Alexis Tsipras, il rischio calcolato

Alexis Tsipras

L’Europa è in una impasse.

Essa non è solo un effetto collaterale della crisi, ma è il risultato di un processo perverso che ha avuto come obiettivo la socializzazione delle perdite e la privatizzazione di tutto ciò che può generare profitti. I bail-outs, i piani di salvataggio che impongono “austerità” ai popoli che li subiscono – non si parla solo di PIIGS ma di tutti i Paesi facenti parte della zona euro –  sono in realtà piani di salvataggio delle banche creditrici.

“I leader europei devono abbandonare l’attuale strategia di austerità”, ha scritto recentemente Frank Hollenbeck, docente Finanza ed Economia presso l’Università Internazionale di Ginevra. Questo non è certo un giudizio idealista, tanto è vero che anche il mondo più scettico della finanza internazionale è arrivato a tale conclusione. Così, il nuovo governo tedesco di Larghe Intese si è potuto formare sulla base del presupposto che, senza una progressiva riduzione del debito e un aumento degli investimenti soprattutto nella periferia meridionale d’ Europa, stremata sia dal punto di vista economico che da quello sociale, non si riuscirà a modificare questa tragica situazione di crisi.

L’interventismo della Troika ( FMI, BCE, Commissione europea) con l’ imposizione dei Memorandum di austerità e di riforme strutturali in direzione di privatizzazioni in settori strategici, ha portato alla distruzione dei servizi pubblici e dei diritti dei lavoratori. Ed è sulle macerie dello Stato Sociale che cambiano gli scenari politici. L’ ascesa  del partito Syriza in Grecia, guidata da Alexis Tsipras, è dovuta alla sua  determinazione a lottare per una nuova strategia economica e sociale a livello europeo, rifiutando le politiche neoliberiste ma senza uscire dalla UE, né dall’euro.

Può essere che nelle Elezioni Europee di quest’anno vi sia un forte astensionismo con una contemporanea affermazione degli euroscettici, i quali auspicano  il ritorno alla sovranità nazionale e la reintroduzione delle monete nazionali. L’Europa, però, ormai esiste ed è irreversibile. Nel maggio scorso Alexis Tsipras, in una intervista  alla CNN, aveva detto che, a causa del memorandum e dell’austerità che impone, “i Greci stanno andando direttamente all’inferno”. Tsipras ha anche detto che il suo partito vuole mettere fine all’austerità tenendo la Grecia nell’eurozona e allacciando nuove alleanze per superare la crisi. “Faremo tutto quel che possiamo per muoverci in questa direzione, per trovare la soluzione alla crisi, che non è un problema solo greco, ma europeo”.

Oggi  constatato che  il piano di salvataggio della Grecia è fallito […] Bisogna fermare immediatamente l’austerità e convocare una conferenza europea sul debito, per la Grecia e gli altri paesi della periferia, come quella di Londra del 1953 in cui si ammise che il conto post bellico tedesco era troppo alto. Servirebbe una clausola sui rimborsi legati alla crescita: se il pil è positivo, paghiamo; sennò, no. Infine ci vorrebbe un «new european deal», un grande pacchetto di investimenti per la crescita – soprattutto nel mezzogiorno d’Europa – che finanzi la ripresa (La Stampa.it).

Tsipras ha affermato che vorrebbe trovare partner a questo fine tra i paesi del sud e del centro Europa. Con tale obiettivo, lo scorso 14 gennaio si è svolto a Roma l’incontro tra una delegazione del partito greco Syriza e i dirigenti nazionali del Movimento Federalista Europeo (MFE). La delegazione greca ha condiviso in pieno gli obiettivi fissati dall’ICE (Iniziativa dei Cittadini Europei, promossa dal MFE) nel New Deal 4 Europe – Per un Piano europeo straordinario per lo sviluppo sostenibile e l’occupazione, già presentato alla Commissione Europea. Il progetto prevede la costituzione di comitati promotori nazionali in otto paesi diversi dell’Unione europea, e Syriza  si è impegnata a considerarlo una delle proprie priorità politiche nella prossima campagna per le elezioni europee.

La delegazione italiana ha informato che sono in corso contatti anche con altri movimenti e forze politiche europee per allargare e dare forza alla coalizione per un New Deal 4 Europe. Anche il Partito della Sinistra Europea (SE) ha lanciato la candidatura di Tsipras, leader della Syriza, al Congresso che da poco si è tenuto a Madrid, auspicando che ciò contribuisca alla ricostruzione della sinistra. Oggi la parola “sinistra” è equivoca per molti: se è diventata una forza politica in ascesa in Grecia, in Italia non lo è più.

Tsipras,  che è stato raffigurato come un radicale estremista, è invece un freddo stratega che intende portare avanti con l’Europa un rischio calcolato, in particolare nei confronti di Angela Merkel, il cui governo di Grande coalizione nato dal patto con la Spd, è adagiato su una posizione mediana.  I socialdemocratici avrebbero potuto inserire punti di programma più forti, come quelli del sindacato DGB per un Piano Marshall per l’Europa. Invece  hanno confermato la loro contrarietà a qualsiasi europeizzazione del debito.

Parlando di Tsipras, bisogna far riferimento alla sua intelligenza di  politico e alla sua posizione politica che vuole un’ Europa  radicalmente cambiata: un’ Europa che sia un’unione, un’ Europa non imperiale, ma solidale e democratica. Un’ Europa “che cancelli il Fiscal Compact e modifichi i trattati di Maastricht e Lisbona”. Che riapra il processo costituente e lo rimetta nelle mani dei popoli.

Non  più metodo, ma contenuti […] Un’ Europa che abbia una Banca Centrale interamente pubblica, i cui soci siano le Banche centrali pubbliche dei Paesi membri […] Un’ Europa che svolga un ruolo autonomo e  sovrano nel contesto internazionale e sia una interlocutrice non più  più subalterna con gli USA e promotrice di una posizione strategica nei confronti della Russia (libreidee.it).

L’ Europa attuale, scrive Barbara Spinelli, è invece un equilibrio di potenze  basato sugli egoismi nazionali e sul dominio dei più forti sui più deboli.

Le forze della sinistra italiana nelle elezioni europee del 2009 non hanno eletto alcun rappresentante nel Parlamento perché non hanno raggiunto la percentuale minima richiesta (la legge elettorale italiana ha una soglia di sbarramento del 4%).

Nel corso della giornata del 14 Gennaio, la delegazione di Syriza, guidata da Nikos Pappas, persona molto vicina a Tsipras, ha incontrato personalità appartenenti alla galassia delle forze politiche della sinistra italiana: certamente SEL e Fausto Bertinotti. L’obiettivo esplicito era tastare il terreno onde valutare la praticabilità di una lista italiana che appoggiasse la candidatura di Tsipras alla Commissione Europea.

Il partito di SEL, che da un lato sembra voler costruire una sinistra unita, plurale ed euro-federalista, forse si affiancherà nuovamente all’Alleanza progressista dei Socialisti e dei Democratici , dove sono rappresentati anche la SPD tedesca, il PD e il PS francese, i laburisti inglesi, piuttosto che confluire nella Sinistra Europea unita con la candidatura di Tsipras.

In Italia è stata proposta una Lista civica sovranazionale e transnazionale di adesione alla canditatuta di Alexis Tsipras. La lista autonoma è promossa da personalità della cultura (Barbara Spinelli, Andrea Camilleri, Paolo Flores d’Arcais, Luciano Gallino, Marco Revelli,  Guido Viale ) dell’arte e della scienza e da esponenti di comitati, associazioni, movimenti e organismi della società civile che ne condividono gli obiettivi e i contenuti. Non verrà contrattata con alcun partito, per segnare una netta discontinuità con il passato e per marcare  diversamente la proposta: nella volontà dei proponenti, l’adesione a questa lista elettorale non dovrebbe essere confusa con l’apparentamento ad alcuno dei partiti esistenti o di nuova formazione.

Il governo taglia del 20% il finanziamento a partiti e sindacati. In Spagna

Il giorno nero della Spagna: il governo di Mariano Rajoy ha annunciato misure draconiane per un totale di 65 miliardi di euro. Saranno approvate venerdì, dal Consiglio dei Mnistri, e saranno applicate immediatamente. Questo è il risultato del bailout del EFSF, per salvare le banche spagnole.

Ecco le misure prese:

  1. aumento dell’IVA agevolata dall’8% al 10%;
  2. aumento dell’IVA normale dal 18% al 21%;
  3. aumento delle accise;
  4. riduzione delle detrazioni per l’abitazione principale;
  5. eliminazione della tredicesima per i dipendenti pubblici e riduzione dei giorni di ferie;
  6. riduzione della indennità di disoccupazione a partire dal settimo mese;
  7. riforma delle pensioni;
  8. riduzione del 30% delle consulenze esterne ;
  9. riduzione di 600 milioni della spesa dei ministeri;
  10. ma soprattutto: taglio del 20% al finanziamento pubblico a partiti e sindacati.

    Che dire: Rajoy non è ancora stato linciato dai partiti spagnoli, ma dinanzi alla eliminazione della tredicesima il 20% di taglio ai soldi destinati ai partiti era doveroso.

La prospettiva Hollande

La prospettiva Hollande spaventa i mercati. Hollande, l’uomo normale della sinistra normale. Un socialista, uomo medio e forse mediocre. Uno che non suscita passioni, che non è affiliato alla Mala delle Banche, né al dogmatismo germanico del rigor mortis del monetarismo deflattivo. Con il crollo della Borsa di oggi, il segnale è dato: la Francia verrà messa a ferro e fuoco dal tritacarne dello Spread e sarà la fine dell’Eurozona. A meno che il progetto di governance creativa dei Banksters non venga prontamente dirottato su Berlino. In questo clima non ci sono amici e nemici, tutti possono finire nell’occhio del ciclone, compreso Monti.

Quindi la prospettiva Hollande spaventa i mercati. Hollande, quello della spesa pubblica. Hollande, quello che romperà l’asse con Frau Merkel. Ma i mercati sanno che il dogma del rigore di bilancio è mortifero e sta trascinando tutti in un gorgo muto. L’Europa, dicono, ha bisogno di crescita. Poi arriva l’uomo della crescita e vendono i titoli. Ciò che spaventa oggigiorno non è Hollande, ma la reazione di Berlino. Se Hollande deciderà di farsi carico del problema europeo, di far passare il Fiscal Compact per il vaglio di un Referendum popolare o di riformarlo sminuendone i caratteri deflattivi, o  di mettere la politica di bilancio sotto l’ombrello della Commissione e quindi sottrarla alla dinamica intergovernativa dell’Ecofin come è avvenuto sinora, allora Berlino potrebbe decidere di chiamarsi fuori, e il destino dell’Euro e della Unione Europea si farà sempre più incerto.

Fa strano vedere come la prospettiva Hollande, una prospettiva democratica in cui un popolo sceglie alle urne, liberamente, il proprio presidente, collida fortemente con quanto atteso dai mercati. I mercati prevedono una Germania isolata, quella Germania portatrice di una politica sanzionatoria e punitiva. E allo stesso tempo temono la deflazione e la decrescita. Se non è schizofrenia questa… Merkel e il rigorismo monetario – non Sarkozy – sono i veri sconfitti di ieri:

The French delivered a loud non to Berlin’s euro policies, handing a first-round victory to the socialist François Hollande, whose central campaign pledge was to reopen Chancellor Angela Merkel’s eurozone fiscal pact, an international treaty signed by 25 EU leaders and currently being ratified. Almost one in five French also voted for the europhobic Front National of Marine Le Pen, who wants the single currency scrapped and the French franc restored (Ian Traynor, The Guardian).

L’onda lunga dell’opposizione alla schizofrenia monetarista si sta diffondendo per l’Europa e ha investito ieri l’Olanbda, con la dipartita dal governo dello xenofobo neonazista Geert Wilders e le conseguenti dimissioni del primo ministro Mark Rutte. Piazza Wencelsao a Praga, è stata testimone della più grande manifestazione in Repubblica Ceca dalla Rivoluzione di Velluto del 1968, riferisce Traynor. E’ la crisi delle élite europee? No, è la rivolta contro il formalismo tedesco e contro la fedeltà cieca alla politica monetarista della Bundesbank. Traynor accomuna la dipartita di Sarkozy a quella dei capi di governo di Irlanda, Portogallo, Spagna, Grecia, Finlandia, Slovacchia e Italia. La caduta di tutti questi governi è sintomo della crisi delle élite. Niente di meno vero: le élite di governo non sono messe in crisi dal voto, bensì dall’unilateralismo tedesco e, almeno in un caso, ovvero in quello dell’Italia, il cambio del governo è stato eterodiretto dall’esterno per mezzo della leva dello spread. Così non si può dire della Francia e della Spagna, dove invece sono gli elettori ad aver defenestrato i propri capi di governo. Gli elettori, questi terribili e imprevedibili elettori.

Se in Spagna gli elettori hanno espulso dal sistema i socialisti emblema del Riformismo europeo, in Francia è il pomposo Sarkò a perire: una chiara ed evidente tendenza anticiclica che destituisce i governanti e rompe gli schemi partitici permettendo l’avanzamento di neonate formazioni partitiche aventi funzione antisistemica, come lo sono FN in Francia, il movimento di Wilders in Olanda, o il M5S in Italia. Diversi i loro argomenti e le loro propagande, ma simili le genesi e le carriere elettorali.

Le proteste contro l’obbligo di austerità invadono l’Europa ma non la Germania. Per quanto tempo Berlino resterà il paradiso in terra e fino a quando i tedeschi potranno continuare a crescere tenendo mezzo continente sotto i propri piedi?