Per il Movimento, scrive Di Battista, “stare fermi è la morte assoluta”. Che significa stare fermi? Stare fermi è il contrario del fare. Stai fermo se pensi, se ti soffermi a pensare, a tentare di capire. Non puoi stare fermo. Devi agire (devi fareeh!) e fidarti di chi sta sopra di te. Il Movimento è militanza nel senso estremo del termine: chi milita, in un certo senso, compie un atto di fede (lat. militare, da mìles, esercitare la milizia, fare il soldato – via etimo.it).
Il soldato Di Battista accusa i quattro dissidenti (Battista, Orellana, Bocchino, Campanella) di aver esercitato “in modo organizzato, [virgola aggiunta n.d.r] la logica del dolo, la malafede, il sabotaggio di tutte le grandissime battaglie che abbiamo portato avanti come gruppo”. I dissidenti, non fidandosi, sono in malafede. Ogni volta che c’era da lanciare una battaglia (il soldato è sempre pronto), uno dei quattro si interponeva con la propria “zavorra professionale” (virgolettato nel testo). La critica argomentata è zavorra, è sovrappeso. Il soldato è leggero, corre verso la morte per la causa, non può permettersi di avere dubbi prima di immolarsi. Il dubbio, esattamente come la discussione nella dottrina del Fare, è perdita di tempo, è pericoloso. Poiché mette a rischio il progetto, esso deve essere espulso dall’orizzonte fenomenico.
Nello stato di eccezione è la legittimità dell’opinione altrui ad essere sospesa. Non si tratta più solo di disobbedienza rispetto alla linea di partito. Non è più solo contestazione per una decisione imposta dalla maggioranza. In questo caso si previene il dissenso, eliminandolo in potenza. Dissenso è anche solo permettersi di contribuire con la propria “zavorra professionale”. “Quando perdo”, scrive Di Battista, “so che la decisione dell’assemblea è sacra in quanto frutto di un vero processo decisionale, frutto dell’intelligenza collettiva”. La decisione della maggioranza, in quest’ottica, diventa coercitiva. Non può essere manifestata, ergo non può esistere, opinione divergente. Quando la decisione è presa, la minoranza è annientata e il movimento-partito si muove come un sol uomo.
Siamo in guerra, una guerra democratica, fatta di informazione, partecipazione, amore per la politica. Ma di guerra si tratta (Pagina Fb Alessandro Di Battista).
La guerra non è mai democratica. La guerra è soppressione dell’alterità. In questo caso, è l’opinione a essere fuoco amico: “io non posso lasciare la trincea sapendo che mentre sferro un attacco (ripeto, le nostre armi sono e saranno solo informazione, impegno, studio e partecipazione alla politica) qualcuno mi sparerà, scientemente e volutamente alle spalle”. Le armi di Di Battista non possono essere usate per dissentire contro Di Battista. Ma, inevitabilmente, l’arma dell’informazione, usata contro un nemico politico, non è più tale ma è mera propaganda.
La trincea è anch’essa immobilismo. Nella trincea muori senza combattere. E chi combatte la Casta, freme di trovarsi a tu per tu con il nemico. La Casta è sempre pronta ad arruolare nuovi politicanti (“Il palazzo è una vasca di squali, trasforma cittadini in onorevoli, in statisti da 4 lire”). I 4 statisti da quattro lire vanno sacrificati in vista della missione speciale, le Elezioni Europee. E’ duro e doloroso lasciare sul campo quattro ex compagni, ma la loro dipartita è male necessario. Il sacrificio di un compagno è quindi giustificato con il prospettarsi di un traguardo politico prestigioso. La causa (elettorale) prevale sul buonsenso e il dialogo. Appunto, da ideologica (la guerra contro la Casta), la causa si fa meno nobile (prender più voti). Sembrerebbe un paradosso e forse lo è.