Acqua pubblica, la Consulta cancella la norma fotocopia di Tremonti

Il Giudice delle Leggi ha stabilito che l’articolo 4 del decreto legge 138/2011, che regolava la materia della liberalizzazione dei servizi pubblici locali in seguito ai referendum di Giugno 2011, è incostituzionale. Le ragioni? Semplice, il legislatore non ha fatto alcuno sforzo per presentare una norma differente da quella abrogata dalla volontà popolare espressa con il voto. Non solo, la Corte afferma che il disposto dell’articolo 4 era addirittura eccedente le disposizioni comunitarie in materia:

A distanza di meno di un mese dalla pubblicazione del decreto dichiarativo dell’avvenuta abrogazione dell’art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008, il Governo è intervenuto nuovamente sulla materia con l’impugnato art. 4, il quale, nonostante sia intitolato «Adeguamento della disciplina dei servizi pubblici locali al referendum popolare e alla normativa dall’Unione europea», detta una nuova disciplina dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, che non solo è contraddistinta dalla medesima ratio di quella abrogata, in quanto opera una drastica riduzione delle ipotesi di affidamenti in house, al di là di quanto prescritto dalla normativa comunitaria, ma è anche letteralmente riproduttiva, in buona parte, di svariate disposizioni dell’abrogato art. 23-bis e di molte disposizioni del regolamento attuativo del medesimo art. 23-bis contenuto nel d.P.R. n. 168 del 2010 (Corte Costituzionale, sentenza n. 199/2012).

Anzi, la normativa è ritenuta ancor più restrittiva dell’ex articolo 23-bis del D.L. 112/2008 “in quanto non solo limita, in via generale, «l’attribuzione di diritti di esclusiva alle ipotesi in cui, in base ad una analisi di mercato, la libera iniziativa economica privata non risulti idonea a garantire un servizio rispondente ai bisogni della comunità» ma anche la vincola “al rispetto di una soglia commisurata al valore dei servizi stessi, il superamento della quale (900.000 euro, nel testo originariamente adottato; ora 200.000 euro, nel testo vigente del comma 13) determina automaticamente l’esclusione della possibilità di affidamenti diretti”, e questo “effetto si verifica a prescindere da qualsivoglia valutazione dell’ente locale, oltre che della Regione, ed anche – in linea con l’abrogato art. 23-bis – in difformità rispetto a quanto previsto dalla normativa comunitaria, che consente, anche se non impone (sentenza n. 325 del 2010), la gestione diretta del servizio pubblico da parte dell’ente locale, allorquando l’applicazione delle regole di concorrenza ostacoli, in diritto o in fatto, la «speciale missione» dell’ente pubblico (art. 106 TFUE)”.

Così scrive la Corte: “la disposizione impugnata viola, quindi, il divieto di ripristino della normativa abrogata dalla volontà popolare desumibile dall’art. 75 Cost., secondo quanto già riconosciuto dalla giurisprudenza costituzionale”, essendo l’articolo 4 una riproposizione fedele della ratio della norma abrogata. Anzi, le successive modifiche del governo Monti, non hanno alterato questa fedeltà all’impianto dell’ex art. 23-bis ma hanno operato nel senso di abbassare la soglia entro cui l’affidamento ai privati era automatico, mentre veniva rafforzata la posizione dell’Autority per la concorrenza la quale poteva esprimersi contro l’affidamento in house anche senza istruttoria da parte dell’ente locale (vedi Dl Sviluppo).

Leggi il dispositivo della Sentenza n. 199/2012

Servizi Pubblici Locali, nuove modifiche con il DL Sviluppo

Ancora modifiche al decreto legge 13 agosto 2011, n. 138 (poi convertito nella legge 14 settembre 2011, n. 148). Sì, si tratta di nuovo della normativa che disciplina le modalità di assegnazione dei servizi pubblici locali come riscritta in seguito al referendum del 2011 e opportunamente adeguata alla normativa europea in materia.

Il Decreto Sviluppo torna a modificare con il metodo del taglia e incolla alcune frasi dell’articolo 4 comma 3 del suddetto decreto, che specifica l’iter di approvazione della delibera quadro, apparso fin dall’inizio farraginoso e alquanto punitivo nei confronti dell’ente locale che intenda assegnare i servizi in via esclusiva alle ex-municipalizzate (assegnazione diretta “in house”). Il discriminante è la verifica di mercato che l’ente locale è tenuto a eseguire a a inviare in verifica all’Autorità per la Concorrenza, atto che l’Autority può impugnare, imponendo al Comune o alla Provincia o alla Regione un regime concorrenziale. La sostanza della norma non cambia, ed è rivolta ancor di più a tutelare il mercato dei servizi pubblici locali, in special modo laddove vi è maggior probabilità di fare businness, ovvero nei grandi comuni e nelle aree metropolitane (ovvero laddove si ipotizza di avere un giro d’affari sopra i duecentomila euro l’anno).

“Nello specifico”, è scritto nella relazione tecnica allegata al decreto, “l’esito della verifica di mercato e della delibera deve essere trasmessa all’Autorità garante per la concorrenza e il mercato solo nel caso in cui dalla verifica sia emersa la non realizzabilità di una gestione concorrenziale e sia stato deciso di conferire diritti di esclusiva“. In sostanza, se l’Ente locale mette a gara l’assegnazione della gestione di un servizio pubblico, dopo aver valutato l’opportunità (per il mercato!) di realizzare “economie di scala” e di massimizzare “l’efficienza del servizio”, non succede nulla;  ma qualora decidesse altrimenti, ovvero di conferire diritti di esclusiva, e soltanto nel caso in cui “il valore economico del servizio” da assegnare in esclusiva sia superiore a duecentomila euro annui, “pari alla soglia per la possibilità di affidamenti diretti in house indicata al comma 13 dell’articolo 4”, allora e solo allora la verifica di mercato e la delibera devono essere sottoposte al parere dell’Autority, la quale ha la possibilità di non esprimersi, nel qual caso la delibera è adottata.

Ecco il testo consolidato dell’articolo 4 con le modifiche apportate con il Decreto Sviluppo:

Art. 4 c. 3 decreto legge 13 agosto 2011, n. 138 (in rosso le modifiche apportate): “3. La delibera di cui al comma precedente nel caso di attribuzione di diritti di esclusiva se il valore economico del servizio è pari o superiore alla somma complessiva di 200.000 euro annui è adottata previo trasmessa per un parere obbligatorio dell’Autorità all’Autorità garante della concorrenza e del mercato, che si pronuncia entro sessanta giorni che può pronunciarsi entro sessanta giorni, sulla base dell’istruttoria svolta dall’ente di governo locale dell’ambito o del bacino o in sua assenza dall’ente locale, in merito all’esistenza di ragioni idonee e sufficienti all’attribuzione di diritti di esclusiva e alla correttezza della scelta eventuale di procedere all’affidamento simultaneo con gara di una pluralità di servizi pubblici locali. Decorso inutilmente il termine di cui al periodo precedente, l’ente richiedente adotta la delibera quadro di cui al comma 2. La delibera e il parere sono resi pubblici sul sito internet, ove presente, e con ulteriori modalità idonee”.

Servizi Pubblici Locali, cosa cambierà con il Decreto Liberalizzazioni

Dalla bozza di decreto che circola sui siti dei giornali italiani si scopre che una parte cospicua del provvedimento, gli articolo 31 e 32, è volta a introdurre nuovi elementi nella pur già delicata normativa sulla liberalizzazione dei servizi pubblici locali. L’articolo 31 interviene sulla Manovra di Agosto del precedente Governo Berlusconi-Treemonti, ovvero sul decreto legge 13 agosto 2011, n.138, convertito nella legge 14 settembre 2011, n.148. Predetta norma contiene all’articolo 4 una serie di norme scaturite dall'”adeguamento della disciplina dei servizi pubblici locali al referendum popolare e alla normativa dell’unione europea” (cfr. http://download.repubblica.it/pdf/2011/decretox.pdf). In sostanza, il ministro Passera, tramite la sostituzione di piccole parole qui e là, dà un colpo di forbice al già disatteso referendum elettorale sull’acqua pubblica. Vediamo come cambia l’art. 4 con le modifiche dell’art. 31.

  • Art. 4 c. 1: Gli enti locali, nel rispetto dei principi di concorrenza, di libertà di stabilimento e di libera prestazione dei servizi, dopo aver individuato i contenuti specifici degli obblighi di servizio pubblico e universaleverificano la realizzabilita’ di una gestione concorrenziale dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, di seguito “servizi pubblici locali”, liberalizzando tutte le attività economiche compatibilmente con le caratteristiche di universalità e accessibilità del servizio e limitando, negli altri casi, l’attribuzione di diritti di esclusiva alle ipotesi in cui, in base ad una analisi di mercato, la libera iniziativa economica privata non risulti idonea a garantire un servizio rispondente ai bisogni della comunità.
  • Art. 4 c. 3 sostituito totalmente. Testo originale: 3. Alla delibera di cui al comma precedente [“delibera quadro che illustra l’istruttoria compiuta ed evidenzia, per i settori sottratti alla liberalizzazione, i fallimenti del sistema concorrenziale – art. 4 c. 2] è data adeguata pubblicità; essa è inviata all’Autorita’ garante della concorrenza e del mercato ai fini della relazione al Parlamento di cui alla legge 10 ottobre 1990, n. 287. Nuovo Testo: “3. La delibera di cui al comma precedente è adottata previo parere obbligatorio dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, che si pronuncia entro sessanta giorni, sulla base dell’istruttoria svolta dall’ente locale, in merito all’esistenza di ragioni idonee e sufficienti all’attribuzione di diritti di esclusiva e alla correttezza della scelta eventuale di procedere all’affidamento simultaneo con gara di una pluralità di servizi pubblici locali. La delibera e il parere sono resi pubblici”.
  • Art. 4 c. 4 sostituito totalmente. Testo originale: 4. La verifica di cui al comma 1 e’ effettuata entro dodici mesi dall’entrata in vigore del presente decreto e poi periodicamente secondo i rispettivi ordinamenti degli enti locali; essa e’ comunque effettuata prima di procedere al conferimento e al rinnovo della gestione dei servizi. Nuovo Testo: “4. L’invio all’Autorità garante della concorrenza e del mercato, per il parere obbligatorio, della verifica di cui al comma 1 e del relativo schema di delibera quadro di cui al comma 2, è effettuato entro dodici mesi dall’entrata in vigore del presente decreto e poi periodicamente secondo i rispettivi ordinamenti degli enti locali. La delibera quadro di cui al comma 2 è comunque adottata prima di procedere al conferimento e al rinnovo della gestione dei servizi, entro trenta giorni dal parere dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato. In assenza della delibera, l’ente locale non può procedere all’attribuzione di diritti di esclusiva ai sensi del presente articolo.”.
  • Art. 4 c. 13. In deroga a quanto previsto dai commi 8, 9, 10, 11 e 12 se il valore economico del servizio oggetto dell’affidamento e’ pari o inferiore alla somma complessiva di 200.000 euro annui, l’affidamento può avvenire a favore di societa’ a capitale interamente pubblico che abbia i requisiti richiesti dall’ordinamento europeo per la gestione cosiddetta “in house”. […]
Se la modifica al primo comma sembra andare nel senso di una maggior tutela dell’utente – l’individuazione di contenuti specifici degli obblighi di servizio pubblico – le altre due modifiche smontano da dentro la formulazione di Tremonti che affidava ai Comuni la libertà di decidere se avviare o meno alla ‘gestione concorrenziale’ i servizi pubblici locali “di rilevanza economica”. In primo luogo, la delibera quadro comunale, che sottrae alla libera concorrenza i servizi pubblici, non deve solo più essere inviata all’Autority per la Concorrenza ma deve essere sottoposta al suo parere preventivo obbligatorio e vincolante. Non è più il Comune a decidere, ma l’Autority la quale, avendo la missione appunto di liberalizzare i mercati – tutti – si può ben prevedere che tenderà a smentire le motivazioni implicite delle delibere comunali che invece stabiliscano il “fallimento della gestione concorrenziale”.
Non solo, il parere è sottoposto a revisioni periodiche. Vuol dire che, a intervalli di mesi o anni, il Comune deve ritrasmettere la delibera all’Autority, la quale nuovamente si pronuncia su di essa potendo così effettuare valutazioni in contrasto con il parere iniziale, ovvero potrebbe ribaltare vecchie decisioni sempre in senso favorevole alla concorrenzialità.
Qui di seguito, per la vostra valutazione, l’articolo 31 per intero. Questo il documento da cui ho tratto le informazioni contenute nel post: liberalizzazioni.pdf
Al link di seguito invece trovate un documento in costruzione con hyperlinks, che permette una migliore navigazione del testo del Decreto: https://docs.google.com/document/d/1eqB617DChnZV3BguMBcuPF6DiAMYpUwdzhuKp3_r_yw/edit

Art. 31 – (Promozione della concorrenza nei servizi pubblici locali)

1. Al decreto legge 13 agosto 2011, n.138, convertito nella legge 14 settembre 2011, n.148 sono apportate le seguenti modificazioni:
a) dopo l’articolo 3 è inserito il seguente:
“3-bis. (Modifica dei criteri di organizzazione dello svolgimento dei servizi pubblici locali)
1. L’organizzazione dello svolgimento dei servizi pubblici locali in ambiti o bacini territoriali ottimali e omogenei individuati in riferimento a dimensioni comunque non inferiori alla dimensione del territorio provinciale e tali da consentire economie di scala e di differenziazione idonee a massimizzare l’efficienza del servizio costituisce principio generale dell’ordinamento nazionale cui le Regioni si conformano ai sensi dell’art. 117, comma 2, lettere e) ed s) della Costituzione entro il termine del 30 giugno 2012. Decorso inutilmente il termine indicato, il Consiglio dei Ministri esercita i poteri sostitutivi di cui all’art. 8 della legge
5 giugno 2003, n. 131.”;
b) all’art. 4, sono apportate le seguenti modificazioni:
1. All’art. 4, comma 1, del decreto legge 13 agosto 2011, n.138, convertito nella legge 14 settembre 2011, n.148, dopo le parole “libera prestazione dei servizi,” e prima delle parole “verificano la realizzabilità” inserire le parole: “dopo aver individuato i contenuti specifici degli obblighi di servizio pubblico e universale,”
2. Il comma 3 è sostituito dal seguente:
“3. La delibera di cui al comma precedente è adottata previo parere obbligatorio dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, che si pronuncia entro sessanta giorni, sulla base dell’istruttoria svolta dall’ente locale, in merito all’esistenza di ragioni idonee e sufficienti all’attribuzione di diritti di esclusiva e alla correttezza della scelta eventuale di procedere all’affidamento simultaneo con gara di una pluralità di servizi pubblici locali. La delibera e il parere sono resi pubblici”.
3. Il comma 4 è sostituito dal seguente:
“4. L’invio all’Autorità garante della concorrenza e del mercato, per il parere obbligatorio, della verifica di cui al comma 1 e del relativo schema di delibera quadro di cui al comma 2, è effettuato entro dodici mesi dall’entrata in vigore del presente decreto e poi periodicamente secondo i rispettivi ordinamenti degli enti locali. La delibera quadro di cui al comma 2 è comunque adottata prima di procedere al conferimento e al rinnovo della gestione dei servizi, entro trenta giorni dal parere dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato. In assenza della delibera, l’ente locale non può procedere all’attribuzione di diritti di esclusiva
ai sensi del presente articolo.”.
4. Al comma 13 sono apportate le seguenti modificazioni:
a) le parole: “somma complessiva di 900.000 euro annui” sono sostituite dalle seguenti:
“somma complessiva di 200.000 euro annui”;
b) alla fine del comma sono aggiunte le parole: “In deroga, la gestione «in house» è consentita per un periodo massimo di cinque anni a decorrere dal 31 dicembre 2012 nel caso di azienda risultante dalla fusione, entro la medesima data, di preesistenti gestioni dirette tale da configurare un unico gestore del servizio a livello di ambiti o di bacini territoriali ottimali ai sensi dell’articolo 3-bis.”.
5. Dopo il comma 13 sono inseriti i seguenti:
“13-bis. L’applicazione delle procedure previste dal presente articolo da parte di Comuni, Province e Regioni costituisce elemento di valutazione della virtuosità degli stessi enti ai sensi dell’articolo 20, comma 3, del decreto legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito dalla legge 15 luglio 2011, n. 111.”.
“13-ter. Fatti salvi i finanziamenti ai progetti cofinanziati con fondi europei, i finanziamenti a qualsiasi titolo concessi a valere su risorse pubbliche statali sono prioritariamente attribuiti agli enti di governo degli ambiti o dei bacini territoriali ottimali ovvero ai relativi gestori del servizio.”.
6. Dopo il comma 14 è inserito il seguente:
“14-bis. Nelle more dell’adozione del decreto ministeriale di cui all’articolo 18, comma 2-bis del decreto legge 25 luglio 2008, n. 112 e fatti salvi gli impegni assunti in convenzioni, contratti di servizio o di programma già sottoscritti entro la data di entrata in vigore del presente decreto con riferimento all’attuazione dei piani d’ambito, le società di cui al comma precedente, con la sola eccezione di quelle consentite ai fini dell’aggregazione ai sensi dell’ultimo periodo del comma 13, possono contrarre mutui per la realizzazione di investimenti nel limite in cui l’importo degli interessi di ciascuna rata annuale d’ammortamento, gravante sul bilancio dell’azienda, sommato all’ammontare degli interessi dei mutui precedentemente contratti, non superi il 25 per cento delle entrate effettive
dell’azienda accertate in base al bilancio dell’esercizio precedente.”.
7. Al comma 32 sono apportate le seguenti modificazioni:
a) alla lettera a) in fine le parole “alla data del 31 marzo 2012” sono sostituite con le seguenti “alla data del 31 dicembre 2012”;
b) alla lettera b) in fine le parole “alla data del 30 giugno 2012” sono sostituite con le seguenti “alla data del 31 marzo 2013”.
8. Al comma 34 le parole “ad eccezione di quanto previsto dai commi da 19 a 27” sono sostituite con le seguenti: “ad eccezione di quanto previsto dai commi da 13-bis a 27”.
9. Il comma 35 è sostituito dal seguente: “Le procedure di affidamento avviate e non concluse all’entrata in vigore del presente decreto si adeguano alla disciplina stabilita dal presente articolo”.
c) Dopo l’articolo 4 è inserito il seguente:
“4-bis. (Modifiche al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267)
1. All’articolo 114 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al comma 1 dopo le parole “ente locale” sono inserite le seguenti: “per la gestione di servizi diversi dai servizi di interesse economico generale”;
b) dopo il comma 5 è inserito il seguente:
“5-bis. Le aziende speciali e le istituzioni sono assoggettate al patto di stabilità interno secondo le modalità definite, con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con i Ministri dell’interno e degli affari regionali, sentita la Conferenza Unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni, da emanare entro il 30 giugno 2012. Alle aziende speciali ed alle istituzioni si applicano le disposizioni del decreto legislativo 12 aprile 2006, n.163, nonché le disposizioni che stabiliscono, a carico degli enti locali: divieti o limitazioni alle assunzioni di personale; contenimento degli oneri contrattuali e delle altre voci di natura retributiva o indennitaria e per consulenze anche degli amministratori; obblighi e limiti alla partecipazione societaria degli enti locali; nonché tutte le norme che costituiscono, comunque, principi di coordinamento della finanza pubblica. Gli enti locali vigilano sull’osservanza del presente comma da parte dei soggetti indicati ai periodi precedenti.”; c) al comma 8 dopo le parole “seguenti atti” sono inserite le seguenti: “da sottoporre all’approvazione del Consiglio Comunale per la successiva trasmissione alla Corte dei Conti”.”.

Il Super Antitrust di Monti colpirà anche l’acqua pubblica?

L’articolo 35 del Decreto Legge licenziato oggi dal Presidente della Repubblica fornisce all’autority Antitrust poteri maggiori nella persecuzioni di quelle Pubbliche Amministrazioni che abbiano emanato atti contrari alla libera concorrenza.

Art. 35

Potenziamento dell’Antitrust
1. Alla legge 10 ottobre 1990, n.287, dopo l’art. 21, è aggiunto il seguente:
“21-bis (Poteri dell’Autorità Garante della concorrenza e del mercato sugli atti amministrativi che determinano distorsioni della concorrenza)
1. L’Autorità garante della concorrenza e del mercato è legittimata ad agire in giudizio contro gli atti amministrativi generali, i regolamenti ed i provvedimenti di qualsiasi amministrazione pubblica che violino le norme a tutela della concorrenza e del mercato.
2. L’Autorità garante della concorrenza e del mercato, se ritiene che una pubblica amministrazione abbia emanato un atto in violazione delle norme a tutela della concorrenza e del
mercato, emette un parere motivato, nel quale indica gli specifici profili delle violazioni riscontrate. Se la pubblica amministrazione non si conforma nei sessanta giorni successivi alla
comunicazione del parere, l’Autorità può presentare, tramite l’Avvocatura dello Stato, il ricorso, entro i successivi trenta giorni.
3. Ai giudizi instaurati ai sensi del comma 1 si applica la disciplina di cui al Libro IV, Titolo V, del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104.”.

L’Antitrust quindi potrà sollevare questioni di legittimità costituzionale di leggi che ostacolino il libero sviluppo dei mercati. Interverrà quindi sugli enti locali, per esempio. E quali sono i settori entro cui gli enti locali possono agire in senso limitativo del libero mercato? Ma è ovvio: le utilities. Acqua, gestione rifiuti e trasporto pubblico locale. Settori non completamente aperti al libero mercato e che invece la normativa europea vorrebbe completamente liberalizzati. Una Antitrust del genere avrebbe il potere di impugnare i provvedimenti dei comuni quando gli stessi potrebbero essere volti ad assegnare la gestione del servizio idrico a società a partecipazione pubblica o completamente pubbliche, quindi non in una situazione di concorrenza e di assegnazione per mezzo di gara pubblica.

In pratica, gli effetti del referendum di giugno 2011 potrebbero essere vanificati, se non del tutto anestetizzati, da questa semplice norma che istituisce una super Autority in grado di mettere all’indice qualunque comune che intenda determinare per proprio conto le modalità di gestione dei servizi, escludendo i privati. Se la gestione idrica prefigura un mercato e questo mercato non è liberalizzato perché una Pubblica Amministrazione – guidata dal principio dell’acqua bene pubblico – delibera in senso da escludere l’assegnazione di tale gestione senza gara pubblica secondo le regole europee, l’intervento dell’Antitrust, fino ad ora limitato a un potere sanzionatorio, diventa effettivo e in grado di incidere direttamente sulle scelte delle PA.

Leggi tutta la Manovra Monti

Fronte Acqua Pubblica, IDV va da sola al referendum

Il Fronte dell’Acqua Pubblica si spacca sul referendum. Italia dei Valori corre da sola con il proprio quesito referendario. La rottura con il Fronte dell’acuqa pubblica si è consumata negli ultimi giorni, a fronte però di un semestre di ambiguità da parte di IDV.
Nei giorni seguenti l’approvazione del decreto Ronchi, sia Di Pietro che Bonelli (Verdi), che Rosario Trefiletti (Federconsumatori), annunciano referendum. Viene creato il Forum Italiano dei movimenti per l’acqua pubblica, il quale indice chiama a raccolta tutti i soggetti interessati a presentare e ad appoggiare il refrendum anti-decreto Ronchi. Risposta affermativa dei Verdi e di Ferderconsumatori, ma IDv comincia la sua tacchica di attesa. Leoluca Orlando frena e IDV ritarda a dare risposta. A sorpresa, IDV, presenta un quesito referendario proprio, in data 19 dicembre 2009, senza coinvolgere i movimenti. Orlando rassicura, IDV non vuol cavalcare il tema dell’acqua pubblica, non ci sono fughe in avanti.
Il 9 Gennaio scorso, il Forum decide per tre quesiti con i seguenti criteri:

  • distinzione fra comitato promotore (reti associative) e comitato di sostegno (partiti);
  • inizio raccolta firme dopo le elezioni regionali.

Leoluca Orlando, a questo punto della storia, sostiene il metodo deciso a Napoli e afferma che IDV congelerà il proprio quesito. Seguono altre due riunioni del Forum nazionale, del 26 e del 30 Gennaio, in cui IDV non smentisce l’impianto dei tre questiti referendari fin qui proprosto. La svolta avviene con il Congresso IDV del 5-6 Febbraio: Paolo Brutti contatta i responsabili del Forum (Corrado Oddi, Vittorio Lovera, Paolo Carsetti e Marco Bersani) per informarli che esiste un problema riguardo i quesiti referendari. “IDV vuole stare a pieno titolo nel Comitato promotore. Dice anche che chi ha partecipato alle riunioni – Leoluca Orlando – ha negato di aver dato il consenso alle proposte del Forum italiano dei movimenti per l’acqua” (Tutto quello che avreste voluto sapere su il referendum e l’IdV e non avete mai osato chiedere). Si consuma una prima rottura fra IDV e il Forum Acqua Pubblica. Rottura che diventa concreta il 12 Marzo, quando il Forum incontra IDV nelle persone di Luigi De Magistris, Paolo Brutti e Antonio Di Pietro: Di Pietro non accetta la distinzione fra reti associative e forze politiche proposta dal Comitato promotore. E’ questo il problema fondamentale per lui. Non si tratta di rilievi a carico dei quesiti refrendari, ma del posto che IDv dovrebbe occupare all’interno del Comitato promotore. Di Pietro vuole il referendum per sé. Poi è il silenzio elettorale a posticipare la resa dei conti, che avviene fra una puntata di ‘Porta a Porta’ e una lettera dai toni glaciali, dice Il Manifesto:

  • 29 marzo 2010 : Antonio Di Pietro a “Porta a porta” annuncia intenzione di depositare quesiti referendari entro metà aprile e di iniziare la raccolta di firme il 1 maggio.
  • 31 marzo 2010 : il Comitato promotore deposita i tre quesiti referendari, lancia la campagna con conferenza stampa, stabilisce l’avvio della campagna raccolta firme per il 24 aprile e chiede incontro formale all’IDV.
  • Inizio aprile 2010 : proseguono tutti i contatti possibili con Leoluca Orlando (irreperibile), Luigi De Magistris e Paolo Brutti per tentare di scongiurare l’iniziativa autonoma dell’IdV. Il Forum italiano dei movimenti per l’acqua attua una incisiva email-bombing su tutti i parlamentari e gli eurodeputati dell’IdV. Nessuna risposta alla richiesta di incontro.
  • 7 aprile 2010 : Escono prese di posizione di Luigi De Magistris e di Sonia Alfano affinché si arrivi ad un accordo unitario. Dentro i comitati territoriali si registra l’imbarazzo degli attivisti dell’IdV che, totalmente all’oscuro delle decisioni maturate ai vertici del partito, non capiscono perché l’IdV voglia procedere in questo modo.
  • 7 aprile 2010 : Di Pietro scrive al Forum italiano dei movimenti per l’acqua, annunciando il deposito del suo quesito e producendosi in una serie logica di passaggi del tipo: vado da solo perché non mi avete voluto, anzi, vado da solo perché non sono d’accordo con voi, anzi vado da solo perché i vostri quesiti sono giuridicamente sbagliati, ma comunque sono con voi (che non mi volete, che scrivete quesiti che non condivido, che scrivete quesiti giuridicamente sbagliati) e raccoglierò le firme anche per voi. Saremo noi e voi separati ma insieme, quanto ad incontrarvi non ho nessuna intenzione di farlo (Tutto quello che avreste voluto sapere su il referendum e l’IdV e non avete mai osato chiedere).

Per Paolo Ferrero (Rifondazione) si tratta di un vero e proprio scippo. Increduli i Verdi. De Magistris e Sonia Alfano manifestano una posizione di dissenso verso il proprio Presidente attraverso una dichiarazione pubblica.

È il senatore Paolo Brutti, responsabile ambiente dell’Italia dei Valori, a spiegare qual è il vero senso dell’iniziativa referendaria proposta da Di Pietro: «È vero, la nostra proposta è vicina a quella del Pd – racconta – perché per noi è prioritario respingere il decreto Ronchi». Ovvero l’obiettivo sembra essere più la politica anti Berlusconi che l’acqua pubblica. «Vogliamo riportare lo stato delle cose a prima del decreto Ronchi, lasciando scegliere i comuni tra le tre forme di gestione, quella pubblica, quella mista e quella privata, come aveva già stabilito il governo Prodi» (IL MANIFESTO).

Insomma, un vero guazzabuglio in cui IDV ne esce a pezzi. Non è chiaro quale sia l’obiettivo di Di Pietro: avere visibilità politica mettendo il cappello sul refrendum, oppure non scontentare il PD, nel quale comunque prevalgono posizioni di differenziazione rispetto alla politica del Forum Nazionale per l’Acqua Pubblica, ovvero vuole mantenere la distinzione fra acqua come bene comune e gestione del bene comune, che può anche esser affidata ai privati secondo logiche societarie miste, a capitale pubblico e privato. La divisione è nota, e ricalca più o meno quella che si profilò nel governo Prodi nel 2006, quando si attuò una prima liberalizzazione nei servizi di gestione dell’acqua, con l’opposizione dei partiti di sinistra e dei verdi. Pare che Di Pietro voglia muoversi in senso monopolistico sul tema dell’acqua, forse per non far riprender fiato ai moribondi partiti di sinistra, Rifondazione e PdCI in testa, suoi diretti concorrenti nel mercato elettorale.

Per partecipare alla raccolta firme del Forum Nazionale Acqua Pubblica: http://www.acquabenecomune.org/index.php

Questo il manifesto per l’acqua pubblica, pubblicato da Il Manifesto, giornale comunista:

    • Privatizzare l’acqua vuol dire in primo luogo farla costare di più per farla «rendere».
      Questa prospettiva basterebbe da sola per mettere sull’avviso i cittadini, perché si entrerebbe in una logica diversa da quella che regola i beni di tutti: il nuovo possessore potrebbe venderla, cederla a chi può pagare di più
    • La tendenza dell’acqua (e della sua proprietà) scorrerebbe sempre, come l’acqua del fiume, dal piccolo al grande: ad esempio, in un periodo di siccità potrebbe avvenire che l’acqua disponibile non venga più ripartita tra tutti in modo equo, secondo un metodo democratico e civile, ma seguendo altri principi, quelli del potere economico.
    • Nell’intento di guadagnare, il venditore privato dell’acqua tenderà a venderne il più possibile per aumentare il fatturato e i profitti. L’idea del risparmio, di un uso cauto dell’acqua, per evitare gli sprechi eccessivi e non intaccare le scorte dei bacini sotterranei, non alterare lo scorrere dei fiumi lo stato dei laghi, sarebbe del tutto estranea agli investitori che devono rendere conto a soci e fondi d’investimento, al cosiddetto mercato e quindi pensano di avere una ragione fortissima per vendere il massimo quantitativo di acqua disponibile
    • L’opportunità di conoscere con precisione la risorsa idrica (dalle fonti al sistema dei consumi) è essenziale per i cittadini, ma non lo è nello stesso modo e senso dai gestori privati che hanno  tutto l’interesse a tenere per sé alcune informazioni che potrebbero «turbare» il pubblico dei consumatori e diffonderne invece altre che spingano verso consumi innaturali.
    • La conoscenza dei problemi e per contro dei costi e dei benefici orienta in modo assai diverso gli investimenti e le tariffe dell’acqua: le priorità e quindi le spese che il pubblico è disposto o ritiene di dover fare non coincidono con quelle dei padroni dell’acqua.
    • Il meccanismo decisionale che ne scaturisce può quindi essere il risultato di un dibattito democratico con le conseguenti scelte esperte ed equanimi, oppure l’esito di un confronto tra i soci la cui priorità non è il bene comune ma il profitto aziendale, la soddisfazione dei soci e un dividendo più solido: ragioni forti ma che non hanno niente a che fare con la sete delle persone e la necessità di non sprecare l’acqua, il bene più prezioso che abbiamo.

Fra inni e toponomastica creativa, il sindaco di Alessandria porta l’Acqua pubblica in Borsa.

L'idea di Fabbio: quotare l'acqua in Borsa.

Ha scatenato un putiferio di critiche, il sindaco di Alessandria, Piercarlo Fabbio, PdL. Prima per la decisione dell’ufficio toponomastica del comune di intitolare una via a Bettino Craxi, e per la par condicio, un corso a Girogio Almirante, della quale lui se ne è lavato le mani:

  • Il sindaco Fabbio risponde alle critiche per le intitolazioni a Craxi e Almirante

    • il sindaco di Alessandria Piercarlo Fabbio si svincola dalle critiche che lo hanno interessato negli ultimi giorni in seguito all’intitolazione di una via a Bettino Craxi e di un largo a Giorgio Almirante
    • Il primo cittadino ribadisce di non essere competente della materia in questa fase dell’iter e che si esprimerà quando la proposta di intitolazione passerà nelle sue mani, a capo della Giunta. Fabbio non nasconde poi che il suo potere discrezionale sarà fortemente limitato dal fatto che la Commissione Toponomastica abbia deciso a larga maggioranza

Poi si è inventato cantautore ed ha scritto ed interpretato una sorta di inno (un po’ démodé) dedicato alla città, su musiche opera di un dipendente del comune. Tutto ciò ha suscitato una ridda di critiche, di ilarità, spesso legata alla sua prestazione canora poco intonata. Ma l’allegro sindaco ha preso un’altra stecca, ben più grave, passata sotto silenzio:

    • Fabbio: “per Alessandria un 2010 impegnativo, ma ricco di progetti”:
      In tema di Aziende Partecipate, il sindaco annuncia anche la prossima quotazione in Borsa del Gruppo Amag. “La legge ci impone di cedere almeno il 40% delle nostre partecipazioni aziendali, ma per Amag sarebbe da stolti, perché è una realtà efficiente e in forte attivo – prosegue Fabbio. Stiamo quindi studiando la possibilità di quotare in Borsa il 25% del Gruppo, che attualmente è valutato nel suo complesso circa 100 milioni di euro”

Amag è l’azienda multiservizi acqua e gas del comune. La Multiutility di casa. Cosa ne farà il sindaco di questo importante settore? Non venderà ai privati, no. Lo quoterà in Borsa. Azioni della Multiutility alessandrina verranno collocate in Borsa per la quota del 25%. Questo per ripianare il debito comunale che le altre aziende di servizi hanno accumulato. In barba al diritto del cittadino di avere a disposizione acqua potabile a tariffe accessibili. La collocazione in Borsa è di fatto un “giro di carte”: si svuota l’azienda del suo profitto, azzerandone gli investimenti, per dirottare il surplus all’interno del bilancio comunale. E’ il modello della multiutility semipubblica, che ha però ancora rilevanti aspetti da prendere in esame, dei quali i consigli comunali dovrebbero discutere e i cittadini dovrebbero preoccuparsene, più che essere distratti da inni e da titolazioni di vie. Poiché “i comuni sono azionisti (detengono la proprietà) e, allo stesso tempo, attraverso l’assegnazione del servizio ‘in house’ (che l’Europa giustamente ci contesta), affidano il servizio pubblico alla società di cui sono proprietari (quindi a se stessi), senza gara d’appalto. Inoltre controllano (o dovrebbero farlo) l’operato delle multiutilities (di cui sono proprietari)”.

  • Alcune linee di indirizzo necessarie affinché il servizio fondamentale non sia messo in pregiudizio:
    • istituire una Autorità indipendente di tutela dei consumatori
    • intervento regolatore regionale in materia tariffaria con maggiori capacità di verifica
    • obiettivi vincolanti legati agli aspetti ambientali anche con meccanismi di premialità
    • tutte le reti e gli impianti devono essere e restare di proprietà pubblica
    • proprietà di tutti gli approvvigionamenti
    • le strategie industriali dell’impresa vanno confrontate con orizzonti temporali a medio e lungo termine non con le trimestrali di Borsa, sempre orientate al brevissimo periodo
    • le strutture organizzative devono essere rese più leggere, senza inutili e costose bardature politiche e con poteri e responsabilità limpide e verificabili pubblicamente
    • non possiamo eludere il tema dei comuni proprietari, controllori e controllati (fonte: Multiutilities | Nelle tue mani)

Con tutte le riserve che si posono avere su questo tipo di operazioni, le Multiutilities sono la manna dal cielo per i comuni italiani. E naturalmente il settore idrico è quello che è maggiormente appetibile dagli operatori privati: con investimenti nulli,  e grazie anche al mancato controllo sulle tariffe, permette di realizzare profitti con la rete di distribuzione di proprietà altrui. Un vero affare:

    • il processo di privatizzazione del servizio idrico è iniziato da metà degli anni 90. Attraverso diversi provvedimenti legislativi si è andata affermando la gestione privata
    • diverse conseguenze sui cittadini, in primis c’è stato un aumento costante negli anni delle tariffe perché, oltre ai costi di gestione, il soggetto privato deve prevedere all’interno della tariffa, così come dice la legge, un profitto che noi come cittadini e utenti paghiamo al gestore
    • all’inizio degli anni 90, gli investimenti annui erano pari a circa 2 miliardi di euro l’anno, oggi si registrano investimenti pari a circa 700 milioni di euro l’anno
    • da una parte un innalzamento delle tariffe per garantire il profitto ai soggetti e ai gestori privati e dall’altra una diminuzione degli investimenti e anche della qualità del servizio
    • se io sono un soggetto privato e devo gestire un servizio, e quindi anche distribuire una risorsa, l’obiettivo che mi pongo sarà quello di aumentare la quantità di prodotto che vendo anno dopo anno, tant’è vero che in Italia i “piani di ambito” che sono i piani attraverso i quali si gestisce la risorsa idrica, prevedono nei prossimi anni un aumento dei consumi pari al 18% circa
    • i gestori privati prevedono un aumento di quella che è la vendita del proprio prodotto
    • i cittadini possono promuovere delle raccolte firme all’interno del territorio della propria Provincia e comune, per stimolare il Consiglio Comunale o il Consiglio Provinciale a approvare delle deliberazioni che modifichino lo Statuto comunale tramite l’inserite del riconoscimento del diritto umano all’acqua e tramite l’inserimento del riconoscimento del servizio idrico come servizio pubblico – locale privo di rilevanza economica

Acqua ai privati, non sono bufale. Senza Autority, il mercato è aperto alla speculazione.

Qualcuno scrive che il passaggio della gestione del servizio dell’acqua ai privati è garanzia di efficienza. Mi chiedo dove stia scritto. Non ci sono casi che confermano questa affermazione. Sia il privato che il pubblico possono essere inefficienti. Andrea Sarubbi, deputato Pd, ricorda in un suo post il caso della Suez, un gruppo francese che opera nel servizio idrico, cacciata dai cittadini di Pécs, città del sud dell’Ungheria. Il 12 ottobre un gruppo di liberi cittadini ha occupato lo stabilimento di un’impresa di servizi idrici, in parte proprietà della multinazionale francese Suez Environment. E il sindaco di Pécs si è trovato costretto a rescindere il contratto con la compagnia, accusandola di speculazione e di mancanza di trasparenza. Non è la prima volta che la compagnia francese viene accusata di pratiche speculative attraverso cui consegue il proprio interesse economico anziché il diritto umano all’acqua.

Con il decreto Ronchi si è persa una grande occasione. La discussione in aula è stata mutilata dal ricorso al voto di fiducia, ma sarebbe stato meglio che il governo avesse mostrato maggiore responsabilità. L’acqua è un bene demaniale, certo, e si è venduta la sola gestione del bene. Se l’acqua è di tutti, allora per tutti dovrebbe essere accessibile, e a costi moderati. Dal momento che l’acqua e il suo uso ha a che fare con la sopravvivenza umana, allora è corretto dire che il diritto all’acqua è un diritto fondamentale che afferisce strettamente alla dignità umana. Da ciò ne consegue che ogni cittadino deve essere raggiunto dal servizio idrico e quindi chi lo gestisce, deve attenersi a precise condotte in modo tale che il servizio e la sua qualità siano messi davanti al principio economico, che invece generalmente ispira l’iniziativa privata e può non condurre a finalità opposte al bene collettivo.

Di questo il legislatore doveva tenerne conto, riaffermando questi principi all’interno del decreto, magari rimandando a un ulteriore disegno di legge. Di fatto, la mancata creazione di una Autority, espone l’utente del servizio idrico alla speculazione selvaggia delle multinazionali dell’acqua, le quali ora faranno il loro ingresso nel mercato italiano, laddove non l’abbiano già fatto, senza garanzie né sulle tariffe praticate né sui requisiti minimi della qualità del servizio. Non è assolutamente vero che le imprese private provvederanno a rendere maggiormente efficiente il sistema di approvigionamento idrico, “turando le falle” della rete idrica. Anzi, in quanto concessionarie di un servizio pubblico, si comporteranno come hanno fatto sinora tutti i concessionari in Italia – il riferimento è al settore delle telecomunicazioni – ovvero, massimizzando i profitti e minimizzando la spesa e gli investimenti, sia a breve che a lungo termine. Il settore idrico è pronto per essere spolpato. Poi non resterà più niente.

    • il decreto appena licenziato ribadisce che la proprietà dell’acqua resta pubblica
    • Quello che si privatizza è invece la sua distribuzione, e qui il discorso si fa più complesso: tanto complesso che avremmo avuto bisogno di tempo ed attenzione, ma il governo ha liquidato il tutto con la 26.esima fiducia in 18 mesi, proprio per affogare sul nascere il dissenso di parte della maggioranza
    • Raffaella Mariani, capogruppo del Pd bene ha argomentato in Commissione Ambiente
    • Cominciamo dai problemi generali, che in effetti non mancano: più della metà degli italiani non ha un sistema di depurazione; il 30% dell’acqua viene disperso; il nostro sistema fognario non è degno di un Paese civile. Esistono parecchi casi di sprechi e di inefficienze – l’acquedotto pugliese è stato citatissimo negli interventi in Aula – ma ci sono anche diversi esempi di buongoverno, indipendentemente dal fatto che i gestori siano pubblici oppure misti: non sempre, insomma, una gestione privata corrisponde ad un servizio efficiente, né è detto che pubblico sia sinonimo di incapacità.
    • in Europa abbiamo esperienze molto diverse: sono efficienti sia la Germania (che ha una gestione pubblica delle risorse idriche) sia la Francia (che ne ha una mista)
    • non crea un’autorità indipendente, che vigili sulle tariffe e sui servizi offerti dai gestori privati: l’unica concessione ottenuta è stata l’approvazione di un nostro ordine del giorno nella seduta di ieri, durante la quale abbiamo mandato sotto la maggioranza per 6 volte, ma sappiamo tutti quanto poco possa valere un ordine del giorno per un governo che non rispetta neppure gli impegni internazionali
    • perché questo provvedimento obbliga i Comuni a vendere quote di società che gestiscono il servizio idrico, indipendentemente dall’efficienza dello stesso: è un regalo enorme fatto ad alcuni grandi gruppi privati, sia italiani (come Acea ed Iride) che stranieri (come le francesi Veolia e Suez)
    • se cerchi Suez su Google, tanto per fare un esempio, scopri che un mese fa la città ungherese di Pécs “ha rescisso il contratto con la compagnia, accusandola di speculazione e di mancanza di trasparenza dopo avere riscontrato che le tariffe eccessive imposte sull’acqua andavano contro gli interessi dei residenti”
    • Le cose stanno un po’ diversamente da come taluni le raccontano.
      In primis, l’acqua (o come la definiscono oggi, “l’Oro Blu”) è un bene demaniale e quindi indisponibile: lo Stato, perciò, non può “venderlo” ai privati e i privati, ovviamente, non possono acquistarlo.
    • Quel che il governo ha disposto col decreto Ronchi sulla “liberalizzazione dei servizi pubblici” è solo la possibilità di cedere ai privati la gestione dei servizi (acquedotti, fognature, pulizia e trattamento dei reflui) legati a questa risorsa.
    • Cosa, peraltro che già accade tuttora!
    • Solo che la partecipazione dei privati fino ad oggi avveniva e avviene secondo regole molto poco chiare, anzi, diciamo pure a totale discrezionalità dei singoli enti pubblici locali, che potevano e possono scegliersi partner industriali o costituire imprese pubbliche a libero piacimento, senza dover rendere conto ad alcuno.
    • Il governo, quindi, ha deciso di liberalizzare questo che di fatto è già un mercato aperto ai privati, sebbene in quote minoritarie.
      L’intento è quello tipico di ogni intervento liberale: aprire alla concorrenza per ottenerne benefici in termini di spesa e trasparenza.
    • mentre oggi i comuni, le regioni o le province scelgono autonomamente come gestire i servizi idrici, col decreto Ronchi si prospetta invece l’obbligo di battere dei bandi pubblici, in cui a vincere dovrebbe (dico dovrebbe, visto il noto malcostume italiano) essere il gestore che offre migliori servizi magari a prezzi inferiori degli altri!
    • gli enti locali si sgraverebbero di notevoli costi di gestione.
      In buona sostanza: è vero che domani potremmo pagare di più per bere i nostri soliti ettolitri d’acqua ogni anno, ma dovremmo, di contro, pagare meno tasse, visto che lo Stato dovrebbe risparmiare parecchi quattrini…
    • sempre all’articolo 15 del decreto Ronchi, si dice esplicitamente che alle gare per la gestione dei servizi idrici potranno partecipare anche aziende pubbliche (sul modello, ad esempio, di quella che già oggi opera nella Puglia di Vendola) e, addirittura, si consente di mantenere l’affidamento dei servizi “in-house”, esattamente come oggi, ma a ben precise condizioni.
    • Nelle intenzioni del decreto c’è però il tentativo di innescare un meccanismo di trasparenza e apertura al mercato attraverso bandi di gara pubblici che potrebbero contribuire a migliorare un servizio che ad oggi, ribadiamolo, è un colabrodo

Posted from Diigo. The rest of my favorite links are here.

Alla Camera l’art. 15 che privatizza l’acqua.

Emergenza Acqua: no alla privatizzazione del servizio. L’acqua è un bene pubblico.
ACQUA: SERENI(PD), FERMIAMO DL CHE PRIVATIZZA I SERVIZI PUBBLICI – IGN
”Il Pd alla Camera fara’ un’opposizione netta e intransigente affinche’ il decreto sull’attuazione di obblighi comunitari, che all’art.15 prevede la privatizzazione dei servizi pubblici locali, ivi inclusa l’acqua, venga fermato e modificato”. Lo afferma il vice presidente del Partito Democratico alla Camera, Marina Sereni.

”E’ del tutto inaccettabile che ancora una volta il Governo, in maniera frettolosa e pasticciata, tenti di affrontare un tema complesso e articolato come quello delle risorse idriche e dei servizi pubblici locali – aggiunge – in un decreto che si occupa di infrazioni rispetto alle normative comunitarie. Ecco perche’ come Pd abbiamo presentato una pregiudiziale di costituzionalita’: il decreto non e’ il provvedimento appropriato per affrontare la riorganizzazione dei servizi pubblici locali”.
L’acqua verso il privato – Riforma a rischio stangata – La Stampa.it
Quella che si combatterà oggi in Parlamento, per ambientalisti e associazioni dei consumatori, sarà la prima vera battaglia contro l’acqua privata. Una battaglia contro i rischi di ulteriori aumenti delle tariffe (tra il 2002 e il 2008 sono aumentate del 30%) e il peggioramento dei servizi (nel decennio 1990-2000 c’è stato un calo degli investimenti del 70%).
il servizio idrico potrà essere affidato a un privato tramite gara pubblica o in via straordinaria senza gara ma col parere dell’Antitrust. Un provvedimento che esaspera la privatizzazione light varata negli anni Novanta con la legge Galli e rivoluziona quanto fatto un secolo fa da Giolitti con la municipalizzazione degli acquedotti. Ma l’attuale maggioranza non ci sente o a fare marcia indietro: quindi niente stralcio dell’articolo 15. Una manna dal cielo per chi fa affari con l’acqua, come le lobby dell’oro blu che contano nelle loro fila ex municipalizzate come l’utility romana Acea, la ligure-piemontese Iride e l’emiliana Hera fino a multinazionali come Veolia e Suez.