Gli USA armano i droni italiani in Afghanistan

Perché armare i droni italiani? Obama, ex premio Nobel per la Pace (molto ex), a Marzo, aveva proposto al Congresso di vendere all’Italia il kit di armamento degli aerei senza pilota “made in USA”. Lo scopo? Schierarli in Afghanistan per uccidere senza farsi uccidere. Un modo come un altro per tener dentro alla palude afghana il nostro paese, che da quell’avventura ha avuto solo guai e morti.

L’Italia è stata il primo paese a disporre di aerei drone. I primi acquisti di questi robot della guerra sono datati 2001, mentre un secondo acquisto fu completato nel 2008. Si trattava di droni Reaper e Predator-A, non armati. La loro utilità in guerra è straordinaria. Sono stati impiegati dagli USA in Yemen, in questi giorni, ed hanno seminato il panico fra la popolazione (per saperne di più leggete di #NoDrones qui).
Il solo altro paese alleato degli USA che può “beneficiare” di questa tecnologia di morte e distruzione è la Gran Bretagna. La discussione in Congresso si è aperta all’insegna della estrema polarizzazione: alcuni deputati sono contro, altri a favore.
I deputati che avevano messo in discussione l’accordo previsto per la "militarizzazione" dei droni italiani affermavano che ciò potrebbe rendere più difficile per gli Stati Uniti di negare funzionalità simili ad altri alleati della NATO, e obbliga gli USA a dover re-impostare nuovamente gli sforzi per limitare la vendita da parte di altre nazioni, come Israele, che producono droni piuttosto sofisticati. I sostenitori dicono che tali vendite consentirebbero ad alleati di fiducia di condurre missioni militari in proprio; inoltre, per i produttori di droni USA potrebbero aprirsi le porte di mercati finora inaccessibili.

Il periodo di valutazione da parte del Congresso è terminato il 27 Maggio scorso senza che il Congresso medesimo facesse alcuna mossa per bloccare l’accordo. Il Congresso è ancora in grado di bloccare la vendita se approva una risoluzione congiunta di disapprovazione sia alla Camera che al Senato entro 15 giorni, anche se alcuni membri del Congresso di entrambe le parti dicono che tale mossa è improbabile.

Post tratto e parzialmente riadattato da http://tolonews.com/en/afghanistan/6393-us-plans-to-arm-italys-reaper-drones-deploy-to-afghanistan

Osama Bin Laden muore prima su Wikipedia

L’annuncio della dipartita del guru del terrore in franchising, tale Osama Bin Laden, corre sul web più veloce dell’annuncio del suo aguzzino, tale Barack Obama, presidente degli Stati Uniti d’America. Succede che in anticipo di qualche minuto, la notizia della morte di Osama divenga storia scritta, “profetica”, su Wikipedia. Nessuno ancora poteva immaginare la portata storica dell’annuncio di Obama, dato alle 22.30 ora di Washington, 4.30 ora italiana: le tv USA recavano la scritta generica – sottopancia – di un discorso del presidente alla Nazione. Per dire dell’attendibilità dell’enciclopedia più famosa del web: precorre persino i tempi.

Miotto ucciso da insorti afghani, non fu un cecchino: perché mentire?

Ministro della Difesa La Russa, oggi, 05/01/2011, ai giornalisti italiani: [Matteo Miotto] “E’ stato ucciso da un gruppo di insorti durante un vero e proprio scontro a fuoco e non da un cecchino isolato” spiega il ministro parlando con i giornalisti. L’uccisione di Miotto, aggiunge La Russa, è opera “di un gruppo di terroristi, di ‘insurgent’, non so quanti, che avevano attaccato l’avamposto” (Repubblica.it).

L’operazione Glasnost di La Russa, pur degna di nota, manca di spiegare perché, nei minuti e nei giorni immediatamente successivi alla morte dell’Alpino, sia stata divulgata una versione radicalmente diversa da quanto detto oggi. Forse si sta nascondendo qualcosa? I militari italiani vengono descritti come nell’atto di difendersi da un attacco. Dislocati “in villaggi come Bala Murghab o nel Gulistan”, ogni giorno devono difendersi dagli attacchi. Spiega La Russa che ora siamo lì, prima “ci passavamo e basta”, “ora siamo negli avamposti con turni che durano anche 14 giorni di fila”. Capito? Avamposti. Non retrovie. I nostri militari non svolgono attività di addestramento, ma difendono avamposti del fronte americano. Non soccorrono bambini. Non si tratta di alcuna operazione umanitaria. E pertanto, qualcuno, almeno inizialmente ha rilasciato una prima ricostruzione dei fatti nella quale si fa specifica menzione di un cecchino isolato che colpisce Miotto. La figura del cecchino ritorna anche nella versione del Ministro,che però è di fatto incompatibile con la presenza di cecchini. Un cecchino è un tiratore scelto nascosto in una buona posizione dalla quale può far mira con facilità senza essere tuttavia immediatamente rintracciato. Posizioni tipiche sono palazzi abbandonati (l’esempio tipico è quello di Sarajevo, laddove i tiratori sui tetti miravano ai passanti per la strada). Nel caso di Miotto non è così:

Il caporal maggiore, in base a una prima ricostruzione, faceva parte di una “forza di reazione rapida” ed era salito sulla torretta di guardia, dove poi è stato colpito, a dare man forte. Erano in due sulla torretta e sparavano a turno: uno sparava e l’altro si abbassava. Proprio mentre Matteo si stava abbassando è stato colpito da un cecchino che ha puntato un fucile di precisione, ex sovietico, degli anni ’50, un Dragunov, reperibile anche al mercato nero di Farah” (Republica.it, cit.).

Miotto è sulla torretta. Se l’attacco, come si presume, è avvenuto frontalmente alla base degli italiani – tanto che i nostri militari si difendono tirando dalla torretta, quindi dall’alto verso il basso – la presenza di un cecchino piazzato pare alquanto improbabile, tanto più che Miotto è stato colpito alla base del collo, mentre si abbassava all’interno della torretta. Insomma, la dinamica come descritta, non convince. E’ presumibile che gli italiani siano stati colpiti da un attacco ben più massivo, durato – secondo il medesimo La Russa – alcune decine di minuti. Il Ministro della Difesa si è poi affrettato a precisare che “la versione sulla morte di Matteo Miotto non e’ cambiata ma solo integrata”. Certamente, quanto rivelato oggi dal Ministro dovrebbe porci dinanzi alla domanda del perché sia stata divulgata la versione del cecchino solitario. Che cosa è stato nascosto per sei lunghissimi giorni?

Afghanistan, Fassino apre sulle bombe. Ma a nome di chi parla? Bersani lo smentisce

Il caso scoppia (è proprio il caso di dirlo) durante il programma di Lucia Annunziata, In 1/2 h. Presenti il ministro della Difesa, La Russa e Piero Fassino (PD). La Russa pare colto da dubbi etici, è giusto o non è giusto negare ai militari italiani in Afghanistan l’uso dei bombardieri? Così il ministro:

In Afghanistan tutti i contingenti internazionali presenti hanno i bombardieri con l’armamento previsto, cioè le bombe. L’Italia no, per mia decisione. Ora, di fronte a quello che sta accadendo, non me la sento più di prendere questa decisione da solo e chiedo alle Camere di decidere (fonte L’Unità).

Il dibattito, anziché orientarsi sulla discussione circa il chiaro malcontento dei militari italiani – “cosa ci stiamo a fare qui”, ha scritto il militare ferito – è incentrato sul solito rimpallo maggioranza-opposizione. Ma Fassino cade nel medesimo errore di sempre, errore che dovrebbe consigliargli una diversa occupazione, piuttosto che questa dannosa perseveranza. Il responsabile Esteri del PD sembra appoggiare La Russa:

È giusto che il Parlamento valuti se l’attuale livello di sicurezza dei nostri soldati in Afghanistan è adeguato o meno (L’Unità, cit.).

Immediata la semplificazione: il PD apre sulle bombe.

Repubblica – Bombe sugli aerei: il PD discutiamone

L’Unità – Fassino: è giusto che il Parlamento valuti la cosa

Corriere della Sera – Disponibilità del Pd: «Pronti a confrontarci, ma vanno esclusi provvedimenti propagandistici»

La Stampa -Fassino: “Sì a dibattito serio in Parlamento”

Possibile che Fassino non abbia pensato prima di parlare? La Guerra in Afghanistan è così incomprensibile per l’opinione pubblica. Si avverte solo che in Afghanistan si muore perché là c’è la guerra. E noi che ci stiamo a fare, che la guerra dovremmo ripudiarla? In Afghanistan non si può parlare più di missione di pace. Basta con questa ipocrisia. Per La Russa non si può nemmeno parlare di ritiro anticipato, poiché si tratterebbe di sciacallaggio politico. Fassino si guarda bene dall’assumere su di sé l’onta dello sciacallaggio, così offre la guancia a La Russa. Ma è davvero così irresponsabile chiedere al governo di rivedere la nostra posizione in Afghanistan? Lo ha detto, con parole non tanto dissimili, ieri Bersani:

Afghanistan/ Bersani:Situazione difficile,riflettere su strategia

Fassino forse durante la diretta si è accorto di aver commesso una grave leggerezza. E cerca invano di correggersi, addirittura ammettendo la sua insipienza in fatto di “cose” belliche:

non essendo in grado di fare una valutazione tecnica non essendo un militare o un esperto di cose militari, mi propongo assieme al mio gruppo parlamentare di fare tutte le valutazioni di merito. Sulla base di queste valutazioni assumeremo in Parlamento al decisione che riterremo più giusta (L’Unità, cit.).

E allora ci è voluto Bersani, intervistato da Fazio per Che Tempo Che Fa, a correggere la mira sbilenca di Fassino. Il rilancio di agenzia è di soli tre minuti fa:

AFGHANISTAN: BERSANI, INVECE CHE BOMBE CHIARIAMO NOSTRO RUOLO

Vorrei che l’Italia invece di decidere su una bomba cercasse di capire meglio la questione e cercasse di decidere l’anno prossimo cosa succede […] I punti fondamentali secondo Bersani sono quattro:

  1. “Quanta credibilita’ ha il ritiro annunciato a meta’ del 2011”
  2. “Cosa succede in Pakistan anche in vista della stabilizzazione dell’Afghanistan”
  3. “Come si coinvolgono i Paesi che in questo momento se ne lavano le mani come la Russia e la Cina”
  4. “Quali sarebbe i compiti degli italiani in una nuova fase di transizione” (AgiNews).

Pur ribadendo che “non si può fuggire dall’Afghanistan”, la posizione espressa dal segretario pare più ragionevole e articolata, più prudente e scettica nei confronti del governo di quella manifestata in maniera scellerata da Fassino, oggi pomeriggio. Il distinguo con le posizioni di Vendola (ritiro subito) rimane, ma con una migliore esposizione comunicativa che invece è mancata a Fassino. Possibile che il PD non riesca a parlare con una sola voce?

Io sto con Emergency: dalle 14,30 la diretta streaming della manifestazione

Diretta conclusa (credo…).

Dalle ore 14.30/15, Yes, political! seguirà la manifestazione Io sto con Emergency che si svolgerà a Roma a Piazza S. Giovanni per chiedere la liberazione immediata dei tre cooperanti italiani nelle mani della polizia afghana, arrestati la scorsa settimana e privati di ogni più elementare diritto di difendersi e di conoscere le accuse che sono loro contestate.

Nell’attesa, per riflettere, trovate le differenze fra le fotografie che seguono. Per la serie strani parallelismi:

Genova, Luglio 2001, la polizia mostra le armi rinvenute all’interno della Scuola Diaz:

La polizia mostra le molotov della Scuola Diaz

Dettaglio delle pericolosissime bottiglie molotov in mano ai no-global

Ospedale di Emergency di Lagars-Kah, Afghanistan, la scorsa settimana:

Polizia afghana e militari inglesi mostrano le armi sequestrate nell'ospedale

Le armi erano custodite in anonimi scatoloni

(Per gli smemorati: le spranghe e le molotov della Diaz erano state poste ad arte all’interno della scuola per giustificare l’intervento della Polizia all’interno dell’edificio scolastico adibito a centro stampa durante le manifestazioni anti-G8. Seguì una vera e propria mattanza che spedì all’opsedale decine di ragazzi, e altri furono ingiustamente detenuti presso la caserma di Bolzaneto, dove subirono pestaggi, molestie e ingiurie gravi dai medesimi ‘tutori dell’ordine’).

Facebook si mobilita per Emergency. Io sto con Emergency, manifestazione nazionale, sabato a Roma.

Vignetta di Vauro I medici di Emergency arrestati ieri dalle forze di polizia afghane e dai servizi segreti inglesi ‘non hanno confessato’ un bel nulla. Il referente afghano, che è la fonte su cui il Times ha imbastito la notizia di ieri sera, ha smentito. Anzi, la notizia sul Times non è neppure stata corretta; su The Guardian non ci sono aggiornamenti rispetto alle notizie date ieri.

La rete si mobilita, in primis Facebook, con la creazione di decine di pagine in sostegno dei tre medici. Fra tutte, Io sto con Emergency, già a quota 12861 membri, con un messaggio di solidarietà ogni minuto o quasi.

Emergency organizza la mobilitazione: qui sotto i dettagli della manifestazione nazionale che si terrà a Roma sabato prossimo per chiedere la liberazione di Matteo Dell’Aira, Marco Garatti e Matteo Pagani. Emergency invita tutti ad “evitare azioni personali o di gruppo che offendano chicchessia o che possano mettere a rischio i contatti che Emergency sta attivando per far liberare i 3 operatori”. Intanto Frattini torna a contestare le dichiarazioni di Gino Strada, ‘sono attacchi politici’. Ma a chi giovano gli arresti di sabato scorso? Strada non è ben visto da Karzai, già dal caso Mastrogiacomo, il giornalista del CorSera rapito in Afghanistan anni or sono. All’epoca dei fatti i due giunsero ai ferri corti per l’arresto da parte delle autorità afghane di Hanefi, il funzionario locale di Emergency che mediò per la liberazione di Mastrogiacomo. La politica di Emergency di soccorrere entrambe le parti in conflitto non va giù al presidente afghano. Forse neppure agli USA.

sito di emergency: http://www.emergency.it
profilo su facebook: http://www.facebook.com/#!/emergency.ong?ref=nf
profilo su twitter: http://twitter.com/emergency_ong/

Questi i dettagli della manifestazione di sabato e il link dove firmare la petizione a favore della liberazione dei tre medici.

SABATO 17 – ore 14,30
Appuntamento in piazza Navona ROMA

Sabato 10 aprile militari afgani e della coalizione internazionale hanno attaccato il Centro chirurgico di Emergency a Lashkar-gah e portato via membri dello staff nazionale e internazionale. Tra questi ci sono tre cittadini italiani: Matteo Dell’Aira, Marco Garatti e Matteo Pagani.

Emergency è indipendente e neutrale. Dal 1999 a oggi EMERGENCY ha curato gratuitamente oltre 2.500.000 cittadini afgani e costruito tre ospedali, un centro di maternità e una rete di 28 posti di primo soccorso.

IO STO CON EMERGENCY

Emergency, per il Times gli italiani hanno confessato

Secondo il Times, i medici chirurghi italiani Matteo Dell’Aira, dirigente medico di Milano, Marco Garatti, chirurgo, e Matteo Pagani, capo della logistica, arrestati ieri dalle forze di sicurezza afghane, con il contributo di agenti segreti inglesi, avrebbero confessato il loro ruolo nella preparazione di una serie di attentati che dovevano portare all’omicidio del governatore Gulab Mangal, governatore dell’Helmand, provincia meridionali dell’Afghanistan.

Sempre secondo il Times, gli agenti segreti avrebbero posto sotto osservazione i tre da un mese, scoprendone gli intrecci con le forze talebane ribelli: il progetto di attentato avrebbe dovuto concludersi proprio con l’uccisione del governatore nell’ospedale di Emergency, una volta creato un massacro in uno dei mercati di strada. Uno dei medici italiani avrebbe percepito 500.000 $ per aiutare l’organizzazione di questo massacro. Il dubbio era sul ruolo svolto da questi sedicenti ‘agenti segreti’: inizialmente era stato smentito un loro intervento nella cattura dei tre medici. Era stato detto che l’irruzione in ospedale era stata condotta soltanto dalla polizia afghana, ma stasera il Times afferma il contrario:

“Afghan police and intelligence agents stormed the hospital – which specialises in providing accident and emergency treatment to war victims – on Saturday afternoon” (The Timesonline).

Le Forze Speciali Inglesi e il Secret Intelligence Service con sede a Helmand non fanno parte della missione della NATO, ma lavorano a fianco delle forze afghane a Helmand. A che titolo queste forze speciali stiano operando in Afghanistan questo è un mistero. Nell’articolo del Times, addirittura si parla di una manifestazione svoltasi oggi a Helmand, nel corso della quale duecento dimostranti avrebbero intonato cori del tipo ‘Morte all’ospedale di Emergency’.

Naturalmente le dichiarazioni di Gino Strada sono state durissime, e soltanto l’ipotesi che medici chirughi, i quali hanno abbandonato da anni carriere sicure in Italia per fare il medico di guerra, si siano bruciati per sostenere degli attentatori, pare alquanto bizzarra. L’ambasciatore italiano non è ancora riuscito a raggiungere i tre detenuti, né si conoscono le condizioni in cui sono trattenuti. Le presunte confessioni certamente sarebbero state raccolte calpestando ogni diritto della persona. Il Ministro degli Esteri, Frattini, anziché alzare la voce affinché siano fornita loro l’adeguata assistenza legale, oggi ha affermato che:

“In attesa di poter conoscere la dinamica dell’episodio e le motivazioni dei fermi, il governo italiano ribadisce la linea di assoluto rigore contro qualsiasi attività di sostegno diretto o indiretto al terrorismo, in Afghanistan così come altrove […] Le persone in stato di fermo lavorano in una struttura umanitaria non riconducibile né direttamente né indirettamente alle attività finanziate dalla cooperazione italiana”.

Afghanistan, la guerra per la pace di Obama.

Altri soldati per l’Afghanistan. Trentamila americani. Obama ne darà l’annuncio domani. Toccherà il minimo nell’indice di gradimento, si presume. Ma questo è il meno peggio. Obama non riesce a uscire dal pantano afgano. Il paradosso è che non riesce a fare la pace. Lui, il nobel per la pace. Il problema è che gli USA si giocano il prestigio internazionale e la leadership della Nato. Uno smacco uscire da Kabul ammettendo la sconfitta. Sarebbe troppo in una stagione che vede il dollaro in crisi, insidiato dallo Yuan Renminbi, la moneta cinese, candidata a sostituirsi ad esso nelle transazioni internazionali. Un paese, gli USA, con la povertà in crescita – un bambino su quattro mangia con i buoni pasto, 36 milioni le persone al di sotto della soglia di sussistenza, ovvero chi ha un reddito del 130% inferiore della soglia di povertà che assegna il diritto agli SNAP, Supplemental Nutrition Assistance Program, una somma pari a 500-580 dollari la settimana. In Missouri, in 21 contee, la metà dei bambini usa gli SNAP per sopravvivere (fonte La Stampa).
Cosa succederà quando non ci sarà altra scelta che ammettere la sconfitta in Afghanistan e più di 120mila soldati torneranno in patria da perdenti, loro, l’esercito più tecnologico del mondo? E cosa diranno i media quando apparirà chiaro anche al medio cittadino americano che a Kabul non si è esportata la democrazia, bensì solo corruzione e malaffare? Che diranno quando apprenderanno che Al Qaeda non esiste più da anni e invece la guerra è proseguita senza senso per nove anni inutilmente, solo per scongiurare la figuraccia?

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    • Gli americani manderanno altri 30mila soldati in Afghanistan. Agli alleati europei ne sono stati richiesti 5.000.

    • queste cifre, che vanno sommate agli 80mila uomini attualmente in Afghanistan, dicono che c’è qualcosa che non quadra

    • Che ci sia bisogno di un esercito di 120-130 mila soldati, armati con i mezzi più sofisticati, per battere quello che dovrebbe essere un manipolo di terroristi non è credibile. E infatti in Afghanistan noi non stiamo facendo la guerra alla mitica Al Quaeda (che secondo il pm Armando Spataro, che da anni si occupa di terrorismo internazionale, non esiste più come organizzazione), stiamo facendo la guerra agli afgani.

    • Nè vi stiamo portando la democrazia, obiettivo cui ormai abbiamo rinunciato da tempo, perché la struttura sociale di quel Paese organizzato in clan tribali secondo divisioni etniche, non permette l’esistenza di una democrazia come la si intende in Occidente.

    • gli Stati Uniti, dopo aver commesso l’errore di entrare in quel Paese, non possono uscirne senza aver almeno dato, l’impressione di aver ottenuto qualche risultato, pena "perdere la faccia", i loro alleati non possono perdere il prestigio che riverbera su di loro dell’essere impegnati col Paese più potente del mondo

    • E così per ragioni di "faccia" e di "prestigio" continuiamo ad ammazzare

    • Gente che vive a 5000 chilometri di distanza, che non ci ha fatto nulla di male e che mai che ne farebbe se non pretendessimo di stargli sulla testa

    • se la Nato perde in Afghanistan si sfalda

    • quello che è peggio per gli americani sarebbe sicuramente un grave danno, non è detto che non sia invece un vantaggio per europei

    • La Nato è stata, ed è infatti, lo strumento con cui gli americani tengono da più di mezzo secolo l’Europa in uno stato di sudditanza, militare, politica, economica e alla fine, anche culturale. Forse è venuta l’ora, per l’Europa, di liberarsi dell’ingombrante "amico americano"

    • cerchiamo di vederla anche, per una volta, con quelli afgani. L’occupazione occidentale è stata molto più devastante di quella sovietica. Perché i russi si limitarono ad occupare quel Paese ma non pretesero di cambiarne le strutture sociali, istituzionali, di "conquistare i cuori e le menti" degli afgani.

    • abbiamo preteso di portarvi la "civiltà". La nostra. Distruggendo quella altrui

    • la sola cosa che siamo riusciti a esportare in Afghanistan è il nostro marciume morale

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    • Chissà se al comitato per il Nobel di Oslo sono almeno un po’ imbarazzati per la decisione del loro laureato di quest’anno, Barack Obama, di inviare altri 30/34 mila soldati in Afghanistan, in una tipica escalation in stile Vietnam. Per di più con il più ridicolo dei pretesti: “Finire il lavoro con Al Qaeda”.

    • Al Quaeda non significa nulla dal punto di vista militare sullo scenario Afghano-Pakistano, e la retorica degli obiettivi presidenziali non ha la minima pezza d’appoggio nell’opinione degli analisti.

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    • Alla fine Obama ha deciso: al fronte altri 34mila soldati Usa per contenere l’avanzata dei talebani, contro i quali Washington sta segretamente assoldando anche milizie tribali pashtun

    • Dopo aver convocato, lunedì sera alla Casa Bianca, l’ennesimo consiglio di guerra, il premio Nobel per la pace Barack Obama ha deciso di inviare in Afghanistan altri 34mila soldati statunitensi

    • L’annuncio verrà dato pubblicamente martedì primo dicembre.

    • Ignorando le posizioni del suo vice Joe Biden e della maggioranza del Partito Democratico – convinti che un’escalation militare in Afghanistan non giovi alla sicurezza nazionale e alla lotta al terrorismo – il presidente Obama ha quindi accolto quasi in pieno la richiesta del generale Stanley McCrystal

    • Più truppe anche dagli alleati europei. La decisione di Obama, che porta a centomila il numero dei soldati Usa impegnati sul fronte afgano, obbliga anche gli alleati europei, impegnati con 36mila uomini, a fare di più.
      Il 3 dicembre i ministri degli Esteri della Nato si incontreranno a Bruxelles per decidere quanti altri soldati mandare in guerra.

    • Rinforzi oggi per andarsene domani. L’invio di massicci rinforzi che Obama sta per annunciare è solo apparentemente in contrasto con la nuova strategia di ‘exit strategy’ decisa dalla Casa Bianca e dalla Nato. Una strategia che prevede la progressiva ‘afganizzazione’ del conflitto, lasciando alle forze afgane il compito di fronteggiare i talebani

    • Milizie pashtun al soldo degli Usa. La strategia Usa procede su un doppio binario: invio di rinforzi e parallela preparazione delle forze afgane. Forze regolari – esercito e polizia che si intende potenziare dagli attuali 180 uomini a 400 mila – ma sopratutto milizie irregolari private

    • Questo ‘secondo binario’ è tenuto segreto, vista la sua palese contraddizione con i passati programmi di disarmo delle milizie dei signori della guerra – programmi costati miliardi di dollari alla comunità internazionale – e considerato il suo inevitabile effetto: quello di lasciare in eredità all’Afghanistan, dopo anni di occupazione militare, una guerra civile foraggiata dall’Occidente. Di questo programma segreto, fortemente voluto dal generale McCrystal, sono trapelate solo poche informazioni sulla stampa.

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Afghanistan, missione di pace con tangente.

Per il nostro ministro della Difesa, Ignazio La Russa, l’intervento militare italiano in Afghanistan è una peace enforcing, un’imposizione della pace. Gli italiani impongono la pace non col fucile bensì con la mazzetta. Non è mica un atto di guerra. Quindi l’articolo undici della Costituzione è rispettato. Basta usare l’ingegno. D’altronde, i carabinieri del Ros hanno trattato con la mafia, perché non possiamo metterci d’accordo con i Talebani? E lo stesso facciamo bella figura all’estero, con gli alleati e persino alla NATO. Non spariamo mai. O quasi. Quella volta fu un errore, quando dei nostri militari spararono a una Toyota in marcia verso di loro, uccidendo una bambina di dodici anni, la quale restò decapitata dalla raffica di colpi. Era il tre maggio scorso. Da allora il patto della tangente non valse più. Si susseguirono gli attacchi non più solo di facciata. Ne morirono sei di soldati, a metà settembre. E’ stato pagato il danno per l’uccisione di quella bambina.
Gli USA fanno sapere oggi per via informale al Times che la questione pagamenti era già stata sollevata a Roma l’anno scorso. Non è dato a sapere quale sia stata la reazione della diplomazia italiana. Il fatto comunque ha sollevato molti dubbi sulla fedeltà dell’alleato italiano e creato un clima di tensione con Inghilterra e Francia: gli inglesi sono scocciati poiché si sentono i soli degli alleati europei a pagare lo scotto dei combattimenti in corso contro la resistenza talebana.
La notizia di oggi è che le forze talebane sono state oggetto di una forte rappresaglia dell’esercito pachistano, nella regione dello Waziristan, che sta inducendo migliaia di persone a spostarsi verso ovest, verso le regioni interne dell’Afghanistan, forse avvicinandole alle zone del conflitto con le truppe anglo-americane e creando i presupposti per una emergenza umanitaria. Non è dato a sapere se l’azione militare pachistana sia stata concordata con gli USA. Di fatto questo scenario pone ancora una volta il dubbio su come uscire dal pantano afgano. Joe Biden, vicepresidente USA, ha rivelato recentemente la possibilità di un accordo con il Mullah Omar: insomma, la exit strategy passa per una ammissione di errore. Mullah Omar è il leader dei Taliban e essi sono legittimamente al potere. Via d’uscita: restituirgli il paese in cambio delle ultime cellule quaediste presenti in Afghanistan.

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    • The US Government acknowledged for the first time yesterday that payment of protection money to the Taleban by Italian forces in Afghanistan was discussed by American officials and their Italian counterparts last year

    • The official would neither confirm nor deny that the representation to Silvio Berlusconi’s Government was in the form of a démarche or diplomatic protest, but Nato officials have told The Times that such a complaint was made by the US in Rome last year

    • The payment of Italian protection money was revealed after the deaths of ten French soldiers in August 2008 at the hands of a large Taleban force in Sarobi, east of Kabul

    • French forces had taken over the district from Italian troops, but were unaware of the secret Italian payments to local commanders to stop attacks on their forces, and misjudged threat levels

    • a Taleban commander and two senior Afghan officials also said that Italian forces had struck deals to prevent attacks on their troops

    • A businessman with close ties to the French Government told him that the Italians had been paying the Taleban

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    • In un circostanziato articolo il Times accusa i militari italiani di stanza a Surobi fino a luglio 2008 di aver pagato tangenti ai Talebani per non essere attaccati. Il ministro La Russa ha smentito sdegnosamente e querelato il Times. Ma ha aggiunto prudentemente: “Nell’estate 2008 ero ministro da poco”

    • Non è la prima volta che gli italiani si comportano così. In Libano, nel 1982, il generale Angioni si mise d’accordo con quelli che avrebbe dovuto combattere. In Iraq, dopo Nassirya, ci siamo accordati con Moqtada al Sadr e non abbiamo più avuto problemi

    • In Afghanistan la novità è la tangente pagata direttamente al nemico. Un accordo c’era anche a Herat.

    • Saltò quando, il 3 maggio 2009, un convoglio di militari italiani, con i nervi a fior di pelle, sparò a una Toyota che procedeva in senso inverso, regolarmente sulla propria corsia, uccise, decapitandola, una bambina di 12 anni e ferì tre suoi congiunti. Era una famigliola che andava a un matrimonio.

    • Da allora gli attacchi agli italiani cessarono di essere “dimostrativi” (tanto per non insospettire troppo gli americani) e, dopo il ferimento di tre paracadutisti, a settembre ci fu l’agguato mortale a Kabul. Noi siamo alleati fedeli (come i cani) ma sleali.

    • Gli inglesi che sono quasi gli unici a combattere sul serio, e che hanno perso solo nei mesi estivi quasi 40 uomini, si sono stufati e hanno fatto filtrare le notizie al Times.

    • Scriveva il 19/9 l’inviato del Corriere Lorenzo Cremonesi: “Milioni arrivano ai talebani dalle tangenti versate dai contingenti occidentali in cambio di protezione”

    • Ce n’è quanto basta per farsi un’idea di chi controlla realmente il territorio in quel Paese.

    • vicepresidente Usa Joe Biden che ha capito una cosa: i Talebani non hanno niente a che vedere col terrorismo internazionale, gli interessa solo il loro Paese e non costituiscono un pericolo per l’Occidente

    • ha fatto anche capire che sarebbe possibile un accordo col Mullah Omar, disponibile a liberarsi del centinaio di quaedisti che oggi sono in Afghanistan, memore di quanto gli costò, nel 2001, la presenza di Bin Laden.

    • Omar non è né un terrorista, né un criminale, né un pazzo, è un uomo pragmatico che firmerebbe all’istante un accordo di questo tipo: fuori gli stranieri, in cambio solide garanzie che a nessun terrorista internazionale sia permesso di circolare liberamente in Afghanistan.

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Afghanistan, l’ipocrisia di non menzionare la sconfitta.

Obama ieri ha parlato di Afghanistan ed ha messo il freno sull’invio di nuove truppe. Egli, a differenza del nostro governo, ha preso un’iniziativa. Ha stoppato le richieste del comandante Mc Chrystal, che invece pretendeva altri 40mila uomini.

Il governo italiano non è in grado di poter affermare le proprie posizioni in sede NATO, quindi La Russa riferirà in Parlamento chiedendo rinforzi per garantire la sicurezza dei soldati stessi. L’Italia ha le mani legate. E questo a causa della mancanza di leadership a livello internazionale del presidente del consiglio nostrano. Solo D’Alema ha parlato della necessità di una conferenza internazionale. E’ l’unica idea sensata. D’Alema ha tralasciato di dire che la conferenza non porterà la pace, bensì lascerà l’Afghanistan in balia del conflitto fra le fazioni locali. Ha tralasciato di dire che la missione ONU non ha condotto alla pace poiché non era tecnicamente una peace keeping: in Afghanistan le armi non hanno mai smesso di sparare. L’obiettivo era distruggere la fantomatica “rete del terrore”. L’esito è stata l’anarchia e la distruzione. Di fatto, per la comunità internazionale, Enduring Freedom e Isaf rappresentano una sconfitta. Sconfitta: la parola che nessuno usa.

Ignazio Marino, senatore del Pd e candidato alla segreteria, vuole sapere se l’Italia sta combattendo una guerra oppure no. Se le condizioni dei nostri soldati sono le stesse di quando si è votata la missione. E, se sono cambiate, come. Per verificare che non siano in contrasto con l’articolo 11 della nostra Costituzione, quello che dice che “l’Italia ripudia la guerra come risoluzione delle controversie internazionali”. Perché se così fosse, non si potrebbe più stare lì. E gli unici che possono dirlo sono i ministri degli Esteri e della Difesa, invitati a riferire al più presto in Parlamento.

Senatore, lei ieri ha detto che “sono cambiate le condizioni per la nostra presenza in Afghanistan”. Cosa intende dire? Sarei arrogante se dicessi che sono sicuro che le condizioni sono cambiate. E quindi non lo dico. Ma ci sono degli indizi che lo fanno pensare, e da cui bisognerebbe partire per aprire un ragionamento sull’opportunità o meno della nostra presenza in quel paese.

Parla dei sei soldati morti l’altro giorno? Non solo. Già nell’agosto scorso alcune dichiarazioni del ministro della Difesa La Russa facevano intendere che qualcosa era cambiato. Ecco, ci devono spiegare cosa.

In che modo? I ministri degli Esteri e della Difesa, che sono gli unici che davvero hanno il quadro completo della situazione, devono venire in Parlamento con una relazione dettagliata sulla vicenda afghana, e dirci chiaramente se il nostro paese sta partecipando a una guerra.

Secondo lei sì? Non ho gli strumenti per poterlo dire. Sicuramente alcune azioni lo sono, e questo lo ammettono anche gli americani. Come stiamo noi in quel paese ce lo deve dire il governo. A quel punto bisognerà capire se il nostro atteggiamento è in contrasto o meno con l’articolo 11 della Costituzione.

Se così fosse bisognerebbe pensare a una exit strategy, come richiesto da Umberto Bossi. Le uscite di Bossi e Berlusconi (che ieri ha parlato di una “transition strategy”, ndf) vanno lette all’interno di una strategia internazionale. Mi spiego: c’è in corso una manovra della destra internazionale di delegittimazione e accerchiamento del presidente statunitense Barack Obama. In questo contesto si inseriscono le dichiarazioni dei nostri rappresentanti di governo. Non credo che se alla guida degli Stati Uniti ci fosse ancora George W. Bush avrebbero detto quelle parole.

Il Partito democratico sembra schierato su una posizione chiara: si resta in Afghanistan. Le dichiarazioni dei membri del mio partito mi sembrano corrette: non si deve e non si può rincorrere “l’onda emotiva” del momento. Sarebbe da irresponsabili. Ma una riflessione sui nostri compiti a livello internazionale va fatta. Non ci si può appiattire su una posizione senza capire davvero se e come le cose sono cambiate.

Dove va fatto questo ragionamento? In Parlamento, che è l’organo sovrano e che può prendere queste decisioni. Se le condizioni dei nostri soldati in Afghanistan sono cambiate, se siamo là con un mandato parlamentare per compiere una missione di pace e poi invece ci troviamo coinvolti in una guerra, deve essere il Parlamento a decidere se la cosa va bene, se dobbiamo continuare a restare, oppure no.

In che tempi? Il prima possibile. Adesso so bene che è il momento del cordoglio, del dolore per la morte dei nostri militari. E in questo momento il Parlamento deve essere unito per rappresentare al meglio il dolore della nostra nazione per la morte dei nostri soldati. Immediatamente dopo però deve esserci questo dibattito, non si può aspettare ancora a lungo.

Ma secondo lei il ministro La Russa verrà in Aula dicendo “siamo in guerra”? Il ragionamento va fatto sulla base di quello che ci diranno i ministri. A quel punto avremo chiara la situazione. E si dovrà prendere una posizione. Che deve tenere al centro la sicurezza dei nostri uomini e il rispetto dell’articolo 11 della Costituzione, e solo in secondo piano gli equilibri internazionali.

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    • Morire per Kabul? Il sacrificio dei nostri paracadutisti impone di rispondere a questa domanda
    • l’Italia ha seguito in Afghanistan i suoi alleati atlantici. Non vi persegue interesse altro dal proteggere il suo rango di paese Nato. Dunque considera vitale il successo della missione di “stabilizzazione e assistenza”.
    • A Kabul ci giochiamo nientemeno che l’alleanza con Washington. Si può condividere o meno tale interpretazione
    • conviene almeno conoscere gli obiettivi della guerra, secondo chi l’ha promossa e continua a guidarla. “Lo scopo principale degli Stati Uniti dev’essere quello di distruggere, smantellare e sconfiggere al-Qaida e i suoi santuari in Pakistan e prevenire il suo rientro in Afghanistan e Pakistan”: parola di Obama (27 marzo 2009)
    • Otto anni di combattimenti non sono bastati agli americani per sconfiggere la piovra jihadista responsabile dell’11 settembre.
    • è escluso che qualsiasi potenza straniera possa assumere direttamente il controllo dell’”Afpak”. Obama lo sa bene. Per questo punta sull’”afghanizzazione” del conflitto
    • Ma la sua priorità è il Pakistan: qui è costretto a servirsi dei poco affidabili capi militari in quanto unico potere effettivo, deputato a impedire che l’arsenale atomico finisca ai terroristi
    • in Afghanistan manca lo Stato, mentre ciò che ancora funziona di quello pakistano – Forze armate e intelligence – ha inventato i taliban e continua a utilizzarli come affiliati nel braccio di ferro con l’India
    • la strategia di controinsurrezione varata dal nuovo comandante Usa/Nato, generale McChrystal, dosa repressione militare e conquista “dei cuori e delle menti”
    • Obiettivo: impedire che gli insorti, taliban o banditi d’altra specie, continuino a reclutare giovani disoccupati
    • In assenza di un potere afghano che possa contribuire allo scopo, il compito cade sulle spalle della missione a guida Nato
    • la repressione armata colpisce i civili quanto i terroristi
    • Se i soldati atlantici – in quel caso tedeschi – non vogliono o non possono affrontare i taliban sul terreno, cercano di colpirli dall’alto, con i risultati che vediamo
    • Così si alimenta la rivolta
    • un ufficiale ex sovietico, veterano della campagna contro i mujahidin: “La Nato in Afghanistan ha fatto un solo errore. Entrarci”
    • Facile affermare che siamo parte di un’alleanza e quindi facciamo quel che decide la Nato
    • Proprio perché partecipiamo a una missione internazionale, abbiamo il dovere di elaborare, esporre e sostenere il nostro punto di vista
    • molti fra i responsabili dei Paesi che partecipano ad Isaf sembrano convinti che la vittoria sia impossibile
    • ricalibriamo l’obiettivo. L’Afghanistan non diventerà uno Stato e tantomeno una democrazia nel tempo prevedibile. Per limitare il rischio che si riduca a buco nero permanente, a disposizione dell’internazionale jihadista, occorre puntare su un equilibrio dinamico, non istituzionalizzato
    • Inutile, anzi suicida, inventare paradossali “elezioni”
    • nella storia afghana il potere centrale è funzione di quello locale. Mai viceversa
    • azzeriamo la truffa e torniamo alla fonte del potere, convocando una loya jirga. Una grande assemblea dei capi tribali e dei rappresentanti delle etnie, banditi inclusi, che pullulano nel mosaico afghano
    • Questo “comitato di salute pubblica” si doterà di un presidente abilitato a trattare col resto del mondo, a nome dei feudatari – i signori della droga e della guerra – che contano davvero.
    • Per finirla con la guerra dei trent’anni, riportare i ragazzi a casa e continuare la caccia ai terroristi con operazioni puntuali in un territorio meno ostile, ci serve un potere legittimo.
    • non basta il consenso degli atlantici. Il nuovo potere afghano deve (s)contentare in misura accettabile tutte le potenze regionali. Una conferenza internazionale che riunisca insieme ad americani e atlantici i Paesi vicini o interessati, dal Pakistan all’Iran, dalla Cina all’India e alla Russia, potrebbe coronare il processo di rilegittimazione dell’Afghanistan
    • Senza illudersi che sia pacifico e definitivo
    • Scontando anzi quel grado di ingovernabilità e di violenza insito nella natura non statuale del territorio che sulle nostre carte persistiamo a colorare d’una tinta unitaria
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    • il dibattito politico sta virando  rapidamente verso una dignitosa exit strategy dall’inferno afgano
    • Non ce ne possiamo andare da soli,è evidente,ma ormai  siamo in buona compagnia a pensarla allo stesso modo nella coalizione di paesi che hanno i propri soldati impegnati  in Afghanistan
    • è forse passato inosservato il discorso del presidente Obama tre giorni fa sulla necessità di riflettere in merito all’invio immediato di altri soldati
    • E ieri sera il vicepresidente Biden ala CNN ha ribadito che  è troppo presto per decidere se abbiamo bisogno di altri soldati’. l’America insomma,sembra frenare sull’invio di rinforzi nonostante le richieste del  generale Stanley McChrystal, responsabile delle operazioni in Afghanistan
    • Biden ha fatto capire che non arriveranno neanche quei 21 mila
    • si cerca di  tenere insieme un’alleanza che scricchiola
    • Come negli Stati Uniti, anche in Gran Bretagna, che ha impegnato 9.100 uomini nella forza Isaf, i sondaggi hanno cominciato a virare contro la guerra dopo la morte di 22 soldati in luglio nella provincia di Helmand.
    • in Germania la cancelliera Angela Merkel
      per la prima volta ha annunciato ieri la necessita’ di una exit strategy anche se alla parola ”uscita” ha preferito quella di di ‘riconsegna’ del Paese a Kabul
    • Ma come si fa a riconsegnare il paese ad un governo così debole? Non ci volevano questi risultati nelle elezioni afgane.
    • Le inchieste sui brogli stanno paralizzando la situazione e allungano i tempi dell’insediamento  del nuovo esecutivo Karzai
    • I talebani con l’attentato ai nostri soldati hanno dato  prova di essersi rafforzati nella  strategia e nella dinamica dei loro attacchi
    • come ha dichiarato un comandante del famigerato clan degli Haqqani che si è trattato di un’operazione congiunta di più gruppi di insorgenti,e che altri kamikaze sono in attesa di agire nella capitale afgana

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Not in my name. No more Kabul.

Non in mio nome. E’ ora di tornare a dirlo. La guerra in Afghanistan è condotta non in mio nome. Al di là delle morti e dell’ovvio dolore, non c’è fede da mantenere se non quella nella Costituzione e nel suo articolo undici. Il fine è la pacificazione? Si prenda coscienza del fatto che l’intervento è fallito. Non c’è pace in Afghanistan. E non ci sarà pace. A meno di fare la guerra e di portare a casa altri morti.
Il coraggio di dire dei sì e dei no chiari risiede anche nel fatto di sapersi imporre sui tavoli diplomatici e negare le richieste di aumento dei contingenti fatte da un Obama troppo titubante su Enduring Freedom.
E’ il momento delle analisi plitiche. La politica non può ritirarsi dinanzi all’atrocità della morte. Il fallimento del trapianto di democrazia in Afghanistan è fallito. Le elezioni presidenziali sono viziate da brogli di milioni di voti. Il fallimento dell’intervento ONU è lampante, qualunque analisi politica militare strategica ecc. ha il medesimo risultato. Occorre ridiscutere i termini dell’intervento, accettare di avere perso, riconoscere che le ragioni dell’intervento erano poco chiare fin dall’inizio, e che la guerra in Afghanistan è servita ben poco a ridurre gli attacchi terroristici dopo l’undici settembre (tanto più che ora esistono altri paesi che fanno da incubatrici per il terrorismo, quali la Somalia e il Sudan).
Discutere ora del ritiro non è "segno di debolezza". Sarebbe sintomo altresì di democrazia, di saggezza e ispirazione.

Il contingente italiano deve restare in Afghanistan ma occorre "cambiare strategia", puntando sugli aiuti sociali alle popolazioni ed evitando di "bombardare i villaggi". Lo ha detto Massimo D’Alema in un’intervista al Tg3. "Discutere del ritiro dei soldati italiani – ha detto l’ex ministro degli Esteri a proposito delle esternazioni di Bossi – l’indomani di un simile attacco è un segno di debolezza per un grande Paese. Noi siamo lì sotto l’egida dell’Onu, in una missione internazionale e dobbiamo far sì che essa abbia successo. Non dobbiamo lasciare l’Afghanistan ai terroristi e al fanatismo islamico". Alla domanda se i soldati italiani abbiano gli strumenti per difendersi, D’Alema risponde: "Il governo deve dare alle Forze Armate ciò che esse chiedono. Il vero problema però è politico. E’ evidente che la situazione in Afghanistan è drammatica e bisogna cambiare strategia. Bisogna puntare di più sull’aiuto alle popolazioni civili e non bisogna bombardare i villaggi. Perchè in questo modo si semina odio e si uccidono gli innocenti. Bisogna portare al dialogo tutte quelle componenti della società afghana che non stanno con Al Queda ma che, evidentemente, non stanno nemmeno con Karzai". D’Almea ritiene poi che la vecchia proposta del centrosinistra di una Conferenza internazionale sull’Afghanistan abbia possibilità di essere rilanciata: "La differenza è che allora, quando la lanciammo, eravamo isolati, perché c’era Bush. Credo che oggi ci siamo maggiori possibilità che questa vecchia proposta del governo di centrosinistra possa essere all’attenzione dei governi europei e degli Stati Uniti"

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    • L’inutile guerra afghana in un solo colpo ha ucciso sei italiani. Non siamo abituati a fare i conti con questi prezzi, e perciò la notizia per giorni occuperà le prime pagine.
    • Ci sarà invece poco spazio per l’unica riflessione che ora conta: come andarsene?
    • La notizia della strage di Kabul ha raggiunto il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, nel corso della sua visita ufficiale in Giappone
    • Lì si è appena insediato il nuovo governo, formato per la prima volta da un partito, il Partito Democratico (quello giapponese, che è un’altra cosa), il quale da tempo pone l’urgenza di cambiare totalmente approccio alla guerra afghana, persino a partire dalla sua giustificazione originaria, gli attentati dell’11 settembre 2001, le cui versioni ufficiali sono messe in dubbio dai suoi massimi esponenti
    • su «Asia Times», il giornalista d’inchiesta Pepe Escobar ha fatto un’analisi spietata sulle prospettive della guerra in Afghanistan: «dal novembre del 2001 al dicembre del 2008 l’amministrazione Bush ha bruciato 179 miliardi in Afghanistan, la NATO 102 miliardi
    • L’ex capo della NATO Jaap de Hoop Scheffer disse che l’Occidente avrebbe mantenuto le proprie truppe in Asia Centrale per 25 anni. Il capo di Stato maggiore britannico, Generale David Richards, lo corresse: gli anni sarebbero stati 40
    • Non sappiamo se la guerra durerà sino ad allora, anche perché ignoriamo se sarà considerato ancora sostenibile continuarla.
    • Il generale Stanley McChrystal chiede altri 45mila soldati statunitensi da aggiungere ad altri 52mila americani, e ai 68mila mercenari presenti da marzo 2009. Non stiamo includendo nel conto decine di migliaia di soldati NATO. Una simile strategia implica che in breve tempo saranno impantanati in Afghanistan più americani di quanti fossero i sovietici nel pieno dell’occupazione di quel paese oltre vent’anni fa.
    • Una strage, Kabul come Nassiriya, sveglierà invece la retorica, le piazze da intitolare ai “nostri martiri”, in un’ottica tutta provinciale che non coglie che, da quelle parti, di Nassirya ne succedono quattro al giorno.
    • Servirà una grande operazione di verità sulla missione in Afghanistan. Una missione di guerra, che nessuno sforzo orwelliano né la trita ampollosità di Napolitano può più mascherare – ancora oggi – come una «missione internazionale per la pace e la stabilità»

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Ripudiare la guerra. Ripudiare le armi. Via l’esercito da Kabul.

Altri morti sembrano non bastare. La presenza militare degli italiani in Afghanistan è parte di "accordi internazionali", non è possibile secondo il governo una exit strategy senza prima averne discusso con gli alleati.
Alquanto opinabile. Oramai da qualche anno, la missione italiana non è più una missione di pace. Bisognerebbe prenderne atto e ritirare le proprie truppe. Il "pantano afghano" è un brulicare di armi e di bombe, di bande armate e di terroristi talebani. Un altro Vietnam.

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    • Lo chiamano il "pantano afgano",la combinazione di questioni militari, politiche, sociali, che rendono l’Afghanistan il groviglio inestricabile che abbiamo sotto gli occhi.

    • Partiamo dalla situazione militare: circa 130000 soldati internazionali, mai così tanti dall’inizio della guerra, quasi 170000 militari afgani, ma l’accresciuta presenza militare corrisponde proprio alla fase più acuta dei combattimenti e degli attentati.
    • I talebani, un movimento caotico e disordinato, dileguatosi  dopo l’attacco americano del novembre 2001, ha avuto la possibilità di ricostituirsi nelle aree tribali del pakistan
    • I suoi emissari come l’ex ambasciatore talebano Zaef sono ritornati a Kabul quinte colonne di un esercito di combattenti riforniti in denaro e mezzi
    • Una guerriglia che si alimenta della mancanza di, di lavoro, dalla diffusa corruzione, gente disillusa dalle promesse non mantenute di un rapido miglioramento delle condizioni di vita.
    • I Talebani dispongono così di una vasta manovalanza cresciuta nelle madrasse fondamentaliste del pakistan, pagati con stipendi tre volte più alti di quelli di un militare afgano che infatti, sempre più spesso "tradiscono" facendo il doppio gioco
    • Il presidente Karzai nonostante le accuse di brogli si trova  per la seconda volta al comando. Per vincere è venuto a patti con famigerati signori della guerra, ora dovrà mostrare di avere una ricetta per la pacificazione del paese con un vero accordo con il Pakistan
  • Ignazio, dopo le notizie tragiche che arrivano da Kabul sull’attacco kamikaze ai nostri soldati, ha affermato che “il primo pensiero va alle famiglie delle vittime. Vogliamo far sentire la solidarietà e la vicinanza di tutti noi ai nostri coraggiosi ragazzi che sono presenti in importanti missioni militari all’estero. Chiediamo subito al ministro della Difesa La Russa di venire a riferire in Parlamento” Ignazio ha poi continuato, affermando come non sia “certo questa l’ora di polemizzare con il Governo e tuttavia abbiamo il dovere di chiedere conto di quello sta succedendo. Sono cambiate e stanno cambiando le condizioni per la nostra presenza in Afghanistan? E soprattutto è cambiato il senso e lo spirito della missione? E che livelli di sicurezza siamo in grado di garantire ai nostri soldati? L’articolo 11 della Costituzione è chiaro: l’Italia non partecipa a guerre”.

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La vendetta rende ciechi. Ma cosa ci fa l’Esercito in Afghanistan?

Mentre Mr b urla "Povera Italia". Mentre Boffo si dimette. Mentre Il Giornale di Feltri va in stampa con pagine e pagine di non-notizie. Mentre il TG1 scopre gli affitti in nero per gli studenti – affittopoli, l’hanno chiamato questo nuovo (nuovo?) scandalo: il primo titolo stasera, che ottenebra tutti gli altri. Ma qualche menzione sull’Afghanistan? Sono morti 90 – in lettere: NOVANTA – civili sotto le bombe della NATO. Le abbiamo sganciate anche noi. Anche l’Italia ha contribuito a sganciare queste bombe. In virtù dell’art. 11 della Costituzione. In dispregio dell’art. 11. Nell’articolo undici non è scritto che l’Italia partecipa alle organizzazioni internazionali che praticano la guerra. No. Il secondo comma dice un’altra cosa.

L’Italia […] consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.

Dice pace e giustizia. In Afghanistan non vi è pace né giustizia. Cosa fa l’Esercito Italiano in Afghanistan?
I giornali saranno pure sganciati dalla realtà, ma il presidente del Consiglio non è reale. E’ iper-reale. E’ parossistico. Poiché gli eventi gli si ritorcono contro e la realtà sfugge a ogni suo tentativo di controllo.
Ora pure l’Afghanistan.

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    • Decine di persone, almeno novanta secondo il governatore provinciale Mohammad Omar, hanno perso la vita nel nord dell’Afghanistan a causa di una gigantesca esplosione provocata da un raid aereo dell’Isaf, la Forza internazionale di assistenza per la sicurezza guidata dalla Nato.
    • la notte scorsa velivoli alleati hanno bombardato alcune autocisterne che erano state sequestrate da un commando di taliban lungo la strada che, nel distretto rurale di Ali Abad, conduce al villaggio di Angorbagh, nella provincia settentrionale di Kunduz. Immediata la condanna del presidente Karzai: "Inaccettabile colpire i civili".
    • Secondo Omar l’esplosione è avvenuta mentre i taliban stavano distribuendo carburante ai civili. Secondo quanto riferisce il capo della polizia locale, Baryalai Basharyar Parwani, ieri sera ribelli si erano impadroniti di un camion cisterna sull’autostrada ad Angorbagh, nel distretto di Kunduz. "Il camion si è impantanato nel letto di un fiume. C’erano dei civili con i taliban e sono stati bombardati. Più di 60 persone sono state uccise o ferite".
    • La forza Nato in Afghanistan ha confermato di aver attaccato con mezzi aerei i camion cisterna nella provincia settentrionale di Kunduz, aggiungendo che "un gran numero di ribelli sono stati uccisi". La Nato ha aggiunto anche che sta accertando ferimento e uccisione di civili: "Sembra che molti feriti civili siano stati evacuati e ricoverati in ospedali locali. C’è forse un diretto legame con l’incidente avvenuto con due autocisterne"
    • Al telefono con lo Spiegel on line, il leader dei taliban del distretto Shar Darah, Muallah Shaumudin, ha dichiarato che i morti sarebbero non 90 ma 150. Tra loro, nessun ribelle. "I taliban hanno consegnato le autocisterne alla popolazione povera e poi abbandonato subito l’area"
    • Si tratta di una "tragedia che non possiamo accettare", ha detto in serata a Stoccolma il ministro degli Esteri italiano Franco Frattini, perché "siamo in Afghanistan per difendere la sicurezza degli afgani e non per provocare la morte di civili".
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    • La fonte è il TG3, 4 settembre, ore 14 e 30. Lo studio si collega con la giornalista che ha seguito il presidente del Consiglio. Berlusconi ha presieduto il “comando interforze” delle Forze armate italiane (questo organismo del vertice militare è dislocato presso l’aeroporto di Ciampino) in una giornata difficile per la Nato.
    • un aereo della Alleanza ha colpito e fatto esplodere un’autocisterna carica di carburante catturata dai telebani. L’autocisterna era al centro di un villaggio. L’esplosione e l’immensa fiammata hanno fatto strage di civili
    • Le notizie dall’Afghanistan parlavano di popolazione in rivolta contro la Nato.
    • si è visto nella sequenza un Berlusconi scuro in volto, con i lineamenti irrigiditi dalla tensione, dirigersi minaccioso verso le telecamere. Ha teso il braccio come per un drammatico annuncio e ha pronunciato con durezza, scandendo le sillabe, queste parole: “Sui giornali c’è tutto il contrario della realtà. Povera Italia”.
    • Dati i tragici eventi militari della giornata, le parole sarebbero rimaste misteriose, come pronunciate da un oracolo intraducibile, se la collera non avesse indotto Berlusconi a voltarsi di nuovo verso giornalisti e telecamere. Ha detto, mostrando i denti:
      “Povera Italia, con questa informazione di cui voi siete i protagonisti.”
    • VOLEVA DIRE: “LA VENDETTA E’ APPENA COMINCIATA”. E chi se ne frega del mondo. La vendetta riguarda l’oltraggio alla virilità di Berlusconi.

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