#PubblicoLive: e Di Pietro diventa trending topic con l’aiutino dei Bot

Se vi fosse capitato di seguire la diretta streaming di oggi dell’intervista di Luca Telese e dei tipi di Pubblico Giornale al leader IDV Antonio Di Pietro, vi sareste imbattuti in una fittissima cronaca su Twitter che vi avrebbe indotto certamente spegnere il video. Addirittura, l’hashtag #PubblicoLive era diventato trending topic in pochi minuti. L’intervista è cominciata alle 12, ed è durata circa un’ora: poco dopo le 13 #PubblicoLive era terzo nella classifica degli argomenti del giorno su Twitter.

Naturalmente i giornalisti di Pubblico si sono dati da fare per divulgare quanto più possibile le parole di Tonino Di Pietro. E’ il loro lavoro e lo fanno pure bene.

Ma se foste stati più attenti ed aveste seguito esclusivamente il flusso di tweet aventi l’hashtag #PubblicoLive, vi sareste certamente interessati ad alcuni utenti particolarmente eccitati dalle parole di Di Pietro e nemmeno sfiorati dall’idea di lanciare lì qualche domanda scomoda. Anzi, ogni parola del Leader viene accompagnata da esclamazioni di giubilo. Ho provato a vedere di chi si trattasse. Grazie ad Hootsuite, ho potuto vedere istantaneamente che c’erano alcuni account che utilizzavano tutti indistintamente la piattaforma Sprout Social. Inoltre, le foto di questi utenti erano chiaramente foto “con il trucco”: date una occhiata ai profili Twitter di @GiuseppeSionett, @panealpane, @giomarcucci, @AnnaGardini, @AlessioDeLuca4, @mirianasantoni, @GiuliaBernini1. Questi sono alcuni dei tweet di giubilo che hanno spinto #PubblicoLive fra i primi tre TT del giorno:

Un’altra prova a suffragio della tesi che Tonino si sia portato dietro una claque fatta di Twitter-Bot proviene dal fatto che tutti questi account hanno retwittato il 25 Settembre scorso un post di Gianfranco Mascia (quello del Popolo Viola alias Bo.Bi, Boicottiamo il biscione, uno dei professionisti dell’antiberlusconismo):

 

 

 

 

 

Insomma, credo che basti. Verificate anche voi, se volete. Diciamo che l’approccio al web da parte di questi politici (che fanno di tutto per essere 2.0) è alquanto errata. Forse mal suggeriti dagli esperti del web marketing, finiscono per dopare i propri profili sui social network e a gonfiare le fila di poco frequentate discussioni in diretta streaming. Dispiace che i tipi di Pubblico Giornale siano stati coinvolti in questa triste messinscena.

La disinformazione corre sulle Auto Blu

Di questa vicenda dell’acquisto di auto da parte della Consip, una società del Ministero dell’Economia e Finanze che si occupa fra l’altro del Programma per la razionalizzazione degli acquisti nella P.A., resterà solo che il governo Monti ha acquistato 400 nuove auto blu. Sarà un caso, ma in questo periodo di forte discredito vissuto dal sistema partitico, alcuni giornali, fra cui l’Espresso ed a ruota Il Giornale e Libero, sparano titoloni a cinque colonne sulle Auto Blu di Monti.

Peccato che non si tratti di auto blu, nemmeno di auto vere e proprie. Il bando di gara lanciato dalla Consip prevede la stipula di una convenzione, ovvero di un accordo all’acquisto opzionale, nella fattispecie di auto e servizi. E’ tutto scritto e in chiaro. Tanto più che la vicenda era stata sollevata da una interrogazione parlamentare a firma di Antonio Di Pietro, a cui il viceministro Grilli ha fornito una risposta schiettamente tecnica nella seduta della Camera del giorno 11 Aprile 2012. Da allora sono passati quindici giorni senza che alcun giornale scrivesse una sola riga sulla vicenda. Ieri, come ci ricorda il Corriere della Sera, gli articoli online de Il Giornale e L’Espresso hanno innescato l’ennesima “rivolta del web”.

Nelle ultime ore è arrivata la risposta direttamente dal Presidente del Consiglio nella sua veste di Ministro dell’Economia:

Il Governo non acquisterà nuove “auto blu” nel 2012 e auspica, per le amministrazioni territoriali, l’adozione di un’analoga impostazione. Il bando di gara della Consip non determina automaticamente l’acquisto di nuove autovetture. Con l’aggiudicazione delle convenzioni, Consip stipula soltanto un accordo quadro che può essere utilizzato dalle pubbliche amministrazioni per soddisfare le necessità di spostamento sul territorio. Il bando è pensato soprattutto per le esigenze delle Forze dell’Ordine e di quelle che svolgono servizi di utilità sociale che, più di altre, hanno bisogno di mezzi operativi. Attualmente, infatti, il 61% del parco auto ha tra i 5 e oltre 10 anni. Gli elevati e continui costi di manutenzione rendono l’utilizzo di queste vetture, oltre che inquinante per l’ambiente, particolarmente diseconomico (governo.it).

Non pensate che ci sia una incongruenza di fondo nel protestare – imbeccati da Nicola Porro e Belpietro! – contro l’acquisizione di auto da parte della Pubblica Amministrazione, peraltro mediante bando di gara, auto che al massimo avranno una cilindrata di 1600, e indignarsi perché Polizia e Carabinieri devono pagarsi la benzina? Questo abbiamo fatto. Come soldatini ammaestrati, pigiamo il tasto del mouse e ci facciamo trascinare nella corrente del qualunquismo. Sappiate che avete fatto il gioco di quell’area politica che vuole perpetuare il ladrocinio del denaro pubblico attraverso i rimborsi elettorali. Queste auto nulla avranno a che vedere con le Maserati del Ministero della Difesa, sulle quali invece nessuna testata giornalistica di quelle citate poc’anzi (tranne l’Espresso) ha sprecato dell’inchiostro. Queste auto sono sicuramente più legittime dei diamanti di Belsito e “Family”. Sappiatelo.

unpopperuno

Scuse alla Diliberto e caos alla Di Pietro

 

unpopperuno

Passi per strada e ti fotografano accanto ad una signora con una maglietta necrofila e vieni catapultato nel tritacarne post mediatico (ah, questi new media così democratici e repentini e) senza avere il tempo per capacitartene. Le tue scuse non sono più di un cinguettio e sembri sempre più goffo ogni volta che “appari”. Ecco, è il segno del vuoto che hai prodotto, tu insieme a tanti altri. Ma che tristezza il fatto che non te ne sei nemmeno reso conto, nemmeno per sbaglio.

Le scuse alla Diliberto permettono per un attimo lo svelarsi di una verità che avevamo troppo in fretta archiviato (dopo i fasti novembrini): che siamo ridotti a parlare di miserie mentre qualcuno cambia per noi – noi che non lo sapevamo fare – le regole della vita comune, le regole del lavoro e del tempo del riposo. Quella che chiamavamo ‘politica’ ora è ridotta a stampare magliette, a creare slogan da ‘terzo anello’. Se potesse, avrebbe già buttato motorini dagli spalti, avrebbe menato i celerini e incendiato i cassonetti, questa politica. Il linguaggio che oggi intrattiene lo spettatore-elettore, volutamente violento e indisciplinato, è il linguaggio privo di parole e di significati, pieno di sensi unici, solo in apparenza caotico ma sotterraneamente volto alla solita vecchia pratica della distrazione di massa.  Abbiamo imparato bene, purtroppo, da chi nei diciassette anni precedenti ha dominato e plasmato la sfera pubblica, riducendola a mera platea acclamativa. “Il problema, in altre parole, non è la bossizzazione dei cosiddetti ‘moderati’ – ma quella del dibattito e, di conseguenza, dei cittadini”, scrive Fabio Chiusi su IlNichilista.

Per l’appunto, il caos del linguaggio si accompagna al caos della prassi politica. Laddove ci si schiera e si creano alleanze, laddove ci si propone alla cittadinanza in una consultazione elettorale per la scelta del candidato sindaco e si perde, succede che si rompe il patto di alleanza pur di non mettere il proprio partito al servizio del candidato scelto alle primarie. Illogico e surreale. Si rinnegano le regole, quelle regole a cui ci si è volontariamente assoggettati. Così fa Italia dei Valori, a Palermo. Il nuovo candidato dell’Idv è Leoluca Orlando, il non scelto liberamente dai cittadini dal (secondo? terzo?) meno democratico dei partiti. Quale valore ha ispirato questa scelta dell’Italia dei Valori? Perché questo continuo vilipendio della parola e delle regole (e dei cittadini)? Leoluca Orlando non è altro che il secondo e più importante leader dell’Idv. Un barone, in Idv. E’ in politica dagli anni Ottanta. Ha vissuto almeno tre diverse distinte stagioni della politica. Ed è già stato, in tempi remoti ma attualissimi, sindaco di Palermo. No, non è una resistenza democratica (Di Pietro, in IlNichilista, cit.) che può giustificare questo cambio di carte in tavola. Soprattutto, è ora di decidere chi e cosa volete essere. Se preferite ‘alimentare’ il vostro partito con la linfa vitale che lo ha sempre alimentato, l’indignazione e l’odio – questo carburante nobile – oppure uscire dalla dinamica emergenziale degli appelli alla difesa dei diritti e cominciare a definire la propria proposta per il paese. Tanto per cominciare, per esempio, si sarebbe potuto andare ad una trattativa sulla Riforma del Mercato del Lavoro con un proprio documento, uno straccio di bozza, un memorandum di tutta la sinistra che avesse coinvolto i sindacati. E invece no, tutti in ordine sparso, sbraitando al golpe non appena si dice ‘riforma’. Ma questa ‘politica’ ha in vista solo la sua medesima sopravvivenza. Null’altro.

Molise, l’ovvia colpa di Grillo e le circonlocuzioni di Bersani

Bersani sul Molise fa un passo di danza e una capriola, smarcandosi da Franceschini che stamane figurava come il principale – e frettoloso e superficiale – commentatore del risultato delle elezioni regionali. Se Franceschini sostiene che la sconfitta in Molise è tutta “colpa di Grillo” che avrebbe sottratto – rubato? – i voti al centrosinistra nella configurazione a tre inaugurata a Vasto (che novità!). Per il segretario, invece, “si può sempre intercettare meglio ma basta guardare i dati, abbiamo rimontato di venti punti, un risultato che avrei preferito fosse migliore, certo, ma francamente non se me l’aspettavo, insomma ci siamo andati vicino”.

Eh, quel ci siamo andati vicino sa proprio di beffa, non è vero? Il vicino che intende Bersani è vero solo in termini percentuali, poiché in termini assoluti il centrosinistra, rispetto alle precedenti elezioni regionali svoltesi nel 2006, è passato dai 95.010 voti agli 87.637, che significa -8% (stesso discorso vale per il PdL – non festeggiare troppo, Alfano – che passa dai 112.152 voti del 2006 agli 89.142 di quest’anno, -20%).

“Un risultato”, continua Bersani, “che è stato compromesso dalla dispersione, di questo bisogna prendere atto e farcene carico”. La dispersione è, nel favoloso mondo di Bersani, il voto andato al Movimento 5 Stelle: 10.650 elettori che, anziché scegliere l’astensione, hanno deciso di far valere il proprio voto al di fuori della dicotomia candidato PdL e candidato ex PdL. E la profonda analisi del segretario continua con questo formidabile pensiero:

“I grillini hanno pescato da tutti i lati, ribadisco che quel movimento ha elementi di cui vogliamo tenere conto. Sono importanti sia le ragioni che di chi vota, sia di chi non vota e anche chi per disaffezione disperde il proprio voto. Io voglio confrontarmi con tutti ma dico anche, a chi ha voce in capitolo, che c’è Cota in Piemonte e Iorio in Molise non mi sembra un gran risultato per questo movimento”.

Segretario, Cota in Piemonte e Iorio in Molise sono il risultato della stessa medesima coazione a ripetere: quando il PD rimane chiuso in sé stesso, non fa le primarie, non s’apre alla discussione pubblica, non incontra la domanda di partecipazione dei cittadini, allora il PD perde. Guarda caso il M5S ha successo in Emilia-Romagna, dove il PD è egemone nelle istituzioni politiche ed economiche da quarant’anni; in Piemonte, dove la presidente uscente Bresso esprimeva una politica vecchia e incapace di farsi carico della domanda di partecipazione alla deliberazione che proviene dalla Val Susa e dai cancelli di Mirafiori; e in Molise, dove il centrosinistra ha organizzato delle elezioni Primarie per scegliere un ex PdL.

Proprio così: Paolo Di Laura Frattura, imprenditore, attuale presidente di Unioncamere, è stato candidato nelle liste di Forza Italia, al fianco di Iorio, prima nel 2000 e poi nel 2005. Se poi pensiamo che in Molise l’Idv di Di Pietro ha candidato il figliol prodigo dell’ex magistrato di Mani Pulite, Cristiano, allora vien da chiedersi se il problema non sia più generale e non investi tutto l’asse della coalizione molisana di centrosinistra, troppo simile nella pratica politica a quella del centrodestra per potersi distinguere e farsi riconoscere.

 

 

 

 

 

Cristiano Di Pietro, il bamboccione: storia del circolo ribelle Idv di Termoli

Molise, elezioni regionali del 17-18 ottobre. Non potete immaginare il conciliabolo che ha agitato la cittadina di Termoli nelle scorse ore. Chi candidare? Immaginate il circolo Idv di Termoli, la sera, chiuso in stanze dimesse, a snocciolare la rosa dei nomi dei candidati da mettere in lista. Lo stesso circolo che mesi fa litigava con la segreteria romana, debitamente rappresentata in loco dal figlio del Presidente dell’Idv, Antonio di Pietro, al secolo Cristiano, passato agli onori della cronaca per delle intercettazioni in cui il medesimo cercava di raccomandare alcune persone all’ormai ex provveditore alle opere pubbliche della Campania e del Molise Mario Mautone, condannato con rito abbreviato a due anni per illeciti in materia di appalti.

Così a Termoli è scoppiato di nuovo il finimondo quando Roma ha imposto la candidatura di Cristiano alle prossime elezioni regionali:

Cristiano Di Pietro, il figlio del leader Antonio Di Pietro, dopo esserne riuscito a venirne fuori dall’inchiesta che lo ha visto indagato per corruzione, turbativa d’asta e abuso d’ufficio è pronto per il grande salto. Dal consiglio provinciale al consiglio regionale, con stipendio dieci volte maggiore e soprattutto una bella pensione garantita dopo 60 mesi di duro lavoro nell’aula consiliare di Campobasso. (I segreti della Casta).
Alla notizia, tutto il circolo cittadino dell’Idv di Termoli è uscito dal partito. Una dimissione di massa contro l’ennesimo caso di nepotismo interno all’Idv. Termoli aveva già mostrato segni di dissidenza rispetto alle direttive romane anche in occasione delle scorse elezioni. Era Febbraio e l’onorevole Anita Di Giuseppe doveva emettere un comunicato con cui stigmatizzava il comportamento degli affiliati di Termoli:
In merito alla nota stampa diffusa dal Circolo Cittadino IdV di Termoli, riteniamo di dover intervenire con alcune precisazioni.
Ribadiamo che la linea politica adottata dalla Segreteria Regionale rispetto ai temi delle alleanze all’interno del centrosinistra, coincida con la linea politica dettata dal presidente Antonio Di Pietro e stabilita anche in sede dell’ultimo direttivo nazionale dell’Italia dei Valori tenutosi a Tivoli in data 14 e 15 gennaio.
Quanto sostenuto dal Circolo di Termoli voglia spingere il Partito ad accettare e ad adottare l’unica e sola proposta che è venuta fuori dal dibattito dell’assemblea degli autoconvocati (vale a dire l’applicazione dell’istituto delle Primarie), è una posizione fortemente in contrasto con le direttive nazionali ribadite non più di 48 ore fa dal leader dell’Italia dei Valori, Antonio Di Pietro. L’Italia dei Valori, tramite il suo Segretario Regionale, già da tempo sta perseguendo l’ obiettivo indispensabile per un cambio di rotta di questa regione: l’unità della coalizione intorno ad un programma elettorale valido e credibile.
Unità sancita da una serie di documenti firmati da tutti i partiti della coalizione, che renda trasparente e incontestabile la volontà dell’Italia dei Valori ad affrontare i prossimi appuntamenti elettorali in modo competitivo e possibilmente vincente.
Avendo già chiarito in diverse occasioni che lo strumento delle primarie non appartiene allo statuto del nostro partito, nel pieno rispetto delle opinioni altrui, crediamo sia auspicabile che tutti gli iscritti, osservino le direttive nazionali e regionali senza creare ulteriori situazioni di imbarazzo.
Alla luce di ciò, ritenendo la posizione del Circolo IDV di Termoli strumentale e inopportunamente ostativa al raggiungimento dell’unità, si ritiene necessario prendere provvedimenti utilizzando tutti gli strumenti a disposizione per garantire la univocità dei metodi, nei confronti di coloro che, con azioni antitetiche, non rispettano il Partito e la sua linea politica nazionale.
On. Anita di Giuseppe
Cristiano Di Pietro – responsabile enti locali ed eletti idv molise

(altramolise.it)

In sostanza il circolo di Termoli poneva in essere degli ostacoli all’unità dogmatica del centro-sinistra che in realtà, in quell’area, è quantomeno rissoso, neanche in grado di definire le candidature alle elezioni comunali. Allora si aprì un conflitto sui nomi di un certo Monaco e di tal D’Ambrosio con il PD molisano:
Il Tavolo Politico del centrosinistra, che in un crescendo di paradossi e giochi di prestigio ha perso pezzi e autorevolezza, non ha prodotto alcun candidato unitario, dopo le debacle di nomination degli ultimi giorni. […] l’Italia dei Valori ha risolto la questione. Il Circolo Cittadino di Termoli ha confermato, con estrema chiarezza, la propria posizione. Lo ha fatto con una nota stampa […] sostiene che «Il Circolo Cittadino dell’Italia dei Valori di Termoli, in riferimento alla scelta del candidato Sindaco al Comune per il centrosinistra, nello spirito unitario che ha sempre caratterizzato l’azione politica ed amministrativa del proprio gruppo nel Comune di Termoli, dichiara di sostenere la candidatura a Sindaco della città di Termoli nella persona di Filippo Monaco, quale espressione di una evidente volontà popolare, e di garante della continuità con la precedente amministrazione Greco» (primonumero.it).
Pare che il circolo di Termoli faccia politica ‘dal basso’: petizioni, class action, primarie. Tutto questo armamentario di iniziative è inviso alla segreteria regionale poiché destabilizza le alleanze locali con PD e quel che resta di Rifondazione. In particolar modo, l’attivismo del circolo contrasta con le esigenze di unitarietà del centro-sinistra finalizzate meramente a vincere le competizioni elettorali con il centro-destra, costi quel che costi. In altre parole: nessuno disturbi i capibastone PD dell’area.
In questo contesto, Cristiano Di Pietro appare come una sorta di commissario che viene messo dalla segreteria nazionale per evitare imbarazzanti litigi con gli alleati del futuro Nuovo Ulivo. Il figlio di Di Pietro è da anni un dirigente del partito in Molise. Chi conosce la realtà dell’Idv a livello locale e sublocale, non si è stupito più di tanto. Idv è un partito personalistico, familistico: di fatto impiegato come un’azienda di famiglia.

La rivolta in IDV: Di Pietro, non svoltare a destra. Disse De Magistris

Che farà Di Pietro? Tradirà le cause del movimentismo di sinistra per logiche elettorali opportunistiche?

Un paio di considerazioni. Punto primo: la scelta di svoltare a destra, o al centro, con il discorso alla Camera e l’attacco a Bersani, è la scelta di un uomo solo. La scelta di un capo partito presa per nome e per conto di tutti gli iscritti e gli elettori. Questo detto da uno che da mane a sera chiede le primarie del centrosinistra, non so se mi spiego. Ha speso anni per far passare il suo partito personale – un partito in forma monarchica – come baluardo della democrazia. Ora compie una svolta politica senza passare per assemblee nazionali o congressi.

E’ l’aspetto più eloquente: IDV già soffriva di discrasia fra la politica romana e la politica nelle amministrazioni locali, spesso in contrasto. Viene alla mente il caso dell’acqua pubblica: Di Pietro inizialmente aveva una posizione che era tutt’altro che purista in fatto di acqua come bene comune. IDV aveva un suo quesito alternativo a quello del movimento e per un periodo – seppur breve – ha fatto concorrenza ad esso nella raccolta firme. Spesso gli amministratori locali hanno facce impresentabili; talvolta stringono alleanze con facce altrettanto impresentabili.

Secondo: l’elettorato che ha fatto la fortuna di IDV ha una provenienza di sinistra ed ha scelto di votare quel partito per le istanze legalitarie (la questione morale) di cui si è fatto carico sin dalla sua fondazione. Annunciare la trasmigrazione al centro è già un mezzo tradimento di quei voti.

Naturale aspettarsi le prime defezioni e critiche:

De Magistris all’attacco: “Tonino stai sbagliando non andare al centro”

Sonia Alfano: Io voglio stare al mio posto, a sinistra

Così la parlamentare europea sul suo blog: “Io credo che certe “decisioni”, che coinvolgono un intero partito e che ne modificano sostanzialmente l’essenza e gli obiettivi, non possano essere prese in solitudine. Credevo che questo partito avesse una linea politica ben precisa, ma scopro che ci si deve spostare dove si trova spazio. Se lo spazio lo si trova a sinistra stiamo lì, mentre se si trova al centro comunichiamo ai nostri elettori che si cambiano idee e programmi e ci si lancia in un limbo per cercare un posto al sole? Non fa per me, e non può funzionare.” (blog Sonia Alfano).

Sulle intercettazioni Di Pietro si riallinea alla posizione storica dell’IDV, ovvero a favore e a tutela di uno strumento indispensabile per le indagini della magistratura. Non sono necessaria altri interventi legislativi: la normativa attuale è già comprensiva degli strumenti necessari a “verificare e valutare quando un’intercettazione può essere fatta, quando depositata, quando può essere utilizzata e quando pubblicata”. Fare una legge – scrive Di Pietro –  per cercare di fermare le indagini oppure l’informazione, il diritto a essere informati e a informarsi dei cittadini, è un modo per favorire la criminalità e per nascondere la verità agli italiani. Certo c’è differenza dai toni impiegati un anno fa, quando si profilava l’approvazione della legge bavaglio:

Di Pietro: “Intercettazioni vietate? E noi le leggiamo in Aula … 21 Aprile 2010
Antonio Di PietroIntercettazioni: continueremo a resistere 10 Luglio 2010
Intercettazioni
Di Pietro: “Berlusconi è la malattia” 21 Febbraio 2010

Oggi niente strilli: un tono pacato, un tono da leader. Ma è veramente proponibile una sua candidatura alle primarie del centrosinistra?

La clamorosa svolta di Di Pietro, ammaliato dalle sirene del Centrismo

Con una clamorosa intervista al CorSera, Di Pietro abbandona la sponda sinistra per intraprendere la grande traversata del deserto. Di Pietro, l’antiberlusconiano per eccellenza, l’uomo che definì Berlusconi come Hitler. Il grande schiaffo che Di Pietro fa ai 27 milioni di voti ai referendum da lui sostenuti – sebbene inizialmente con delle sostanziali differenziazioni rispetto ai movimenti – è partito dagli scranni di Montecitorio con il beneplacito di B.

Sì, tutta la stampa filogovernativa plaude al cambio di rotta di Tonino. Ferrara scrive trionfante: “Habemus Statistam!”.

Stufo di sentir parlare di opposizione di “sinistra”, Di Pietro ha osservato per mesi il suo tornaconto elettorale crollare impietosamente dal 7% del 2008 al magro 5% delle scorse amministrative. Di Pietro si è fatto i conti in tasca: ha scoperto che a reggere il tappeto rosso alla FIOM sono già in tanti. Che Vendola forse è più portato. Che a Napoli ha vinto, ma De Magistris è troppo pendente verso SeL.

Con il crollo del Cavaliere c’è tutto un elettorato che va riportato sulla retta via. Ce lo hanno già detto i referendum: sono andati a votare 27 milioni di italiani, molti di più dei 17 che votarono centrosinistra alle Politiche (La Stampa.it).

Ma quel che sorprende sono le parole di riguardo che Di Pietro riserva per quello che fino a qualche tempo fa chiamava stupratore della democrazia: Berlusconi, dice, è una persona sola, che cerca di comprare una felicità che non ha. “I miei sentimenti”, afferma, “sono di una humana pietas per lui”. E di rabbia – rab-bia – per quei cortigiani che di lui approfittano. Sì, il Berlusconi descritto dal Di Pietro odierno è un signore che va difeso dalla marmaglia che cerca di sottrargli qualche penny. Un signore che se portasse delle vere riforme in Parlamento, lui è persino PRONTO A VOTARLE.

Oggi, dice Di Pietro, attaccare Berlusconi non basta più. Ecco il perché di quella dura reprimenda in aula contro Bersani e il PD. Di Pietro – non l’IDV, che non è assolutamente interpellato in questo cambio di rotta politica, fatto che ci consegna la misura di un partito personalistico, usato a proprio piacimento dal leader (puro stile PdL) – dice di voler andar OLTRE (altro termine rubacchiato a certi rottamatori del PD) la sinistra classica, oltre la contrapposizione al premier. “Salviamo il welfare”, dice, “ma potenziamo il libero mercato”! Lui, strenuo difensore dell’acqua pubblica, ha calato la maschera. L’opportunista Di Pietro vuole capitalizzare al centro poiché a sinistra non c’è più spazio. Ha usato il referendum come trampolino di lancio per proporsi ad una platea più vasta del solito movimentismo girotondista. E’ finito il tempo dell’antiberlusconismo, dello “stare seduti e vedere cosa succede” – dice a Telese al Fatto Q.

Ecco, se ne è accorto. Sono anni che attendavamo la fine della politichetta della sinistra contro la destra berlusconiana e viceversa. Sono anni che scriviamo di riprenderci la politica. Forse che la campagna elettorale di Pisapia ha suggerito qualche cosa? Stupisce però il cambiamento repentino. Il suo è uno scarto a destra, uno smarcamento alla Renzi.

Non è un inciucio. E’ strategia politica (a fini elettorali). Nuda e cruda.

Il colloquio Di Pietro-Berlusconi porta dritto a Bisignani

Genere, fantasy. Titolo: Di Pietro inciucia con Berlusconi. Un romanzo di centinaia di pagine ancora da scrivere che potrebbe interessare il proseguio di questa stagione politica. Fioccano le ricostruzioni e i ricami giornalistici. Secondo Il Giornale, per esempio, Tonino avrebbe posto a Berlusconi le condizioni per un aiuto. Secondo La Repubblica Di Pietro avrebbe parlato con B. e subito dopo avrebbe attaccato un indifeso PD (chiara l’allusione al fatto che B. avrebbe imbeccato l’ex magistrato). Libero?

A quelli di Libero Tolkien fa un baffo…

Ora tentiamo una ricostruzione seria:

1. Ecco la curiosa scena che si presenta ai deputati di maggioranza e opposizione. Ore 17,10: seduta sospesa per venti minuti, Antonio Di Pietro è al telefono mentre Silvio Berlusconi sta per lasciare l’Aula.  Il premier – per quasi tutta la giornata presente nell’emiciclo per ascoltare gli interventi sulla verifica parlamentare – vede il leader dell’Idv e si avvicina alla prima fila, al tavolo dei 9. Visto che loro sentono le nostre telefonate, voglio sentire le loro…, dice il Cavaliere all’esponente del Pdl che lo accompagna. Così il presidente del Consiglio si siede al fianco dell’ex Pm, spiegandogli in modo scherzoso di voler ascoltare la sua telefonata. Poi i due continuano a parlare per alcuni minuti. «Io stavo nel mio banco in aula. Il Presidente del Consiglio quando ha terminato il suo discorso ha detto che voleva parlare ai leader dell’opposizione per spiegare che il suo Governo fa il bene del Paese. E quando si è avvicinato a me me lo ha ribadito. Ed io gli ho risposto che il sottoscritto leader dell’opposizione è convinto che farebbe il bene del Paese se il suo Governo se ne andasse». Antonio Di Pietro ha spiegato così, ospite al Tg 3, il breve colloquio in aula con Silvio Berlusconi, andato a sedersi vicino a lui alla Camera (

2. Mi soffermo su questa frase: visto che loro sentono le nostre telefonate. Evidente il riferimento all’inchiesta P4 di John Woodkock. Le nostre telefonate, ovvero quelle fra Bisignani, nostro faccendiere, e quelle fra Gianni Letta, nostro sottosegretario. Nostre sono le indicazioni date e fatte passare per l’ufficio del Bisi. Nostre le pressioni che il Bisi rivolgeva a giornalisti e direttori di giornali. Gli interessi che il Bisi difendeva spiando i magistrati per mezzo del sen. Papa sono i nostri interessi. Il Bisi è nostro amico, uno di noi: lo dice pure Franco Bechisi su Libero. Anche io, confessa Bechis, faccio parte della P4. Bechis? Bechis… Mi ricorda qualcosa. Sì! Certo, il caso Tulliani.

Correva l’estate 2010 e Dagospia cascò sul tarocco:

Fini-Tulliani, Dagospia scivola sul tarocco

Ebbenen, al centro di quel caso c’era un presunto tarocco di un blog che Dagospia prese per fatto certo. Su tale blog, a firma di Matilde di Canossa, veniva attribuita la proprietà della casa di Montecarlo alla coppia Fini-Tulliani, e tutto ciò in tempi non sospetti. Ma qualcuno smascherò l’inganno. Lo pseudonimo era stato attribuito proprio a Franco Bechis, editorialista di Libero.

Ora, tirando le somme: sono noti i rapporti fra il Bisi e Dagospia; noto il teorema secondo cui il caso Tulliani fu montato ad arte per colpire Fini; noto anche il ruolo di Walter Lavitola nel caso del ministro degli esteri dell’sioal caraibica dove avevano sede le società off-shore attribuite a Tulliani; Lavitola è finito anche lui nella rete di Woodcock; Bechis è in rapporti con tutte queste persone ed è sospettato di aver fornito il tarocco a Dagospia. Avete bisogno di altro aiuto? Questa è la nostra società, signori. Una società segreta.

Piduista a vita: vita e opere di Luigi Bisignani

Il Signor Nessuno, l’uomo con l’ufficio al piano mezzanino di Palazzo Chigi, è quel tratto di penna che unisce tutti i puntini dei giochi enigmistici. Dici Bisignani e in una parola colleghi tutti. Così gianni Barbacetto su Il Fatto Q. dello scorso 8 Marzo: Bisignani “non ama apparire. A differenza di tanti altri animali del circo berlusconiano, ritiene che l’esibizione sia, oltre che di cattivo gusto, anche nemica del potere vero”. Eppure è riduttivo definire Bisignani come animale del circo berlusconiano: Bisignani è un evergreen. Un sempreverde. Un piduista a vita.

Il suo curriculum è lunghissimo. Del suo nome se ne trova traccia già nelle inchieste sulla P2, nel 1981. Bisignani era collaboratore – a soli 28 anni – del ministro Stammati, anche lui piduista. Fu indagato e incriminato di spionaggio in seguito ad una tangente all’ENI:

“Si sa che l’ex ministro del Commercio Estero Gaetano Stammati è stato interrogato venerdì pomeriggio per quattro ore e mezzo dal sostituto procuratore Dell’Osso, che con Siclari, Viola e Fenizia si occupa di P2 e annessi. Forse Stammati è stato sentito sul giornalista Luigi Bisignani, già addetto al suo ufficio stampa quando era ministro e che da un elenco di Gelli risulterebbe avere percepito 13 milioni e poi ancora un altro mezzo milione?” (Archivio Storico La Stampa).

Dieci anni dopo il suo nome compare nell’inchiesta sulla maxi tangente Enimont, la madre di tutte le tangenti. Così scrive Barbacetto: “L’11 ottobre 1990, dunque, Bisignani apre, con 600 milioni in contanti, un conto riservatissimo presso lo Ior. È il numero 001-3-16764-G intestato alla Louis Augustus Jonas Foundation (Usa). Finalità: “Aiuto bimbi poveri”” (Il Fatto Q.). Su quel conto transitò una cifra pari a 2.7 mld di lire di ex titoli di Stato monetizzati allo Ior dal mons. De Bonis, ex segretario del corrotto Marcinkus. Una operazione di ricilaggio finalizzata al finanziamento della prima trance della maxi tangente al pentapartito fianlizzata allo scioglimento del polo della chimico-energetico italiano, Enimont.

Nel 1988 ENI e Montedison conferirono alla joint venture Enimont (40% ENI, 40% Montedison, 20% flottante) le proprie attività chimiche: si realizzava così quell’alleanza tra chimica pubblica e chimica privata che molti auspicavano da anni. La vita di Enimont fu breve e travagliata: nel 1989 la Montedison sembrò in un primo momento mirare alla maggioranza assoluta del capitale, ma già nel 1990 finì col cedere la totalità delle attività chimiche all’ENI, ricevendone in cambio 2.805 miliardi di lire[7], un prezzo valutato in seguito come esorbitante; in seguito intorno alla gestione ed alla trattativa per la cessione di Enimont emersero episodi di corruzione[8] (Wikipedia).

Sappiate che Enimont ha dato “da mangiare” a tutti. Montedison e Enichem erano il fiore all’occhiello della chimica italiana, la politica e la fame di soldi le hanno distrutte. Bisignaniera al centro di tutto questo scambio di denari e fece in fretta quando si trattò di cancellare le tracce: “nell’estate del 1993, quando annusa il disastro (i magistrati di Mani pulite stanno per arrivare alla maxi-tangente Enimont): così il 28 giugno di quell’anno corre allo Ior, ritira e distrugge i documenti che vi aveva lasciato all’apertura dei conti e chiude il Jonas Foundation. Ritira, in contanti, quel che resta: 1 miliardo e 687 milioni. Non avendo borse abbastanza capienti, deve fare due viaggi per portar via il malloppo” (G. Barbacetto, Il Fatto Q., cit.).

L’affare in questione è il collocamento presso lo lor (Istituto Opere di Religione), la banca del Vaticano, di 92 miliardi in Cct provenienti dalla «provvista» creata da Raul Gardini per pagare i partiti al momento dell’uscita da Enimont. La «maxitangente», insomma. Dopo la vicenda, Bisignani nel gruppo Ferruzzi fa carriera, diventando responsabile delle relazioni esterne. Ma allora «era un giornalista, credo dell’Ansa, che era in buoni rapporti con Gardini e Sergio Cusani». Così lo descrive Sama […] Fu individuata in Bisignani la persona che poteva fare da collegamento con questa parte della dc che faceva capo a Cirino Pomicino e quindi alla corrente di Andreotti». Inoltre «Bisignani – afferma Sama – aveva delle entrature nello lor, quindi attraverso lui si potevano negoziare i Cct ricevuti da Bonifaci». Bonifaci è l’immobiliarista romano che, attraverso una fittizia compravendita di terreni organizzata da Cusani, recupera la «provvista» di circa 150 miliardi, quasi tutti in titoli di Stato. Che finiscono per quasi due terzi nella banca del Vaticano e da qui nelle tasche di personaggi politici. «Naturalmente per questa sua attività parte del denaro sarebbe rimasto nella stessa disponibilità di Bisignani». Ma quanto? Sama non lo sa, mentre i magistrati accusano il giornalista di aver incassato 4 miliardi di Cct. (Archivio Storico La Stampa).

Di Pietro non riuscì ad arrestarlo a causa di uno strano errore del Gip che dimenticò di scrivere la durata della custodia cautelare:

La Stampa - 10 Settembre 1993

Barbacetto ricorda che il nome dello sconosciuto Bisignani comparve anche nell’inchiesta Why Not, opera dell’allora pm Luigi De Magistris. De Magistris piombò di persona presso gli uffici romani di Bsiginani ma stranamente l’uomo non si fece trovare. “Era a Londra”, ricorda il neo sindaco di Napoli. L’accusa del mandato di arresto di oggi è favoreggiamento e rivelazione del segreto d’ufficio e dossieraggio. bisignani, ai tempi di Why Not, sembrava essere in stretti rapporti con “Salvatore Cirafici, il dirigente di Wind responsabile della gestione delle richieste di intercettazioni e tabulati inviate all’azienda telefonica da tutte le procure italiane” (Barbacetto, cit.). Forse il pm Woodcock è arrivato laddove De Magistris fu fermato: ovvero al livello più alto di una organizzazione occulta che opera al fine di condizionare la vita politica ed economica del paese.

Referendum, IDV incassa un milione di euro di rimborsi?

Questa la notizia come l’ho letta. A voi il commento:

L’Italia dei valori incasserà un milione di euro di rimborsi elettorali per i referendum appena conclusi. Un altro milione di euro andrà invece ai comitati promotori dei due quesiti su l’acqua pubblica. E’ la legge a stabilire che una volta raggiunto il quorum, ai promotori vadano un euro per ogni firma depositata fino ad un massimo di 500 mila firme. Doppia la soddisfazione quindi per Di Pietro, che non solo ha rifilato l’ennesima sberla al governo, ma ha trovato anche l’occasione per rimpinguare le casse del partito (fonte).

Referendum, voto all’estero e quorum: l’ombra di un altro ricorso

Parlavo ieri del pronuncia della Cassazione che ha modificato il testo del quesito del referendum sul nucleare (vedi post). Ebbene, oggi è esploso il caso del voto degli italiani all’estero: hanno votato – i pochi che l’hanno fatto – con le schede vecchie, riportanti cioè il testo originario del referendum sull’atomo prima della rettifica della Cassazione a causa del decreto Omnibus. Voti validi o no?

D Pietro si dice pronto a fare ricorso. Il suo intento non è quello di far rispettare la volontà dell’elettore all’estero, bensì di invalidarne il voto. La ragione è molto pratica, o per così dire, matematica. Con il voto all’estero sarà necessaria un’affluenza all’urne più grande ai fini del raggiungimento del quorum: all’estero non c’è grande partecipazione, votano in pochi. Trattasi di 3 milioni e duecentomila aventi diritto. Facciamo due conti:

47.357.878 elettori

3.236.990 elettori

ipotizziamo “un’affluenza alle urne” della circoscrizione esterno del 30%, in calo rispetto alle scorse politiche (circa 39%): 971.000 voti. I votanti residenti in Italia sono 44.120.888: il 50%+1 è pari a 22.060.445. Ne consegue che vengono sommati ai voti esteri, il quorum si fermerebbe al 48%. Per riuscire a raggiungere la fatidica soglia, bisognerebbe sperare in un’affluenza nel paese superiore al 52% – percentuale che potrebbe essere anche più alta se l’affluenza reale all’estero fosse inferiore a quanto qui immaginato.

Di Pietro ha pronta una scorciatoia: ricorrere in cassazione e chiedere di invalidare il voto degli italiani all’estero, quindi chiedere il conteggio del quorum escludendo quei 3 milioni di votanti. Eticamente, una porcata. Però pare che si sia pronti anche a vendere la pelle pur di vincere questi referendum. Esiste un’altra strada, forse più democratica: fare il 60% di affluenza qui da noi. Pensateci.

Crisi IDV: Pino Arlacchi condanna De Magistris e Di Pietro

Pino Arlacchi, sociologo, ex deputato europeo di IDV poi transitato nel gruppo del PD, non ha mezze misure nel condannare la querelle fra De Magistris e Di Pietro. Lui, che ha recentemente sbattuto polemicamente la porta, ha risposto alle domande del cronista di Europa, quotidiano del PD, cannoneggiando sia il Presidente di IDV sia il contestatore.

De Magistris? È di una superficialità sconcertante. Fa politica come ha fatto il magistrato, un sacco di chiasso senza alcun risultato». E Di Pietro? «Vuole un piccolo partito personale da controllare facilmente, ma le sue sono decisioni arbitrarie, spesso sbagliate, che inevitabilmente creano malcontento («Io li conosco bene», Arlacchi spiega l’Idv – Europa).

Secondo Arlacchi, De Magistris non avrebbe alcun seguito all’interno del partito, per cui se se ne va, non si produrrà alcuna scissione. Di Pietro ne sarebbe a conoscenza, e se non fosse stato per Flores D’Arcais e quegli articoli su Micromega e Il Fatto Quotidiano, un tempo trombettieri dell’ex pm di Mani Pulite, ora in prima linea fra i tiratori di polpette avvelenate, “non gli avrebbe nemmeno risposto”. De Magistris si muoverebbe per fini personali: sentendo l’odore di elezioni anticipate cerca un riposizionamento in IDV come deputato nazionale. Così pure la Alfano, mentre Cavalli è un idealista di passaggio che si è lasciato irretire dagli altri due.

o scarso appeal dell’ex pm calabrese all’interno del suo stesso partito era apparso evidente anche in occasione del congresso di febbraio. Allora De Magistris rinunciò a una candidatura alternativa a quella del leader e fallì miseramente anche la conta attorno alla linea da lui proposta in vista delle elezioni regionali in Campania (non sostenere il nome di De Luca, proposto dal Pd) […] lo stesso De Magistris ancora attende quella nomina ai vertici di Idv, che Tonino gli promise davanti alla platea congressuale […] a verità – spiega Arlacchi – è che Di Pietro mise praticamente al suo servizio tutto il partito in vista delle europee, con l’effetto non voluto di vedersi scavalcare nella conta delle preferenze. Prima si preoccupò, poi conobbe il vero De Magistris e allora si tranquillizzò (Europa, cit.).

Questione morale all’interno di IDV? Per Arlacchi non esiste, “i deputati di IDV sono nella media italiana”. Ma De Magistris “non è abbastanza intelligente politicamente” per capire che il limite di IDV è quello di essere ancorato ad una sorta di vetero-antiberlusconismo al punto tale da minarne l’esistenza politica stessa: “Quel partito potrà esistere finché esisteranno Berlusconi, Di Pietro e una certa idea della legalità, così come si è affermata in questi anni. Quando la situazione cambierà, Idv non avrà più alcuna forza”. IDV cioè è condannata a rimanere il partito personale di Di Pietro, il quale teme la concorrenza di Vendola e non sembra in grado di poter cambiare le cose. Di Pietro è forse fra coloro che voglione mantenere IDV ai minimi termini. Un micro partito della galassia del centro-sinistra, in cui coltivare la propria clientela. E qualora IDV scendesse sotto la soglia della rappresentanta, Tonino avrebbe, secondo Arlacchi, pronto il piano di emergenza: migrare nel Partito Democratico. Una bella triste parabola.

A margine di tutto ciò, giudico altrettanto strano il silenzio del Blog di Grillo sulla vicenda, invece tanto attento a fare la posta a Vendola su quella vecchia promessa della ripubblicizzazione della società che gestisce l’acqua in Puglia, tanto solerte nell’elencare tutte le volte in cui il PD ha visto mancare i suoi deputati in voti chiave per questo governo. Disinteressamento verso queste polemiche da teatrino della politica, o strategia nel colpire i concorrenti di IDV?

La crisi di Italia dei Valori: il ‘j’accuse’ di De Magistris contro Di Pietro

Quando B. ordì la spallata contro Prodi, dove vennero reclutati i sabotatori? Lo scorso 14 Dicembre, quando B. si è salvato dalla sfiducia, fra le fila di quale partito furono trovati i manovali del trasformismo? La risposta non è univoca, poiché i volontari del mutuo soccorso a Berlusconi si annidano negli ambienti più impensabili. E’ però vero che IDV è stato l’humus ideale in cui personaggi come Scilipoti e Razzi sono cresciuti e si sono moltiplicati. Qualcuno ricorda De Gregorio? Grazie al suo voltafaccia, Prodi cadde. Dopo quel fatto, Di Pietro riuscì a riciclare il suo partito, sempre organizzato nella forma personalistica e patrimonialistica che lo ha contraddistinto sin dalle origini sulla falsa riga del fondamento di tutti i partiti ad personam che è stato Forza Italia, avvicinandolo alle iniziative politiche e alle cause condotte da Beppe Grillo e contemporaneamente sopravvivendo al naufragio dell’Unione Prodiana alleandosi con il PD di Veltroni. Nel corso degli ultimi due anni, IDV è diventato l’emblema dell’antiberlusconismo, l’unica vera forza di opposizione, secondo buona parte dell’elettorato di sinistra o centro-sinistra. Ha accolto dentro sé personaggi come Luigi De Magistris e Sonia Alfano, da Grillo stesso prima additati come esempio da seguire poi messi all’Indice come profittatori desiderosi di carriera e scaldapoltrone. Nonostante l’apparente rottura con Grillo, nonostante le dettagliate e pesantissime critiche provenienti dai girotondini di Paolo Flores D’Arcais (critiche forse interessate a riformare il campo dell’antagonismo di sinistra passando per la sottrazione dell’elettorato di IDV che in precedenza votava Diliberto e Bertinotti), Di Pietro riesce a capitalizzare il bonus di consenso proveniente dal primo No Berlusconi Day per raggiungere nei sondaggi percentuali anche superiori al 7-8%. Le elezioni regionali sono per IDV un successo. Di Pietro mette in difficoltà il Partito Democratico di Franceschini e poi quello di Bersani, spesso non pronto nelle battaglie parlamentari. Poi, le retrovie del partito, imbottite di ex trombati della Democrazia Cristiana e di capibastone locali, tornano a fornire manodopera berlusconiana. E’ chiaro che qualcosa non va. Di Pietro avrebbe dovuto pensarci mesi or sono, durante il (primo) congresso di IDV, svoltosi lo scorso Febbraio. Eppure, anche in quella occasione, l’ex pm di Mani Pulite eccitò la paltea con il plebiscito su De Luca, il candidato del centro-sinistra alla presidenza della Campania con qualche grosso guaio giudiziario sulle spalle. Di Pietro chiese ai delegati di turarsi il naso. E questi lo fecero volentieri. Unica voce dissonante quella di Luigi De Magistris. Che ora, nel pieno del caos Scilipoti, con il partito dato al 5%, in discesa e sofferente rispetto al dinamismo di Vendola (altro personalismo), torna a farsi sentire con questo comunicato congiunto con Sonia alfano e Giulio Cavalli in cui chiede, senza mezzi termini, di fare pulizia in IDV. Saprà Di Pietro resistere alla crisi di Scilipoti?

L’IDV e la questione morale.

In molti, da più parti, ci chiedono di prendere posizione, di esprimerci su quanto accaduto negli ultimi mesi all’interno dell’Italia dei Valori. Ce lo chiede la base di questo partito, straordinariamente attiva e senza timori reverenziali. Ce lo chiedono i nostri elettori, anche quelli che di questo partito non sono. E ce lo chiede, prima di tutto, la nostra coscienza. E’ a loro e ad essa che oggi parliamo.

Non abbiamo voluto sfruttare l’onda delle ultime polemiche per dire la nostra, per non offrire il fianco a strumentalizzazioni che avrebbero danneggiato l’Italia dei Valori. Abbiamo fatto passare la piena facendo quadrato attorno all’Idv. Ora però alcune considerazioni per noi sono d’obbligo. E si rende necessario partire da una premessa: nell’Idv oggi c’è una spinosa e scottante “questione morale”, che va affrontata con urgenza, prima che la stessa travolga questo partito e tutti i suoi rappresentanti e rappresentati. Senza rese dei conti e senza pubbliche faide, crediamo che mai come adesso il presidente Antonio Di Pietro debba reagire duramente e con fermezza alla deriva verso cui questo partito sta andando per colpa di alcuni.

Le ultime vergogne, come altrimenti chiamare il caso Razzi/Scilipoti, due individui che si sono venduti, quantomeno moralmente, in virtù di altri interessi rispetto alla politica e al bene pubblico, sono solo la punta di un iceberg che pian piano emerge nella realtà di questo partito. Come dimenticare lo scandaloso caso Porfidia, inquisito per fatti di camorra e ancora difeso da qualche deputato dell’Idv che parla di sacrificio a causa di “fatti privati”. E poi il fumoso Pino Arlacchi, che dopo essere stato eletto con l’Idv e solo grazie all’Idv, ha salutato tutti con un misero pretesto ed è tornato con le orecchie basse al Pd. Ma chi ha portato questi personaggi in questo partito?

Per questo oggi, con questo documento condiviso, rilanciamo la necessità di una brusca virata, e chiediamo al presidente Di Pietro di rimanere indifferente al mal di mare che questa provocherà in chi, un cambiamento, non lo vuole. In chi spera che l’Idv torni un partito del 4% per poterlo amministrare come meglio crede. Seggi garantiti, candidature al sicuro, contestazioni zero. Gente, questa, che non ha più alcun contatto con la base e rimane chiusa nelle stanze del potere, cosciente che senza questa legge elettorale mai sarebbe arrivata in Parlamento e che se questa cambiasse mai più ci tornerebbe.

Abbiamo un patrimonio da cui ripartire, ed è quella “base” pensante e operativa, che non ha timore di difendere a spada tratta il suo leader Di Pietro ma nemmeno di rivolgersi direttamente a lui per chiedere giustizia e legalità all’interno del partito “locale”. Chiedono un deciso “no” alla deriva dei signori delle tessere, ai transfughi, agli impresentabili che oggi si fregiano di appartenere a questo partito e si rifanno, con precisione chirurgica, una verginità politica. Dopo i congressi regionali moltissime realtà si sono addirittura rivolte alle Procure per avere giustizia, presentando video e documentazione che proverebbero macroscopiche irregolarità nelle consultazioni tra gli iscritti.

Oggi una questione morale c’è ed è inutile e dannoso negarlo. Noi non possiamo tacere. La maggior parte della “dirigenza” dirà che con queste nostre parole danneggiamo il partito, altri che danneggiamo il presidente Di Pietro, altri ancora che siamo parte di un progetto eversivo che vuole appropriarsi dell’Idv. Noi crediamo che questo invece sia un estremo atto di amore per tutti gli iscritti, i militanti e i simpatizzanti dell’Italia dei Valori. Al presidente chiediamo solo una cosa: si faccia aiutare a fare pulizia. Ci lasci lavorare per rendere questo partito quello che lui ha pensato e realizzato e che ora qualcuno gli vuole togliere dalle mani.

Terminiamo questo documento con le parole di un grande politico italiano, che oggi purtroppo non è più con noi. Enrico Berlinguer.

La questione morale non si esaurisce nel fatto che, essendoci dei ladri, dei corrotti, dei concussori in alte sfere della politica e dell’amministrazione, bisogna scovarli, bisogna denunciarli e bisogna metterli in galera. La questione morale, nell’Italia d’oggi, fa tutt’uno con l’occupazione dello Stato da parte dei partiti governativi e delle loro correnti, fa tutt’uno con la guerra per bande, fa tutt’uno con la concezione della politica e con i metodi di governo di costoro, che vanno semplicemente abbandonati e superati”.

Luigi de Magistris, Sonia Alfano, Giulio Cavalli

IDV apre le danze: la dittatura del Bunga Bunga, diretta streaming dal Paladozza di Bologna

Anche se Italia dei Valori è alle prese con dolorosissime defezioni, ultima quella di Antonio Razzi, passato alla neo micro formazione partitica Noi Sud, fatto che ha causato il violento litigio avvenuto ieri alla Camera fra Stefano Pedica di IDV e Iannacone di Noi Sud, stasera con diretta streaming su questo blog, si svolgerà la manifestazione degli ultra antiberlusconiani riuniti al Paladozza di Bologna sotto l’egida di Di Pietro e Travaglio, presente anche Antonino Ingroia, il pm antimafia di Palermo protagonista nell’inchiesta sulla trattativa Stato-Mafia.

Motivi di polemica ci sono e ci saranno. In primis Ingroia, già contestato da Fabrizio Cicchitto (“quali garanzie può dare da pm?” si domanda il capogruppo PdL alla Camera; forse venticinque anni di lotta alla mafia, potrebbe essere la risposta). In secondo luogo, la scomodità di presentarsi al proprio elettorato non essendo stati in grado di preservare due dei propri deputati dalle sirene di Berlusconi. Certo, il problema di IDV è a monte ed è relativo al fatto di dipendere ancora oggi dai bacini elettorali portati in dono da ex democristiani di piccolo calibro, a cui Di Pietro ha fatto abbondatemente ricorso nei primi anni di esistenza del suo partito. Di Pietro non è liberissimo di scegliersi i candidati deputato e senatore, pena la perdita di intere circoscrizioni. Terzo motivo di discussione, i rapporti con il PD, il quale manifesterà sabato in Piazza S. Giovanni; aprendo la partecipazione a tutto l’asse antiberlusconiano, Bersani ha di fatto messo Di Pietro dinanzi alla scelta se accodarsi al PD o fare da solo.

La manifestazione del Paladozza avrà ampia audience nei canali SKY, sul web e vari blog. La diretta streaming è visible qui: CubicaTV.

Chi si insidia fra le crepe dei Viola

Si era già parlato delle discordanze in seno al Popolo Viola circa l’organizzazione del No B Day 2, tenutosi sabato scorso. Della contestazione alla cosiddetta “autoproclamatosi” Pagina Nazionale Fb del Popolo Viola, quella gestita da Gianfranco Mascia per intenderci. Saprete forse della polemica nata intorno alla collaborazione di Mascia in IDV. Al fatto che, quando c’è da far parlare i Viola, chiamano sempre lui, o la Bartolini, l’addetta stampa. Anche sabato Mascia era là, in prima linea, sul palco. Lui appare, senza averne ricevuto il consenso da parte dei gruppi locali, il delegato del Popolo Viola, l’uomo che lo rappresenta e lo guida nella sua pur semplice linea politica. Certamente Mascia ha avuto un ruolo fondamentale nella nascita del primo No B Day; certamente i Viola ne sono debitori. Ma a molti Mascia non va. Rischia di far approdare il movimento in un sicuro porto “partitico”. Che è naturalmente quello di IDV.

Saprete anche della polemica sorta con il direttore di Micromega, Paolo Flores D’Arcais, reo di voler scippare ai Viola l’organizzazione della manifestazione di protesta contro Berlusconi. D’Arcais esordì forse per primo ad Agosto con un appello a firma di Hack, Camilleri e Don Gallo. In esso si esprimeva la necessità di una forte rsisposta della scoietà civile contro lo scempio della Costituzione ordito da B. D’Arcais cercò di insinuarsi fra le crepe dei Viola, ben consapevole dei guasti insorti intorno alla figura di Mascia e della Pagina Nazionale, inviando email ai gruppi locali con la richiesta di aderire al suo appello. Appello che non è sfociato in una manifestazione autonoma: D’Arcais si associa alla manifestazione della Fiom del prossimo 16 Ottobre incassando l’adesione soltanto di alcuni gruppi locali viola.

Avevo ipotizzato, da queste colonne, come la querelle Viola-D’Arcais ricalcasse all’incirca la competizione fra IDV e la Sinistra. Anzi, forse ne rappresenta un altro fronte. Anche Vendola ha riconosciuto come la piazza viola sia un popolo – apparentemente – senza partito. Fra di essi vi sono molti “democratici”, ha osservato, e bisognerebbe che il Partito si avvicinasse a loro. Forse Vendola, sabato, si è guardato intorno ed ha assistito a scene del genere:

Di Pietro, lui, conosce molto bene il valore elettorale della piazza di sabato. Già il 5 dicembre scorso, quando il No B Day portò in piazza 300 mila persone, si vociferava della sponsorizzazione di IDV alla manifestazione. Di Pietro aveva pagato il palco? Qualcuno ha scritto che se un partito ha finanziato il No B Day, ebbene, lo ha pur fatto con i soldi del finanziamento pubblico dei partiti, quindi con soldi di tutti noi. Resta da decifrare il comportamento di IDV in piazza: le bandiere del partito erano ben in vista, tanto che è stato chiesto, dal palco, di abbassarle. Di Pietro voleva mettere il cappello al No B Day 2? C’è da chiedersi se non l’avesse già fatto lo scorso 5 Dicembre.

Ma questa volta un gruppo locale, Resistenza Viola Piemonte, si è messo in mezzo. Al grido di “davanti solo i Viola”, hanno spodestato le bandiere di IDV dalla testa del corteo, arrivando sino allo scontro verbale con Mascia:

Circolava anche un video sul web che non riesco più a trovare. Ma il punto non è questo. Non sono le bandiere di IDV o del PD che possono scandalizzare. Il problema è che lo scorso 5 dicembre la società civile sembrava aver ritrovato coscienza, sembrava essersi ridestata dal limbo, dall’ignavia, aveva preso possesso della piazza, autoorganizzandosi tramite il web – fatto assolutamente innovativo e che aveva fatto pensare a una nuova forma di mobilitazione, che faceva pensare alla e-democracy come a una nuova forma di democrazia diretta, irrealizzabile altrimenti per il noto problema della moltitudine, del numero. Come fare a metter d’accordo tutti? Bè, c’è il web, oggi, si diceva. Si narrava di un futuro prossimo in cui tutti gli e-cittadini – connessi in una agorà virtuale permanente – avrebbero interlocuito fra di loro concorrendo direttamente a formare la decisione. Il web, i social network, avrebbero così risolto i guasti della democrazia rappresentativa. Avrebbe coinvolto in maniera totalizzante il cittadino, facendolo coincidere con la politica. Mai più nessuna disgiunzione funzionale, nessuna casta. Non più politica di professione.

E invece… Il numero, ancora lui, ha mietuto un’altra vittima. Il Popolo Viola, a partire da quel 5 Dicembre, non è riuscito a darsi una forma stabile, sia essa quella dell’entità pre-politica non organizzata che sovrintende alla mobilitazione con una specifica e unica ragion d’essere (“licenziare Berlusconi”), sia essa quella di una nuova aggregazione partitica diffusa territorialmente e innovativa nella formula della e-democracy (come vorrebbe essere il Mov 5 Stelle). Di fatto, dopo quello straordinario successo, fra i Viola sono emersi sospetti e differenze d’opinione; non vi è stata alcuna tensione all’aggregazione, bensì si sono subito definiti steccati e proprietà private, rivendicazioni di merito, piccole questioni personali.

Poi vi è il nodo del ruolo dei partiti. Un rapporto ambiguo, un peso che i Viola porteranno a lungo sul groppone. Da un lato non si vuole alcuna referenza con i partiti;  se ne rifiutano le etichette, le bandiere, la loro presenza ai cortei è vista con sospetto, come fosse un tentativo di “mettere il cappello”; nessun politico è ammesso sul palco, tutt’al più nel retropalco. I politici non possono usare il palco dei Viola per farne un comizio. Dice Mascia: “i politici non possono parlare, ma sono ben accetti fra di noi”. E quindi l’assenza di un partito (il PD) è vista come una colpa grave, da raffigurare in manifesti satirici – il PD dorme perchè non va al corteo dei Viola. Chi ha contestato l’organizzazione del 2 Ottobre, argomenta sempre sul rapporto con i partiti: la manifestazione di sabato era appaltata a IDV. Questo sospetto diventa certezza quando compaiono le numerose bandiere del partito di Di Pietro in testa al corteo.

Quindi? Quale futuro? Un terzo No B Day? Lo scorso 5 dicembre aveva permesso di far emergere il popolo dei senza partito. Ora esso si è nuovamente dissipato e il tempo per intercettarlo si è forse perso per sempre.

Appendice: i ringraziamenti durissimi della Rete locale Il Popolo Viola