Caro Primo Ministro. E’ la voce di un manifestante di piazza Taksim che circola sul web.
“I was an apolitical man; then how come I took to the streets? Not for two trees. I rebelled after seeing how, early at dawn, you have attacked those youngsters who were silently protesting in their tents. I took to the streets because I do not wish my son to go through the same things and I would like him to live in a democratic country”.
Sono apolitico, ha detto Cem Batu, Direttore Creativo di una Agenzia di pubblicità, ma mi sono indignato per come sono stati trattati quei giovani che protestavano per gli alberi di Gezi. Per come sono stati ingiustamente attaccati. No, la rivolta non accade a causa di due alberi, ma per la Democrazia. Chi protesta a Ankara chiede Democrazia, chiede futuro.
La Turchia, uno dei paradisi del capitalismo rampante delle periferie, esplode in tumulti. Gli indicatori economici mantengono segno positivo a dispetto dei partner europei, gravati dalla scure dell’austerità. Eppure il paese entra nel caos e l’innesco è rintracciabile in quel meccanismo plutocratico che stava per cancellare un parco, l’unico parco pubblico in una città di quattordici milioni di persone. La chiave per comprendere i fatti di Gezi si trova quindi in una sola parola: pubblico. La macchina capitalistica, l’interesse privatistico di un centro commerciale stava per distruggere uno spazio pubblico, l’ultimo spazio pubblico rimasto. La protesta turca ricorda a tutti noi che un paese è molto più di un indicatore macroeconomico. Un paese è convivenza.
Non saprei dire se si tratta dell’ultima propaggine della Primavera Araba. Forse ci troviamo di fronte a un fenomeno nuovo, un evento di emotività collettiva. Il sistema politico, sordo alle richieste di partecipazione, chiuso in circuiti autoreferenziali e fondamentalmente orientato a reprimere il dissenso, non ha più strumenti per comprendere l’opinione pubblica. E ignorando la domanda di politiche per il benessere comune, innesca la rabbia per la mancanza di politiche. Qualcosa di simile, su scala diversa e forse con un grado di indignazione diversa, accade anche da noi. E’ un sentimento diffuso in Europa, quello dei giovani di Gezi Park. La difesa dello spazio comune è diventata una battaglia di resistenza contro il sopruso del potere politico/plutocratico. Sbagliate a pensare che si tratti di Medioriente, o di Primavera Araba o di complotti degli americani orditi con i social network: siamo noi i giovani di Ankara e di Istanbul. Noi europei.