Shutdown della politica

La crisi del governo federale degli Stati Uniti nasconde un lunghissimo braccio di ferro che alcune parti del partito Repubblicano conducono sin dal 2010, anno di approvazione dell’Obamacare, la riforma sanitaria. Il New York Times racconta, in un resoconto a firma di Sheryl Gay Stolberg e Mike McIntire, che immediatamente dopo la conferma del secondo mandato di Barack Obama, un gruppo di attivisti conservatori, capeggiati da Edwin Meese III, politico e avvocato statunitense, 81 anni, si sono riuniti in Washigton per definire la strategia. Obiettivo: fare a pezzi la riforma sanitaria tramite il cosiddetto ‘defunding’, togliere i fondi all’Obamacare. Il mezzo per ottenere questo obiettivo è la minaccia. Che il gruppo di ultra-conservatori ha instillato poco a poco fra le file dei repubblicani più cauti: tagliare il finanziamento per l’intero governo federale.

Questa è l’origine dello shutdown. E’ un’origine pienamente politica. Per molti americani, lo shutdown è venuto fuori dal nulla. Ma diverse interviste con esponenti conservatori mostrano che il confronto che ha determinato la crisi è stata la conseguenza di uno sforzo di lunga durata per annullare la legge, l’Affordable Care Act, sin dal momento della sua approvazione, condotto da una galassia di gruppi conservatori, le cui interconnessioni sono comunemente note. La determinazione con la quale questi gruppi hanno operato va al di là di ciò che definiamo ‘opposizione’. Sebbene l’83% del governo federale sia ancora in opera (‘Where’s sense of crisis in a 17 percent government shutdown?’ @ByronYork) e Wall Street sia più attratta dall’ingresso sul mercato azionario di Twitter, lo scenario è preoccupante più per il metodo impiegato per affossare una legge osteggiata, piuttosto che per le reali conseguenze della crisi finanziaria. Non è la prima volta che negli Stati Uniti avviene uno shutdown (nel nostro ordinamento si parlerebbe di esercizio provvisorio).

Alla testa del gruppo di sabotatori troviamo al solito il Tea Party Patriots, il gruppo denominato Americans for Prosperity and FreedomWorks, il Club of Growth (una organizzazione no-profit); altre associazioni sono più defilate ma lo stesso partecipi dell’iniziativa e sono Generation Opportunity, Young Americans for Liberty e quella di più recente fondazione, Heritage Action. I miliardari fratelli Koch, Charles e David, sono stati profondamente coinvolti con un cospicuo finanziamento. Un gruppo legato ai Koch, Freedom Partners Chamber of Commerce, ha erogato più di 200 milioni di dollari l’anno scorso alle organizzazioni no profit impegnate nella lotta. Sono incluso i 5 milioni di dollari erogati a Opportunity Generation, che ha creato una propaganda, il mese scorso, con una pubblicità internet che mostrava un minaccioso zio Sam raffigurato mentre spuntava tra le gambe di una donna durante un esame ginecologico.

Questo pulviscolo di organizzazioni è riuscito a fare pressione sul Gop moderato e in definitiva a bloccare la macchina statale federale. Può la dialettica politica trasformarsi in una tale battaglia, con massimo dispregio del funzionamento dell’amministrazione pubblica? L’iniziativa politica di Obama è paralizzata. Il conflitto fra i Repubblicani e un partito Democratico non più così convinto della necessità dell’Obamacare, è la più coerente rappresentazione della crisi dei sistemi democratici, del tutto avulsi dalla realtà economica e sociale, divenuti teatro di uno sterile e distruttivo confronto fra lobbies.

Siria: un gioco a somma zero

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Siria: un gioco a somma zero – di Vanna Pisa

“Edward Luttwak con la solita lucidità ha voluto dare un consiglio a Barack Obama: non intervenire, non ti conviene. Un’azione militare americana in Siria è contraria agli interessi strategici degli Usa” (dal Corriere della sera, 27 giugno 2011). Le considerazioni di Edward Luttwak possono anche essere tacciate di cinismo e facile machiavellismo, ma sono anche il segnale di una realpolitik che miscela impotenza e tracotanza: infatti neanche gli USA, ad oggi la maggior potenza militare, sono in grado di decidere i destini della Siria, anche se fossero convinti di avere come obbiettivo la trasformazione di quel paese medio orientale in una nuova terra della libertà e democrazia.

Ma USA e Siria non sono gli unici attori sulla scena mediorientale.

I regimi di polizia mediorientali sono travolti dalla contestazione, a sua volta incapace di costruire nuove architetture istituzionali negoziate, giacché le culture sociopolitiche dominanti nelle comunità in rivolta si fondano sulla delegittimazione reciproca . Inoltre gli unici veri Stati nella regione non sono arabi: Israele, Iran e Turchia (Limes marzo 2013).

Vi sono poi le potenze globali : oltre agli USA, Cina e Russia, schierate nel modo conosciuto, vale forse la pena di fare due brevi notazioni. Gli anglo – francesi, benché potenze nucleari, sono al più dei revenants, che, indipendentemente dalle iniziative assunte, non sono in grado di condurre una politica da potenza globale. Russia e Cina, nei confronti della Siria, sembrano al momento dalla stessa parte, ma fino a che punto? Solo in comune opposizione agli Usa?

Etnie, movimenti politici religiosi e militari, organizzazioni terroristiche, Stati, alleanze interstatali, potenze militari nucleari si fronteggiano o si alleano con obiettivi e forze diverse.

Inoltre vi è una stratificazione temporale di cause e motivi che si sono intrecciati fra loro e continuano a interagire anche a distanza di decine e decine di anni. Nel 1916, per esempio, a seguito della dissoluzione dell’Impero Ottomano, il medio oriente venne diviso in due zone d’influenza: britannica, comprendente gli attuali Israele, Giordania e Iraq; e francese, comprendente gli attuali Siria e Libano.

Altre alleanze risalgono alla guerra fredda, quando l’allora URSS ” dominava ” il Mediterraneo del Sud, dall’Algeria alla Siria passando all’Egitto di Nasser. Altre ancora risalgono alle guerre o campagne militari che hanno consentito la crescita di Israele come potenza regionale (nel 1948 l’URSS era schierata a fianco di Israele).

L’Iran, che è un’altra potenza della regione, non ha certo dimenticato che il colpo di Stato del 1953 contro il presidente Mossaeq era stato favorito dagli anglo-americani per difendere gli interessi delle loro società petrolifere minacciate di nazionalizzazione.

Le petromonarchie sunnite si trovano su una riva dello stretto di Hormuz, serratura del Golfo Persico da cui passa un quinto di tutto il petrolio prodotto nel mondo. Sull’altra riva, l’Iran. Come reagirebbero gli USA e suoi alleati se l’Iran decidesse di intervenire nello stretto per difendere la Siria sua alleata?

Dettare condizioni è in primis dettarle a sé stessi; nulla è più deleterio nella vita privata come in politica, di non essere in grado di mettere in atto ciò che si minaccia, per quanto vago sia, qualora le condizioni non siano rispettate.

Obama, con la linea rossa sull’uso delle armi chimiche, si è messo in un angolo: non fare nulla significherebbe perdere la faccia e indebolire ulteriormente un impero sempre più in bilico. Così, forse, verranno lanciati missili Tomahawk dalle navi schierate nel Mediterraneo, potrebbero essere utilizzati droni e bombardieri di alta quota. La morte dal cielo comunque: non un soldato USA metterà piede nelle infide terre siriane, e alla fine quella che risulterà – di fatto – vincente, sarà la” dottrina Luttwark”.

Cover-up sullo scandalo Prism. Con una guerra alla Siria

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Improvvisamente il faccione serioso di David Cameron travalica le righe fitte del Guardian per dirci che “sì, il governo siriano ha impiegato armi chimiche (il sarin) contro i ribelli”. A dar manforte al Primo Ministro anche Tony Blair, secondo il quale il Regno Unito dovrebbe aiutare i ribelli mediante armi e favorendo l’istituzione di una no-fly zone per “evitare conseguenze catastrofiche”.

L’uscita di Cameron e Blair viene un giorno dopo quella di Barack Obama. As usual, Londra e Washington fanno gioco di sponda quando si tratta di preparare l’opinione pubblica ad una nuova guerra ‘contro il male’. Per Obama, spostare l’attenzione su Assad e l’uso ‘ripetuto’ (e non documentato) del sarin potrebbe essere una scelta ragionata per muoversi dall’arrocco dello scandalo NSA; una scelta a cui tutti i media si sono debitamente accodati. Mentre Bengasi esplode e la Libia è fuori controllo, mentre le spiegazioni addotte per giustificare l’uso di Prism sono ancor più imbarazzanti dello scandalo medesimo, mentre i ribelli islamisti siriani si preparano a perdere Aleppo, Obama apre ad un piano di armamento che dovrebbe prevedere il dispiegamento di forze speciali dedicate all’addestramento dei ribelli.

Parte del piano è svelato in un retroscena dal Wall Street Journal

armare i ribelli siriani e proteggerli con una limitata no-fly zone all’interno della Siria, che verrebbe applicata dal territorio giordano per proteggere

, nonché trasportarli via treno,

 i rifugiati siriani e i ribelli. Secondo i funzionari americani, 

la creazione di una zona di addestramento richiederebbe un ponte aereo siriano ben lontano dal confine con la Giordania. Per fare questo, i militari, prevedono la creazione di una no-fly zone che si estenderebbe per 25 miglia in Siria, che verrebbe però applicata utilizzando aerei dalle basi giordane.

La guerra per la “libertà dei siriani dalla feroce dittatura” di Bashar Assad dovrebbe quindi passare attraverso un pieno coinvolgimento degli USA nel territorio travagliatissimo del Medio Oriente. Ragionevole aspettarsi che una medesima mossa la compieranno anche Russia e Cina. Obama certamente riceverà i plausi dei repubblicani, specie di John McCain (“Siamo d’accordo con il Presidente che questo fatto deve influenzare la politica degli Stati Uniti verso la Siria. Ora non è il momento di meramente prendere il prossimo passo incrementale. Ora è il momento per le azioni più decisive”, ha detto alla CBS). Nessuno ha obiettato al presidente che, così facendo, fornirà sostegno – fra gli altri – a un gruppo organizzato denominato Jabhat al Nusra, “ossia “Fronte della vittoria del popolo di Siria” – formatosi alla fine del 2011, qualificato “terrorista” dagli Stati Uniti medesimi alla fine del 2012. Come potranno gli americani distinguere i terroristi del Fronte al Nusra dalla formazione ritenuta legittima dell’Armata libera siriana (ASL)?

Il Fronte al Nusra è il gruppo armato che più di ogni altro ha combattuto in prima linea. Si è però macchiato di crimini gravissimi, come il massacro in un villaggio di cristiani e l’esecuzione brutale di un quattordicenne, reo di aver insultato Maometto. Asl appare più disorganizzato, quasi inadatto a mettere in campo strategie efficaci, poco armato. Privo della ferocia dei qaedisti di al Nusra.

Obama e Cameron, se davvero vogliono indirizzare l’indignazione dell’opinione pubblica contro Assad, letteralmente spostandola dal caso NSA e Prism, dovranno portare qualcosa di più di una semplice rivelazione. Il rapporto costi/benefici di un eventuale intervento di supporto è talmente alto che è molto probabile l’attenzione sul caso sarin-Assad calerà vistosamente nell’arco di qualche giorno. Giusto il tempo di far scivolare le rivelazioni di Snowden fuori dalle prime pagine.

Nessuno tocchi Edward Snowden

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Edward Snowden è un cittadino americano. E’ stato un soldato, ha partecipato alla guerra in Iraq. Ha creduto di stare dalla parte del potere legittimo. E’ entrato nel giro della Cia, specie delle società appaltatrici che fornisco al servizio segreto americano servizi di tecnologie informatiche. Ha così potuto assistere, durante un soggiorno lavorativo a Ginevra, a ‘pratiche’ al di fuori della legge che lo hanno indotto a dissociarsi da esse.

La NSA (National Security Agency) ha allestito un centro di raccolta dati presso Camp Williams, nello Utah: può memorizzare dati dell’ordine degli yottabyte (1 yottabyte è un milione di miliardi di Giga). Dati provenienti dal web, dati maneggiati dai provider di telefonia, dai social media. Con uno strumento di spionaggio come PRISM, l’NSA “registra: il numero di telefono di chi chiama e di chi risponde, da dove chiamino e ricevano la telefonata, la durata e l’ora della chiamata, i numeri di serie che identificano i telefoni coinvolti. Non il contenuto delle telefonate né l’identità delle persone al telefono” (chiusinellarete). Una vera e propria pesca a strascico, non autorizzata da alcun giudice, totalmente illegale, contro la dignità degli individui: contro la democrazia.

Se anche PRISM, e gli altri strumenti in uso da parte della NSA, sono stati autorizzati mediante legge dal Congresso americano, come affermato da Barack Obama (“Il Congresso sapeva, ha autorizzato il programma PRISM più volte dal 2007 con sostegno bipartisan”), ciò non significa che siano strumenti legittimi. Ieri David Cameron è intervenuto in merito al presunto coinvolgimento del GCHQ (il servizio segreto britannico) nel progetto PRISM:

Prima di tutto penso che valga la pena di ricordare perché abbiamo i servizi di intelligence e quello che fanno per noi.

Viviamo in un mondo pericoloso. Viviamo in un mondo di terrore e terrorismo. Abbiamo visto ciò per le strade di Woolwich fin troppo di recente.

E penso che sia giusto che noi abbiamo servizi di intelligence ben organizzati e ben finanziati per aiutare a mantenereci al sicuro.

Ma voglio essere assolutamente chiaro. Tali servizi segreti operano nel rispetto della legge, all’interno di una legge che abbiamo stabilito, e sono anche soggetti a un controllo adeguato da parte del Comitato di intelligence e sicurezza nella Camera dei Comuni.

E che il controllo sè molto importante, e io mi adopererò sempre fare in modo che sia svolto effettivamente (Guardian.co.uk).

Il progetto PRISM potrebbe esser noto anche ad alcuni governi europei. Angela Merkel, il cui paese, la Germania, risulta avere una rete di comunicazione fra le più sorvegliate stando alle mappe di taluni software di analisi dati la cui esistenza è stata rivelata dallo stesso Snowden, ha domandato a Bruxelles quale è la posizione dell’Unione Europea in merito. Cameron, come fanno notare quelli del Guardian, non ha affatto smentito che il GCHQ abbia maneggiato i dati del PRISM. Né lui, né il suo portavoce, né i suoi ministri hanno anche solo provato a invalidare questa ipotesi. Perché il servizio segreto britannico ha avuto necessità di trattare i dati del PRISM sorvolando sulla procedura legale delle intercettazioni, che peraltro esiste?

Lo scandalo rivelato da Snowden rischia di essere ben più profondo di quel che poteva apparire all’inizio. Non si tratta di un semplice software di “gestione” dati, ma di un sistema, coordinato e continuativo, operante fra paesi, volto a catalogare la mole smisurata di informazioni che circola sulle reti di telefonia e di internet. Snowden ci risveglia dal dolce sonno: la Rete non è libera. La Rete non è neutrale. Le nostre esistenze in rete non ci appartengono. Sono codificate in numeri e memorizzate in supporti; dentro ad un enorme magazzino, sempre a Camp Williams, nello Utah.

Dicono di Snowden che voleva entrare nelle Forze Speciali, e che venne rifiutato. La sua domanda di ammissione, del 7 Maggio 2004, fu respinta pochi mesi dopo. Non ha mai ricevuto alcun addestramento, afferma il portavoce del capo dell’esercito degli Stati Uniti, George Wright. Come questo possa esser messo in relazione con il suo divenire ‘whistleblower’ (letteralmente delatore) è altamente incomprensibile: non lo spiega e nemmeno lo giustifica. Snowden ha agito sulla base del proprio quadro di valori: è stato testimone di ripetute violazioni della legge, e ha esercitato il lockiano diritto di resistenza contro il potere illegittimo, contro l’abuso verso la dignità umana, la dignità di tutta l’iperconnessa umanità.

Attacco al Consolato USA: in Libia è caccia all’uomo

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Secondo il Tripoli Post, le forze di sorveglianza degli Stati Uniti avrebbero individuato e accerchiato cinque uomini ritenuti responsabili dell’attacco al Consolato americano di Bengasi, lo scorso 11 Settembre, durante il quale morirono l’ambasciatore Usa in Libia, Christopher Stevens, due marines e un funzionario. L’uccisione di Stevens è stata oggetto di un lungo dibattimento negli USA tanto da suggerire certi ambiti della stampa a considerare responsabili di mancata sorveglianza e prevenzione sia il servizio segreto che le forze armate. Dopo pochi mesi dall’attacco, il capo della CIA, il Generale David Petraeus, finito sulle prime pagine dei giornali per uno scandalo sessuale, è costretto a dimettersi. Petraeus è stato deposto con l’onta della vergogna e del pubblico ludibrio. Ma è fin troppo chiaro che la sua vera colpa era la ‘disattenzione’ verso la polveriera libica. Colpa che alcuni osservatori – e forse anche il presidente Barack Obama – ritengono sia condivisa con l’ex Segretario di Stato, Hillary Clinton, la quale ha la responsabilità di aver subito la politica estera francese, specie dell’irriverente Sarkozy, l’ispiratore della guerra che ha rovesciato il regime di Muhammar Gheddafi.

Dalla fine del conflitto, la Libia è scivolata lentamente nel caos e nell’anarchia. Il governo in carica è troppo debole e non riesce a controllare le frontiere del paese, un vero colabrodo intorno al quale operano bande di tutte le etnie, specie dei berberi, impegnati a far uscire dal paese quantità imprecisate di armi provenienti dagli arsenali del regime deposto. Armi libiche sono finite in Mali, nel Sahel ed hanno contribuito a incendiare la rivolta Tuareg del 2012, poi tramutatasi in occupazioni e scorrerie dei nuclei terroristi ruotanti intorno alle sigle di Al Qaeda nel Maghreb islamico e di Ansar el Dine. Un altro flusso di armi passa attraverso l’Egitto e conclude il suo corso in Siria ad alimentare la guerra degli Islamisti contro il despota Assad.

Ieri il Consiglio Europeo, nell’ambito delle politiche comunitarie della PESD, ha deciso di inviare una missione civile che avrà il compito di aiutare la Libia a controllare meglio le frontiere terrestri, marittime ed aeree. La missione è stata denominata Eubam Libia (European Union Border Assistance Mission, letteralmente Missione dell’Unione Europea di Assistenza ai Confini). L’invio degli esperti UE avrà inizio a giugno. La missione Eubam ha un mandato iniziale di due anni, potrà contare su uno staff di 100 funzionari a pieno regime e su un budget annuo di 30 milioni di euro. Tutto ciò è avvenuto qualche giorno dopo lo spostamento di truppe americane da Stoccarda a Sigonella nell’ambito delle attività di Africom (US Africa Command). Il numero dei marines presenti su territorio libico non è chiaro: alcuni sarebbero disposti a protezione dell’Ambasciata, a Tripoli; altri contingenti sarebbero dislocati in prossimità degli impianti petroliferi delle multinazionali anglo-francesi nel distretto di Bengasi.

A Tripoli, il partito dei Fratelli Musulmani sta cercando di prendere il sopravvento sulle altre organizzazioni politiche, in particolar modo verso i leader della rivolta del 2012, alcuni dei quali hanno avuto ruoli nel regime di Gheddafi, come Mahmud Jibril, che ha ricoperto la carica pubblica di Presidente dell’Ufficio per lo Sviluppo economico nazionale fino all’inizio del 2011, ora leader di AFN, l’Alleanza delle Forze Nazionali, coalizione elettorale per raccogliere circa sessanta movimenti politici libici di ispirazione moderata e favorevoli ad un sistema politico democratico. I Fratelli Musulmani hanno invece cercato di far approvare una legge che impedirebbe ai funzionari che avevano operato con Gheddafi di lavorare nel governo.

Ma mentre la politica deve ancora fare i conti con il passato, il paese è scosso dalle prepotenze delle milizie, gruppi armati di ex combattenti del tutto fuori controllo.

“Il 10 aprile numerosi miliziani hanno assaltato una manifestazione anti-islamista nella capitale della nazione colpendo i manifestanti. Militanti di Misurata, Suq al-Juma e Tajura hanno circondato il ministero degli Esteri per impedire al personale di entrarvi […] Hanno anche bloccato le strade intorno agli edifici con veicoli armati di cannoni antiaerei (Andrej Akulov – Strategic Culture Foundation).

Poche ore prima dell’annuncio della missione Eubam, il ministro dell’Interno libico Achour Chouyil ha rassegnato le sue dimissioni nelle mani del primo ministro liberale Ali Zeidan. Le motivazioni della decisione sono ufficialmente personali, ma alla base ci sarebbe il fallimento dell’azione per neutralizzare le formazioni terroristiche che agiscono in Libia (ANSA). La situazione delle strade è di continua protesta. Dal 10 Maggio si susseguono gli scontri, specie a Tripoli. I Fratelli Musulmani, circa dieci giorni fa, sono riusciti a far approvare la legge dell’ostracismo verso gli ex del regime ma vengono a loro volta accusati di prendere ordini da altri paesi. E’ chiaro il riferimento all’Egitto di Mohamed Morsi.

Il gruppo libico dei Fratelli Musulmani ha dovuto fortemente negare in pubblico di aver ricevuto istruzioni e supporto da fuori Libia, in particolare dai Fratelli Musulmani in Egitto. Il gruppo ha tenuto una conferenza stampa il Mercoledì sera finalizzata a “stabilire migliori rapporti con i media e spiegare la propria posizione in merito alle attuali sviluppi politici”. Il Presidente del Consiglio della Shura dei Fratelli Musulmani in Libia, Abdulatif Karmous, ha respinto recenti notizie di stampa secondo le quali il suo gruppo sta ricevendo finanziamenti dall’organizzazione gemella in Egitto. Da parte sua, il Vice Presidente dei Fratelli Musulmani, Belghasem Shewa, ha invitato la stampa a riferire sempre “la verità”, che naturalmente sarebbe solo la sua.

I Fratelli Musulmani libici si trovano ad affrontare le critiche di un numero sempre crescente di libici che temono che il gruppo, il più politicamente organizzato nel paese, stia cercando di acquisire un potere politico più grande di quello che è realmente, manipolando sistematicamente l’assegnazione degli uffici governativi e delle nomine delle autorità, tutte orientate ai loro membri. Ultimamente alcuni dei membri del gruppo sono accusati di essere poco trasparente e immorali come il gruppo cerca di immaginare i suoi seguaci (The Tripoli Post).

Gli Stati Uniti sono molto preoccupati per l’instabilità politica nel paese, il quale potrebbe addirittura conoscere una secessione fra la Tripolitania e la Cirenaica, dove è più sviluppata la tradizione liberale e soprattutto dove si concentrano i giacimenti petroliferi delle multinazionali anglo-francesi. Obama ha di recente cercato una sponda in Italia. L’interesse del Presidente americano era chiaramente volto alla decisione che il governo Letta, per tramite del proprio ministro della Difesa, avrebbe preso in ambito di Pesd. L’appoggio dell’Italia è vitale per Obama al fine di orientare l’Unione Europea, soggiogata dal dominus tedesco, ad alimentare le politiche di cooperazione con il debole governo libico. La decisione dell’avvio della missione Eubam Lybia è il primo segnale che Obama ha ottenuto ascolto.

UK fuori dall’Europa: Obama in aiuto di Cameron

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Abbandonato dai suoi ministri, specie da Gove e da Hammond, rispettivamente al Dicastero dell’Istruzione e della Difesa, i quali hanno dichiarato giorni fa di esser pronti a votare a favore dell’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea, David Cameron trova un inaspettato sostegno da parte di Barack Obama. Il Presidente americano ha affermato, durante la conferenza stampa a margine della visita di Cameron a Washington, che il Regno Unito compirebbe un grave errore a indire il referendum per l’uscita dall’Unione ancor prima di rinegoziare la propria partecipazione.

Cameron ha definito un piano di negoziazioni con Bruxelles, un piano che dovrebbe essere messo in opera dopo le elezioni, e una consultazione referendaria entro il 2017, sempre se Cameron dovesse ancora governare. Ma è chiaro che la batosta subita dai Tories alle recenti amministrative e il contemporaneo successo degli antieuropeisti di Nigel Farage, hanno accelerato il suo declino in seno al partito conservatore. Si prevede che il premier non verrà ricandidato. Al suo posto potrebbero avere qualche possibilità il sindaco di Londra Boris Johnson e il medesimo Michael Gove. Entrambi potrebbero cavalcare l’onda anti Europa adottando il linguaggio neo nazionalista di Farage.

Cameron ha detto: “C’è una buona ragione per cui domani non ci sarà un referendum – sarebbe dare al pubblico britannico, credo, una scelta del tutto sbagliata tra lo status quo e l’abbandono dell’UE, che non credo sia accettabile. Voglio vedere cambiare l’Unione europea, voglio vedere quale rapporto può avere la Gran Bretagna con il cambiamento e il miglioramento nell’Unione europea”.

Cameron ha anche affermato che il futuro a lungo termine del Regno Unito è all’interno dell’Unione Europea. Obama ha espresso le sue preoccupazioni circa gli eventuali negoziati per un nuovo accordo commerciale fra UE ed USA da prepararsi al prossimo G8. Obama ha interesse che il Regno Unito rimanga all’interno dell’Unione al fine di influenzarne la politica commerciale. Gli USA hanno necessità di ottenere accordi commerciali vantaggiosi con l’UE. Senza l’influenza di Londra, Washington ha strada sbarrata.

Va da sé che la mossa di Gove ha innescato una corsa a chi la spara più grossa sulle ‘colpe’ di Bruxelles. Il popolare sindaco di Londra, Johnson, ha utilizzato il suo spazio sul Daily Telegraph per ricordare agli elettori dei Tories, ma anche e soprattutto a quelli dell’Ukip (il partito di Nigel Farage) che “tutti i nostri mali non nascono a Bruxelles”. Scrive a lettere capitali, Johnson: una abitudine demagogica, fanno notare sul Guardian:

MOST OF OUR PROBLEMS ARE NOT CAUSED BY “BWUSSELS” BUT BY CHRONIC BRITISH SHORT-TERMISM, INADEQUATE MANAGEMENT, SLOTH, LOW SKILLS, A CULTURE OF EASY GRATIFICATION AND UNDER-INVESTMENT IN HUMAN AND PHYSICAL CAPITAL AND INFRASTRUCTURE.

Insomma, un attacco frontale a Gove che il ministro ora dovrà controbattere e che potrebbe non esser così gradito agli inglesi medesimi. Suo malgrado, BoJo – questo il suo soprannome – rischia di vedersi affibbiata l’etichetta del leader del blocco pro-europeo nella guerra fratricida dei Tories.

Nuovo capo della CIA / La fronda anti Brennan

John Brennan è l’attuale consigliere per l’antiterrorismo di Barack Obama. Dovrebbe diventare il nuovo capo della CIA, dopo la defenestrazione di David Petraeus, dimessosi dopo uno scandalo sessuale che qualcuno oggi intende essere stato un evento non casuale. Insomma, un unico filo unirebbe l’assalto alla ambasciata di Bengasi dell’11 Settembre 2011 (che provocò la morte dell’ambasciatore Chris Stevens) con lo scandalo Petraeus e le odierne diatribe per la nomina di Brennan.

Massimo Gaggi narra oggi sul Corriere della Sera di un libro pubblicato su Sofrep.com, “Benghazi, the definive report”, nel quale si afferma che la relazione extraconiugale di Petraeus era ben nota all’amministrazione Obama e che pure Brennan ne era a conoscenza. Al punto tale da escludere Petraeus, capo della CIA, dal flusso informativo circa le operazioni condotte dal Pentagono in Libia nel corso del periodo post-conflitto. Il ‘Joint Special Operation Command’, una sorta di corpo speciale delle varie Forze Armate USA, era impegnato in Libia in missioni che esulavano dalle loro specifiche ‘mansioni’, il salvataggio di cittadini americani caduti ostaggio del nemico. Brennan sapeva che il JSOC era impiegato dal Pentagono in maniera anomala, ma teneva il capo della CIA all’oscuro di tutto. Gli spioni della CIA non potevano informare né proteggere un disarmato Stevens se nessuno li informava delle strategie del Pentagono. Un paradosso. E proprio l’attacco a Stevens viene descritto nel libro come una “rappresaglia” da parte di chi ha subito gli attacchi della JSOC.

I repubblicani, nella fattispecie il senatore Lindsey Graham, stanno facendo una dura opposizione sulla convalida della nomina di Brennan. Graham ha più volte ribadito che se Washington non chiarisce i fatti di Bengasi, la nomina di Brennan verrà bloccata. Su un giornale online, WND, testata della destra ultracattolica, vengono riportate le affermazioni di John Guandolo, un esperto di Islam della FBI, secondo le quali John Brennan sarebbe di religione musulmana. Secondo Guandolo, Brennan si sarebbe convertito all’Islam durante la sua permanenza a Riyadh, nel corso degli anni novanta, quando era capo di una base della CIA.

“That fact alone is not what is most disturbing,” Guandolo continued. “His conversion to Islam was the culmination of a counterintelligence operation against him to recruit him. The fact that foreign intelligence service operatives recruited Mr. Brennan when he was in a very sensitive and senior U.S. government position in a foreign country means that he either a traitor … [or] he has the inability to discern and understand how to walk in those kinds of environments, which makes him completely unfit to the be the director of Central Intelligence.” (The Counter Jihad Report).

Per Guandolo, Brennan o è un traditore o è inadatto a diventare capo della CIA. Di certo Brennan non è stato in grado di evitare i morti a Bengasi.  L’attacco al gruppo islamico Ansar al-Sharia pochi giorni prima dell’11 settembre è stata l’ultima goccia che ha fatto tracimare la sete di vendetta degli islamisti. Il consolato viene attaccato e dato alle fiamme. Stevens muore appunto proprio per aver inalato il fumo. Dopodiché il gruppo islamista ha attaccato la base CIA a colpi di mortaio, uccidento Ty Woods e Glen Doherty, due agenti  ex Navy Seals. Petraeus era isolato, quasi estraneo all’amministrazione Obama. Il Segretario di Stato di Obama, Hillary Clinton, non è riuscito a tener assieme il Pentagono e i vertici della CIA, percorsi da una specie di guerra contro Petraeus e ora contro lo stesso Brennan. E oggi le accuse di tradimento a Brennan. Altre trame oscure nei cupi corridoi di Wahington DC.

 

I Droni possono uccidere cittadini americani

Gli Stati Uniti possono uccidere cittadini americani in operazioni militari il cui obiettivo dovesse essere un leader di al-Qaeda o gruppi terroristici che pongano una “immediata minaccia” al paese. Lo ha riferito il Dipartimento di Giustizia in un ‘libro bianco’ pubblicato lo scorso lunedì dalla NBC News. La pronuncia del Dipartimento è stata inviata dal governo ai membri della commissione Giustizia e Intelligence del Senato nella forma di un documento ‘classificato’. Di fatto si trattava della risposta del governo Obama alla interpellanza dei senatori, ma non era un atto pubblico. Questo perché faceva riferimento a un caso specifico, ovvero alla uccisione di Anwar al-Awlaki, cittadino americano e musulmano, colpito da un attacco di Droni nel Settembre 2011. L’attacco provocò la morte anche del figlio sedicenne dell’uomo. L’amministrazione Obama ha sempre rifiutato di fornire spiegazioni circa l’attacco sia ai media e che ai gruppi di difesa dei diritti civili. Obama, parlando della morte di al-Awlaki, descrisse l’uomo come il responsabile delle “relazioni esterne” della cellula in Yemen di al-Qaeda.

Il documento, intitolato “Lawfulness of a Lethal Operation Directed Against a U.S. Citizen Who Is a Senior Operational Leader of al-Qaeda or An Associated Force”, è stato definito come “profondamente preoccupante” dalla American Civil Liberty Union: “un’anomalia abnorme dell’esecutivo che assume su di sé il potere di dichiarare un cittadino americano una minaccia e lo uccide lontano da un campo di battaglia riconosciuto e senza alcun coinvolgimento giudiziario, né prima né dopo il fatto”.

Il documento del Dipartimento di Giustizia consente un’interpretazione elastica di quei concetti (la presenza di un leader di al-Qaeda o di gruppi terroristici che pongano una “immediata minaccia” al paese) e non richiede che l’obiettivo sia coinvolto in una ‘trama specifica’, perché al-Qaeda è “continuamente coinvolto nella pianificazione di attacchi terroristici contro gli Stati Uniti“.

Il documento evita di specificare tutta una serie di questioni, tra cui il livello di prova richiesto per un americano per essere considerato una figura del vertice operativo di al-Qaeda.

John Brennan fra una settimana diventerà nuovo capo della CIA. E’ il capo della Consiglio Antiterrorismo di Obama. Non è certamente estraneo ai fatti del Settembre 2011. La fuga di notizie, scrive il Washington Post, sembra niente affatto casuale. La pressione su Obama è immediatamente salita. Che dei Droni possano uccidere cittadini americani o stranieri, il cui coinvolgimento con le organizzazioni del Terrore è tutto da dimostrare, non è solo contro il Diritto ma pare essere inoltre un ritorno a quella unilateralità su cui era imperniata la politica estera di George W. Bush.

Fiscal Cliff sempre più vicino

Armageddon delle tasse e dei tagli. In Italia potremmo chiamarlo ‘Agenda Monti’. Non è altro che un quadro normativo che impone il rientro dal deficit per gli Stati Uniti; una sorta di cura da cavallo, che però ammazza il cavallo e anche chi gli sta intorno. Il Fiscal Cliff è un complesso di norme che si è attivato automaticamente. Non è però una attivazione casuale. C’è un colpevole e si tratta di una certa commissione di esperti che entro la fine di Novembre doveva fornire le soluzioni normative per la riduzione del deficit di $ 1,2 trilioni in dieci anni. Questa commissione ha fallito il suo obiettivo, e pertanto una parte del Budget Control Act del 2011 ha “preso vita”. La parte che implica questa curva di rientro (parte in rosso):

Deficit_or_Surplus_with_Alternative_Fiscal_ScenarioIl meccanismo prende anche il nome di “sequestro del budget” o “sequestration”. La riduzione della spesa pubblica interesserebbe in parti uguali sia la Difesa che la spesa interna mentre un altro provvedimento legislativo, l’Affordable Care Act impone nuova tassazione per circa 250.000 dollari all’anno. Lo scenario alternativo può essere conseguito solo in seguito alla estensione della effettività del cosiddetto Bush Tax Cuts – il provvedimento che tagliò le tassazioni ai ricchi e che venne già rinnovato nel 2010. Senza accordo politico non si otterrà nulla. Ma è evidente che il disinnesco del Fiscal Cliff lascerebbe irrisolto il problema del debito americano. Guardate il grafico sottostante (indica l’andamento del rapporto debito/PIL federale dal 1940 ad oggi, con la proiezione sino al 2022):

Historic_Federal_DebtIn rosso potete apprezzare l’andamento del rapporto debito/PIL federale con il Fiscal Cliff applicato, in azzurro in caso di estensione del Bush Tax Cuts ed altri (per un elenco esaustivo dei provvedimenti che hanno generato la rupe fiscale, vi rimando alla più estensiva nota su Wikipedia U.S., http://en.wikipedia.org/wiki/United_States_fiscal_cliff pagina dalla quale provengono i grafici soprastanti).

Harry Reid, il leader dei senatori democratici, ha detto stasera che vi sono oramai poche chance per evitare il Fiscal Cliff sono quasi nulle, mentre lo speaker della Camera, John Boener, afferma che le proposte della Casa Bianca continuano a non essere serie.

 

Intanto consiglio questo blog per seguire passo passo gli aggiornamenti della situazione:

Quante divergenze fra Micheal Moore e Beppe Grillo

Grillo scopiazza un post di Michael Moore su Facebook, traducendolo e pubblicandolo sul proprio blog senza alcuna introduzione, facendolo apparire come contenuto del blog medesimo e non un documento pubblico. E’ già sufficiente per argomentare su un certo modo di stare su internet che il Comico ha mantenuto inalterato in tutti questi anni. Di quella modalità di recuperare documenti in rete senza fornire adeguata informazione circa la provenienza; quella modalità di inserire link alle fonti in maniera insufficiente e molto poco chiara.

Eppure sono convinto che leggere Moore non possa che giovare a Grillo, nonché al suo autore. Anzi, dovrebbe proporre al regista americano di divenirlo, suo autore. Così, anziché discettare di punto G e godimento televisivo di una consigliera comunale, avrebbe potuto scrivere un incipit del genere:

Congratulations everyone!! This country has truly changed, and I believe there will be no going back. Hate lost today. That is amazing in and of itself. And all the women who were elected tonight! A total rebuke of neanderthal attitudes [Complimenti a tutti! Questo paese è veramente cambiato, e credo che non ci sarà modo di tornare indietro. L’odio oggi ha perso. Questo è di per sè sorprendente. E tutte le donne che sono state elette stasera! Un rifiuto totale di quegli atteggiamenti da uomo di Neanderthal] (Micheal Moore, dalla pagina Facebook).

Oppure, anziché scrivere discutibili Decaloghi contenenti regole di comportamento e di pensiero per gli eletti nel suo Movimento 5 Stelle, anziché scrivere che nel M5S non si fanno primarie poiché non si devono scegliere leader ma soltanto definire liste elettorali al chiuso del proprio recinto senza dare alcun potere a chi sta più in basso, al semplice elettore, mero compilatore di schede elettorali con cui si interagisce solo mediante simboli, avrebbe potuto ricordare che dai movimenti, quelli liberi, quelli che vanno nelle piazze da soli, senza Capi Carismatici e loghi commerciali, promanano le idee, quelle vere, quelle che hanno un senso perché sono riconosciute e condivisibili:

Finally thanks to the Occupy movement who, a year ago, set the tone of this election heart with “the 1% vs. everybody else” – and inspired Obama and his campaign to realize that there was huge popular sentiment against what the wealthy have done [Infine un grazie al movimento Occupy, che, un anno fa, ha impostato il tono di queste elezioni su “l’1% contro tutti gli altri”, ispirando Obama e la sua campagna a rendersi conto che vi era un forte sentimento popolare contro quello che i ricchi hanno combinato].

Ecco, che senso ha copiare e incollare il pensiero altrui, se il proprio è così distante e intrinsecamente antidemocratico e antitetico? Quanto sono miserrimi i sostenitori della democrazia dal basso quando non sono nemmeno in grado di capire la profonda divergenza fra ciò che dicono di voler proporre e ciò che effettivamente fanno?

http://www.beppegrillo.it/2012/11/la_maggioranza_siamo_noi.html#commenti

Delocalizzazioni e Offshore: gli sporchi affari di Mitt Romney

Mitt Romney

Mitt Romney (Photo credit: Wikipedia)

Articolo scritto da me e pubblicato per Giovine Europa Now, blog di Giovanni Biava e Ernesto Gallo.

 

La politica europea di Romney è ancor più confusa di quella di Obama. Il suo background di offshorer potrebbe far pendere le politiche europee ancor più verso la liberalizzazione sfrenata della Finanza, quando invece c’è bisogno di regole, di separazione fra banche commerciali e banche d’affari, di contrasto all’elusione delle tassazione operata con società fittizie con sedi nei paradisi fiscali. Obama sinora non ha fatto nulla di tutto ciò, ma Romney potrà mai farlo?

Leggi il resto: http://www.linkiesta.it/blogs/giovine-europa-now/gli-sporchi-affari-di-mitt-romney#ixzz2BTK0EmL5

 

Il fuorionda di Mitt Romney

Noi in Italia, per una vicenda simile e infinitamente più piccola (intendo il caso Favia-Piazzapulita) ci siamo autoflagellati sulla moralità di un giornalismo che pubblica una dichiarazione intercettata a insaputa del dichiarante. Qui invece si tratta di Mitt Romney, e allora si dirà “è la stampa, bellezza”. Siamo così poco abituati al giornalismo. Avevamo tutta una pletora di belanti agiografi, in primis i giornalisti televisivi, con qualche piccola eccezione. Ora, non solo la videocrazia vacilla, ma addirittura c’è chi prova a fare il suo mestiere. Non è più Italia.

Al povero Mitt posso dire che ha sbagliato paese. Il video è stato ottenuto dalla rivista Mother Jones, la quale ha rivelato che la sua fonte lo ha girato durante un evento di donazione al Boca Raton, in Florida, a casa di Marc Leder, un gestore di private equity.

 

Islam, chi soffia sul fuoco

Pastore Terry Jones

Non cercateli lontano: sono in mezzo a noi. Soprattutto fra quelli che si professano paladini della libertà. Terry Jones, il pastore ultracattolico che avrebbe promosso il film della discordia, Innocence Muslim (cfr. The Atlantic), altro non è che un fanatico che annualmente si diverte a bruciare copie del Corano o fotografie di Obama. Jones è antiabortista, probabilmente razzista. Il suo forte credo religioso ha i chiari connotati del credo integralista. I suoi deliranti discorsi andrebbero inascoltati anche in un ospedale psichiatrico. Come è possibile che un personaggio così periferico e palesemente deviato possa accendere la miccia di una rivolta globale? Il regista del film sarebbe un cristiano coopto, tale Nakoula Basseley Nakoula, un emerito signor nessuno, il cui talento nel cinema fa a gara con quello di un paracarro. Il suo capolavoro sarebbe costato qualche milione di dollari. Una tal cifra e così mal spesa. Forse esiste un altro livello di lettura di questo caos di ambasciate date alle fiamme e di ambasciatori in fuga. Forse la spiegazione non è così scontata.

Sto parlando dell’America 2012. Delle presidenziali. E di un candidato repubblicano che è pienamente pro-life e dichiaratamente cattolico. Romney nei sondaggi duella testa a testa con Obama ma non è affatto chiaro se egli abbia o meno la possibilità di vincere le elezioni di Novembre. Cosa succederebbe se dovesse sconfiggere Obama? Quale sorte per i rapporti degli USA con i paesi arabi? I democratici subodorano una sconfitta alla Jimmy Carter. Conoscono bene l’umore dell’elettorato americano, così sensibile in materia di sicurezza nazionale. L’attacco libico è avvenuto proprio in pieno 11 Settembre (negli USA era giorno, quindi il fatto ha subito avuto massima rilevanza mediatica) e la ragione della violenza è stata volutamente collegata al trailer del film di Nakoula. Un trailer che all’improvviso, proprio qualche giorno fa, è stato pubblicato su un sito cristiano-coopto. Nessuno prima d’ora ha mai sentito parlare di Naokula. Ed è diventato virale in poche ore facendo così esplodere la rabbia di centinaia di migliaia di persone comuni, non terroristi, spinti dall’offesa a distruggere e a spaccare tutto quanto di occidentale trovano per le strade.

Il meccanismo è chiaro: l’attacco in Libia è stato pianificato. Si è trattato di un puro attentato in stile Al Qaeda. Poi qualcuno ha usato i media – soprattutto i nuovi media – per sollevare la rivolta. Immediatamente l’operazione di Washington (muovere navi da guerra verso la Libia) è subito sembrata in patria troppo debole. Al punto tale da permettere a Romney e a tutto il suo entourage di calcare la mano sulla presunta debolezza di Obama. Un presidente che solo l’altro ieri si è dovuto vantare, durante un comizio, di essere il presidente che “ha ucciso Osama Bin Laden”. Non catturato e/o processato. Ma “ucciso”. Non so se è comprensibile la differenza.

Con ciò si vuol dire che gli estremisti che hanno suggerito la rivolta sono in primis americani. Sul sito dell’associazione American Center for Law & Justice, un gruppo conservatore, pro-life, cristiano fondamentalista, fondato nel 1990 dal pastore evangelico Pat Robertson, è comparso un articolo dall’incipit ben chiaro: “Abbiamo imparato ancora una volta che in Medio Oriente, la debolezza uccide. Non vi è nessun tipo di tolleranza, comprensione, o simpatia che possa placare un radicale musulmano, e i radicali considerano effettivamente la tolleranza come un invito a colpire” (La realtà del 12 Settembre, ACLJ). Pat Robertson è un volto televisivo. I suoi sermoni vengono trasmessi dalla tv Christian Broadcasting Network (CBN). E’ politicamente schierato con l’ultra destra cristiana evangelica. Ha cercato di ottenere la candidatura repubblicana alle presidenziali del 1988, fatto che lo accomuna a Jones, il quale addirittura si è autoproclamato “candidato alla presidenza” alle prossime elezioni senza aver ottenuto la nomination da alcun partito.

Finché si agirà in maniera tutt’altro che straordinaria e decisiva, non possiamo che aspettarci che la situazione divenga sempre più pericolosa. Il governo egiziano deve ancora chiedere scusa. Ma perché dovrebbe chiedere scusa se invece può continuare a dotare il suo esercito contando sui nostri soldi, mentre perdona e rafforza la sua base radicale? (A tal proposito, penso che dovremmo smettere di usare il termine “radicale” per descrivere una cosa che invece è la mentalità della  maggioranza delle persone in Medio Oriente. Nei paesi arabi e in Iran, la jihad è mainstream). E ora i Fratelli Musulmani chiedono che le proteste aumentino – proprio nel momento in cui i manifestanti dovrebbero essere radunati, imprigionati, raddoppiando la sicurezza intorno alla nostra ambasciata. Come minimo, dobbiamo tagliare tutti gli aiuti all’Egitto a meno non tornino ad essere come una volta un “alleato” sia con la parola e con le opere (ACLJ, cit.).

Questo paragrafo anticipa la politica estera di Romney: abbandono dei paesi arabi che si sono emancipati con le rivolte del 2011 a meno che non reprimano le componenti islamiste, siano esse dedite al terrorismo o meno. Siamo distanti anni luce dalla “politica della mano tesa” di Obama, esemplificata dal discorso alla università de Il Cairo del 2009.

Obama raccoglie meno dollari di Romney anche a Luglio

Confronto Obama’s fundraising 2008 vs. 2012

(via Danny Yadron, Wall Street Journal)
Lo sforzo per farsi rieleggere da parte del presidente Barack Obama continua a costare più di quello che il presidente ha raccolto il mese scorso in quanto il denaro finito in cassa è crollata rispetto alla ben più generosa raccolta dei donatori del repubblicano Mitt Romney.

La campagna di Obama e del Comitato Nazionale Democratico ha concluso Luglio con 126.900.000 $ depositati in banca, uno svantaggio notevole per un presidente in carica rispetto a Mr. Romney che invece incassa 185,9 milioni dollari, incluso il denaro fornito dal GOP nazionale (Partito Repubblicano).

Questi numeri potrebbero rivelarsi ostili ad Obama anche perché il signor Romney non può spendere granché del suo denaro almeno fino a che non cucirà ufficialmente la nomina del suo partito durante la Convenzione Nazionale Repubblicana la prossima settimana. Dovrebbe ridurre drasticamente la sua spesa. Infatti, la legge elettorale federale proibisce ai candidati di spendere i soldi raccolti per le elezioni politiche fino a quando non sono ufficialmente candidati dal partito.

Obama ha dovuto affrontare una simile restrizione legale, ma non è stato gravato da una costosa campagna per le primarie come il suo avversario.

Nonostante le preoccupazioni di alcuni democratici che l’impegno per la rielezione sia eccessivamente costoso – nel corso degli ultimi tre mesi, ha speso il 120% di quello che ha raccolto – la campagna di Obama sembra attenersi ad una sorta di bilancio intrinseco.

Ha speso in costi operativi, nel mese di Luglio, circa 58,5 milioni dollari, più o meno quello che ha speso (57700000 $) il mese precedente. Per il secondo mese consecutivo, è sceso un po’ sotto i  40 milioni di dollari l’acquisto di spazi in tv e di spot radio. E anche se la spesa per i sondaggi di opinione pubblica è scesa drasticamente, l’acquisto di annunci sul web è aumentato del 49%, attestandosi a 8,8 milioni dollari.

Vendola nella tela del ragno

Di certo è che la giornata politica di oggi è fra le prime dieci in assoluto per il vuoto di contenuti che ha saputo offrire. Stamane Repubblica.it e altri (La Stampa, Corriere.it e via discorrendo) hanno titolato in homepage della Svolta di Vendola. Vendola apre all’UDC in una alleanza a tre con il Partito Democratico. Vendola scarica di Pietro. Eccetera.

Le smentite non si sono fatte attendere: non è vero, nessuna svolta. Nessuna apertura. Colpa dei giornali che titolano a caso. Un vecchio refrain. La smentita. Poi seguita dalla dichiarazione che ammorbidisce e precisa: non vogliamo subire veti, ergo non poniamo veti. Commentare queste scenette è veramente avvilente, ma non c’è scelta. La politica che abbiamo vissuto per diciassette anni è stata fatta così. Nessuna attenzione per il reale. Nessuna idea da mettere al servizio del reale. Nessun candidato reale. Solo pantomime. Drammi personali. Piccoli sotterfugi. Incontri al vertice che hanno il solo scopo di suddividere fette di cariche onorifiche del governo prossimo venturo.

Il paradosso è che questa Santa Alleanza ci è stata propinata sin dalle primarie del 2009, quelle che hanno eletto Bersani segretario, un progetto che viene perseguito scientemente, senza remore, senza considerare il reale, quel reale che sfugge anche alla cognizione di chi nel palazzo romano non siede da molti anni, come i vendoliani di Sel. Vendola non sa quali siano le trame. E se le conosce, allora le condivide pienamente. Pensano al compromesso storico rimirandosi in uno specchio distorto, Bersani e Casini. Sanno che è impossibile affrontare il dopo-le-urne con un profilo politico internazionale così debole. Bersani presidente del Consiglio è unfit to lead esattamente come quell’altro. L’architrave del prossimo governo lo metterà per prima Washington. Le elezioni italiane a Novembre sono tecnicamente impossibili. Prima gli USA. Prima Obama (Romney si sta autodistruggendo a ritmo di gaffes internazionali). Poi l’Italia. L’arco dell’Alleanza verrà edificato sulla sponda UDC per permettere la continuità del ‘progetto Monti’. Monti proseguirà il ruolo di tecnico assumendo la guida del MEF con il governo Bersani, alla maniera di Ciampi nel 1996 (primo governo Prodi). E’ tutto chiaro, fin da ora. Solo così riusciremo a finanziare il nostro debito. Altrimenti il governo Bersani sarà il governo del dissesto e della fine dell’Euro.