Referendum, voto all’estero e quorum: l’ombra di un altro ricorso

Parlavo ieri del pronuncia della Cassazione che ha modificato il testo del quesito del referendum sul nucleare (vedi post). Ebbene, oggi è esploso il caso del voto degli italiani all’estero: hanno votato – i pochi che l’hanno fatto – con le schede vecchie, riportanti cioè il testo originario del referendum sull’atomo prima della rettifica della Cassazione a causa del decreto Omnibus. Voti validi o no?

D Pietro si dice pronto a fare ricorso. Il suo intento non è quello di far rispettare la volontà dell’elettore all’estero, bensì di invalidarne il voto. La ragione è molto pratica, o per così dire, matematica. Con il voto all’estero sarà necessaria un’affluenza all’urne più grande ai fini del raggiungimento del quorum: all’estero non c’è grande partecipazione, votano in pochi. Trattasi di 3 milioni e duecentomila aventi diritto. Facciamo due conti:

47.357.878 elettori

3.236.990 elettori

ipotizziamo “un’affluenza alle urne” della circoscrizione esterno del 30%, in calo rispetto alle scorse politiche (circa 39%): 971.000 voti. I votanti residenti in Italia sono 44.120.888: il 50%+1 è pari a 22.060.445. Ne consegue che vengono sommati ai voti esteri, il quorum si fermerebbe al 48%. Per riuscire a raggiungere la fatidica soglia, bisognerebbe sperare in un’affluenza nel paese superiore al 52% – percentuale che potrebbe essere anche più alta se l’affluenza reale all’estero fosse inferiore a quanto qui immaginato.

Di Pietro ha pronta una scorciatoia: ricorrere in cassazione e chiedere di invalidare il voto degli italiani all’estero, quindi chiedere il conteggio del quorum escludendo quei 3 milioni di votanti. Eticamente, una porcata. Però pare che si sia pronti anche a vendere la pelle pur di vincere questi referendum. Esiste un’altra strada, forse più democratica: fare il 60% di affluenza qui da noi. Pensateci.

Decreto Omnibus, un tranquillo pomeriggio di paura. In gioco il referendum sul nucleare

Domani dalle ore 15 verrà discusso e votato il Decreto Omnibus. Un decretono milleproroghe bis, che però contiene l’abrogazione delle norme del ritorno del nucleare in Italia. La furbata per cancellare il referendum di giugno. Se non passa il decreto, il governo si gioca la faccia e B. l’immunità zoppa di quel che resta del legittimo impedimento. Ecco perché è stata posta la fiducia. In un’aula di Montecitorio deserta, oggi il rappresentante del governo ha annunciato il ricorso allo strumento del voto di fiducia, extrema ratio in una Camera distratta dalla campagna elettorale e con gli occhi rivolti anzitutto a Milano. Pare di capire che il mercato delle vacche sia fermo da un bel pezzo e che non tira aria di sottosegretariati in regalo. Anzi, il clima è di quelli tesi, tutti contro tutti, a suon di pernacchie e di mirabolanti promesse. Milano val bene una messa (nera), si direbbe.

Certo, per domani potrebbero ripetersi gli schemi già visti in passato: una maggioranza a pezzi però salvata da un’opposizione altrettanto a pezzi, sfilacciata, distratta, incapace di prevedere per tempo l’importanza delle votazioni in aula. Ma domani ci si gioca il referendum sul nucleare. Non poco. Ci si gioca la possibilità di mobilitare l’opinione pubblica riallacciandosi ad essa, attraverso i temi dell’acqua pubblica e del no al nucleare. Per l’opposizione, e per il PD, il referendum significa capitalizzare – grazie al lavoro di altri – un consenso che si fa fatica ad intercettare, sempre troppo piegato verso sinistra, sia essa la versione vendoliana, sia essa la versione giustizialista dipietrista.

Ecco perché domani è bene che il PD faccia squillare i telefoni dei propri deputati. Domani è “voto chiave”. Aleggia come una nebbia la domanda: cosa faranno i responsabili?

Per chi avesse tempo di contare le poltrone vuote fra le file dell’opposizione, questa è la diretta streaming della Camera: http://bit.ly/l8prfb

Nucleare abrogato, ma la porta è sempre aperta

L’emendamento del Governo all’art. 5 del decreto-legge 31 marzo 2011, n. 34, recante varie disposizioni urgenti fra cui quelle in fatto di moratoria nucleare, opera una pulizia quasi completa della parola “nucleare” dalla legislazione italiana. Un vero e proprio repulisti. E’ davvero tutto così limpido nel cielo di Roma?

Leggete questo comma

8. Entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto il Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dello sviluppo economico e del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano e acquisito il parere delle competenti Commissioni parlamentari, adotta la Strategia energetica nazionale, che individua le priorità e le misure necessarie al fine di garantire la sicurezza nella produzione di energia, la diversificazione delle fonti energetiche e delle aree geografiche di approvvigionamento, il miglioramento della competitività del sistema energetico nazionale e lo sviluppo delle infrastrutture nella prospettiva del mercato interno europeo, l’incremento degli investimenti in ricerca e sviluppo nel settore energetico e la partecipazione ad accordi internazionali di cooperazione tecnologica, la sostenibilità ambientale nella produzione e negli usi dell’energia, anche ai fini della riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra, la valorizzazione e lo sviluppo di filiere industriali nazionali. Nella definizione della Strategia, il Consiglio dei ministri tiene conto delle valutazioni effettuate a livello di Unione europea e a livello internazionale sulla sicurezza delle tecnologie disponibili, degli obiettivi fissati a livello di Unione europea e a livello internazionale in materia di cambiamenti climatici, delle indicazioni dell’Unione europea e degli organismi internazionali in materia di scenari energetici e ambientali» (Atto Senato n. 2665).

Ecco. fra un anno, in sede di definizione della politica energetica, il governo potrà far rientrare il nucleare dalla finestra. Magari cambiandogli il nome.