Rossella. La notizia della richiesta di riscatto per Rossella, rilanciata dalla France Press questa sera, cambia del tutto lo scenario che ci è stato raccontato dalla testata africana questa notte.

Il silenzio di Obama sui massacri a Piazza Tahir. Islamisti in testa anche al secondo turno

Da qualche ora in rete e sulle principali home page dei giornali europei potete constatare la gravità della situazione in Egitto attraverso la visione di uno sconvolgente filmato in cui una donna viene brutalmente pestata e bastonata dai militari dell’Esercito. Un atto talmente vile e efferato che dovrebbe meritare subito una condanna netta da parte della Comunità Internazionale. Invece, anche in Italia (Ministro degli Esteri, Presidente della Repubblica, perché non parlate?) vige il silenzio delle istituzioni, un silenzio che nel mondo anglosassone investe pure i giornali più importanti, in primis The Washington Post. Questo il misero trafiletto che la vicenda ha meritato sulla pagina internazionale del WP, peraltro privo di riferimenti al video che circola sul web:

D’altronde né Hillary Clinton, né Barack Obama hanno emesso note ufficiali con le quali condannano le violenze di questi giorni in Tahir. Il massimo dell’esposizione che Washington ha avuto nei giorni scorsi è stata quella di strigliare i militari con un comunicato dai toni molto delicati:

In Egitto la transizione verso la democrazia deve continuare, con elezioni in tempi brevi, e la messa in atto di tutte le misure necessarie per garantire la sicurezza e prevenire l’intimidazione. Innanzitutto noi crediamo che il passaggio dei poteri ad un governo civile debba avvenire quanto prima possibile in maniera giusta e completa per soddisfare le legittime aspirazioni del popolo egiziano (blitz quotidiano).

I militari, con la scelta di nominare capo del governo Kamal el-Ganzouri, ex primo ministro durante il regime di Hosni Mubarak, hanno apertamente sfidato la Casa Bianca. Per trent’anni gli USa hanno sostenuto e finanziato la casta dei militari in Egitto al solo scopo di difendere la pace di Camp David del 1979 fra Egitto e Israele. Se Obama eccede nelle pressioni, i militari potrebbero loro stessi, ancor prima di un eventuale governo islamico, mettere in discussione i rapporti con Gerusalemme. Obama ha riferito che gli USA continueranno a fornire supporto all’Egitto con qualsiasi governo. In realtà, gli aiuti in armi che gli USa forniscono al paese, vengono impiegati per reprimere la rivolta. E il solo affermare che gli USA chiedono al più presto la transizione a un regime democratico, stride con quanto sta emergendo dai risultati del secondo turno delle elezioni:

Egitto, partiti islamisti in testa anche al secondo turno

 

Gli islamisti, sia quelli più moderati che quelli più intransigenti, avrebbero vinto anche il secondo turno delle legislative egiziane. Con il 39% dei voti, il Partito Giustizia e Libertà, braccio politico dei Fratelli Musulmani egiziani, ha rivendicato di essere la prima formazione. Secondi, come alla prima tornata, nuovamente i salafiti del partito Al Nour, che sostiene di aver ottenuto oltre 30%. L’affluenza sarebbe stata del 67%. (Il Sole 24 ore).

Chiunque è in grado di capire che un governo fra Fratelli Musulmani e i salafiti sostenuto dagli USA con la medesima intensità degli ultimi trent’anni è cosa impossibile, tanto più che aiuti sotto forma di armamenti avranno buona probabilità di essere impiegati un giorno contro lo stesso Israele. E’ già accaduto nella storia: che i nemici in un conflitto si sparino entrambi con proiettili made in USA.

Financial Times: l’Italia è il malessere post-party dell’Europa

fonte: http://www.ft.com/cms/s/0/621f81b2-0184-11e1-8e59-00144feabdc0.html # ixzz1cAMCtWU

(traduzione propria)

In Italia gli oneri finanziari sono saliti ai massimi dell’era-euro appena un giorno dopo che i leader europei hanno concordato il nuovo piano per invertire la crisi a spirale del debito della regione, un segnale preoccupante che non siano riusciti a riconquistare la fiducia dei principali mercati finanziari.

Mentre funzionari italiani sono ammassati nel centro di Roma per protestare contro i possibili licenziamenti forzati, l’Italia è costretta a pagare il record di 6,06 per cento in un’asta delle sue obbligazioni a 10 anni, rispetto al 5,86 per cento di un mese fa, nonostante l’intervento della Banca centrale europea sul mercato.

Tale movimento si è verificato non appena i funzionari europei si sono rivolti a Cina e Giappone per la possibile partecipazione al finanziamento del fondo di salvataggio della zona euro. A Tokyo, in Giappone il primo ministro, Yoshihiko Noda, ha detto al Financial Times che vorrebbe vedere “un impegno ancora maggiore” in Europa per “alleggerire le preoccupazioni della crisi attraverso la creazione di un approccio più forte e più dettagliato”.

Il mondo della terza più grande economia resta preoccupato per un possibile contagio. “Questo fuoco non è dall’altra parte del fiume”, ha detto Noda. “Attualmente, la cosa più importante è garantire che non si diffonda in Asia o nell’economia globale”.

I mercati sempre vedono l’Italia come il paese decisivo per la gestione della crisi del debito dell’Eurozona. Il piano di riforme economiche presentato da Silvio Berlusconi, il primo ministro, ha ricevuto un cauto benvenuto al vertice di Bruxelles, ma è stato criticato dagli investitori poiché ritenuto inadeguato e al di là delle capacità del suo indebolito governo di centro-destra per essere messo in azione.

“Chiaramente questo [l’aumento dei tassi per i Btp]  non sembra un voto di forte fiducia nel pacchetto”, ha detto Nicola Marinelli, gestore del fondo per la gestione Glendevon Re Asset, commentando l’asta dei bond. “Penso che, dopo l’euforia di Giovedi, il mercato sia alla ricerca di maggiori dettagli dall’Europa”.

Avendo l’Italia la necessità di rifinanziare l’anno prossimo quasi € 300 miliardi di € 1.900 mld della sua montagna di debito, Berlusconi è messo sotto forte pressione da parte dell’Unione europea e della BCE di portare avanti rapidamente le misure per risollevare l’economia stagnante e di evitare di seguire la Grecia, l’Irlanda e il Portogallo alla ricerca di una forte iniezione di liquidità [bail-out]  che sarebbe al di là della potenza di fuoco attuale della zona euro. E sono proprio gli sforzi per rafforzare la potenza di fuoco del fondo salva-stati che hanno spinto l’Europa a guardare a Pechino e Tokyo per il finanziamento.

Klaus Regling, il capo del fondo europeo di stabilità finanziaria, si è recato a Pechino venerdì nella speranza di convincere la Cina a rafforzare il sostegno per la rafforzamento del fondo e si prevede che visiti anche il Giappone. Il Giappone attualmente detiene poco più del 20 per cento dei 10 miliardi di € in obbligazioni emesse dal EFSF, e il signor Noda, che è stato ministro delle Finanze prima di diventare primo ministro il mese scorso, ha segnalato che Tokyo continuerà a sostenere l’espansione del fondo.

In Italia, Berlusconi ha insistito che non vi è “alcuna alternativa credibile” al suo governo, ma ha definito l’euro una moneta “strana” che “non ha convinto nessuno”. Berlusconi ha poi rilasciato una dichiarazione per chiarire il suo sostegno all’euro e ha detto che esso è vulnerabile agli attacchi speculativi perché è una moneta senza governo, uno stato o una banca centrale di ultima istanza.

Il voto del mercati ‘di sfiducia’ si è fatto sentire anche in Spagna, dove rendimenti del benchmark è saltato di 18 punti base al 5,51 per cento. Anche le banche italiane hanno anche sofferto, le loro azioni hanno perso l’esuberanza post-vertice di giovedi. UniCredit è scesa di oltre il 4 per cento mentre anche le azioni francesi e l’euro sono scesi.

Alti funzionari italiani presso la banca centrale e il Tesoro, così come importanti banchieri, hanno anche avvertito Bruxelles che i piani per ricapitalizzare le banche non sono stati correttamente pensati e c’è il rischio di spingere l’Italia, e altre economie, in recessione, costringendo le banche a sospendere i finanziamenti ad aziende e consumatori. “Questa situazione non è stata pienamente presa in considerazione e vi è il rischio grave che mezza Europa finisca in recessione”, ha detto un alto funzionario.

Ulteriori dubbi sul fondo di salvataggio proposto della zona euro sono state sollevate a Berlino, quando la potente corte costituzionale tedesca ha emesso un’ingiunzione che richiede al Bundestag tedesco di approvare preliminarmente qualsiasi urgente operazione di acquisto di bond da parte del Fondo europeo di stabilità finanziaria. La mossa a sorpresa non è però una decisione definitiva da parte del giudice, ma significa che il parlamento è impossibilitato di utilizzare una speciale sottocommissione di nove membri per prendere decisioni di emergenza e in segreto, fino a quando il tribunale emetterà una sentenza completa – forse a dicembre.

I Ministri delle Finanze dell’Eurozona devono ancora negoziare gli ultimi dettagli di modi per “sfruttare” i 440 miliardi nel EFSF per dare al fondo una maggiore capacità finanziaria per poter acquistare obbligazioni sul mercato secondario. Il vertice dell’eurozona ha fissato una scadenza a fine novembre per raggiungere un accordo, il che rende improbabile che il fondo sarà pronto ad agire in questo senso nel prossimo futuro.