Il caso della mozione Giachetti

Intempestiva. Così Anna Finocchiaro ha etichettato la mozione Giachetti (potete leggerla qui, è un mero atto di indirizzo che vincola la Camera, non il governo) che pure era nota da settimane, oggi è diventata dirimente per la prosecuzione dell’esperienza di governo con il Pdl. Sarà l’effetto incoraggiante della “rivincita” di Bersani avvenuta nelle urne domenica e lunedì? Ai posteri l’ardua sentenza. A me, mero osservatore, è parso che le cariatidi del PD, categoria che a sua volta quasi certamente comprende i misteriosi 101, intendono spostare in là nel tempo, e con la soluzione blindatissima delle primarie fra soli iscritti, il congresso e la risoluzione del grande equivoco che ci perseguita dal 24-25 Febbraio. Per resistere, indomiti, e condizionare le dinamiche parlamentari al fine di prolungare la vita amara del governo Letta.

E’ bene ribadire che non vi è stata alcuna rivincita, che il PD è stato salvato localmente solo dalla bontà dei suoi candidati sindaco, che l’astensionismo ha falcidiato maggiormente i partiti liquidi e i movimenti liquidissimi. Detto ciò, l’accordo di ieri sul cronoprogramma delle riforme istituzionali ha palesato ancor di più la dipendenza di Letta dai desiderata di Berlusconi, Brunetta e soci, i quali hanno nuovamente operato per posticipare nel tempo, e forse stralciare, la riforma della legge elettorale. Qualcosa che abbiamo già sperimentato un anno fa, durante il governo dei tecnici. Sappiamo tutti come è andata. Lo sa anche Roberto Giachetti, il quale è andato ostinatamente per la sua strada, perdendo alcuni sostenitori, fra cui Civati (che dapprima ha appoggiato una risoluzione dubitativa sull’accordo di ieri circa la costituzione della Commissione dei 40, poi, consapevole dalla presa di posizione di Letta – ritirate la mozione! – ha votato conformemente alle indicazioni del gruppo). Ma bisogna sottolineare che il voto di oggi era abbastanza insignificante. Un atto di indirizzo verso l’aula, che il PD ha deciso di osteggiare. E senza il voto dei democratici, alla Camera non passa nulla.

Va da sè che stupiscono le impennate della Finocchiaro e l’inconsapevolezza di Epifani. Oramai si rasenta l’ipocrisia. Il vertice del Partito è ancor più indisponente e quella piccola vittoria di domenica, vittoria che si sono frettolosamente intestati (ricordate che Ignazio Marino aveva contro il partito, che lo voleva persino sostituire, tre settimane prima del voto), li ha ancor più ringalluzziti.

E stupisce pure il ritardo con cui il Movimento 5 Stelle si è allineato alla mozione Giachetti. Non sono riusciti a incidere in un dibattito parlamentare che per un giorno si è trasferito tutto all’interno di uno stesso partito.

La Riforma dei partiti del PD è ora diventata legge anti-movimenti – commentate il testo

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Così titola La Repubblica

Per dire dell’isteria che ci perseguita: la proposta di legge Finocchiaro-Zanda è vecchia di un anno. Il 16 Febbraio 2012 il medesimo disegno di legge, identico nel contenuto e nella struttura, era stato presentato da Bersani. Già conteneva la norma della discordia, all’articolo 6:

Art. 6
(Partecipazione alle competizioni elettorali e accesso al finanziamento pubblico)

1. L’acquisizione della personalità giuridica e la pubblicazione dello statuto sulla Gazzetta Ufficiale ai sensi dell’articolo 8 della presente legge costituiscono condizione per poter partecipare alle competizioni elettorali.
2. Accedono ai rimborsi delle spese per le consultazioni elettorali e a qualsiasi ulteriore eventuale forma di finanziamento pubblico esclusivamente i partiti politici che rispettano i requisiti di democrazia interna e di trasparenza di cui alla presente legge e che abbiano ottenuto l’elezione sotto il proprio simbolo di almeno un rappresentante nelle relative consultazioni.
3. I rimborsi per le spese elettorali riconosciuti dalla legislazione vigente sono ridotti del 25 per cento per i partiti politici che non prevedano nel loro statuto l’adozione in
forma stabile, eccezionalmente derogabile solo a maggioranza di almeno i tre quinti dei componenti degli organismi dirigenti collegiali del livello territoriale corrispondente, della procedura di cui all’articolo 4 della presente legge per la selezione dei propri candidati a sindaco e a presidente di regione, delle proposte di candidatura, nel rispetto dell’articolo 92 della Costituzione, alla carica di Presidente del consiglio dei ministri e per la selezione dei propri candidati alle assemblee rappresentative per le quali sia prevista l’elezione nell’ambito di collegi uninominali e l’assegnazione dei seggi tra le forze politiche con formula maggioritaria.

Ne avevo parlato in un post in cui avevo sottolineato il silenzio generale della proposta che pure aveva indubbi meriti, specie perché poneva l’accesso al finanziamento pubblico alla democraticità della selezione delle cariche (leggasi: https://yespolitical.com/2012/02/16/il-pd-vuol-cambiare-i-partiti-e-istituzionalizzare-le-primarie/).

Si può non esser d’accordo? Sì, ma la proposta non è completamente da buttare. Leggetela e commentatela qui di seguito. Mi chiedo che cosa vieti ai 5S di acquisire una personalità giuridica e di pubblicare lo statuto in Gazzetta ufficiale;  cosa gli vieti di assumere lo strumento delle primarie per selezionare le proprie cariche elettive.

Scaricate il testo: https://yespolitical.files.wordpress.com/2012/02/pdl_riforma_partiti.pdf

La non-senatrice Mangili (M5S)

Giovanna Mangili è stata eletta senatrice per il M5S in Lombardia. Suo marito è consigliere comunale pentastellato nel comune di Cesano Maderno. La donna vince le primarie della circoscrizione Lombardia I conquistandosi sia il primo posto il lista per il Senato che le antipatie di tutto il Cinque Stelle milanese. Per le pressioni ricevute su Facebook e palesate dal marito in uno o più ‘aggiornamenti di stato’, aveva pensato di dimettersi all’istante, non appena eletta.

Oggi il Senato ha discusso in aula sulle sue dimissioni. Ai sensi dell’articolo 113, comma 3, del Regolamento, il Presidente ha indetto la votazione a scrutinio segreto. E l’aula ha respinto le dimissioni, ritenute piuttosto vaghe. I colleghi senatori non si sono accontentati dei generici ‘motivi personali’; richiedono invece di ascoltare la donna.

Vito Crimi ha argomentato nella maniera ambivalente che lo ha sempre contraddistinto in queste prime settimane della legislatura. A metà marzo aveva dichiarato che “Giovanna Mangili non ha retto alle pressioni, agli attacchi, alle forti illazioni” (blitzquotidiano.it). Oggi ha detto in aula che Mangili non si troverebbe “nelle condizioni di affrontare un agone, un luogo – per intenderci – che non è una piazza qualunque, in cui dover rappresentare le proprie motivazioni personali o il percorso che hanno portato a fare una tale scelta” (Resoconto stenografico Senato, seduta n. 9 del 03/04/2013). Secondo Crimi, la donna avrebbe espresso la volontà di non esercitare l’attività di parlamentare. Questo sarebbe sufficiente per accettarne le dimissioni. Tutto il blocco dei 5 Stelle (48 voti) ha votato a favore della richiesta di dimissioni. Il Senato vuole appurare invece che tale volontà non sia frutto di minacce o di intimidazioni. Era lo stesso Crimi a dire che Mangili era stata oggetto di forti pressioni e di illazioni. Ora queste stesse pressioni sono trasformate da Crimi in qualcosa d’altro. “Non andare a cercare in dibattiti in rete motivazioni inesistenti, che attengono esclusivamente a questioni personali dell’interessata“, ha detto all’aula.

Così scrisse il marito su Facebook:

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Eppure qualche giorno dopo…

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In realtà credo che Mangili sia una semplice ‘malcapitata’. La risolutezza con la quale il marito, Walter Mio, continua a sostenere il Movimento e specialmente Vito Crimi (è fra quelli che hanno chiesto la dichiarazione di voto pubblica per i 15 votanti eretici di Piero Grasso), è un indice ben chiaro del fatto che non esiste alcun sospetto e, se pure ci fosse stata della discussione sulla elezione della moglie, si sarebbe trattato senz’altro di una miserevole bega da quattro soldi, faccende su cui il Senato dovrebbe astenersi e non spendere altro tempo. Ha pur ragione Anna Finocchiaro a dire quel che ha detto  – citando Zagrebelsky [1] – sul divieto di mandato imperativo e sull’articolo 67 della Costituzione che lo contiene. Ma dubito che ci la vicenda di Mangili meriti argomenti tanto rilevanti. 

[1] La libertà dei rappresentanti, senza vincolo di mandato, esprime questa esigenza che in Parlamento – il luogo dove ci si parla – sia possibile perseguire il raggiungimento di quel punto mediano e che l’Aula non sia il terreno di battaglia di eserciti schierati per ottenere o tutto o niente. I rappresentanti devono disporre di quel margine di adattabilità alle circostanze rimesso alla loro responsabilità. Ecco, in sintesi direi questo: libertà del mandato, uguale responsabilità; vincolo di mandato, uguale irresponsabilità, ignoranza totale delle qualità personali dei rappresentanti, mortificazione delle personalità.

Il boomerang delle pensioni d’oro

La legge italiana tanto spesso diventa insidiosa come sabbie mobili. Parliamo del Decreto sulle commissioni bancarie. Il provvedimento conteneva una norma che salvaguardava le pensioni dei manager pubblici: le cosiddette pensioni d’oro. Il decreto conteneva una norma che prevedeva la salvaguardia dei diritti acquisiti in termini di trattamento pensionistico soggetto al metodo retributivo di quei manager pubblici sottoposti al taglio dello stipendio, calmierato dal tetto di 300mila euro introdotto dal decreto «Salva Italia».

Qualche settimana fa, quando la Lega Nord era nel pieno dello scandalo Belsito & Rosy Mauro e quindi in cerca di un diversivo, il Senato approvò un suo emendamento che abrogava la norma suddetta. Sui giornali si enfatizzò il fatto che il Governo andò sotto sugli emendamenti di Lega e di Idv. In seguito si era meglio compreso la valenza anti-Casta dell’emendamento abrogativo ed esso fu oggetto di ulteriori speculazioni. Alcuni senatori osarono votare contro e “il popolo del web” (che notoriamente non esiste) si è dilettato in un linciaggio a mezzo social network (per una summa sul caso, potete leggere la bacheca del senatore Ignazio Marino, Pd, contrario all’emendamento). Per esemplificare, c’è chi ha pubblicato l’elenco intero dei nomi:

“I nomi: Anna Finocchiaro (capogruppo Pd al Senato). Mauro Agostini (tesoriere del partito). E poi gran parte del gotha del Pd: Teresa Armato, Antonello Cabras, Vincenzo De Luca, Enzo Bianco, Vittoria Franco, Marco Follini, Pietro Ichino, Ignazio Marino, Franco Marini, Mauro Maria Marino, Franco Monaco, Achille Passoni, Carlo Pegorer, Roberta Pinotti, Giorgio Tonini, Luigi Zanda. Tutti membri del direttivo nazionale del partito.

L’alibi dei democratici? “Ce l’aveva chiesto il Governo”, ha detto sommessa la Finocchiaro. Verrebbe da chiedersi cosa farebbe il Pd se l’equo Monti gli chiedesse di gettarsi da un ponte …”.

Marino ha risposto in bacheca affermando di esser stato invitato espressamente a “rispettare la disciplina di partito”. Marino avrebbe già avuto l’ardire di votare contro il governo, qualche settimana fa.

Solo ieri si vociferava che il governo stesse per approntare un emendamento volante che ripristinava il testo originale del decreto. Ma immediato è stato il dietrofront, scrivono le cronache parlamentari. Giarda, Polillo e De Vincenti sarebbero sbarcati in Commissione al Senato nel tentativo di convincere alcuni capigruppo. Ma dal Pd è giunta risposta negativa: non si torna indietro, la misura è “inopportuna” in questo clima politico. Le argomentazioni di Giarda, evidentemente poco convincenti, erano le seguenti:

  • i manager pubblici che hanno già maturato i requisiti per andare in pensione e che sono interessati dalla norma sono molto pochi;
  • ma un loro eventuale ricorso sarebbe facilmente vinto in virtù anche di sentenze della Corte Costituzionale e il relativo costo sarebbe maggiore del costo dei loro trattamenti pensionistici.

L’intento era quindi quello di “evitare di pagare risarcimenti e spese dopo ricorsi che i giudici risolverebbero in cinque minuti a sfavore dello Stato”, sono state le parole di Anna Finocchiaro, capogruppo Pd al Senato.

Se davvero l’abrogazione delle norme che salvaguardano poche decine di pensioni d’oro sono un boomerang, allora era meglio sforzarsi di comunicarlo meglio. Quanto costano davvero? E’ così reale il rischio di perdere i ricorsi? E’ possibile ottenere lo stesso effetto di contenimento delle pensioni d’oro con altre normative? Invece senatori (del Pd) e Governo si sottopongono al tiro al piccione e seguitano a stare zitti. Se la salvaguardia delle pensioni d’oro è conveniente allo Stato, è necessario dimostrarlo con l’evidenza dei numeri. La trasparenza dovrebbe essere il metodo migliore per farsi capire. Evidentemente essi hanno poca confidenza nel fatto medesimo di farsi comprendere dalle persone.

Allora, per spiegare in punta di diritto lo spirito della norma ci è voluto Pietro Ichino, senatore Pd, fra i contrari alla abrogazione e inserito nella lista della vergogna circolata su Facebook negli scorsi giorni. Ichino spiega che la norma “non incide sulla riduzione delle pensioni che maturano da qui in avanti, ma mira solo ad applicare, agli alti dirigenti come a tutti gli altri lavoratori un orientamento giurisprudenziale costante circa i diritti pensionistici già maturati e acquisiti” (pietroichino.it).

Ichino cita la Corte costituzionale (sent. n. 264/1994), secondo la quale il trattamento pensionistico per il quale una persona ha già maturato i requisiti, ma che non viene attivato poiché essa decide di continuare a lavorare, costituisce un diritto acquisito che non può essere inciso da nuove disposizioni e non può subire decurtazioni per effetto di eventuali successive riduzioni della retribuzione: regola, questa, che vale per le pensioni di tutti i lavoratori.

Questo aspetto mi pare chiaro e non credo siano necessari approfondimenti. La norma del Governo non salvaguardava le pensioni d’oro bensì i diritti dei lavoratori, nella fattispecie lavoratori interessati dalla norma del Salva Italia che sottopone le loro generose retribuzioni a un tetto massimo. Né più né meno. E’ un pasticcio alla stregua di quello degli esodati, soltanto che tocca lavoratori “privilegiati”. Tutto qui.

La mia considerazione è che bisognerebbe cercare di capire meglio piuttosto che sbraitare sempre contro la Casta. Sono anni che tolleriamo pensioni d’oro e altri privilegi. Dovremmo prendercela prima di tutto con noi stessi. In secondo luogo: siamo stati abbindolati da un emendamento della Lega Nord. Una smargiassata di chi ha campato sulla pelle nostra senza alcun merito. Penso che almeno le super retribuzioni dei manager pubblici, in pochi remotissimi casi, possano anche esser meritati. E che il tetto agli stipendi è una norma sacrosanta. Ma i lavoratori hanno tutti gli stessi diritti.

Intercettazioni, lo stupro del Senato

Tutto come previsto. Il Senato stuprato vota la fiducia sul ddl intercettazioni. Non sono serviti gli ostruzionismi delle opposizioni. Non è servito occupare l’aula da parte dei senatori dell’IDV. Lo scontro in aula è stato durissimo, a cominciare dalla disputa di ordine regolamentare fra il Presidente Schifani e la capogruppo PD Finocchiaro, la quale ha lamentato il mancato chiarimento del governo sulle modalità seguite per apporre la questione di fiducia che, secondo quanto dichiarato dal ministro per i rapporti con il parlamento, Elio Vito, era già stata disposta nello scorso Consiglio dei Ministri del 25 Maggio. La domanda legittima della Finocchiaro – ma su quale testo il CdM ha deliberato di chiedere la questione di fiducia, se il testo definitivo desume dal profluvio di emendamenti presentati fino a ieri? – è rimasta senza risposta. Il Presidente Schifani se ne è lavato le mani: “i procedimenti che riguardano l’apposizione della questione di fiducia da parte del Governo appartengono, come si dice in dottrina, agli interna corporis del Governo”. Chiusa la discussione. Poi il dibattito, in cui è spiccato il discorso durissimo della stessa Finocchiaro, la quale, annunciando l’uscita dall’aula dei senatori del PD, ha accusato la maggioranza di nascondersi al popolo per continuare a fare i propri affari. Un atto d’accusa pesantissimo.

Qui se ne pubblica il video integrale – che non avete visto da nessun’altra parte, men che meno al tg1;  invece, dell’occupazione dei banchi del governo da parte dei senatori IDV, è stata cancellata ogni traccia sul sito del Senato. Stamane il presidente Schifani ha posticipato la diretta televisiva dopo la espulsione dei senatori ribelli. Un anticipo di censura.

Vodpod videos no longer available.

Chi oggi vota la fiducia, vota la limitazione della libertà di informare e di essere informato, la limitazione dei mezzi a disposizione degli investigatori per accertare reati, per individuare i colpevoli, per punirli

Voi avete colto l’occasione, in un momento assai imbarazzante, diciamo così, per il Governo e per la maggioranza, di nascondere agli italiani i pubblici misfatti, l’esercizio deviato dei pubblici poteri, l’uso privato e la dissipazione delle pubbliche risorse. Voi volete nascondere, voi vi nascondete. Voi non volete controllo (ma questo lo sapevamo già): il popolo che citate così spesso lo volete cieco e sordo, manipolabile. Voi vi servite del popolo quando vi serve per celebrarvi, ma lo volete bue.

Punite anche gli editori, perché casomai il giornalista o il direttore del giornale largheggiasse nell’informazione pubblica – ohibò! – interviene l’editore del giornale e dice: ma che, mi volete far fallire? E di conseguenza, l’editore eserciterà fuori dal suo ruolo – pensate ad una società per azioni, un’impresa come un’altra, che sta a Shangai e che è l’editore di un giornale italiano – un compito di vigilanza, di repressione, di censura per evitare di correre il rischio delle salatissime multe.

La privacy che dite di tutelare è la vostra, è l’ombra nella quale volete continuare a fare i vostri affari. Chi si accontenta nella maggioranza, chi fa finta di non saperlo, oggi non può non saperlo. Io che tremo – non come voi, che l’adoperate in maniera sguaiata e volgare – quando pronuncio la parola libertà, non in nome mio ma in nome d’altri, vi dico che qui oggi il mio Gruppo, che mi ha dato mandato sulla base di un’assemblea che abbiamo celebrato, non parteciperà al voto di fiducia. (Applausi dal Gruppo PD). Non parteciperemo perché noi vogliamo che risulti con ogni evidenza e con il rispetto sacro che abbiamo di quest’Aula e della legge il fatto che da qui comincia il massacro della libertà. (Vivi, prolungati applausi dal Gruppo PD e dei senatori Li Gotti e Giai. Molti senatori del Gruppo PD si alzano in piedi. Commenti dal Gruppo PdL).

Intercettazioni, Finocchiaro (PD): il ddl ritorni in commissione

La seduta del Senato – ancora in corso – si è aperta con la vivace protesta della presidente dei Senatori del PD, Anna Finocchiaro, la quale richiede con forza che il ddl intercettazioni non giunga alla discussione in aula con le modifche volute in extremis dal governo: "Né i senatori dell’opposizione, né quelli della maggioranza né il Senato devono subire l’oltraggio di farsi dettare a che cosa dire signorsì. Se modifiche si devono fare a questo testo, allora si torni in commissione. Non siamo disponibili a farci imporre da nessuno un testo", ha detto.

Dal Resoconto Stenografico in corso di seduta – Senato.it:
Signor Presidente, nel corso della Conferenza dei Capigruppo di ieri si è registrato un disaccordo tra i Gruppi della maggioranza e tutti i Gruppi dell’opposizione in ordine alla calendarizzazione del provvedimento sulle intercettazioni telefoniche a partire da lunedì prossimo. Il voto sul calendario è stato quindi un voto a maggioranza, come lei ha correttamente poc’anzi ricordato.

Noi chiediamo che il calendario venga votato di nuovo in Aula su una proposta che io faccio, che è quella di espungere dallo stesso l’esame del provvedimento sulle intercettazioni telefoniche. Ciò per alcune considerazioni che ho svolto già ieri in Conferenza dei Capigruppo e che oggi vorrei, francamente, riprendere per intero.

Come i colleghi sanno, il provvedimento sulle intercettazioni telefoniche, già approvato alla Camera, arriva molti mesi or sono (credo ormai potremmo datarlo ad oltre un anno) al Senato; per molto tempo non viene discusso, ne comincia poi la discussione in Commissione giustizia. Il testo che arriva è assolutamente insoddisfacente per l’opposizione. Non è tuttavia solo l’opposizione che a questo testo muove delle critiche: è il più vasto mondo che riguarda l’informazione, gli editori, i magistrati (e in particolare la magistratura antimafia), moltissimi costituzionalisti che si sono più volte espressi, e un’opinione pubblica allarmata.

Il testo al Senato, nel corso della discussione (che è lunga e anche molto faticosa), viene ulteriormente peggiorato. Vengono introdotte limitazioni che impediscono chiaramente di poter avere notizia delle indagini a carico di qualunque soggetto, anche quando si tratti di fatti molto gravi (fatti di mafia, di terrorismo o che riguardino l’esercizio dei pubblici poteri o la gestione delle pubbliche risorse) per anni e anni: un vero sistema di censura. Dall’altra parte, vengono limitati gli ambiti della possibilità di utilizzo delle intercettazioni, non solo telefoniche, ma anche ambientali e telematiche, da parte della magistratura inquirente, con limitazioni che riguardano i tempi, ma anche le occasioni e i momenti in cui tali intercettazioni possono essere compiute.

Unica novità positiva è la modificazione di uno dei presupposti per l’ammissibilità delle intercettazioni, che è quello che riguarda la sostituzione della espressione «elementi di colpevolezza» con l’espressione «gravi indizi di reato».

Ma l’attività di peggioramento del testo, affidata da una parte al relatore di maggioranza e dall’altra parte al consenziente – sempre consenziente – rappresentante del Governo, procede inesausta. Eppure, è materia sulla quale benissimo opposizione e maggioranza avrebbero potuto trovare un punto d’incontro. Infatti, che si debba riformare la materia delle intercettazioni per una più accurata e seria tutela della privacy dei soggetti e della dignità di tutti coloro i quali vengono intercettati, qualunque sia lo strumento delle intercettazioni, essendo estranei alle indagini, o per limitare la diffusione di notizie che riguardino la vita privata o aspetti non inerenti alle indagini, sia di estranei alle indagini stesse, sia degli stessi indagati, è un’opinione talmente condivisa in questo Parlamento che già dalla scorsa legislatura si sono succeduti disegni di legge, alcuni dei quali provenienti non soltanto dal Governo, ma anche da questo Gruppo. Voglio ricordare quelli presentati in questa legislatura: uno come primo firmatario il senatore Casson e l’altro come prima firmataria la senatrice Della Monica.

Pertanto, se davvero si fosse voluto influire sui meccanismi che tradiscono il segreto istruttorio o che provocano una lesione insopportabile e non giustificata della privacy e della dignità dei soggetti coinvolti nelle indagini e nelle intercettazioni, si sarebbe potuto molto facilmente trovare un accordo. Ma evidentemente lo spirito non era questo, e l’attività indefessa di peggioramento del testo operata dal relatore di maggioranza e dal rappresentante del Governo, evidentemente in esecuzione di un input politico netto (direi anche nettissimo) continua senza sosta.

I numerosissimi emendamenti presentati dalle opposizioni, tutti minuziosamente illustrati (e non per fare ostruzionismo, come ieri ha ricordato lo stesso presidente Berselli in una lettera che, peraltro, ha aspetti che non condivido, su cui tornerò molto brevemente dopo), danno atto all’opposizione di aver tentato di migliorare questo testo e di ricondurlo nell’alveo di quello che avrebbe dovuto essere, e cioè un provvedimento serio a tutela della privacy e del segreto istruttorio. Così non è stato.

Nel frattempo si accendono fuochi anche all’interno della maggioranza. Fuochi si sono accesi ovunque in Italia; come sapete, i direttori di tutte le testate giornalistiche, anche quelli dei cosiddetti giornali che appartengono all’area culturale e politica del centrodestra, hanno firmato un documento durissimo nei confronti di questo provvedimento.

Si accendono fuochi ovunque e comincia a serpeggiare in maniera sempre più esplicita e patente la notizia che il testo che è stato approvato in Commissione giustizia al Senato sia sostanzialmente carta straccia, poiché una modifica seria, invadente – immagino – dello stesso è già pronta per essere presentata dal Governo. Noi ci troveremo, quindi, nella bizzarra situazione in cui, dopo aver impiegato giorni e notti a discutere il testo, esamineremo lunedì e martedì un testo che di fatto non esiste più: si tratta di una ulteriore, drammatica finzione che si aggiunge alla mistificazione di un testo che avrebbe dovuto tutelare la privacy e il segreto istruttorio e che in realtà serve a limare le unghie ai magistrati e ad instaurare la censura in questo Paese. La chiamo così com’è: la censura. (Applausi dai Gruppi PD e IdV).

Signor Presidente, ora lei capisce che l’opposizione non può lasciar fare. Io mi stupisco che lascino fare i senatori della maggioranza. Da ieri si susseguono dichiarazioni di rappresentanti del centrodestra della Camera, i quali dicono che il testo verrà cambiato, che si tornerà al testo della Camera, che grandi modifiche verranno fatte.

Non voglio pensare alla mortificazione del rappresentante del Governo e del relatore di maggioranza che – con tanta forza, talvolta ottusa e, lasciatemelo dire, sorda alle richieste dell’opposizione – hanno continuato a perseverare nel peggioramento ulteriore di questo drammatico testo. (Applausi dal Gruppo PD).

Ma mi riferisco, colleghi, anche all’autorevolezza di questo Senato. E per non esser offensiva farò un paragone che coinvolge, avvocato Longo, non soltanto i senatori della maggioranza, ma anche quelli dell’opposizione: ci troviamo nella straordinaria situazione, nella quale si trovarono quei soggetti che non erano uomini, ma muli sui quali venivano caricate le vettovaglie, gli armamenti della Prima guerra mondiale, chiamati a scalare montagne pietrose e pericolose per poi magari sentirsi dire che c’era un contrordine, per che diavolo di motivo avevano fatto la fatica di salire e che dovevano scendere in pianura, dove gli ufficiali splendenti nelle loro divise andavano con la vittoria scritta in fronte verso la battaglia.

Francamente credo che né i senatori di maggioranza, né i senatori della opposizione, né il Senato in quanto tale possano sopportare l’oltraggio di farsi dettare a che cosa dire signor sì. Applausi dai Gruppi PD e IdV).

Pretendo, a nome del mio Gruppo, che questo testo torni in Commissione se modifiche si devono fare!

Si facciano le modifiche nella pienezza dei poteri di critica, controllo, proposta, approvazione da parte dei senatori di Repubblica e solo dopo vada in Aula il testo. Non siamo disponibili a farci imporre da nessuno un testo. E questo lo dico in un momento in cui tra l’altro – mi si lasci dire – l’urgenza, la straordinaria urgenza di questo provvedimento non la vedo.

Ieri abbiamo approvato il provvedimento sulla Grecia e abbiamo chiesto che il ministro Tremonti venga in Aula in un clima di amicizia, Presidente e colleghi, non in un clima di ostilità per spiegarci qual è la situazione europea perché ci apprestiamo ad esaminare una manovra che voi dite essere di 24 miliardi, ma in realtà è di 36 miliardi, che imporrà lacrime e sangue all’Italia e, soprattutto ad alcuni soggetti, come sempre quelli più esposti, più facilmente raggiungibili.

Mentre tutto questo arde, mentre i giornali di tutto il mondo portano in prima pagina le notizie che riguardano la crisi europea, dobbiamo romperci il collo per affrontare un testo, non sapendo di che cosa stiamo parlando. (Applausi dai Gruppi PD e IdV).

Credo che questo sia inaccettabile perché noi sappiamo bene di cosa stiamo parlando: stiamo parlando della libertà d’informazione, del diritto dei cittadini di sapere e controllare anche l’uso della giurisdizione. Stiamo parlando del diritto sacro alla privacy e alla dignità dei soggetti, pure se coinvolti in un procedimento penale. Stiamo parlando della possibilità concreta di fronteggiare la criminalità, specie quella più feroce.

Per queste ragioni, Presidente, chiedo all’Assemblea di pronunciarsi perché il provvedimento sulle intercettazioni telefoniche non venga fissato per la discussione per i giorni di lunedì e martedì prossimi. (Vivi e prolungati applausi dai Gruppi PD e IdV e dei senatori Astore e Giai. Congratulazioni. Commenti dai banchi della maggioranza. Richiami del Presidente).

http://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?tipodoc=hotresaula

Intercettazioni, il governo cambia l’emendamento “D’Addario”

Mentre il ddl Intercettazioni langue in 2a Commissione Giustizia, la Conferenza dei Capigruppo alla Camera riunitasi oggi, non ha preso alcuna decisione se inviare il testo in aula come emendato dalla commissione. Questo nonostante le pressioni della maggioranza la quale parla per bocca dell’on. Quagliarello, secondo il quale il disegno di legge giace in commissione “da oltre un anno” – come per dire, tempo immemorabile – e “il suo iter in commissione” è già “abbastanza avanti e credo che subito dopo il decreto incentivi che scade la settimana prossima si potra’ procedere con il ddl intercettazioni”. Risposta della Finocchiaro (PD):

  • La presidente dei senatori del Pd Anna Finocchiaro ha tirato il freno in Conferenza dei Capigruppo quando il vicario del Pdl Quagliariello ha proposto la calendarizzazione del provvedimento per l’Aula gia’ dalla prossima settimana. ‘Mi sembra – ha detto Finocchiaro – che siamo ben lontani dall’aver sciolto i nodi principali del provvedimento’

La giornata di oggi in Commissione Giustizia è stata caratterizzata dall’approvazione di un piccolo emendamento dell’opposizione a firma di Casson (PD) e altri ma soprattutto dalla presentazione da parte del governo dell’mendamento all’emendamento D’Addario, versione 3.0. L’emendamento D’Addario è stato così nominato per una intuizione giornalistica quell’emendamento che vieta registrazioni di conversazioni e comunicazioni fraudolente, ovvero senza l’informazione e il consenso di chi viene immortalato nei nastri o nelle memorie digitali. Una norma scritta su misura contro la escort del sex gate all’italiana.
Ecco come il governo intende cambiarlo:

    • 1.2007 (testo 3)IL RELATORE

      Al comma 26, dopo la lettera g), inserire la seguente:

      g-bis) dopo l’articolo 616 del codice penale, è aggiunto il seguente:

      “Art. 616-bis. (Riprese e registrazioni fraudolente). Chiunque fraudolentemente effettua riprese o registrazioni di comunicazioni e conversazioni a cui partecipa, o comunque effettuate in sua presenza, è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni, se ne fa uso senza il consenso degli interessati.

      La punibilità è esclusa:

      quando le riprese o registrazioni di cui al primo comma sono utilizzate nell’ambito di un procedimento innanzi ad autorità amministrativa ovvero giudiziaria ordinaria o amministrativa o nell’ambito di un procedimento volto alla definizione di una controversia;

      quando le riprese o registrazioni di cui al primo comma sono effettuate nell’ambito delle attività di difesa della sicurezza dello Stato;

      quando le riprese o registrazioni di cui al primo comma sono effettuate ai fini dell’attività di cronaca dai giornalisti professionisti iscritti nell’albo professionale;

      Il reato è punibile a querela della persona offesa.”

Sostanzialmente viene confermato il primo comma, mentre il secondo, che inizialmente prevedeva l’esclusione della punibilità solo nel caso emerga “una notizia di reato e la stessa viene tempestivamente comunicata all’autorità giudiziaria”, vede ampliato il novero di casi non punibili, salito a tre:

  1. UTILIZZO IN PROCEDIMENTO GIUDIZIARIO O AMMINISTRATIVO: quando le riprese o registrazioni di cui al primo comma sono utilizzate nell’ambito di un procedimento innanzi ad autorità amministrativa ovvero giudiziaria ordinaria o amministrativa o nell’ambito di un procedimento volto alla definizione di una controversia;
  2. SICUREZZA NAZIONALE: quando le riprese o registrazioni di cui al primo comma sono effettuate nell’ambito delle attività di difesa della sicurezza dello Stato;
  3. ATTIVITA’ DI CRONACA: quando le riprese o registrazioni di cui al primo comma sono effettuate ai fini dell’attività di cronaca dai giornalisti professionisti iscritti nell’albo professionale.

Relativamente al primo caso, il più controverso, non si capisce se il reato non sia più punibile solo dal momento in cui un giudice decide di impiegare il materiale durante il dibattimento o se ciò valga anche per la fase di istruttoria; oppure, un esempio pratico, il caso del pestaggio da parte della polizia a Roma del ragazzo passante scambiato per ultrà, è punibile chi ha registrato le immagini? Anche in questo caso le persone immortalate non sono a conoscenza della registrazione. Chi opera le registrazioni non è un giornalista iscritto all’albo professionale come invece previsto dal terzo punto. Che succede? Se non sono un giornalista non posso produrre una testimonianza filmata di un reato di cui sono testimone? Le eccezioni sono ben più delle tre introdotte dal legislatore. E il governo dimostra di non conoscere una materia, quella del diritto di privacy, che ha implicazioni enormi sul quadro giuridico complessivo.

Chi decide di trattare sulla RU486? La Finocchiaro?

Sì, è esploso l’effetto Marino. Nel senso che quello che Marino diceva e dice dall’inizio della sua campagna per la segreteria, è che gli altri sfidanti non sono in grado di mantenere una posizione unitaria sui temi etici. La realtà, ahimè, ha superato "l’immaginazione" – intuizione –  di Marino: il caso della RU486 si è generato da una decisione della segreteria, quindi anche di Franceschini, di lasciar decidere il gruppo parlamentare, guidato dalla Finocchiaro. La quale si è messa in contatto con – badate bene – il sen. GASPARRI, proprio lui, e gli ha proposto un sì bipartisan in commissione purché sia pronunciato dopo il congresso Pd, e qui è chiaro che la Segreteria e la Finocchiaro non volevano scoperchiare il pentolone dei temi etici, quando già è in atto la discussione alla Camera sul famigerato DDL Calabrò che istituisce il sondino di Stato per tutti noi gioiosi prossimi morenti comatosi.
Invece il mefistofelico Gasparri ha teso un trappolone e il castello di carte è crollato: Dorina Bianchi si è dimessa da relatrice ed è scoppiato il secondo bubbone (il primo è quello calabro dei brogli nei circoli).
Franceschini sta tremando. Teme di perdere al Nord. Allora da una parte cerca di dipingersi come novello laico, fautore di una politica dei diritti civili; dall’altro si attiva per sottrarre il partito da una divisione certa sugli aspetti cogenti del testamento biologico e dell’aberrante disegno di legge del governo, sul quale sta per scatenarsi un dibattito furente di cui la pillola abortiva ne è solo il prologo.
C’è chi scrive sul web – lo riporto in coda a questo post – di Marino come di colui che cerca solo lo scontro e non ha niente da dire. Ci si chiede se questo fantomatico autore di articoli sia connesso con la realtà fattuale oppure sia deviato in mondi paralleili: è esattamente chi difende quelli da cui deve guardarsi. Tale sedicente cronista avrebbe per esempio fatto una cosa giusta dare una risposta alla seguente domanda: quando un confronto pubblico fra dei candidati è una inutile rissa cercata solo per avere un po’ di visibilità? Perché continuare a stigmatizzare chi vuole incrementare il livello – basso –  di democraticità di questo partito? Di cosa hanno paura tutti?

A un mese dal voto per le primarie, letti e riletti quei numeri, lunedì sera Dario Franceschini alla fine si è deciso: «Nei congressi delle grandi città e al Nord, Ignazio Marino è troppo alto. Bisogna intervenire». E’ proprio così. Inatteso ma oramai lampante, è esploso l’«effetto Marino». Certo per ora nei congressi di sezione ha votato circa il 37% dei tesserati, ma nelle realtà urbane del centronord va decisamente forte il semisconosciuto chirurgo, campione dei temi etici: a Milano è attestato al 30%, allo stesso livello di Franceschini, a Torino è al 19%, a Firenze al 14%, mentre a Roma, col 25,2%%, ha preso più voti del segretario in carica. A questo punto Franceschini lo ha capito: Marino, il candidato anti-appa-rato se alle Primaire sfonda nell’elettorato «intransigente», il segretario è spacciato. Perché il suo progetto è quello di provare a ribaltare il risultato delle sezioni (favorevoli a Pier Luigi Bersani), proponendosi al più vasto popolo delle Primarie come l’outsider, come l’interprete del rinnovamento possibile.

E’ per questo motivo che lunedì sera Franceschini ha deciso una vera e propria svolta laica, uscendo allo scoperto con un’intervista all’«Espresso» da «cattolico molto adulto». La Chiesa? «Non può dire ad un parlamentare come deve votare». Il Pd e i temi etici? «Fino a poco tempo fa c’era solo la libertà di coscienza, poi c’è stata la posizione prevalente, ma ora il Pd dovrà avere una sola posizione». L’eutanasia? «La sospensione delle cure deve essere decisa del diretto interessato o di chi l’ha amato. Lo Stato deve fermarsi fuori dalla camera di quella persona». La pillola anti-abortiva? «La legge sull’aborto nessuno la mette in discussione e dunque se esiste un modo meno invasivo per la donna perché opporsi?». Gay assenti nelle feste del Pd? «Nessuna discriminazione».

Una svolta laica corroborata anche con un intervento molto netto sulla querelle che si stava aprendo nel Pd attorno alla cosiddetta pillola abortiva. Due giorni fa la senatrice pd Dorina Bianchi, cattolica vicina ai Teodem, aveva votato sì ad un’indagine conoscitiva sulla pillola RU486 decisa dalla Commissione Sanità del Senato e aveva anche accettato di fare la relatrice. Sembrava un’iniziativa a titolo personale della Bianchi, impressione rafforzata da una lettera di ieri mattina di Franceschini alla capogruppo Anna Finocchiaro («Sull’indagine conoscitiva decide il Gruppo»), fino a quando, riunita l’assemblea dei senatori, si è scoperto come stavano le cose. La Finocchiaro ha raccontato che il Pd aveva concordato col Pdl il sì all’indagine, ma a condizione che questa si svolgesse «dopo il congresso del Pd». Una ricostruzione dei fatti che ha spiazzato e sorpreso diversi senatori: l’esperta Finocchiaro aveva pubblicamente ammesso di aver trattato col capogruppo Pdl Maurizio Gasparri e con Antonio Tomassini, uno dei medici di Berlusconi, sulla base di un singolare scambio: sì alla indagine, in cambio di una tempistica che non interferisse nel dibattito congressuale. E ricevendo in cambio una decisione velenosa: l’inchiesta si concluderà due giorni dopo la conclusione della conta del Pd. In serata, per effetto delle polemiche suscitate, l’unica che si è dimessa è stata Dorina Bianchi, che ha rinunciato all’incarico di relatrice.

Con gli altri sfidanti che provano a convergere sul suo terreno preferito, Ignazio Marino fa ironia: «Franceschini e Bersani? Poverini, non possono avere posizioni chiare sui temi etici perché sono bloccati dalle posizioni inconciliabili di coloro che li sostengono».

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    • Sì al confronto con la gente, su internet e soprattutto nelle piazze. Ma no al confronto-scontro con un avversario che in passato non ha esitato a strumentalizzare tristi vicende di cronaca per danneggiare la reputazione del PD e di tutti i suoi militanti, a favore di un proprio tornaconto di visibilità.
    • Dunque Bersani e Franceschini, che a questo partito hanno dato concretamente molto, non devono accettare questo invito da chi insegue e pensa di utilizzare i riflettori esclusivamente per cercare la rissa, la bagarre, l’insulto gratuito, o peggio l’offesa personale. E poi questa smania di Marino la trovo quantomeno sospetta. Tipica di chi non ha un serio programma alle spalle.

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Dorina Bianchi rinuncia al mandato di relatore di minoranza.

Così alla fine Dorina bianchi, che per Marino è ormai un problema oggettivo per tutto il PD, ha rinunciato al mandato di relatore di minoranza nell’indagine conoscitiva sulla pillola abortiva RU486.
Ancora una volta il PD non parla a una sola voce, che è riconosciuto come il suo problema storico. Inoltre, la Bianchi ha votato in opposizione alle indicazioni del suo gruppo parlamentare. Questo voto "ribelle" non è un merito. E’ un danno per il partito stesso. Oggi Marino si è espresso con toni duri ma consapevoli del fatto che così facendo si mette il PD nelle condizioni di mostrare tutta la sua ambiguità nella direzione politica. Si mette il PD nella condizione di non saper esprimere alcuna posizione chiara rispetto ai temi etici che investono in pieno la sfera dei diritti individuali.

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    • Dorina Bianchi ha rinunciato al mandato da relatore nell’indagine conoscitiva della commissione Sanità del Senato sulla pillola Ru486. Lo ha annunciato la stessa senatrice nel corso della riunione del gruppo del Pd al Senato, che ha salutato le sue parole con un applauso. "Nessuno di noi consentirà – ha commentato la presidente dei senatori del Pd Anna Finocchiaro – che Dorina Bianchi venga utilizzata per ipotizzare divisioni nel Pd, e non lo consentirà neanche lei". 
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    • La presidente dei senatori del Pd, Anna Finocchiaro, ha convocato una riunione del gruppo alle 13 per discutere la posizione di Dorina Bianchi, in seguito alla sua decisione di votare ieri in modo difforme in commissione sanitàsull’indagine conoscitiva sulla pillola Ru486. Lo ha riferito il senatore Ignazio Marino a margine di una conferenza stampa.
    • La senatrice radicale eletta nelle liste del Pd, Donatella Poretti, ritiene «un atto dovuto» quello delle dimissioni di Dorina Bianchi da capogruppo Pd in commissione Sanità
    • Dorina Bianchi ha rinunciato al mandato di relatore di minoranza nell’indagine conoscitiva sulla pillola RU486. La capogruppo del Pd in commissione Sanità lo ha annunciato durante la riunione dei senatori democratici a Palazzo Madama.
    • «La gestione politicamente suicida della vicenda del testamento biologico – dice Poretti – avrebbe dovuto insegnare che stare sui giornali non equivale sempre ad ottenere risultati politici per il gruppo che si dice di rappresentare, e nemmeno per le idee che si dice di voler sostenere
    • Oggi ci risiamo: la senatrice Bianchi si fa nominare relatrice di una indagine conoscitiva su cui i componenti della commissione e la presidenza del gruppo avevano manifestato forti perplessità su modalità e tempi
    • Poretti: rischio revisione 194. Secondo Poretti, però, nella migliore delle ipotesi l’indagine si chiuderà «con la messa all’indice della donna che non può essere lasciata da sola ad affrontare l’aborto, e rafforzerà la tesi secondo la quale l’aborto farmacologico è un metodo che per le donne italiane non va bene, come fossero una specie a parte rispetto al resto del mondo»
    • «Nella peggiore delle ipotesi – prosegue Poretti – l’indagine si chiuderà aprendo la strada ad una modifica alla legge 194 in senso restrittivo prostrandosi alle richieste della Chiesa. Questa è la posizione del Pd o di Dorina Bianchi? La fase delle primarie del Pd potrebbe risultare utile proprio a dibattere i temi, anche quelli più scomodi»
    • «Dorina Bianchi ormai è un problema oggettivo per il Pd». Così Ignazio Marino ha commentato il voto dato ieri in commissione Sanità del Senato da Bianchi in difformità dalle indicazioni del gruppo sull’indagine conoscitiva sulla pillola RU486
    • Al di là del merito del voto di Dorina Bianchi sull’indagine conoscitiva, ha aggiunto Marino, «c’è un problema di democrazia interna nel Pd. Il capogruppo in commissione non può imporre la sua posizione, ma deve essere il portavoce degli altri componenti. E Dorina Bianchi ha più volte portato il suo voto su una posizione difforme rispetto a quella del gruppo del Pd»
    • I cronisti hanno domandato a Marino se lui, qualora divenisse segretario del Pd, prenderebbe provvedimenti disciplinari contro Bianchi: «la presidente Anna Finocchiaro ha già convocato il gruppo per discutere la posizione di Dorina Bianchi. Certo, fa sorgere dei dubbi che un capogruppo in commissione ad ogni votazione importante non riesca a rappresentare il proprio gruppo».
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    • ”Non capisco come una commissione del Senato che ha compiti legislativi abbia deciso di trasformarsi in uno strumento per giudicare sperimentazioni cliniche gia’ effettuate i cui risultati sono stati approvati da tempo dalla Fda (l’organismo americano di controllo sui farmaci) e dall’Aifa”. Cosi’ Ignazio Marino commenta la decisione presa oggi dall’ufficio di presidenza della Commissione Sanita’ del Senato di istituire una commissione di indagine sulla pillola RU486.
    • ”Mi chiedo – continua Marino – se e’ davvero questo il modo piu’ corretto di utilizzare le risorse del Senato. Con quale obiettivo si avvia un’indagine superflua dato che il Governo ha altri strumenti per elaborare le linee guida? Che ci faremo di questa indagine? Chiederemo di pubblicare un articolo scientifico? Certo, questa situazione non si sarebbe determinata se la capogruppo del Partito Democratico Dorina Bianchi non avesse dato il suo voto a favorevole e se, piu’ prudentemente, avesse fatto in modo di aprire un dibattito all’interno della commissione, in maniera collegiale”.
    • ”Non sono certo infatti, che il gruppo del PD – conclude – sia convinto di questa decisione mentre certamente non lo sono io”.

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