Confronto Civati-Capezzone: come manipolare male i numeri

Ieri qualcuno su questo blog ha ricordato quel mirabile articolo del Fatto Quotidiano (il sempre lodato Scanzi) in cui si citavano – provocatoriamente – le affinità fra Civati e Capezzone in termini di voti espressi alla Camera. Ho replicato a quel commento spiegando che presentare quei dati in quella specifica maniera era fuorviante e certamente truffaldino. Ora vi spiego perché.

I dati presentati erano ripresi da uno screenshot del sito Openpolis. Scorrendo i dati ci si accorge già di una anomalia relativa al conteggio delle presenze in aula. Accanto al nome di Civati, infatti, è presente un ‘pollice verso’ rosso, segno di cattiva performance (131 assenze, pari al 12.6%), mentre accanto al nome di Capezzone compariva un lusinghiero ‘polllice verde’ (solo 79 assenze, pari al 7.6%). Questa è però una visione superficiale, di chi pratica male il mezzo Openpolis, o di chi lo vuol praticare per veicolare messaggi sbagliati e in malafede.

Controllate le pagine di Civati e di Capezzone:

Assente Presente In missione Totale
Capezzone 79 169 795 1043
Civati 131 912 0 1043
  1. Stiamo accomunando due parlamentari, uno dei quali, indovinate chi, è stato presente solo nel 16% dei casi ed è stato in ‘missione’ il restante 76% delle volte.
  2. Quindi, il calcolo di Openpolis è ristretto a sole 150 votazioni delle 1043 (14%) poiché solo in esse si è verificata la contemporanea presenza dei due deputati;
  3. di questi 150 voti solo 2 rientrano nel novero dei cosiddetti voti chiave (ovvero votazioni finali di leggi o decreti, sono esclusi quindi i voti su ordini del giorno o simili): si tratta del decreto sul Pagamento dei debiti della PA (entrambi favorevoli; M5S astenuto); del Decreto del Fare (entrambi favorevoli, M5S contrario).

Se quindi circoscriviamo l’analisi ai soli voti chiave possiamo concludere che:

Voti Chiave (secondo Openpolis) Capezzone Civati M5S
1 Convenzione Internazionale contro la violenza nei confronti delle donne In missione Favorevole Favorevole
2 Decreto del Fare Favorevole Favorevole Contrario
3 Decreto Emergenze In missione Favorevole Astenuto
4 Decreto ILVA In missione Favorevole Contrario
5 Decreto Lavoro In missione Favorevole Contrario
6 Decreto Svuota-Carceri In missione Favorevole Contrario
7 Delega al Governo per pene detentive non carcerarie In missione Assente Contrario
8 Dimissioni deputata Marta Leonori Voto segreto Voto segreto Voto segreto
9 Fiducia al Governo Letta Favorevole Assente Contrario
10 Modifica 416-ter, scambio elettorale politico-mafioso In missione Favorevole Favorevole
11 Pagamento debiti Pubblica Amministrazione Favorevole Favorevole Astenuto
12 Sospensione IMU Assente Favorevole Favorevole

Civati e Capezzone hanno votato ugualmente solo in due casi su dodici (17%), mentre se confrontiamo le scelte di tutto il M5S circa i voti chiave e contiamo quante volte hanno votato con Pippo Civati, ebbene, si tratta di tre casi su dodici (25%). Ergo, stando ai voti espressi ed effettivamente confrontabili, Civati è più vicino al Movimento 5 Stelle che a Capezzone.

Questi sono i numeri. Se ci vogliamo fidare di essi, bisogna anche essere in grado di leggerli.

Gli Scanzi del mestiere

Dispiace cominciare questo post con un gioco di parole, ma tant’è, oramai l’ho fatto: ed è così perché ho – ancora – qualcosa da dire circa la caracollante critica di Andrea Scanzi a Pippo Civati.

Il giornalista esperto in pentastellati, ieri su Facebook, ha scritto che “la cancellazione (finta) dell’Imu sanciva un’altra sconfitta” di Civati. Ne è seguito un botta e risposta in cui Scanzi ha precipitosamente ribadito che la battaglia di Civati nel PD è una battaglia persa, è “masochismo”:

O Civati è masochista, o il suo martirologio è calcolato. In entrambi i casi, o esce dal partito (dopo essersi tolto lo sfizio di arrivare secondo o terzo nella corsa per diventare il “Segretario di Pirro” alla corte di Renzi) o si copre definitivamente di ridicolo. Giustificando peraltro le accuse di carrierismo furbino (I dolori del sondatino Civati, Il Fatto Q).

Saprete della prosa scanziana, molto affine alla cifra stilistica di Travaglio e di Grillo (o chi per esso): nomignoli, analogie ventilate, parolette, parolacce, e via discorrendo. Ecco, a me tutto questo glossario arzigogolato, questa necessità di voler inserire in ogni riga uno “zebedei” (cito, testuale: “Tirali fuori, prima o poi, gli zebedei. Esci dal Pd, mettiti in gioco e prova a costruire qualcosa di realmente alternativo. Se ce la fai”), sembra più assimilabile al lessico di un cabarettista astioso che a quello di un giornalista. Che tipo di giornalismo è quello che cerca in tutti i modi di far passare un tentativo di rinnovamento del PD in qualcosa di deprecabile? Rispondo subito: è militanza, non giornalismo. Ma il caro Scanzi non ve lo dice mai.

Scanzi tratteggia Civati assorto nei suoi raziocinanti progetti di un “carrierismo furbino”, sempre tentennante fra la scelta di uscire dal PD e far successo personale fondando un micro partito a sinistra, e il successo personale che otterrebbe con la vittoria di Pirro alle primarie congressuali. Mi sembra semplicemente falso. Mi sembra una rappresentazione terroristica, la sua: dinanzi alla possibilità che l’elettorato e i militanti di base del Partito Democratico facciano realmente contare il proprio peso al prossimo Congresso, il giornalista prospetta al lettore la possibilità che i propri eventuali sforzi nel sostegno a Civati vadano a sbattere contro l’arcinemico, l’Apparato, ovvero l’inamovibile (e “fantozziana”) classe dirigente del PD che – ricorda Scanzi – comanda il partito da vent’anni. Inutile spiegare a voi che accettate aprioristicamente il disegno scanziano, che se quella dirigenza è ancora al suo posto, è semplicemente perché (quasi) nessuno ha mai cercato di cacciarla, soprattutto mai nessuno ha chiesto a voi personalmente – come invece fa Civati – di partecipare a questo processo storico di rimozione delle macerie del passato.

E qui che risiede la novità – taciuta, passata sotto silenzio, ammantata di un personalismo di cui contemporaneamente se ne lamenta l’assenza: la mozione Civati vuol essere collettiva, vuol mettere gli esclusi al centro del partito, vuol aprire le sacre (e vuote) stanze degli arrugginiti circoli del Partito Democratico e far sì che contino nel processo decisionale.

Non mi sembra così di esser altrettanto partigiano. Ma la prospettiva scanziana della formazione di un neo-corpuscolo partitico a sinistra mi ricorda molto Paolo Flores D’Arcais e la sua storia politica, il suo lobbismo disperato per la ricostituzione di una minoranza laburista. E mi sembra, allo stesso tempo, un piano strategico affinché il PD rimanga sempre quello che è ora, al fine di poter ripetere – come un mantra religioso – “sono tutti uguali, sono tutti da mandare a casa” e così capitalizzare ancora sulla rabbia e sull’indignazione.

Grillum

La legge elettorale Calderoli è antidemocratica: impedisce all’elettore di scegliere i deputati ed i senatori ma soprattutto contiene un meccanismo fortemente distorsivo della rappresentatività, il premio di maggioranza, che è persino differentemente attribuito fra Camera e Senato. E’ alla base della situazione di ingovernabilità che si è creata sia nel 2006, sia nel 2013.

Per cambiare questa legge sono state raccolte migliaia di firme in giro per il paese da più comitati ed in tempi diversi. Ma i referendum che sono sinora stati proposti sono finiti nel nulla poiché puntavano alla reviviscenza della vecchia legge elettorale, il Mattarellum, aspetto che rendeva i quesiti non ammissibili poiché tale effetto – la reviviscenza, appunto – poteva sussistere solo in seguito ad una effettiva espressione della sovranità popolare in tal senso, naturalmente per il tramite di un voto parlamentare. E’ questo il punto focale, il Parlamento. Un Parlamento di nominati (salvo i casi delle candidature espresse per mezzo di consultazioni primarie) potrà mai votare contro la legge che ne ha permesso la selezione e l’elezione? La volontà politica di riformare il Porcellum non si è mai radicata pienamente e senza l’indicazione chiara da parte di uno dei due partiti della attuale maggioranza, nessuna riforma è possibile. Enrico Letta ha recentemente affermato che la riforma della legge elettorale è prioritaria ed in conseguenza di ciò, una delle due Camere (il Senato) ha decretato la procedura d’urgenza per una bozza di legge di cui nessuno parla (l’ennesima riedizione della bozza Violante) ma che crescerebbe sulla mala pianta del Porcellum con l’assegnazione del premio di maggioranza alla coalizione maggioritaria solo in seguito al voto del secondo turno.

E Grillo? Oggi ha dettato la linea politica dal suo blog: ai 5 Stelle deve piacere il Porcellum. La spiegazione di questo ravvedimento (che è tale solo in parte, a Grillo piace l’idea di possedere il 51% dei seggi con il 20% dei voti)? Forse Grillo pensa di salvaguardare il governissimo, fonte inesauribile di indignazione, mostrando i denti e facendo intendere che qualora cadesse il governo Letta, il Movimento continuerà a stare per proprio conto, sulla Montagna, ignorando qualsiasi appello alla responsabilità verso il paese.

Ora io vorrei parlare con Luigi Di Maio. Di Maio è un deputato dei 5 Stelle, vicepresidente della Camera. Il primo di Agosto ha pubblicato questa frase sul suo profilo Facebook (non saprei dire quanto di quel che vi era scritto fosse espresso a titolo personale e quanto a titolo di rappresentante dei pentastellati):

Immagine

Questa schizofrenia del Movimento tornerà ad allietare i nostri giorni man mano che la crisi di Letta e la decadenza di Berlusconi si faranno avanti. Qualche giorno fa, Andrea Scanzi, esperto in fenomenologia del grillismo, ha avanzato l’ipotesi per cui l’unica mossa strategica in mano ai ‘fautori del governissimo’ sarebbe un governo di scopo con i 5 Stelle. Il programma: una sola legge, la legge elettorale.

L’unica contromossa dei pasionari del governicchio Letta, quando ricevono critiche, è: “Se cade finisce tutto, non ci sono alternative”. La solita litania del meno peggio.
Invece un’alternativa c’è. Ed è anzi l’unica decente. A settembre il governicchio cade, con buona pace di Re Giorgio. Pd, Sel e Movimento 5 Stelle si mettono d’accordo per fare solo la legge elettorale, ipotesi già prospettata da Vendola e Di Battista ma credo gradita anche ai renziani. 
Fanno la legge elettorale, alla svelta e senza troppi duropurismi o tentennamenti. Magari un bel doppio turno, la prospettiva più odiata dal centrodestra. O comunque qualsiasi cosa migliore del Porcellum, cioè tutto.
La approvano in tempi brevi.
E poi si va al voto (profilo Fb di Andrea Scanzi).

Questa ipotesi, che Scanzi ricorda esser prospettata da Vendola ma non ricorda affatto che era la via d’uscita proposta da Civati nei terribili cinquanta giorni prima di Letta, come si può collocare nel quadro politico odierno, vista e considerata l’ennesima chiusura ventilata dal loro sponsorizzatissimo Capo Comico?

Il valore di un’astensione

Il voto sulla sospensione dei lavori richiesta dal PdL lo scorso mercoledì ha agitato molto le coscienze specie nel Partito Democratico. Mentre il vertice ha tentato di spiegare in tutta fretta le ragioni del sì alla richiesta di Brunetta (“abbiamo rifiutato con sdegno lo stop di tre giorni”), i democratici dissenzienti rispetto alla linea del Gruppo hanno dovuto esprimersi astenendosi dal voto. Taluni commentatori hanno giudicato questa scelta come segno di viltà. Uno di essi è Andrea Scanzi. Il quale ha nuovamente intinto il ditino nella fiele dipingendo Giuseppe Civati come il solito ‘tentenna’. L’indeciso, uno che vorrebbe ma non può. E così di seguito. Tutto già visto e già sentito. L’uso dei nomignoli è di moda, peraltro. Un filone giornalistico non eccelso inaugurato da Travaglio, proseguito sotto diverse forme da Beppe Grillo (che giornalista non è, ma la vena sarcastica e un po’ cinica ben si confà ad un comico).

Evitando di sfociare nella partigianeria (non nascondo quel che penso di Civati, non nascondo che lo considero la voce di un intero elettorato che negli anni si è smarrito dietro cambi di sigle e simboli), posso però dirvi che gli argomenti, impiegati da Scanzi per dileggiare la pratica dell’astensione da parte di Civati, sono perlomeno messi male in arnese, per usare un eufemismo.

L’astensione è raccontata da Scanzi come mancanza di coraggio. Coraggio di votare no ad una proposta irricevibile, la sospensione dei lavori parlamentari per i guai giudiziari di Berlusconi. Guardate, in questa dicotomia sì-no, favorevole-contrario (a questa precisa fattispecie), si nasconde ancora l’arcinoto dualismo fra berlusconismo e antiberlusconismo, ovvero ciò che ci ha cacciato in questo brutto pasticcio che passa sotto al nome di crisi della politica. Negli ultimi venti anni, in Italia, tutto lo scibile è stato suddiviso fra berlusconismo e antiberlusconismo: categorie irrinunciabili e che al medesimo tempo hanno annullato lo spazio dei non militanti. L’astensione, in questo preciso istante, equivale al rifiuto della riproposizione ennesima del dualismo che ci ha soffocato. Sottrarsi alla dicotomia berlusconismo-antiberlusconismo significa avere il coraggio di immaginare un paese diverso, scevro da questa trincea di perpetua belligeranza. Pensateci: proprio coloro che negano la differenza fra i due poli (sono tutti uguali, sono tutti morti) in realtà spostano la linea della divaricazione dal livello dei sostenitori del Cavaliere vs. suoi oppositori a quella generale di Popolo vs. Kasta. Scanzi, che evidentemente si è mosso anche lui nel filone dell’anticastismo, è allo stesso tempo un antiberlusconiano. Fa cioè parte dello schema cristallino che ha immobilizzato questo paese. Il superamento del bipolarismo belligerante è necessario, se non urgente. Il che equivale a dire che ciò può avvenire solo con la rimozione della anomalia (avverrà finalmente per via giudiziaria?) di un esponente della sfera degli interessi privati che ha cannibalizzato la sfera pubblica facendola divenire una propria dépendance.

L’astensione è rifiuto dello schema del conflitto perpetuo. E’ anche, nel caso di Civati, rifiuto della disciplina di partito, la quale prevede, nel caso di posizioni differenti all’interno del gruppo parlamentare, che alla fine il conflitto sia risolto a maggioranza semplice. Stando a quanto deciso dal capogruppo PD, mercoledì mattina, la richiesta di Brunetta doveva essere votata per tutta una serie di ragioni: in primis, poiché, recentemente, il PdL ha votato una richiesta analoga da parte del PD.

Ma questa decisione non è stata affatto discussa. E’ stata calata dall’alto, per il tramite del vice capogruppo Ettore Rosati. Nessuna discussione interna. Nessuna deliberazione preliminare. Matteo Orfini si è affannato a spiegare che ciò non è avvenuto poiché, nelle tre ore di attesa mattutina, “chi voleva che il Pd rifiutasse ogni rinvio avrebbe potuto tranquillamente chiedere la convocazione di una riunione del gruppo per discutere tutti insieme. Ovviamente nessuno lo ha fatto”. Scuse deboli, debolissime. Significa che nel PD non esiste una abitudine alla consultazione, non solo dei propri iscritti, ma pure dei propri parlamentari.

Tornando a Scanzi, posso smentirvi anche una ulteriore critica. Scanzi ha lamentato che Civati si è fatto superare a sinistra persino da Bindi e Gentiloni, che al momento del voto sono usciti dall’aula. Scanzi dimentica di dirvi che il valore dell’astensione è differente fra Camera e Senato. Al Senato, gli astenuti rientrano nel computo dei voti validi (pertanto l’astensione diventa un diverso modo di dirsi contrari al provvedimento). La vera astensione pertanto è praticata uscendo materialmente dall’aula. Alla Camera, invece, gli astenuti non influenzano il numero legale, pertanto stare dentro all’aula o uscire non reca alcuna differenza agli effetti della votazione. Semmai, uscire o meno dall’aula potrà far guadagnare un titolo o un sottotitolo in più sui giornali. Null’altro.

Chi è il più Scanzi del Reame

Cosa vuoi fare da grande, è la miglior domanda che potresti fare a Pippo Civati, poiché poi lui prende sù e ti racconta di quella cosa che si vuol fare insieme, non lui da solo, quella cosa che si chiama Segreteria del PD, dove il PD è quel partito che doveva vincere le elezioni e smacchiare chissà cosa, ed ora di macchie ne ha almeno 101.

Andrea Scanzi scrive a Civati via Facebook, esprimendo una sorta di delusione per quella storia della mozione anti F35, firmata da Sel, M5S e da 14 deputati dei Democratici. La mozione dell’opposizione puntava ad obbligare il governo a rinunciare all’acquisto degli Joint Strike Fighter per destinare altrove almeno 14 miliardi di euro. Intento nobilissimo, sia chiaro. I 14 del PD puntavano ad obbligare il proprio partito a rispettare le promesse espresse in campagna elettorale da Bersani. La loro posizione era una posizione di forza all’interno del gruppo parlamentare. Nessuno dei deputati del PD avrebbe votato una mozione che dicesse palesemente sì all’acquisto (a parte Boccia, che poi ha tentato una perigliosa retromarcia), mentre era largo il consenso per almeno rimandare la decisione in merito ad un più attento riesame nelle rispettive Commissioni parlamentari. Un compromesso discreto, che poteva essere migliore se i soci del governissimo non avessero stemperato alcune spigolature.

Quindi giunge il discorso in aula, “a titolo personale”, di Di Battista. Il quale ha definito collusi i parlamentari democratici che non votano i provvedimenti dei 5 Stelle. Quel discorso ha dissuaso nei dem quelli che avevano intenzione di votare la mozione 5S: erano, a detta di Civati, almeno 30/40. Se questo tipo di dissenso si fosse manifestato, nel PD si sarebbe posto all’ordine del giorno un problema enorme di coesione e il governo avrebbe dovuto rivedere il suo annichilimento a favore dei teoremi alla Brunetta. Invece Di Battista ha vanificato tutto questo, ha vanificato il lavorio di tre settimane da parte di Civati e dei cosiddetti ‘pontieri’. I duri e puri del Movimento hanno una scarsa comprensione degli equilibri parlamentari. Si pregiano delle sparate pubbliche di cui sono capaci, e si rimirano allo specchio, forti dei ‘like’ guadagnati su Facebook.

Cosa c’entra Scanzi? Scanzi rimprovera a Civati i suoi tentennamenti: firmi la mozione e poi non la voti, ti dichiari offeso dalle parole di Di Battista perché lui ti dice la verità:

Non vorrei che tu stessi lavorando per costruirti una carriera come foglia di fico, come buono innocuo nel regno dei quasi-cattivi: come dissidente di professione, a uso e consumo di talkshow e adunanze radical chic, tanto apprezzato quanto disinnescato.

Sono le parole, tradotte in italiano, delle accuse di Beppe Grillo a Civati (sì, il post del cane da riporto). Scanzi è, insieme a Travaglio, la prima linea del Fatto Quotidiano in tema di 5 Stelle e del meccanismo generatore dell’indignazione di cui si nutre tutto il sistema ‘Grillo-Casaleggio’. Segue, molto fedelmente, una linea editoriale. Come tale, deve difendere il ‘prodotto di casa’ e attaccare tutti i potenziali ‘prodotti’ concorrenti. Lo fa scientemente distorcendo il reale (Civati non ha votato sì agli F35, e nemmeno il PD lo ha fatto) per poi affermare che Civati al congresso non ha chance, portando a suffragio l’argomentazione secondo cui è meglio evitare, “per amor di decenza, di asserire il contrario. C’è un limite anche alla speranza, soprattutto nel Pd”, che è sempre un cavallo di battaglia di Grillo (‘siete tutti morti’). Secondo i teorici dell’anticasta, non c’è alcuna speranza di cambiare, specie di cambiare il Partito Democratico: sono pienamente nichilisti poiché pensano, a differenza di Noi, che possiamo soltanto urlare (come Di Battista) mentre tutto affonda. Ebbene, Civati e in fin dei conti tutti noi, non la pensiamo allo stesso modo. Loro, i nichilisti a 5 Stelle, vogliono che Tutto si distrugga al solo fine di potervi dire “io ve l’avevo detto”; noi vogliamo cambiare questo paese. E cominceremo, ancora una volta, indomiti, dal Partito Democratico. E’ solo da qui che si può cominciare. Io non mi adeguo.