L’incubo del 2006

Sì, insomma, lo spettro del pareggio. O della rimonta. O della vittoria del centrodestra. Per un paese che vive di paure – storica proprio la campagna elettorale del 2006, tutta giocata sull’emergenza immigrazione, che non c’era – non c’è da meravigliarsi se l’immagine consolatoria proviene proprio dalla televisione, che spaventa per rassicurare, che rassicura per poter spaventare. Nel solito chiasso dei talk show passano messaggi subliminali costruiti in piccoli uffici milanesi (o romani, a seconda dell’emittente): l’IMU che finisce nel caveau del Monte dei Paschi di Siena è un falso che si regge sul sentimento che quella tassa sia stata una imposizione ingiusta, sebbene sia stato l’unico (insieme alla Riforma delle Pensioni) provvedimento del governo Monti che ha rassicurato gli investitori, ancor prima dell’intervento di Draghi e dei suoi ‘OMT’ (Outright Monetary Transactions). Ed è poi una catena di associazioni mentali facili come sovraimpressioni visive, Mps e le Fondazioni bancarie, la politica senese, che è tutta in mano al PD, come se non ci fosse alcuna relazione fra questo scandalo e il collasso finanziario globale che ha pure rivelato una élite bancaria completamente fuori controllo (e una classe politica incapace di controllo) e che agisce come un virus fregandosene di difendere le reti sociali e perseguendo solamente il proprio fine, ovvero raggiungere gli obiettivi di bilancio annuali e incassare i cospicui bonus (insieme a uno 0.5% di interessi, che c’è sempre in questi casi).

Ecco, in questo cascame di informazioni parziali, la prima pagina di ieri di Libero – che ha pubblicato la fototessera dei consiglieri regionali del centrosinistra lombardo additandoli come impresentabili poiché ‘incorporati’ nell’inchiesta sui rimborsi ai gruppi consiliari regionali – è il colpo sotto la cintola che ci si aspetterebbe sempre da soggetti come Belpietro e Sallusti. Il problema è che il linguaggio del sospetto ci ha inquinati tutti quanti, e allora se un consigliere regionale, per i suoi spostamenti legati alla propria attività istituzionale, prende il taxi, diventa subito colpevole di un vizio capitale: aver usurpato denari pubblici. “Si paghi il taxi con i propri soldi”, è l’immediata equazione. Ed è un linguaggio che tracima e investe Repubblica, il Corriere, tutti. Chi legge o ascolta vuol scandalizzarsi per qualcosa. Chi scrive o conduce talk show non ha interesse alcuno ad approfondire. Poco importa se si passa sul cadavere di persone oneste e che si sono battute per eliminare il vitalizio. Poca importa la biografia del singolo consigliere. La Nutella è quella cosa che si ‘spalma’, anche sui rimborsi disonesti. Abbiamo trascorso mesi a condannare l’antipolitica. In pochi dicevano di non chiamarla così. Che quel ‘sentimento’ di indignazione è un motore che produce consenso verso chi condanna. Adesso l’hanno capito tutti. E l’antipolitica è diventata un comodo rifugio, in questa campagna elettorale. E’ comoda perché produce interesse senza troppi sbattimenti, fa vendere copie, fa aumentare i consensi. “Sono tutti coinvolti”, “sono tutti uguali”. Quindi perché dovrei cambiare (il mio voto)?

Il 2006, così semplice. Così rassicurante.

Grillo, un comico da prendere sul serio via @guardian

Per John Foot (Guardian) nessuno conosce le reali ragioni del successo del Movimento 5 Stelle in Sicilia. Ma un fatto è certo: “tutti i partiti tradizionali sono terrorizzati da quel che potrà accadere alle elezioni generali nella primavera 2013”. Il M5S è in procinto di mettere da parte tutta la classe politica italiana. Non ha tutti i torti, John Foot. La sua analisi per una parte è molto simile a quanto già si è letto in Italia: ci ricorda che Grillo era un comico di successo e che si bruciò – televisivamente parlando – quando disse che i socialisti di Bettino Crazi erano dei ladri. Da allora ebbe inizio l’esilio di Grillo dalla Tv, fatto che lo ha condotto, dopo un lungo e tortuoso viaggio, all’attività di blogger e ora di capopolitico.

I seguaci di Grillo, per quanto ne sappiamo, tendono ad essere giovani e idealisti. La maggior parte dei suoi candidati non ha alcuna esperienza politica. Molti, se non tutti, sono cresciuti con internet e lo usano quasi esclusivamente per comunicare e ottenere informazioni e notizie. Il Partito di Grillo è sia postmoderno che post-politico. Ma il Movimento Cinque Stelle combina questi nuovi elementi con un vecchio stile, il populismo anti-politico.

Appunto, la vecchia retorica dell’antipolitica è stata il carburante poco nobile su cui è stato edificato un consenso ventennale, quello di Berlusconi e dei suoi alleati, in primis Bossi. Era antipolitica la figura del candidato-imprenditore, del secessionista in canottiera. Lo era rispetto alle facce lugubri e alle perifrasi dei capicorrente del pentapartito. A quella retorica abbiamo sostituito la retorica del berlusconismo-antiberlusconismo, ingurgitando per anni dibattiti televisivi orientati sul nulla e legislature piegate alla volontà di uno solo. Ora che proviamo odio per tutto ciò, qualcuno è già pronto per cavalcarlo. E’ stato tanto scaltro da prevederlo per tempo, che avremmo odiato la politica e tutti i suoi privilegi, anche quelli meritati.

Che cosa significa il successo di Grillo per l’Italia? E ‘interessante guardare il “programma” a 5 Stelle, che è quasi del tutto negativo. Il manifesto è costituito in gran parte da una serie di leggi esistenti che saranno abrogate una volta preso il potere, oltre a un po’ di ecologia (Grillo è quasi un messia in materia ambientale) e una buona dose di euroscetticismo. Non è un programma di governo. Grillo non ha nulla da dire a 5 milioni di immigrati, e molto poco da dire in Europa. Il suo messaggio è solo per gli italiani, e il suo linguaggio violento e anti-istituzionale gli ha attirato accuse occasionali circa il fatto che lui sarebbe un “fascista del web”. Altri hanno visto in lui una versione di Berlusconi basata u internet. Ci sono dubbi anche sul suo controllo sul “movimento”, che sembra essere assoluto, e forse un po’ simile alle strutture di potere che lui è così pronto a criticare in altri. […] Qualunque cosa accada, il Movimento a Cinque Stelle non può più essere ignorato, e la reazione violenta della politica (e dell’élite intellettuale) al sorgere di Grillo è una chiara indicazione che abbiamo bisogno di prendere questo comico molto sul serio.

Articolo originale:

Movimento 5 Stelle e antipolitica non sono la stessa cosa

Ho avuto modo di leggere l’eccellente e provocatoria analisi di Ilvo Diamanti, stamane su La Repubblica, di cui vorrei sottolineare questo passo e suggerirvi uno spunto di analisi:

Monti e Grillo: sono entrambi "dentro" e "fuori" la democrazia rappresentativa. Dentro. Monti, ovviamente. Perché occupa ruoli istituzionali importanti, già da molti anni. Prima e dopo l’avvento del Berlusconismo. E perché la sua azione, oggi, è legittimata dai partiti e dal Parlamento degli eletti (o, meglio, dei "nominati"). Grillo e il M5S: perché agiscono mercato politico. Competono alle elezioni – oggi amministrative e domani legislative – per eleggere i loro candidati. Nelle istituzioni rappresentative. Perché danno visibilità e rappresentanza a domande politiche e a componenti sociali, altrimenti escluse, comunque ai margini. Fuori. Perché entrambi sono emersi "fuori" dai canali tradizionali della democrazia rappresentativa. I partiti e la classe politica. Fuori dai media che caratterizzano la "democrazia del pubblico". Di cui Monti sottolinea l’incapacità di governare. Grillo e il M5S: l’incapacità di "rappresentare" – e di far partecipare direttamente – i cittadini (La Repubblica.it).

Ilvo Diamanti organizza il suo schema argomentativo intorno al binomio Monti-Grillo come erede della politica nell’era post-berlusconiana. La politica dell’interesse privato ipertrofico che occupa la sfera pubblica e trasforma il partito politico, oramai svuotato di qualunque ideologia, in gruppo d’affari, in partito “personale”, lascia il campo da un lato ad una risposta dall’alto, il potere ipertecnico di Monti e dei Bocconiani; dall’altro ad una risposta dal basso, al potere tecnoutopico, privo di competenza specialistica ma diffuso, basato su un sapere collettivo e condiviso attraverso la tecnologia del web 2.0 quale vuole essere il M5S.

Diamanti scrive che il M5S e Monti sono “dentro e fuori la democrazia rappresentativa”. In particolar modo, il M5S è dentro la politica poiché partecipa alla competizione elettorale per l’assegnazione della delega di rappresentanza: esso dunque si configura proprio come un “corpo intermedio”, come un partito politico, portatore di parte della domanda e del sostegno che promanano dal sistema sociale. Esso è assolutamente “sistemico”. Scrive Diamanti: essi (Monti e M5S) “danno visibilità e rappresentanza a domande politiche e a componenti sociali, altrimenti escluse, comunque ai margini”. In questa frase è nascosto il senso del M5S: esso è una risposta al malfunzionamento del sistema politico che è altrimenti chiuso verso l’esterno. M5S è anticorpo al disfacimento del sistema politico: di fatto, ne costituisce la salvezza. Proprio perché riattiva il flusso “domanda, sostengo” vs. “rappresentanza”, scambio che gli altri partiti hanno invece bloccato, essendo essi stessi portavoce di interessi privati, quindi vincolati a meccanismi di fedeltà verso il proprio gruppo di riferimento. Riattivando questo flusso, il M5S riduce il grado di entropia (di disordine) del sistema, riportandolo all’originario funzionamento.

Berlusconi, il nuovo volto del populismo anticasta

Come può reagire un leader anziano, coinvolto in scandali sessuali, corruzione e induzione alla falsa testimonianza (per non dire di peggio), zimbello di tutto il paese e messo in ridicolo sui giornali esteri, ignorato dalle cancellerie di mezzo mondo, al governo dal 2008 e incapace di fornire adeguate risposte per fronteggiare la crisi del debito, responsabile riconosciuto della paralisi del paese, come può reagire dinanzi a tutto ciò?

Semplice: con un cambio di veste. O un cambio di programma. E’ il suo mestiere, d’altronde.

Le migliori menti della sua organizzazione mediatico-partitica hanno elaborato la ‘exit strategy’ berlusconiana: un nuovo partito. Affossare il PdL, simbolo della marcescenza di questi anni e rifondare una nuova aggregazione anti-ideologica, personalistica, profondamente legata dalle dinamiche aziendali di Mediaset. Un partito non-partito, riconoscibile come il nuovo, senza alcun legame con la melma degli apparati romani. Un partito leggero, senza organizzazione. Senza baroni né colonnelli. Che faccia il pieno dell’Antipolitica.

Sì, avete capito bene. B. vorrebbe pescare i voti nel populismo anti casta.

Quale commento dinanzi a questa fine elaborazione? Quale maschera indosserà adesso?

La reazione berlusconiana davanti alla evidenza del milione e duecentomila firme contro il Porcellum lascia allibiti. Egli punta a proporsi come l’alfiere dell’antipolitica? Ha infatti già messo all’opera i suoi media. La delirante discussione andata in onda su Domenica 5 di ieri pomeriggio circa i privilegi di Casta e l’antipolitica, orchestrata dal solito manipolo di figuranti, ne è la dimostrazione. Cominciare con il confondere le idee ai meno coinvolti nelle vicissitudini politiche, come potrebbero essere i telespettatori di Canale 5 della domenica. Poi affidarsi agli esperti di immagine, che la sua è a pezzi e deve essere ricomposta rendendola irriconoscibile, quindi fintamente nuova.

B. sa che i peones dei Responsabili non avranno alcun futuro in Parlamento, senza il Porcellum. Il referendum ha innescato la miccia. Con l’avvicinarsi della data dell’esame della Consulta sulla ammissibilità dei quesiti (prevista per il 20 Gennaio), si farà sempre più probabile la fine della “collaborazione” di Scilipoti e compagni. Ragion per cui ci si deve preparare alle elezioni anticipate nella primavera del 2012. Il movimento referendario verrà annichilito.

B. indosserà i panni dell’anti-casta, sciorinando tutti gli odiosi privilegi da abbattere, di cui lui peraltro può fare a meno, visto il patrimonio. Porterà con sé Bossi. Riuscirà a riciclarsi in un nuovo movimento, che a qualcuno ricorderà un partito di metà anni novanta, fondato da un tycoon televisivo, un imprenditore pluri inquisito e fortemente indebitato, di cui nessuno ricorda più il nome. Il nuovo partito si chiamerà Forza Italia.

(O altrimenti detto: ‘operazione oblio’).

Post liberamente ispirato da un articolo di Repubblica di stamane (prima pagina).

5 Stelle su a Bologna, giù a Napoli

Prime considerazioni sul voto alle amministrative cominciando dal Movimento 5 Stelle. Se si guardasse il solo dato bolognese ci sarebbe da dire che Grillo ha vinto. Nella realtà, bologna è un “caso” elettorale. Già questa tendenza era emersa alle Regionali, ma il risultato piemontese, con la sconfitta della Bresso anche a causa dei Grillini, l’aveva mascherata.

Oggi i dati parlano chiaro: a Torino il 5 Stelle prende il 5%, alle regionali del 28.03.2010 prese il 4.74%, non c’è differenza, a dispetto di un centrosinistra che passa dal 51.8% al 57%, e questo è il dato fuori Bologna più lusinghiero per i grillini. A Napoli, dove è nato il primo movimento, Roberto Fico, leader storico, candidato già alle regionali, è stato asfaltato da De Magistris: 1.2%. Poi c’è Bologna.

Verrebbe da chiedersi: perché? La risposta risiede nella storia di quella città. Storicamente rossa, sverginata dalla destra civica di Guazzaloca, poi delusa da Cofferati e da Del Bono, ha maturato una forte contestazione al potere che non può più esprimersi, per ragioni legate al fatto che ormai sono diventati istituzione, nella Lega Nord. Quale altro partito antisistemico? Il 5 Stelle. Chiusa l’analisi.

Qualcuno potrebbe dire: non è vero, i grillini hanno degli argomenti. Hanno un programma. Sono fuori dalla casta. Sì, ma ambiscono a farne parte, altrimenti non sarebbero lì. E poi tutti dicono di avere un programma.

Qui si cercano le ragioni profonde di questa anomalia che è Bologna. Non si spiegherebbe altrimenti l’abisso fra Bologna e Modena, fra Bologna e la Romagna.

“Busone” disse Grillo a Vendola

Quale è la notizia? Grillo avrebbe detto durante il comizio di Bologna “at salut buson”, ti saluto frocio, rivolto a Nichi Vendola. E’ vero? Sarebbe da mettere nel novero dei colpi bassi che i politicanti – sì, Grillo compreso! – si scambiano durante le campagne elettorali. Ma quale sottospecie di linguaggio viene adottato dall’ex comico e internauta fattucchiere? Con tutta l’importanza degli argomenti che il medesimo porta alla discussione pubblica, altrimenti mortifera, perché cedere a queste battute degne d’un Calderoli? L’effetto perverso sarà sì parlare del Movimento 5 Stelle (a detrimento della concorrenza, SeL in particolar modo), ma anche quello di vedersi affibbiato l’etichetta dell’omofobia, a sinistra – dove i grillini pescano a piene mani – non certo un distintivo di cui andare vanti. I vari candidati del 5 Stelle non osano avanzare alcuna critica al linguaggio virulento del loro Vate? Se così fosse, avrebbero perso l’occasione – ancora una volta – di parlare con la loro bocca e di pensare con la propria testa.

Qualcuno smentisca la notizia che circolava ieri su Fb. Altrimenti sarò costretto a rincarare la dose.