#EP2014 Diretta Elezioni Europee

13.07 Il crollo di voti per Grillo

12.56 Oramai è confermato: eletti fra i civatiani, Daniele Viotti, Renata Briano, Elly Schlein, Elena Gentile. Quindi, per rispondere al quesito di Cerasa di ieri, sì siamo andati bene.

11,03 Preferenze: i civatiani eletti potrebbero essere tre/quattro. Forse due nel NW, quindi Elly Schlein e Elena Gentile.

4,47 Oramai il dato è confermato: successo storico del Pd, che ha riconquistato 3 milioni di voti rispetto al Febbraio 2013. La soglia Italicum è stata superata. La Destra? Quale destra?

23,16 …e visti i precedenti, mi frmo qui. A dopo.

23,11 Tecné invece dà un risultato meno cristallizzato di quello di Masia su La7 PD 27/34 M5S 24/31, con probabilità 58-65%

23,05 Alfano al 4%, in bilico insieme a Lista Tsipras

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23,00 EXIT POLL Italia @TgLa7  PD 33% (+/- 2,5%) M5s 26,5 FI 18

22,50 sì quindi Junker reclama la vittoria – ma i seggi di PPE e PSE potrebbero non bastargli

22,41 L’Ungheria si è smarrita

22,40 Chiaramente è una stima, ma PSE avrebbe 193 seggi

22,23 il paradosso è che il voto antieuropeista avrà l’effetto di rafforzare il partito trasversale del rigore finanziario. Verso Junker?

22,18 Francia: “This result is a shock, an earthquake,” ha detto Manuel Valls, primo ministro socialista. Marine Le Pen chiede nuove elezioni

22,10 Serie storica dell’affluenza, 43,1 dato in linea con 2009

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22,07 scrive Civati: “Come a ogni elezione, tutto il voto minuto per minuto. Tra poco su Ciwati.it: http://www.ciwati.it/2014/05/25/tutto-il-voto-minuto-per-minuto-fino-a-una-certa/

22,05 in Germania affluenza al 47,9% – drammatico il dato in Polonia: 22%

22,00 Jaume Duch-Guillot: è un passaggio storico per l’Unione Europea. L’affluenza al 43,1%

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21,51 sul sito http://electionsnight2014.eu/ la diretta dell’annuncio del portavoce dell’europarlamento Jaume Duch-Guillot sulle prime stime dell’affluenza

21,40 Un riassunto del risultato dei partiti di estrema destra in Europa (Regno Unito, dato del partito di Farage?)

21,30 fra un po’ seguiterò a scrivere ma su twitter @yespolitical – perché si farà tardi..

21,23 Javier Solana, Alto Rappresentante per la Politica Estera e di Sicurezza dell’Unione Europea

21,10 Seggi chiusi dappertutto, tranne..

21,07 è già arrivato l’appello a Grillo

Tratto da Huffpost.it – fonte ANSA

“Unitevi a noi! Tutti coloro che sono per la libertà, l’indipendenza e contro l’Unione europea devono unirsi a noi”, ha affermato Le Pen, a margine del suo intervento a Nanterre, nel quartier generale del Front National. “L’Unione europea deve restituire quello che ha rubato, con la debolezza, la viltà e il tradimento delle elite europee, deve restituire al popolo la sua sovranità e dobbiamo costruire un’altra Europa: l’Europa delle nazioni libere e sovrane, l’Europa delle cooperazioni liberamente scelte. Ciò che è stato espresso oggi è un rifiuto massiccio dell’Ue”.

21,05 Ultimi dati dalla Francia ridimensionano leggermente il FN (22%)

21,00 Intanto su Twitter #EP2014 sfiora le 200 mila menzioni

21,00 Bulgaria, partito conservatore del premier Borisov al 30%

20,48 Con la crisi del Partito Socialista francese, a rischio la nomina di Martin Schulz come presidente della Commissione Europea. Il gruppo PSE in Europarlamento sarà guidato da SPD e Partito Democratico. Fatto che rende ancor più importante aver espresso le giuste preferenze.

20,40  delusione forte nei commenti su Twitter #EP2014 dopo gli exit poll francesi:

20,37 – Alba Dorata è pur sempre la terza forza partitica in Grecia, in EP gonfierà le fila degli antieuro

20, 30 – Estrema destra euroscettica vince anche in Danimarca – fortuna che i danesi assegnano solo 13 seggi.

20,30 – Il grafico degli exit poll francesi – qui il PS fermo al 14,2

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20,19 Nel 2009 era al 4%

20,17 – Non stiamo tanto bene…

20,15 – Republica.it pubblica un exit-poll per errore ad urne ancora aperte #fail

20,10 – Marine Le Pen e il Front National al 25%, Partito Socialista al 14,7% – tgLa7

20,05 – Oggi pomeriggio Claudio Cerasa ha fissato alcuni criteri che, a suo dire, dovrebbero permettere di valutare i risultati: 1) Renzi vince se supera Veltroni 2008 (???);

– Sfide da seguire nel Pd: De Luca che prova a sgambettar Renzi appoggiando Caputo per togliere voti a Ferrandino (sindaco renziano di Ischia)

– Per sapere quanto pesa ancora Bersani osservare i voti che prenderanno Caronna (nord-est), Zanonato (nord-est), Panzeri (nord-ovest).

– Per capire quanto peserà Civati osservare i voti di Viotti (nord-ovest), Schlein (nord-est), Bonaccorsi (centro), Gentile (sud).

20,00 – Exit Poll in Austria – People’s Party 27%, Socialist Democratic Party 23.8, Green party 15, Freedom party 19

19,50 – Il dato del 42% mostra chiaramente una flessione rispetto al 2009

In controtendenza la Francia, con un aumento della’affluenza di quasi il 2% alle ore 17 35.07% (33.18% nel 2009)  dati Ipsos

19,45 – Affluenza ore 19, dati ancora parziali, ma pare attestarsi al 42%

18.48 – la suddivisione dei seggi tedeschi nel grafico di @electionista

18,40 – Noi invece dobbiamo aspettare sino alle 23, anche se il macrodato europeo conferma buona prestazione dei partiti di sinistra. Se solo fossero uniti…

18,35 – Sono appena usciti gli exit-poll della Grecia che vedono Syriza largamente in testa (27-30%). E quelli della Germania:

  • CDU/CSU (EPP): 36,1% (36 seggi)
  • SPD (S&D): 27,5% (27 seggi)
  • Grüne (Greens/EFA): 10,6% (10 seggi)
  • FDP (ALDE): 2,9% (3 seggi)
  • Die Linke (GUE/NGL): 7,6 (8 seggi)
  • Alternative für Deutschland (—): 6,5% (6 seggi)
  • others: 8,8% (6 seggi).

18,30 – Comincia il liveblogging su yespolitical.com

Alexis Tsipras, il rischio calcolato

Alexis Tsipras

L’Europa è in una impasse.

Essa non è solo un effetto collaterale della crisi, ma è il risultato di un processo perverso che ha avuto come obiettivo la socializzazione delle perdite e la privatizzazione di tutto ciò che può generare profitti. I bail-outs, i piani di salvataggio che impongono “austerità” ai popoli che li subiscono – non si parla solo di PIIGS ma di tutti i Paesi facenti parte della zona euro –  sono in realtà piani di salvataggio delle banche creditrici.

“I leader europei devono abbandonare l’attuale strategia di austerità”, ha scritto recentemente Frank Hollenbeck, docente Finanza ed Economia presso l’Università Internazionale di Ginevra. Questo non è certo un giudizio idealista, tanto è vero che anche il mondo più scettico della finanza internazionale è arrivato a tale conclusione. Così, il nuovo governo tedesco di Larghe Intese si è potuto formare sulla base del presupposto che, senza una progressiva riduzione del debito e un aumento degli investimenti soprattutto nella periferia meridionale d’ Europa, stremata sia dal punto di vista economico che da quello sociale, non si riuscirà a modificare questa tragica situazione di crisi.

L’interventismo della Troika ( FMI, BCE, Commissione europea) con l’ imposizione dei Memorandum di austerità e di riforme strutturali in direzione di privatizzazioni in settori strategici, ha portato alla distruzione dei servizi pubblici e dei diritti dei lavoratori. Ed è sulle macerie dello Stato Sociale che cambiano gli scenari politici. L’ ascesa  del partito Syriza in Grecia, guidata da Alexis Tsipras, è dovuta alla sua  determinazione a lottare per una nuova strategia economica e sociale a livello europeo, rifiutando le politiche neoliberiste ma senza uscire dalla UE, né dall’euro.

Può essere che nelle Elezioni Europee di quest’anno vi sia un forte astensionismo con una contemporanea affermazione degli euroscettici, i quali auspicano  il ritorno alla sovranità nazionale e la reintroduzione delle monete nazionali. L’Europa, però, ormai esiste ed è irreversibile. Nel maggio scorso Alexis Tsipras, in una intervista  alla CNN, aveva detto che, a causa del memorandum e dell’austerità che impone, “i Greci stanno andando direttamente all’inferno”. Tsipras ha anche detto che il suo partito vuole mettere fine all’austerità tenendo la Grecia nell’eurozona e allacciando nuove alleanze per superare la crisi. “Faremo tutto quel che possiamo per muoverci in questa direzione, per trovare la soluzione alla crisi, che non è un problema solo greco, ma europeo”.

Oggi  constatato che  il piano di salvataggio della Grecia è fallito […] Bisogna fermare immediatamente l’austerità e convocare una conferenza europea sul debito, per la Grecia e gli altri paesi della periferia, come quella di Londra del 1953 in cui si ammise che il conto post bellico tedesco era troppo alto. Servirebbe una clausola sui rimborsi legati alla crescita: se il pil è positivo, paghiamo; sennò, no. Infine ci vorrebbe un «new european deal», un grande pacchetto di investimenti per la crescita – soprattutto nel mezzogiorno d’Europa – che finanzi la ripresa (La Stampa.it).

Tsipras ha affermato che vorrebbe trovare partner a questo fine tra i paesi del sud e del centro Europa. Con tale obiettivo, lo scorso 14 gennaio si è svolto a Roma l’incontro tra una delegazione del partito greco Syriza e i dirigenti nazionali del Movimento Federalista Europeo (MFE). La delegazione greca ha condiviso in pieno gli obiettivi fissati dall’ICE (Iniziativa dei Cittadini Europei, promossa dal MFE) nel New Deal 4 Europe – Per un Piano europeo straordinario per lo sviluppo sostenibile e l’occupazione, già presentato alla Commissione Europea. Il progetto prevede la costituzione di comitati promotori nazionali in otto paesi diversi dell’Unione europea, e Syriza  si è impegnata a considerarlo una delle proprie priorità politiche nella prossima campagna per le elezioni europee.

La delegazione italiana ha informato che sono in corso contatti anche con altri movimenti e forze politiche europee per allargare e dare forza alla coalizione per un New Deal 4 Europe. Anche il Partito della Sinistra Europea (SE) ha lanciato la candidatura di Tsipras, leader della Syriza, al Congresso che da poco si è tenuto a Madrid, auspicando che ciò contribuisca alla ricostruzione della sinistra. Oggi la parola “sinistra” è equivoca per molti: se è diventata una forza politica in ascesa in Grecia, in Italia non lo è più.

Tsipras,  che è stato raffigurato come un radicale estremista, è invece un freddo stratega che intende portare avanti con l’Europa un rischio calcolato, in particolare nei confronti di Angela Merkel, il cui governo di Grande coalizione nato dal patto con la Spd, è adagiato su una posizione mediana.  I socialdemocratici avrebbero potuto inserire punti di programma più forti, come quelli del sindacato DGB per un Piano Marshall per l’Europa. Invece  hanno confermato la loro contrarietà a qualsiasi europeizzazione del debito.

Parlando di Tsipras, bisogna far riferimento alla sua intelligenza di  politico e alla sua posizione politica che vuole un’ Europa  radicalmente cambiata: un’ Europa che sia un’unione, un’ Europa non imperiale, ma solidale e democratica. Un’ Europa “che cancelli il Fiscal Compact e modifichi i trattati di Maastricht e Lisbona”. Che riapra il processo costituente e lo rimetta nelle mani dei popoli.

Non  più metodo, ma contenuti […] Un’ Europa che abbia una Banca Centrale interamente pubblica, i cui soci siano le Banche centrali pubbliche dei Paesi membri […] Un’ Europa che svolga un ruolo autonomo e  sovrano nel contesto internazionale e sia una interlocutrice non più  più subalterna con gli USA e promotrice di una posizione strategica nei confronti della Russia (libreidee.it).

L’ Europa attuale, scrive Barbara Spinelli, è invece un equilibrio di potenze  basato sugli egoismi nazionali e sul dominio dei più forti sui più deboli.

Le forze della sinistra italiana nelle elezioni europee del 2009 non hanno eletto alcun rappresentante nel Parlamento perché non hanno raggiunto la percentuale minima richiesta (la legge elettorale italiana ha una soglia di sbarramento del 4%).

Nel corso della giornata del 14 Gennaio, la delegazione di Syriza, guidata da Nikos Pappas, persona molto vicina a Tsipras, ha incontrato personalità appartenenti alla galassia delle forze politiche della sinistra italiana: certamente SEL e Fausto Bertinotti. L’obiettivo esplicito era tastare il terreno onde valutare la praticabilità di una lista italiana che appoggiasse la candidatura di Tsipras alla Commissione Europea.

Il partito di SEL, che da un lato sembra voler costruire una sinistra unita, plurale ed euro-federalista, forse si affiancherà nuovamente all’Alleanza progressista dei Socialisti e dei Democratici , dove sono rappresentati anche la SPD tedesca, il PD e il PS francese, i laburisti inglesi, piuttosto che confluire nella Sinistra Europea unita con la candidatura di Tsipras.

In Italia è stata proposta una Lista civica sovranazionale e transnazionale di adesione alla canditatuta di Alexis Tsipras. La lista autonoma è promossa da personalità della cultura (Barbara Spinelli, Andrea Camilleri, Paolo Flores d’Arcais, Luciano Gallino, Marco Revelli,  Guido Viale ) dell’arte e della scienza e da esponenti di comitati, associazioni, movimenti e organismi della società civile che ne condividono gli obiettivi e i contenuti. Non verrà contrattata con alcun partito, per segnare una netta discontinuità con il passato e per marcare  diversamente la proposta: nella volontà dei proponenti, l’adesione a questa lista elettorale non dovrebbe essere confusa con l’apparentamento ad alcuno dei partiti esistenti o di nuova formazione.

Per un’unica Legge Elettorale Europea

Act. React. Impact

Act. React. Impact

La vulgata antieuropeista caratterizzerà il dibattito politico, si presume, almeno sino al voto per le Europee 2014. Si parlerà, senza neanche troppo conoscerli, di Trattati MES e di Unione Bancaria, di Fiscal Compact e di rapporti Deficit/Pil. Si dirà che l’Europa “che vogliamo” è l’Europa dei Popoli e non quella dei Tecnocrati della Bce. Che questa Istituzione comunitaria, il Parlamento Europeo, è distante e vuota, chiusa in sé stessa a parlare la lingua tecnica dei codici.

Giuseppe Civati ha raccolto oggi l’appello di Barbara Spinelli per una riforma della legge elettorale italiana per l’elezione dei nostri rappresentanti a Bruxelles (nella neolingua comunitaria si chiamano MEPs, Members of European Parliament). L’attuale normativa mantiene il carattere di una legge proporzionale pura ma è stata modificata nel 2009 con l’introduzione di una soglia di sbarramento del 4%. Lo sbarramento è uno strumento che i legislatori introducono nelle leggi elettorali al fine da semplificare il quadro partitico e favorire la governabilità dell’Istituzione. Ma tale accorgimento, sebbene sia consentito dai Trattati, non serve nell’ambito del Parlamento Europeo in quanto i gruppi parlamentari sono fissi. Certamente, è anche una soglia che esclude dall’accesso ai rimborsi elettorali, che sappiamo essere il nocciolo di tutto il problema del sistema partitico italiano. Detto ciò, Civati auspica “un unico sistema elettorale europeo, magari associato all’attivazione di quelle forme di consultazione che gli stessi Trattati prevedono”. Qualcosa che, dal punto di vista degli ‘euroconvinti’, sarebbe il viatico naturale per la formazione una opinione pubblica europea e dell’Unione Politica.

Sinora nel TFUE (Trattato di Funzionamento dell’Unione Europea), in materia di elezione dei rappresentati dell’Europarlamento, è stato inserito solo un catalogo di principi comuni:

  •  La rappresentanza proporzionale basato sul sistema di lista o voto singolo trasferibile o di preferenza come opzione per gli Stati membri;
  • Elezione diretta a universale suffragio con voto libero e segreto;
  • Gli Stati membri decidono circoscrizioni o aree elettorali, senza pregiudicare complessivamente il carattere proporzionale del sistema elettorale;
  • La soglia di sbarramento massima nazionale dei voti espressi è del 5 per cento;
  • E’ possibile inserire un massimale nazionale per le spese elettorali dei candidati;
  • I deputati godono dei privilegi e delle immunità loro applicabili in base al protocollo dell’8 aprile; 1965 sui privilegi e sulle immunità delle Comunità europee;
  • Dalle elezioni europee del 2004 l’ufficio di un deputato è incompatibile con quella di membro del un parlamento nazionale.

Nell’alveo di queste norme, gli Stati hanno prodotto ognuno per sé il proprio sistema elettorale europeo. Va da sé che questa impostazione impedisce un dibattito politico di tipo comunitario. Le campagne elettorali saranno il riflesso del discussione interna e non vi sarà alcuna commistione fra partiti politici nazionali e partiti politici europei (che pure esistono ed hanno una organizzazione – nel caso del PSE, una Presidenza, una Vice Presidenza e un Consiglio).

Una legge elettorale europea unica per tutti gli Stati non è così lontana nel campo dell’idealità. Esiste un progetto che si chiama “Democracy International – More Democracy in Europe” ad opera di associazioni civili europee, fra cui Citizens For Europe e.V.Mehr DemokratieattacBerlinThe Union of European Federalists, con l’obiettivo di fornire al ristretto dibattito europeo il proprio contributo di proposte politiche, non ultima la Legge Elettorale Europea. Il progetto è naturalmente aperto alla collaborazione, come è possibile vedere sul sito (ma è strano non vedere la lingua italiana fra la lista dei documenti tradotti).

Il progetto di legge elettorale unica (qui il pdf) si compone di dieci punti che qui di seguito cerco di riassumere:

  1. Distribuzione dei seggi: 50% sulla base di liste transanzionali; 50% nazionali;
  2. Liste aperte: l’elettore vota per la lista o per il candidato; l’elettore decide l’ordine di lista, il candidato che prende più voti, diventa il primo della lista degli eletti; permessi candidati individuali;
  3. Elettorato attivo: votano i maggiori di 16 anni di età; possibilità di votare dall’Estero; voto elettronico;
  4. Elettorato attivo: tutti i cittadini maggiori di 18 anni;
  5. Voto comunitario nello stesso giorno; negata la possibilità di combinare elezioni nazionali o regionali ed europee (tranne i referendum) – questo punto dovrebbe avere l’effetto, nelle intenzioni dei promotori, di concentrare l’attenzione al voto per l’Europarlamento;
  6. Registrazione delle liste con consegna di firme (proporzionali al fattore demografico); registrazione entro 30 giorni dal voto;
  7. Distribuzione dei seggi: niente soglia di sbarramento e applicazione del Metodo d’Hondt;
  8. Incompatibilità con altre cariche;
  9. Equo trattamento sui media, divieto di sondaggi nell’ultima settimana di campagna elettorale;  per quanto concerne il finanziamento dei partiti transnazionali, s:
    • Garantire un equo accesso finanziario a quei partiti trans-europei che non hanno ancora eletto alcun candidato; in questo senso, i proponenti intendono giungere ad una nuova definizione di Partito Politico Europeo Transnazionale: “in particolare, la qualificazione giuridica del partito europeo deve comprendere quei partiti o coalizione di partiti che hanno presentato candidati in almeno 3 paesi con lo stesso nome e con lo stesso programma”;
    • Una parte del budget europeo dovrebbe essere destinato alla gestione operativa dei partiti, di cui l’20% dedicato ai partiti transnazionali emergenti;
    • Il finanziamento privato dovrebbe essere limitato, a seconda del numero di voti ricevuti;
    • Gli Stati nazionali devono preoccuparsi di promuovere il voto per le europee, con specificazione delle modalità da seguire;
    • Rimborsare gli Stati per garantire un accesso di base a tutte le liste dei candidati per

      Elezioni europee. Tale rimborso è basato sul tasso di partecipazione alle elezioni europee, questo per garantire che

      una partecipazione massima;

  10. Validazione del voto: nazionale, per le liste regionali; europeo per quelle transnazionali.

Naturalmente si tratta di una proposta, ed è migliorabile. Gli aspetti più interessanti sono, in primis, la formula della proposta di legge da parte di associazioni civiche; in seconda battuta, l’idea di dar vita ai partiti europei, sinora simulacri stabili, congelati in forme organizzative che prevedono una dinamica di confronto fra delegazioni nazionali che non sono mai pienamente integrate; in ogni caso, attribuire la conformità di Partito Europeo ai formazioni che siano presenti in soli tre paesi, pare essere aspetto troppo debole. Forse rivedibile la formula prevista per il finanziamento.

Come al solito, il dibattito è aperto.

UK fuori dall’Europa: Obama in aiuto di Cameron

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Abbandonato dai suoi ministri, specie da Gove e da Hammond, rispettivamente al Dicastero dell’Istruzione e della Difesa, i quali hanno dichiarato giorni fa di esser pronti a votare a favore dell’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea, David Cameron trova un inaspettato sostegno da parte di Barack Obama. Il Presidente americano ha affermato, durante la conferenza stampa a margine della visita di Cameron a Washington, che il Regno Unito compirebbe un grave errore a indire il referendum per l’uscita dall’Unione ancor prima di rinegoziare la propria partecipazione.

Cameron ha definito un piano di negoziazioni con Bruxelles, un piano che dovrebbe essere messo in opera dopo le elezioni, e una consultazione referendaria entro il 2017, sempre se Cameron dovesse ancora governare. Ma è chiaro che la batosta subita dai Tories alle recenti amministrative e il contemporaneo successo degli antieuropeisti di Nigel Farage, hanno accelerato il suo declino in seno al partito conservatore. Si prevede che il premier non verrà ricandidato. Al suo posto potrebbero avere qualche possibilità il sindaco di Londra Boris Johnson e il medesimo Michael Gove. Entrambi potrebbero cavalcare l’onda anti Europa adottando il linguaggio neo nazionalista di Farage.

Cameron ha detto: “C’è una buona ragione per cui domani non ci sarà un referendum – sarebbe dare al pubblico britannico, credo, una scelta del tutto sbagliata tra lo status quo e l’abbandono dell’UE, che non credo sia accettabile. Voglio vedere cambiare l’Unione europea, voglio vedere quale rapporto può avere la Gran Bretagna con il cambiamento e il miglioramento nell’Unione europea”.

Cameron ha anche affermato che il futuro a lungo termine del Regno Unito è all’interno dell’Unione Europea. Obama ha espresso le sue preoccupazioni circa gli eventuali negoziati per un nuovo accordo commerciale fra UE ed USA da prepararsi al prossimo G8. Obama ha interesse che il Regno Unito rimanga all’interno dell’Unione al fine di influenzarne la politica commerciale. Gli USA hanno necessità di ottenere accordi commerciali vantaggiosi con l’UE. Senza l’influenza di Londra, Washington ha strada sbarrata.

Va da sé che la mossa di Gove ha innescato una corsa a chi la spara più grossa sulle ‘colpe’ di Bruxelles. Il popolare sindaco di Londra, Johnson, ha utilizzato il suo spazio sul Daily Telegraph per ricordare agli elettori dei Tories, ma anche e soprattutto a quelli dell’Ukip (il partito di Nigel Farage) che “tutti i nostri mali non nascono a Bruxelles”. Scrive a lettere capitali, Johnson: una abitudine demagogica, fanno notare sul Guardian:

MOST OF OUR PROBLEMS ARE NOT CAUSED BY “BWUSSELS” BUT BY CHRONIC BRITISH SHORT-TERMISM, INADEQUATE MANAGEMENT, SLOTH, LOW SKILLS, A CULTURE OF EASY GRATIFICATION AND UNDER-INVESTMENT IN HUMAN AND PHYSICAL CAPITAL AND INFRASTRUCTURE.

Insomma, un attacco frontale a Gove che il ministro ora dovrà controbattere e che potrebbe non esser così gradito agli inglesi medesimi. Suo malgrado, BoJo – questo il suo soprannome – rischia di vedersi affibbiata l’etichetta del leader del blocco pro-europeo nella guerra fratricida dei Tories.

Nigel Farage sbanca le elezioni amministrative in UK – chi sta ridendo, ora?

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UKIP, United Kingdom Indipendence Party, è il partito dell’europarlamentare Nigel Farage, noto per le sue posizioni antieuropeiste e per la contrarietà alla moneta unica. UKIP si è aggiudicato un totale di 150 seggi nelle elezioni amministrative in Gran Bretagna. Un risultato che ha permesso ai nazionalisti di scalzare dalla posizione di terzo partito i Lib Dems di  Nick Clegg, il quale ha perso ben undici punti percentuali, una debacle.

UKIP non ha eletto alcun sindaco, ma ha causato la sconfitta del partito di Cameron in ben tre città. Risulta il secondo partito in ampie parti del paese, specie al Sud e nel nord-est, dove ha drenato voti anche al Labour party.

Farage è comparso in tv con un sorriso raggiante poiché, a suo avviso, UKIP ha fatto un passo in avanti in termini di credibilità per poter sedere in Westminster:

It’s a fascinating day for British politics. Something has changed here. I know that everyone would like to say that it’s just a little short-term, stamp your feet protest – it isn’t. There’s something really fundamental that has happened here (Telegraph).

E’ un giorno grandioso per la politica inglese, afferma. Ma sul Guardian lo ammoniscono: attento Farage, la strada per il Parlamento è ancora lunga e può essere lastricata di problemi, specie se l’era post Cameron è ancora lungi dal venire. Farage, scrive Michael White, potrà giocare un ruolo di kingmaker se il prossimo premier dei Consevatori, Boris o Michael Glove, non dovesse ottenere una vittoria piena, come è accaduto allo stesso Cameron. Questa ipotesi non è remota, ma difficile. “Farage non è stupido”, prosegue White, “le probabilità rimangono scoraggianti” anche se il bipolarismo continua a permanere atrofizzato. Le sue prospettive dipendono da un fallimento multiplo: sia Ed Miliband che David Cameron dovrebbero mostrare di non essere in grado di affrontare le sfide del nostro tempo, anche se i tenaci Lib Dems locali vengono spazzati via e l’economia non riesce a recuperare, in UK o nell’Eurozona.

In ogni caso, la sua vittoria mostra ancora una volta di più che il malcontento dovuto alla crisi si sta manifestando elettoralmente con cospicui flussi di voti verso le estreme, specie l’estrema destra, antieuropeista e nazionalista. Non parlate di ‘effetto Grillo’ o di grillismo. Farage è stato spesso insultato, chiamato pagliaccio o clown. L’editorialista del Guardian lo definisce “pint-in-hand cheeky chappie”, uno simpatico ma impudente personaggio, sempre con una pinta di birra in mano.

La retorica del faragismo non è certamente imperniata sulla dicotomia casta-anticasta bensì sulla vecchia e collaudata coppia noi-gli altri, coniugata nel senso della opposizione fra inglesi e stranieri, fra Regno Unito e Unione Europea. Più semplicemente, fra persone comuni e banksters. Siamo tutti vittime dei banksters; l’Euro e l’Unione Europea sono prodotto dei baksters, ergo bisogna combattere le istituzioni europee e rafforzare la sovranità nazionale. Molto semplice, immediato. Parla soprattutto ai delusi della destra ma il linguaggio della rappresentazione del nemico plutocratico di Bruxelles attira consensi anche dall’estrema sinistra. Farà breccia nel parlamento inglese come il “collega” comico italiano? Secondo Sky News no.

Nonostante la forza mostrata, i calcoli di Sky News Venerdì sera hanno spiegato che, se il livello di sostegno nelle elezioni locali fosse tradotto in elezioni generali, UKIP non vincerebbe neanche un seggio nel 2015, a causa dei capricci del sistema postale di voto.
Invece il Labour sarebbe primo con 331 seggi, poi i Tories con 245 seggi, quindi i LibDems con 48 seggi e gli altri partiti stimati intorno ai 26 seggi. Sarà vero o i sondaggisti sbaglieranno clamorosamente come in Italia?

OCSE chiede di riformare la legge sulla Prescrizione

A leggere il report OECD sulla situazione economica dell’Italia, specie le pagine che contengono le conclusioni dell’organismo internazionale, ci si stropiccia gli occhi in quanto ci si aspetterebbe ben altro che un invito – inequivocabile – a spingere sulle riforme anticicliche e pro-crescita. E invece, le due pagine di raccomandazioni sembrano un vero e proprio programma di governo: un programma al cui cospetto i discorsi del governo Letta paiono essere più una lista disordinata di (buoni) propositi che mai vedranno la luce.

Dico questo anche un po’ provocatoriamente, ma saprete meglio di me che una delle principali obiezioni sollevate durante la stagione economicamente depressiva del governo Monti rispetto a politiche anticicliche era che i vincoli europei sul bilancio pubblico non potevano essere violati. In realtà non era affatto vietato che il governo prendesse provvedimenti volti ad una generale deregulation, specie nel settore delle professioni. Ma voi saprete che la nostra rivoluzione liberale si è dimostrata una bolla di sapone e la parte politica che storicamente se ne è fatta carico, è stata presto infiltrata da lobbisti e dai piccoli feudatari delle rendite di posizione. Quindi, la nostra interpretazione del dettato europeo è stato: maggiore tassazione erga omnes, conseguente compressione salariale, riduzione dei consumi, riduzione degli ordinativi, riduzione delle produzioni industriali e così via in una spirale negativa che ci ha fatto perdere quasi il 3% di Pil lo scorso anno e – stando alle previsioni OECD aggiornate – il 1.5% nel corso del 2013.

L’OECD ha suddiviso le raccomandazioni in tre parti: la prima dedicata alla politica fiscale e finanziaria; la seconda circa il mondo della produzione della regolamentazione del mercato del lavoro e altre politiche strutturali; la terza e ultima relativa alla riforma della Pubblica amministrazione e della giustizia civile. E’ da leggere la parte relativa al mercato del lavoro, in cui l’organizzazione internazionale suggerisce al governo di rovesciare l’impostazione attuale, che vede garantiti i lavoratori che un lavoro ce l’hanno, mediante le varie forme della cassa integrazione, estendendo una sorta di assicurazione sociale a tutti, compresi disoccupati e quelli che un lavoro non lo cercano più. In materia di controllo della spesa pubblica, l’OECD chiede di proseguire la strada intrapresa con la spending review, stabilendo per la selezione delle politiche di spesa un criterio basato sulla priorità dell’intervento.

E’ molto interessante il capoverso sulla Giustizia. Sarei curioso di sapere cosa ne pensa la dolce metà della maggioranza PD-Pdl poiché in esso si cita la necessità di prevenire e risolvere i conflitti di interesse. Inoltre, per l’OECD il ricorso ai decreti lege andrebbe limitato e il governo dovrebbe legiferare per mezzo di codici o di testi unici. Ma soprattutto colpisce l’ultimo punto, il numero tre, laddove viene prescritto di rivedere la legge sulla ‘Prescrizione’ dei processi, che andrebbe rivista onde evitare ‘manovre dilatorie’, permettendo lo svolgimento sia del processo che dell’appello nei limiti delle prescrizione medesima. Qualcosa di indigesto per i peones di Berlusconi e pertanto non verrà mai raccontato sui giornali.

Quello che segue è il testo delle pagine 13 e 14 del documento pubblicato a questo link: http://www.keepeek.com/Digital-Asset-Management/oecd/economics/oecd-economic-surveys-italy-2013_eco_surveys-ita-2013-en

In corsivo i miei commenti e le parti che, a mio avviso, sono degne di essere confrontate con le dichiarazioni alle Camere (decisamente soft) del presidente del Consiglio Enrico Letta.

La politica fiscale e finanziaria.

  1. Proseguire gli sforzi per arrestare e invertire la tendenza al rialzo del rapporto debito-PIL. Ciò potrebbe essere realizzato sia con un bilancio in pareggio o con un piccolo surplus fiscale, sostenuto da una forte implementazione di riforme strutturali che agiscano sulla crescita.
  2. Mettere a fuoco il consolidamento di bilancio sul controllo della spesa [spending review], con un processo di revisione della politica della selezione delle priorità, una delle quali è un regime di assicurazione contro la disoccupazione ancor più completo, già legiferato [salario minimo?].
  3. Se le condizioni macroeconomiche si deteriorano, ancora una volta, consentire agli stabilizzatori automatici di funzionare [doppio aumento IVA]
  4. Creare il cosiddetto Consiglio fiscale appena legiferato, dandogli piena indipendenza, personale altamente qualificato, garanzia di accesso ai dati, un bilancio adeguato e la libertà di investigare come ritiene necessario.
  5. Incoraggiare le banche ad aumentare ulteriormente le disposizioni contro le perdite, e continuano a sollecitarle nel soddisfare le loro esigenze di capitale con ricapitalizzazioni o vendita di attività non-core. Incoraggiare la concorrenza nel settore finanziario.

La produzione e la regolamentazione del mercato del lavoro; altre politiche strutturali.
Proeguire le riforme del 2012:

  1. Completare l’attuazione delle riforme chiave, assicurando che la regolazione del settore Trasporti venga istituita rapidamente e che l’Autorità garante della concorrenza utilizzi i suoi nuovi poteri attivamente.

Estendere le riforme:

  1. Rimuovere normative restanti che limitano la capacità nei servizi di vendita al dettaglio e professionali; riconsiderare alcuni passi indietro, in particolare quelli che hanno limitato l’espansione della concorrenza tra avvocati.
  2. Promuovere un mercato del lavoro più inclusivo, migliorare l’occupabilità, con un maggiore sostegno per la ricerca di lavoro e della formazione, collegato con una più ampia rete di sicurezza sociale, anziché salvaguardare posti di lavoro esistenti.
  3. Promuovere l’ampliamento dell’attuale accordo tra le parti sociali in modo da allineare meglio i salari rispetto alla produttività, per contribuire a ripristinare la competitività.
  4. Ampliare la base imponibile [lotta all’evasione] riducendo l’imposizione fiscale completa, consentendo riduzioni di aliquote fiscali marginali sul lavoro, in particolare sulla seconda fonte di reddito.

Pubblica amministrazione e della giustizia civile
Segui attraverso le riforme 2012:

  1. Incoraggiare l’uso delle disposizioni di trasparenza della riforma della pubblica amministrazione e la legge anti-corruzione, agendo con decisione sulle inefficienze, sui conflitti di interesse o la corruzione.
  2. Completare la riorganizzazione territoriale dei tribunali, ottimizzando i processi giudiziari, migliorando l’uso delle tecnologie dell’informazione e allargando gli incentivi per un maggiore utilizzo di meccanismi di risoluzione alternativa delle controversie. Continuare razionalizzazione del governo sub-nazionale [abolizione delle province].

Estendere le riforme.

  1. Limitare l’uso di decreti legge, lavorare per codici (“Testo Unico”) della legislazione, garantire la valutazione dell’impatto effettivo di leggi e regolamenti, e aumentare l’uso di clausole transitorie.
  2. Costruire intorno alle disposizioni di legge anti-corruzione sviluppando a tutti gli effetti una Legge sulla libera Informazione [nel testo ‘freedom of information act‘].
  3. Rivedere la legge sulle limitazioni (“prescrizione”) nei procedimenti per crimini di corruzione per ridurre gli incentivi a manovre dilatorie, come includere lo svolgimento del processo in primo grado e d’appello nei termini della prescrizione.

Il ballo della Troika e la Slovenia

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Sembra che fra i due milioni di abitanti della Slovenia non siano molto chiare le conseguenze dell’incontro fra il neo Primo Ministro Alenka Bratusek e José Manuel Barroso, avvenuto ieri a Bruxelles. Bratušek è divenuta Premier il 20 marzo 2013, dopo il voto di sfiducia parlamentare al governo di Janez Janša. È la prima donna a svolgere l’incarico di Primo ministro in Slovenia. Le condizioni economiche del paese sono abbastanza gravi tanto da far prospettare il ricorso agli strumenti di difesa della Zona Euro. Ma le due principali testate giornalistiche online, Vecer e Primorske Novice, non aprono le home page con titoloni della famigerata serie ‘Fate presto’ e simili. La politica ha il suo spazio, fra le altre notizie, nelle slide riassuntive degli eventi di giornata, ma nessun allarme rosso. Eppure il paese è prossimo candidato al commissariamento della Troika, poche settimane dopo Cipro. L’edizione cartacea di Primorske Novice apre con un titolo molto rassicurante: “Europa ritiene che non sarà necessario l’aiuto della Slovenia”. Ma noi tutti conosciamo cosa è il “ballo della Troika”[1].

L’incontro con Barroso è stato seguito da una serie di commenti che purtroppo siamo molto abituati ad ascoltare: la Slovenia “non ha chiesto aiuti”, “non ha bisogno di aiuti” ma “siamo molto preoccupati della sua stabilità” e “il nuovo governo non solo dovrebbe attuare riforme, ma deve costruire un consenso nazionale per attuare queste riforme” (sono le parole esatte di Barroso, ndr.). Di cosa si tratta? Ma naturalmente di privatizzazioni, di compressione salariale ottenuta con una maggiore tassazione, di una riforma del sistema bancario, di riforma pensionistica, di riforma costituzionale con l’inserimento della norma sul pareggio di bilancio. Ricetta nota.

I sindacati, scrivono su Primorske Novice, non consentiranno queste riforme ma, aggiungono, i soldi per pagare gli stipendi dei dipendenti pubblici potrebbero non essere sufficienti a coprire l’intero anno. Vecer riporta – a metà home page – le parole di Olli Rehn secondo il quale la situazione slovena è “grave”. Rehn afferma, tuttavia, che “non si tratta di un passo verso un programma di aiuti ma è necessario intendere il messaggio di oggi come una chiamata necessaria per la Slovenia e gli altri Stati con gravi squilibri di suscitare azioni decisive per invertire la tendenza negativa”. Ma l’Institute of International Finance (IIF), sollecita la zona euro a garantire alla Slovenia un prestito di precauzione, in modo da evitare qualsiasi successivo ampliamento dell’assistenza finanziaria.

La storia slovena degli ultimi mesi ricorda molto i fatti italiani del 2011. Un primo ministro accusato di corruzione (Janša), una veloce crisi parlamentare e un nuovo governo che nasce con una agenda politica scritta a Bruxelles:

Dopo le elezioni del 2011 Janša fu eletto nuovamente Primo Ministro con l’appoggio di 5 partiti, nonostante il parere contrario del Presidente della RepubblicaDanilo Türk dovuto al processo per corruzione in corso contro di lui. Nel gennaio 2013 Janša fu accusato di corruzione da parte della Commissione per la Prevenzione della Corruzione. Gli alleati di governo della Lista Civica chiesero le sue dimissioni da Primo Ministro; dopo il rifiuto di Janša, tre partiti lasciarono la coalizione di governo e il 27 febbraio2013 il governo è stato sfiduciato dall’Assemblea Nazionale. In seguito alla formazione del governo Bratušek il 20 marzo 2013 Janša è tornato membro dell’opposizione (Wikipedia).

La situazione economica e finanziaria è però differente da quella italiana. Lo squilibrio delle finanze pubbliche è stato causato non dal debito pregresso ma dai salvataggi delle banche.  Attualmente il debito/pil è al 52%, ma le scelte di oggi lo spingeranno ben oltre il 100% già nel 2020:

[è previsto] un incremento della disoccupazione che dal valore medio del 5,8% del periodo 2003-2008 è prevista arrivi al 9,8% nel 2014. E il bilancio pubblico segue. Il deficit/Pil a seguito della correzione approvata, dovrebbe arrivare al fatidico 3% l’anno prossimo, a fronte però di un aumento del debito pubblico che arriverà lo stesso anno al 61% del Pil (formiche.net).

[1] Il ballo della Troika è lo stillicidio di dichiarazioni, spesso in contraddizione fra di loro, sull’esigenza o meno di aiutare finanziariamente un paese della Zona Euro.

Il salvataggio di Cipro innesca la nuova crisi dell’Euro?

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Ecofin e FMI salvano Cipro dalla bancarotta con 10 miliardi di Euro condizionati all’approvazione di una nuova tassa una tantum applicata come prelievo forzoso direttamente sui conti correnti delle banche del paese. Si tratta del 9.90% per quei depositi che superano i 100 mila euro e del 6.75% per tutti gli altri conti. La corsa agli sportelli era già cominciata venerdì ma il governo ha disposto la chiusura delle banche fino a martedì. I correntisti potranno ritirare tutti i soldi, a parte il 10% sottoposto a tassazione.

Stando alle informazioni che circolano oggi sui social network, la Banca nazionale Greca avrebbe inviato a Cipro un aiuto di 4/5 miliardi di euro per fronteggiare l’assalto agli sportelli.

http://twitter.com/FGoria/status/313282765040803840

Londra ha annunciato oggi di essere pronta a fornire aiuto ai cittadini inglesi presenti sul territorio cipriota – si tratta soprattutto di militari:

George Osborne: “Quel che posso dire della situazione di Cipro è prima di tutto che non faremo parte del piano di salvataggio, perché David Cameron ci ha chiamati fuori su questi euro-salvataggi quando è diventato primo ministro.

“In secondo luogo, le banche cipriote in Gran Bretagna non saranno escluse da questa tassa sulle banche. Si tratta di una situazione molto difficile per le persone che vivono a Cipro.

“Ma io posso dire che per le persone che servono nella nostra missione militare e per i civili al servizio del nostro governo a Cipro – là abbiamo basi militari – ci accingiamo a rimborsare questa tassa. Le persone che stanno facendo il loro dovere per il nostro paese a Cipro saranno protette da questa imposta cipriota” (Guardian.com).

La nuova tassazione, per essere effettiva, necessita del voto del Parlamento cipriota. Ma su tale provvedimento non sembra esserci comune concordia nelle forze politiche tanto che il voto è stato posticipato a domani:

Schulz, presidente del Parlamento europe, viste e considerate le difficoltà nell’approvare tale durissima imposizione, propone di mettere un tetto alla tassazione, che a suo avviso non deve essere più di 25.000 euro:

L’accordo con le istituzioni europee (Ecofin) e il Fondo Monetario Internazionale prevede anche l’aumento delle imposte sulle imprese di un punto percentuale nonché una ristrutturazione bancaria. Ma se Cipro non vota il pacchetto di provvedimenti, rischia di uscire dall’Euro, con pesanti ripercussioni su tutto il sistema:

Questa pratica, la tassazione una tantum sui conti correnti, potrebbe divenire uno standard nelle operazioni di salvataggio dell’Eurozona. Il presidente dell’Eurogruppo, l’olandese Dijsselbloem, non lo esclude:

Intanto c’è preoccupazione per l’ordine pubblico a Nicosia:

Il caso Ungheria e l’irriducibile questione della sovranità nazionale

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Da un lato abbiamo gli ‘gnomi’ della BCE, la Trojka, la dittatura dello spread. Sulla base di teoremi e della fede nella tecnica finanziaria, a Francoforte o a Bruxelles si decidono politiche all’olio di ricino per le disastrate economie dei paesi del sud Europa.

Questo capoverso è forse solo una delle possibili narrazioni della realtà. Una narrazione che collide con quanto dell’Unione Europea s’è detto negli anni. La Comunità Economica come motore della sempre maggiore integrazione dei popoli. L’Unione Europea nobel per la Pace. La Pace che, nonostante tutto, ci ha regalato dal 1957 a oggi. No, oggi l’Unione è quel mostro burocratico che ci condanna alla crisi economica, che ci costringe a tassazioni esagerate, che fa crescere la disoccupazione con la sua austerità e ricette di riduzione del debito pubblico che ucciderebbero una tigre asiatica (si fa per dire).

Ma poi, a disturbare questo quadretto, arriva il premier ungherese Viktor Orban, noto per la sua scarsa dimestichezza con le regole della democrazia rappresentativa e soprattutto poco tollerante dello stato di diritto e della suddivisione del poteri. L’Ungheria è dal 2004 parte dell’Unione Europea; dal 2007 di Schengen. La scorsa settimana Orban, con un decreto, ha nominato Gyorgy Matolcsy, il discusso ministro dell’Economia autore di una serie di politiche “non ortodosse”, successore dell’inviso Andras Simor alla carica di governatore della Banca nazionale d’Ungheria. Cosa succederà d’ora in poi? Qualcosa che a Francoforte non possono tollerare e che il Consiglio molto probabilmente impiegherà per avviare una procedura per violazione dei trattati, anche se Budapest non fa parte dell’area Euro. La Banca Nazionale Ungherese comprerà i Titoli di Stato. Ovvero, non ci sarà più separazione fra il Tesoro e la Banca Centrale, elemento considerato imprescindibile nella cultura finanziaria dell’Unione Europea. In sostanza, Orban mette mano sulla politica monetaria del suo paese, da un lato. Dall’altro, ha avviato una riforma della Costituzione che esautora la Corte Costituzionale. Ha messo fuorilegge il vecchio Partito Comunista, aprendo la strada per i processi politici. Verso l’esterno, rivendica la preminenza della sovranità nazionale rispetto alle Relazioni Internazionali come derivanti dai Trattati; all’interno, restringe le libertà civili (il governo potrà sospendere la libertà di espressione), cancella la separazione dei poteri annientando di fatto lo stato di diritto. E’ sempre lui, il Leviatano, il potentissimo Uomo composto di tanti uomini, il mostro politico che sussume in sé tutto lo scibile e non ammette eccezioni. La sovranità nazionale che pretende di essere assoluta doveva essere scomparsa, sepolta sotto le macerie della Seconda Guerra Mondiale. L’Unione Europea era la soluzione funzionalista che provvedeva, tramite un sistema di multigovernance, alla sorveglianza incrociata fra i paesi membri. Ma oggi, al minimo della sua credibilità, potranno le sue debolissime istituzioni fermare il ritorno della rivendicazione nazionalistica?

Il 2012 in dodici tremendi post

2012-roadblock

Le dimissioni di Mario Monti e il decreto di scioglimento delle Camere – che presumibilmente verrà emesso dal Presidente della Repubblica domenica prossima – sono gli atti che chiudono questo tremendissimo 2012, il primo anno post berlusconismo (e antiberlusconismo). Ma la Nuova Era per la politica italiana si è aperta non certo nel migliore dei modi. Già ad inizio Gennaio era parso a molti che il ricorso alle urne era l’ultima delle carte che “la Casta” si sarebbe giocata in questo frangente. Il referendum sul Porcellum si rivelò una chimera poiché fu prevedibilmente bocciato dalla Consulta:

Referendum Legge Elettorale, i dubbi sull’ammissibilità

gennaio 5, 2012 di 

Le urne non erano l’unico fantasma che agitava i sonni dei deputati e dei senatori italiani. In Europa infuriava la crisi del debito e mentre lo spread Btp-Bund tendeva a scendere restando però  una pistola puntata alla tempia, la Trojka Commissione-BCE-FMI sottoponeva la Grecia ad un esperimento di economia politica che la poneva sul crinale di una rivolta sociale:

Grecia, sangue in piazza Syntagma

febbraio 12, 2012 di 

Il Mediterraneo è rimasto per tutto il 2012 un mare “caldo”. Dalla Grecia distrutta, ai problemi della Spagna, il movimentismo si manifestava in forme civili (in Spagna soprattutto, organizzandosi mediante i social network e chiamando a raccolta con gli hashtag #25s e simili). Il sud del Mare Nostrum invece continuava a vivere guerre e rivoluzioni sulla scia della Primavera Araba del 2011. La Siria è ancor ora in fiamme; l’Egitto si rivolta con il neo presidente eletto Morsi. Il Sahel è diventata una polveriera jihadista: la guerra dei Tuareg contro il governo del Mali veniva presto condizionata da gruppi armati afferenti ad Al Qaeda, gli stessi gruppi che tenevano imprigionata Rossella Urru, cooperante italiana. Quando a Marzo alcune testate giornalistiche africane titolavano della sua liberazione, la stampa italiana sul web andava in corto circuito fra fact checking falliti e entusiasmi irresponsabili. La liberazione andò in fumo e Rossella visse altri tre mesi di prigionia, mentre il Mali esplode.

Rossella Urru, ucciso un intermediario. E nel nord del Mali infuria la guerra dei Tuareg

marzo 12, 2012 di 

In italia non avvengono rivolte, ma la classe politica per come l’abbiamo conosciuta negli ultimi venti anni ha dato avvio ad un processo di autodistruzione che pochi si sarebbero aspettati. L’apice di questa decomposizione si registrò ad Aprile, quando gli scandali fanno crollare l’antico architrave dell’alleanza politica di centrodestra: la Lega Nord. Che viene coinvolta nei suoi personaggi chiave: Renzo Bossi detto il Trota, suo padre Umberto Bossi, e soprattutto l’odiatissimo Cerchio Magico presieduto dalla melliflua Rosy Mauro:

Rosy Mauro e il Sindacato Padano che non era un sindacato

aprile 10, 2012 di 

Il cambiamento degli scenari politici sembrava esser minato da una parte dal prestigio dei Tecnici, da Mario Monti in testa, forte del suo prestigio internazionale. Dall’altra parte i partiti temevano l’arrembante pattuglia degli sconosciuti del Movimento 5 Stelle. I signori Qualunque, alle elezioni amministrative di Maggio, vincono alcuni piccoli comuni e ne diventano sindaci, ma soprattutto stravincono a Parma, città emblema degli scandali e del default politico e non del PdL:

La Comune di Parma

maggio 21, 2012 di 

Il governo Monti ha avuto certamente una influenza sulle dinamiche europee. A metà Giugno pareva che i tecnocrati di Bruxelles e i falchi berlinesi fossero in grado di estendere l’egemonia del metodo Buba (Bundesbank) e del rigorismo finanziario attraverso l’approvazione del Trattato MES, alias il Meccanismo europeo di stabilità, un complesso di norme che avrebbero imprigionato il nostro paese dentro rigidissime regole di bilancio. L’azione mediatrice di Monti e di Mario Draghi ha permesso di smontare alcuni aspetti controversi del trattato, e il meccanismo automatico si è trasformato poco a poco in una scelta opzionale da parte degli Stati Membri:

Il Trattato MES è antidemocratico ma non è un complotto degli Illuminati

giugno 17, 2012 di 

L’Europa non è solo tecnocrazia bancaria. Non è solo Germania e Merkel e Mario Draghi e Barroso. Fortunatamente il Parlamento Europeo, che pur eleggiamo direttamente, ha per la prima volta nella storia fatto pesare il proprio parere contro la Commissione in materia di politica commerciale, cassando il blindatissimo e antilibertario Accordo anti contraffazione. E sempre per la prima volta, un movimento d’opinione che ha attraversato l’Europa (e che ha visto l’Italia ai margini) quasi esclusivamente per i canali dei social network, ha potuto incidere su una decisione comunitaria.

Il Parlamento Europeo cancella #ACTA

luglio 4, 2012 di 

Ad Agosto la cronaca italiana deve fare i conti con una sentenza su un delitto rimasto insoluto, quello del giornalista de L’Ora, Mauro De Mauro. Un delitto che tiene insieme i misteri d’Italia, dalla morte di Mattei a quella di Pasolini, passando per libri misteriosi cancellati e politici democristiani e comunisti della Sicilia degli anni Cinquanta e Sessanta. Un filo rosso che giunge sino ai giorni nostri, laddove ci si finge sgomenti alla scoperta dei traffici dell’ENI quando invece l’ENI è da quarant’anni un serbatoio di denari e di corruttela.

De Mauro, l’ENI e la morte di Mattei nel profondo gorgo della Sicilia

agosto 11, 2012 di 

Se la decomposizione del centrodestra è avvenuta in maniera caotica e per mano di inchieste giudiziarie, in special modo sull’uso dei rimborsi dei gruppi consiliari nelle regioni Lazio, Lombardia, Emilia-Romagna, il centrosinistra ha avviato a inizio Settembre la stagione delle primarie (che si deve concludere ancor ora, con le primarie parlamentari, il 29 o il 30 Dicembre). Quella che Bersani prefigurava come una investitura senza problemi si trasforma in una guerra balcanica appena dopo l’annuncio di Matteo Renzi di correre per la candidatura a premier. Alla fine, il segretario capitalizzerà questa scelta con un bagaglio di voti insperato, che nei sondaggi ha fatto balzare il PD al 33%-36%. La sfida (e gli errori) dell’avversario è stata per lui un trampolino di lancio che l’ha riconciliato con mezzo partito.

La balcanizzazione delle primarie

settembre 17, 2012 di 

Ma gli elementi di democrazia diretta che il PD giocoforza ha dovuto introdurre nel suo meccanismo di selezione di leadership (fondamentale è stata la deroga allo Statuto del PD nella parte in cui ascrive al segretario la candidatura a premier) non sono un discriminante decisivo. Il movimento 5 Stelle, nato sulla promessa di una partecipazione dal basso per mezzo di strumenti di democrazia diretta via web, sfiora il 20% nei sondaggi e diventa in Sicilia il primo partito. Ma la montagna di voti mette le vertigini anche a Grillo, il quale inizia a metter fuori dalla porta tutti coloro che osano criticare il metodo. Fra confuse idee di parlamentarie a numero chiuso e ipotesi di mandato imperativo (non costituzionali!), il Movimento si avvita su sé stesso e di fatto dà l’avvio ad una fase di controllo verticistico in aperto contrasto con gli ideali delle origini.

M5S / Dimissioni in bianco e divieto di Mandato Imperativo

ottobre 28, 2012 di 

Mentre la maggiore tassazione mette il freno all’economia, mentre la crisi morde altri posti di lavoro, mentre l’Ilva di Taranto è soggiogata dal trade-off fra legalità e rispetto della salute umana e dell’ambiente e lavoro per gli operai, il governo stringe accordi con le parti sociali per quanto concerne la contrattazione secondaria di livello aziendale. La sola CGIL non firma. L’accordo rimane per ora un pezzo di carta, una traccia che il prossimo governo si ritroverà nei cassetti come sorta di “agenda”, un’agenda questa non voluta dall’Europa ma scritta di proprio pugno dalla tecnocrazia montiana, oramai sempre meno tecnica e sempre più politica.

Produttività, i punti cruciali dell’accordo Governo-Parti sociali

novembre 21, 2012 di 

La sedicesima legislatura sta per finire. Il peggior parlamento della storia repubblicana non riesce a votare una legge che permetta di non replicare la sua stessa mediocrità. Nel 2013 si voterà ancora con il Porcellum. Che novità. Il 2012 si era aperto con questa consapevolezza, che non è mai sembrata in dubbio. E l’Improponibile, l’uomo che rovinato il paese e che costituisce “una minaccia per l’Europa” (Martin Schulz), vale a dire Berlusconi, dapprima afferma di volersi ricandidare, mandando a soqquadro le primarie del centrodestra,  sbertucciando il suo segretario, Angelino Alfano, mandato allo sbaraglio in parlamento ad annunciare la sfiducia a Monti, sfiducia che non c’è mai stata; poi investe lo stesso Mario Monti della responsabilità di “federare” il centrodestra, senza peraltro ottenere alcuna risposta. Infine, cerca di rallentare la fine della legislatura, onde evitare la tagliola della par condicio televisiva che gli impedirebbe di passare ore fra Canale 5, Raiuno, Rete 4, Radiouno eccetera, a blaterare di soluzioni alla crisi economica che non stanno né in cielo né in terra. Lui, il Cavaliere, si presenterà alle urne ma ciò che lo aspetta, a meno di improvvise amnesie collettive, sarà una sconfitta memorabile.

 

Il suicidio del Samurai (ma #giorgiopensacitu)

 

dicembre 6, 2012 di 

 

 

 

 

 

 

Sorveglianza bancaria, ennesimo prologo di unione politica

barroso

La riunione di giovedì è stata l’occasione per Barroso di richiamare i governi a tenere in agenda per il 2013 il “piano per un’Unione economica e monetaria autentica e approfondita”, il piano presentato a Novembre e che include, come fase conclusiva di questo ulteriore processo integrativo, proprio l’unione politica. Non sembra che i capi di governo abbiamo mostrato di aver fretta, né pare che l’accordo sulla sorveglianza bancaria sia del tutto chiuso. Dovranno accordarsi sui requisiti patrimoniali delle banche e sulla standardizzazione dei meccanismi di risoluzione delle banche medesime, nonché dei sistemi di garanzia dei depositi dei singoli paesi. La partita è tutt’altro che chiusa.

Il documento della Commissione Europea pone in discussione alcuni aspetti che sarebbe stato utile discutere in sede di Consiglio. L’unione politica dovrebbe essere orientata secondo due principi cardine:

In primo luogo, nei sistemi di multilevel governance, la responsabilità dovrebbe essere garantita a quel livello in cui viene presa la relativadecisione esecutiva, pur tenendo in debito conto il livello in cui la decisione ha impatto.

In secondo luogo, nello sviluppo di EMU (Economic and Monetary Union) come integrazione europea in generale, il livello di legittimità democratica deve sempre rimanere commisurato al livello di trasferimento di sovranità dagli Stati membri a livello europeo.

Il primo punto dovrebbe avere una realizzazione pratica attraverso un rafforzamento del ruolo del Parlamento europeo in relazione alle decisioni prese dalla Commissione. Ma il ruolo dei parlamenti nazionali è tutt’altro che secondario: rimarrà sempre fondamentale nel garantire la legittimità dell’azione degli Stati membri nel Consiglio europeo, ma soprattutto nella condotta del i bilancio nazionale e delle politiche economiche in coordinamento sempre più stretto da parte dell’UE. Una forma di collaborazione è la benvenuta, poiché costruisce un mutuo riconoscimento fra le istituzioni, ma non può essere la base su cui poggia la legittimazione democratica della EMU: “That requires a parliamentary assembly representatively composed in which votes can be taken. The European Parliament, and only it, is that assembly for the EU and hence for the euro” (A Blueprint for a deep and genuine EMU, EC). Solo il Parlamento Europeo l’assemblea legittima che può assegnare legittimità all’Euro. Possono essere individuati due distinti livelli di discussione: per quelle decisioni che hanno effetto solo a breve termine; per decisioni che hanno effetto sull’architettura istituzionale dell’Unione, che prevedano quindi modifiche dei Trattati.

Da una parte, quindi, vi sarebbe quello che Barroso chiama “Economic dialogue”, il dialogo sulla situazione economica fra Consiglio, Commissione, Eurogruppo e BCE, che dovrebbe coinvolgere il Parlamento Europeo almeno nella discussione del Commission’s Annual Growth Survey, la relazione annuale della Commissione sulla crescita economica attraverso due dibattiti cruciali che il Parlamento dovrebbe tenere:

  1.  prima che il Consiglio europeo discuta la Commission’s Annual Growth Survey
  2. prima della adozione da parte del Consiglio delle raccomandazioni specifiche per paese (CSR) che potrebbero essere definite attraverso un accordo interistituzionale tra il Parlamento europeo, il Consiglio e la Commissione.

il Parlamento dovrebbe anche essere più direttamente coinvolti nella scelta delle priorità pluriennali dell’Unione; inoltre, dovrebbe essere regolarmente informato sulla preparazione e sull’attuazione dei programmi di adeguamento di bilancio per quegli Stati membri che ricevono assistenza finanziaria. In questo senso, il Parlamento potrebbe creare al proprio interno una commissione dedicata agli “Euro matters”, ai problemi dell’Euro.

Inoltre, al fine di creare una vera e propria sfera politica europea, la Commissione individua due aree di lavoro: a) la nomina da parte dei partiti dei candidati alla carica di presidente della Commissione; b) l’adozione della proposta recentemente presentata dalla Commissione per uno statuto riveduto dei partiti politici europei.

La riforma dell’architettura istituzionale, che passerebbe per una riforma dei Trattati, dovrebbe andare nel senso di un conferimento di poteri sopranazionali accompagnato da una forte legittimazione democratica.

Barroso prevede modifiche istituzionali per:

  • introdurre una procedura di codecisione semplificata (una sola lettura) per le revisioni dei bilanci nazionali da parte della Commissione, aspetto che comporterà una ulteriore delegazione di sovranità a Bruxelles da parte degli Stati nazionali;
  • eventuali misure destinate a rafforzare ancora di più rispetto a oggi la posizione del Vice Presidente per gli Affari economici e monetari, richiederebbe adeguamenti al principio di collegialità;
  • contemplare nel lungo periodo, al fine di consentire direzione politica e democratica, la responsabilità di una struttura simile a un Ministero del Tesoro della EMU in seno alla Commissione (di fatto, la comunitarizzazione delle politiche di bilancio);
  • in conseguenza del punto precedente, prevedere uno speciale rapporto di fiducia e di controllo tra il Vice Presidente per gli Affari economici e monetari e un “Comitato euro” del Parlamento europeo;
  • rafforzamento dell’Eurogruppo attribuendogli responsabilità per le decisioni sugli Stati membri, fatto che richiederebbe una modifica dei trattati in quanto l’Eurogruppo ha carattere puramente informale; la Commissione però mette in guardia dal rischio di creare una istituzione separata dai paesi non aderenti all’euro, poiché non terrebbe conto della convergenza fra la vigente composizione e i futuri membri della zona euro;
  • rafforzare la responsabilità democratica sulla BCE in quanto ora funge da supervisore bancario, in particolare consentendo il normale controllo di bilancio oltre che delle attività da parte del Parlamento europeo;
  • estendere le competenze della Corte di giustizia, vale a dire eliminando l’art. 126 comma 10 del TFUE, e quindi ammettendo procedure di infrazione per gli Stati membri o la creazione di nuove competenze e procedure speciali
    • [Art. 126 c. 10 TFEU: I diritti di esperire le azioni di cui agli articoli 258 e 259 (violazione obblighi dei trattati) non possono essere esercitati nel quadro dei paragrafi da 1 a 9 (divieto di disavanzi pubblici eccessivi) del presente articolo.]
  • estensione della procedura legislativa di codecisione alle materie economiche e monetarie, con voto a maggioranza qualificata;
  • autonoma tassazione e possibilità di emettere debito sovrano da parte dell’Unione, con attribuzione della co-legislazione al Parlamento Europeo.

Forse, per molti di questi aspetti, i popoli europei non sono ancora preparati. E l’assenza di una vera e propria opinione pubblica europea che non sia la sommatoria delle opinioni pubbliche nazionali continua ad essere il deficit democratico di gran lunga maggiore che il ‘progetto Barroso’ sfiora appena.

Verso la super Commissione Europea

In una riunione a Varsavia, lo scorso lunedì, undici ministri degli esteri di paesi appartenenti all’Unione hanno firmato un accordo per riformare il governo dell’Europa passando attraverso la riduzione del numero dei commissari, la elezione diretta del presidente della Commissione e attribuendo maggiori poteri al Parlamento.

Al meeting erano presenti i ministri degli Esteri di Germania, Francia, Italia, Belgio, Lussemburgo, Paesi Bassi, ovvero i sei paesi fondatori, più Spagna, Portogallo, Polonia e Danimarca (le ultime due non fanno parte dell’area Euro). Del gruppo non fanno parte né la Gran Bretagna, nè la Grecia. A questa lista di proposte vanno aggiunte quelle formulate dal (vacuo) presidente del Consiglio Europeo Herman Van Rompuy, il quale ha annunciato giovedì scorso la volontà di proporre al vertice di ottobre la possibilità di creare un bilancio unico per la zona euro e la gestione condivisa di un debito “limitato” al fine di rafforzare l’unione economica e monetaria.

Sia chiaro, si tratta di proposte pienamente auspicabili per il futuro dell’Unione, ma il fatto che vengano formulate in un ambito relazionale di stampo confederativo – il consesso dei ministri degli Esteri degli Stati Nazionali Europei – e non nel Parlamento Europeo o nei parlamenti nazionali, è il chiaro sintomo di una integrazione guidata dall’alto e non motivata davanti all’opinione pubblica europea, che così non ha nemmeno l’opportunità di manifestarsi nel mondo. Il cosiddetto “gruppo di riflessione” che si è riunito a Varsavia, altri non è se non il club di Berlino, una sorta di gruppo di volenterosi, impegnato a costruire i meccanismi della futura Europa Federale, un ou topos a lungo teorizzato e immaginato dai filosofi e politologi impegnati a trovare soluzioni tecniche e organizzative per fermare le guerre dei Cento e dei Trenta Anni e quindi le guerre mondiali.

Il gruppo di riflessione trasmetterà la sua relazione finale a Van Rompuy, al presidente della Commissione, José Manuel Barroso, e ai parlamenti nazionali dell’UE. Il ministro degli Esteri polacco, Radoslaw Sikroski liquidò pochi mesi fa tutti gli allarmi su Berlino con una frase sibillina: “Temo la potenza tedesca meno di quanto cominci a temerne la passività”. Ieri ha detto che chiederà al Club Berlino una maggiore integrazione politica. “Abbiamo bisogno di portare più trasparenza e democrazia per le nostre istituzioni in risposta alla mancanza di fiducia che si può vedere oggi in Europa”. Fonti del ministero degli Esteri spagnolo ha sottolineato che la proposta prevede anche il miglioramento meccanismi decisionali dei Ventisette: maggioranza qualificata anziché unanimità. Con una sola eccezione: i successivi allargamenti dell’Unione.

(Articolo in parte tratto da @el_pais).

Corte federale tedesca e l’esame del Trattato MES: verso un sì con condizioni

E’ improbabile che il Trattato MES e il Patto Fiscale Europeo vengano cassati in toto dalla Corte federale tedesca di Karlsruhe. Improbabile perché queste sono le indiscrezioni che circolano in queste ore sui giornali tedeschi e soprattutto perché i giudici non vogliono prendersi la responsabilità di smantellare due accordi europei capisaldi della strategia di comunitarizzazione del debito adottata in seguito al default greco e alla tempesta sui mercati dei titoli di Stato.

I giudici dell’alta Corte dovrebbero porre alcune condizioni che il legislatore tedesco sarà tenuto a seguire per poter introdurre nel quadro normativo nazionale i due trattati. In particolar modo pare che la Corte sia intenzionata a limitare la responsabilità per la Germania ad una certa soglia, e non per tutta la propria quota, e rendere permanente un fondo temporaneo di salvataggio rafforzando di nuovo il diritto del Bundestag di partecipare alle decisioni.

In ogni caso, nella malaugurata ipotesi di una sentenza di bocciatura del MES, il ministro Schauble prevede una “sostanziale crisi economica con conseguenze imprevedibili” (FAZ.net). Le stesse paure sono state espresse dal capo economista europeo di Citigroup, Jürgen Michels, nel “Börsen-Zeitung”: “Se fallisce l’ESM, ci sarebbero gravi conseguenze. Alcuni paesi dell’Europa meridionale rischiano di crollare senza un aiuto esterno, il risultato sarebbero altri tagli drastici con conseguenze estremamente negative per il sistema finanziario dell’area dell’euro” e alla fine “potrebbe anche avvenire una rottura della zona euro”. Insomma, le solite Cassandre che prevedono lo sfacelo dell’Europa. Ma davvero accadrà questo? Davvero la Germania si può prendere questa responsabilità?

Dal momento che la Banca centrale europea ha annunciato la scorsa settimana il piano OMTs per acquistare illimitatamente i titoli di Stato, a prima vista ESM è indispensabile. Infatti, i piani degli “Euro-salvatori” di fornire aiuti ai paesi vulnerabili sono condizionati alla richiesta da parte di questi ultimi all’ESM in cambio di un impegno in fatto di riforme. La BCE ha adottato un programma applicabile sia con ESM che con il suo predecessore, ma l’EFSF (European Financial Stability Facility) rimarrà in vigore solo fino alla fine di giugno del prossimo anno.

FAZ.net: e Draghi prese in ostaggio la politica fiscale

Credits Der Spiegel – il grafico mostra la differenza fra i Quantative Easing della Federal Reserve e i programmi LTRO della BCE.

Commenti duri sulla Frankfurter Allgemeine Zeitung. Con un editoriale intitolato “Possono non pagare?”, sebbene il programma OMTs, Outright Monetary Transactions, sia posto all’interno di una procedura che prevede condizioni severe da sottoscrivere con un Memorandum of Understanding, il direttore di FAZ.net si chiede cosa potrebbe fare la BCE qualora un paese come l’Italia non rispettasse gli impegni. Letteralmente: “What will the ECB do when in Italy the often promised easing of employment protection does not arrive? Then sells them Italian bonds?”. Può vendere titoli di stato italiani? No, è la ovvia risposta. La BCE non avrebbe alcun potere per far rispettare i Memorandum. Ma è davvero così?

Non saprei dire quanto l’interpretazione dei falchi della FAZ.net sia intrisa di pressapochismo e quanto di ideologismo. Naturalmente l’intervento della BCE è condizionato alla richiesta del paese in difficoltà. Il Memorandum ne costituisce una sorta di “messa sotto tutela” o di commissariamento che – come nel Trattato ESM – viene perpetrato da parte di un organismo formato da rappresentanti dei governi, rappresentanti nominati, non eletti. Nel caso del Meccanismo Europeo di Stabilità veniva creato un board parallelo alla BCE per poter operare bypassando i divieti contenuti nei Trattati. Ma la minaccia del giudizio di incostituzionalità della Corte Federale tedesca ha indotto Draghi a muoversi ugualmente quasi spingendo la BCE verso un territorio non ancora tracciato da alcuna linea di regolamentazione giuridica, essendo quel territorio proprio di una banca federale. Se l’Euro è la moneta senza Stato, la BCE oggi è una banca federale senza alcuna federazione. Scrivono sulla FAZ: ora la politica monetaria ha messo sotto sequestro la politica fiscale, che è prerogativa dei governi nazionali, quindi della politica nazionale. Di fatto oggi Draghi è entrato su un “terreno di proprietà privata”.

Senza una Costituzione federale, senza un governo federale, un presidente e un parlamento democraticamente eletti, la costruzione europea tende a procedere enfatizzando il suo carattere tecnocratico. Il potere della BCE è diventato un potere di sostituzione, è di fatto un potere d’eccezione in uno stato d’eccezione (cfr. C. Schmidt) che straordinariamente è trasmigrato da una istituzione politica a una economica. Lo Stato d’eccezione è un vuoto giuridico, una sospensione del diritto paradossalmente legalizzata (G. Agamben, 2003). In questa eccezionalità, la BCE ha fatto dei “prigionieri politici”, o per meglio dire ha fatto i politici prigionieri.

The leaders of the south of the euro zone may be happy, they can continue to borrow at low interest rates and do not need to worry about investors. But the leaders of the North are satisfied, they can hide behind the ECB and do not bother about the Bundestag with the uncomfortable question but repeated increases in liability for Germany (FAZ.net).

Così noi del Sud possiamo essere felici. Possiamo finanziarci a tassi relativamente bassi senza dover fare assolutamente nulla. Ma anche i leader dei paesi del Nord sono felici, scrivono i tipi della FAZ. Perché ora si potranno tutti nascondere dietro l’ombra del potere della BCE e non preoccuparsi della frequentissima richiesta del Bundestag di prendersi maggior responsabilità in Europa. Sì, possiamo tutti vivere tranquilli, sotto il paternalistico autoproclamato governo della BCE.

Che poi è vero, un quantitative easing era l’unica strada possibile. Ma l’emergenza ha trasformato la BCE in un governo europeo. Un governo privato europeo.

Mario Monti vs. Germania / Le frasi della discordia

La frase della discordia Mario Monti la pronuncia in un contesto di critica più ampia. Sebbene i giornali tedeschi si siano soffermati sulla sua strana idea di democrazia – i parlamenti nazionali “da educare”, che rischiano di costituire un freno all’integrazione europea – nelle frasi di Monti c’è dell’altro. La sua intervista a Der Spiegel si presta a letture su più livelli.

Innanzitutto Monti parla a Berlino e alla Corte Federale Tedesca, la quale deve pronunciarsi a Settembre sulla liceità costituzionale del Trattato MES. Ebbene, il giudizio di legittimità è tutt’altro che scontato. Il ricorso è stato presentato, fra gli altri, dal partito di sinistra Linke, timoroso che, dovendo finanziare il MES, i tedeschi siano costretti a fare a meno di parte dei loro diritti sociali. La sinistra tedesca è molto premurosa con i lavoratori e i cittadini tedeschi; si cura meno, molto meno, della sorte dei diritti sociali nei paesi del sud Europa, Italia compresa, distrutti non già dalla crisi bensì dai Memorandum of Understanding e dalle richieste della Trojka che il governo tedesco impone in sede europea come strumenti di controllo e di coercizione sui provvedimenti finanziari dei paesi sottoposti a tutela.

Monti avvisa che “nel corso dei negoziati tra governi Ue può rivelarsi necessaria una certa flessibilità” fra i medesimi governi e i parlamenti nazionali. Questa flessibilità è da intendersi nel senso di una generale acquiescenza dell’operato dei governi in sede di Consiglio. Significa che trattati come quello del MES(1), aventi una caratura di provvedimento emergenziale, non dovrebbero essere ostacolati dagli “interessi particolari” dei lavoratori tedeschi o di qualsivoglia altro paese. Il bene supremo che si vuol tutelare è la sopravvivenza della casa comune europea, quindi anche la sopravvivenza degli stessi lavoratori tedeschi. Il problema è insito in questa frase, si nasconde in essa: i falchi del bastone della Trojka non riescono a considerare l’Europa e gli Europei nel loro insieme, ma sono ottenebrati dalla visione nazionalistica, particolaristica del continente. In quest’ottica non ci sono cittadini europei, bensì cittadini tedeschi e italiani ciascuno divisi e relegati nei loro ambiti locali, non in relazione fra di loro ma isolati in una categoria che li rende responsabili solo verso sé stessi e non del destino altrui. Si chiama “incapacità di una visione sistemica” della crisi (cfr. M. Seminerio). La crisi del debito ha mostrato nuovamente che i destini dei popoli europei sono intrecciati come tele di ragno e se un solo filo della tela si spezza, precipitiamo tutti in un vortice di distruzione. Ciò che manca, e che Monti non ha detto ma che risulta implicito nelle sue parole, è una vera e propria cultura della solidarietà fra i popoli europei. Monti parla di ostilità antitedesca, ma è proprio questo che vuol dire.

In secondo luogo, nell’intervista allo Spiegel ci sono parole ancor più vere che i giornali tedeschi hanno (volutamente?) ignorato. Quando Monti dice che la Germania sta guadagnando dalla crisi del debito, dice una sacrosanta verità. I tassi del bund tedesco a breve termine sono negativi. Ciò può essere inteso come una forma di sussidio nascosta. La crisi del debito in Germania è intesa come un premio per la bontà delle riforme tedesche di dieci anni fa. Loro hanno fatto i sacrifici a tempo debito, ora tocca agli altri, a chi non ha fatto “i compiti a casa”. I “cattivi alunni”, i somari del sud, devono essere sculacciati. Questa visione moralistica fraintende il premio che la Germania “riceve” grazie alla crisi. Essi sono semplicemente beneficiari della speculazione sul destino dell’euro. I mercati, quando comprano Bund, scommettono su un ritorno del Marco tedesco. Si cautelano da una eventuale dissoluzione dell’unione monetaria. Non significa che i tedeschi sono i più bravi. Forse sanno di non esserlo e a loro volta speculano su questo fraintendimento, cercando di ampliare il più possibile questo periodo di tassi sottozero. Così facendo però, mettono fuori dal mercato del debito tutti quei paesi strutturalmente (e politicamente) più deboli, come l’Italia. Hanno trasformato il “libero” mercato del debito (se mai è esistito) in un terribile oligopolio. In altri settori, l’Unione Europea sarebbe intervenuta con provvedimenti legislativi o giudiziari per smontare questa posizione di predominio.

(1) Lungi da me dal sostenere che il Trattato MES sia democratico. Esso è fortemente antidemocratico. Ma il MES è una struttura finanziaria, risponde a impellenti esigenze dei mercati di saper se l’Europa è in grado di fornire risposte in termini di capacità di tamponare la crisi del debito, non è una struttura di governo. Dovrebbe anzi avere la forma di uno strumento che i governi riuniti nell’Eurogruppo usano per bilanciare il mercato del debito e quindi difendersi da crisi di solvibilità.