Mali: Francia, USA e Regno Unito preparano la guerra contro Al Qaeda

Sarà una nuova guerra contro il Terrore qaedista, almeno nella retorica giornalistica occidentale. La Francia si è messa alla guida della diplomazia occidentale e sta preparando una bozza di risoluzione da sottoporre al Consiglio di Sicurezza dell’Onu entro il 15 di Ottobre. Ma Parigi si sta organizzando in proprio ed ha già disposto forze speciali nel nord del paese oltre ad aver pre-allertato le proprie basi presenti in Burkina Faso e Costa d’Avorio. Indiscrezioni della stampa locale, maliana e mauritana, rivelano che almeno due elicotteri francesi sarebbero atterrati a Ouagadougou, capitale burkinabè.

Johnny Carson, capo della divisione Africa del Dipartimento di Stato USA, ha detto che gli Stati Uniti sono disponibili a sostenere un intervento militare nel nord del Mali purché “ben preparato” e condotto sotto l’egida delle Nazioni Unite dall’esercito del Mali con il sostegno di tutti i paesi della regione, compresi la Mauritania e l’Algeria. Nella proposta di Carson, l’ECOWAS deve avere ruolo fondamentale di raccordo e coordinamento. Non è chiaro se gli USA intendano partecipare all’intervento mediante il dispiegamento di forze di terra o di aria. Il capo del governo provvisorio di Bamako, Diarra, ha chiesto sabato ai paesi occidentali di intervenire al più presto nel Sahel mandando forze armate e aerei. Francia e Germania hanno risposto affermativamente, ma la Francia ha precisato ipocritamente che non manderà truppe di terra quando invece, secondo Le Figaro, ha già provveduto a dispiegare truppe speciali nel nord del paese. Una delle possibili ragioni della presenza di queste unità d’avanguardia potrebbe essere legata all’aggravarsi della situazione degli ostaggi francesi in mano ad AQMI. E’ stato inviato nuovamente un messaggio registrato alla testata online Sahara Media, un video in cui i quattro ostaggi pregano il presidente francese Hollande di fare quanto richiesto dai rapitori per ottenere la loro liberazione.

Ma la Francia non è interessata al Mali per la sola questione dei rapimenti. In ballo c’è l’egemonia francese dell’area e il contrasto all‘influenza economica cinese mediante una strategia di occupazione che collide con il Beijing Consensus (per approfondire si legga A. Gallia, 2010, citato nel link precedente; di fatto il Beijing consensus tende a promuovere l’integrità sovrana degli stati africani laddove il Washington consensus tende a sostituirla).

la Francia, già da tempo, sta pianificando l’intervento armato nel nord per rafforzare la propria supremazia nell’Africa sub-sahariana. La concorrenza, in quella zona, è infatti molto alta. Parigi, come del resto Washington, sta cercando di arrestare l’espansione economica della Cina in Africa. La guerra in Costa d’Avorio e in Libia rientra in questo contesto. In un’intervista a Jeune Afrique, il ministro dell’Economia e della Finanza, Pierre Moscovici, ha detto ieri che “la Francia non ha paura di Pechino” (Rinascita).

Le terre rare sono l’elemento nascosto di questo nuovo conflitto. Tanto che il presidente di un paese come l’Australia ha inviato una delegazione in Mauritania per discutere di interessi comuni quali “l’agricoltura e il settore minerario“. Durante l’incontro, l’inviato speciale Lowell Williams ha speso alcune parole su un possibile intervento militare in Mali. Su Saharasmedia.net è comparsa, a corredo di questo commento, una infografica che spiega grosso modo come si procederà con l’intervento militare:

Il confronto avverrà presumibilmente a sud, mentre verso nord agiranno le unità speciali e i cacciabombardieri francesi. Il governo di Bamako ha intanto assegnato al generale golpista Amadou Haya Sanogo la presidenza della commissione di riforma dell’esercito maliano. Il Comitato ha in particolare il compito di “partecipare alla supervisione delle operazioni militari e di contribuire allo sviluppo di un piano di formazione della difesa e delle forze di sicurezza in un’ottica di rafforzamento della capacità operativa” dell’esercito. La notizia ha dell’incredibile, se si pensa che Sanogo è stato per molti mesi capo provvisorio del governo di Bamako, dopo aver organizzato il golpe militare dello scorso 22 Marzo, e fonte di instabilità politica.

 

In Mali gli islamisti di Ansar Dine pronti a trattare con ECOWAS

La situazione in Mali si è ulteriormente modificata in una modalità poco prevedibile e che ha visto il gruppo islamico jihadista di Ansar Dine, capeggiato da Iyad Ag Ghali, accettare la mediazione del Burkina Faso ed aprire ad una trattativa sul destino del nord del paese che da Aprile è separato dalla capitale Bamako in seguito alla insurrezione Tuareg del MNLA.

L’ECOWAS, sorta di comunità economica africana, ha raggruppato circa 3000 uomini ai confini, in attesa di un mandato Onu, ma il Consiglio di Sicurezza è poco interessato alla vicenda e soprattutto non intende avallare il piano francese di un attacco contro i rivoltosi, un “intervento abbastanza ravvicinato” per usare i termini impiegati da François Hollande durante la visita del primo ministro maliano, Diarra, avvenuta negli scorsi giorni. L’obiettivo di Parigi è chiaro: attaccare il nord per liberarlo dai gruppi islamici e dai tuareg per “popolarlo” con le sue multinazionali (Total in primis). La Francia è stata in conflitto di interessi sin dal principio poiché si sospetta che dietro il gruppo MNLA ci sia la mano dell’emiro del Qatar, a sua volta grande amico dell’ex presidente francese Sarkozy. Sarkozy avrebbe lasciato fare all’emiro con l’obiettivo di aprire parte del Sahel al mercato francese e farne un territorio di salvaguardia delle terre rare, diventate motivo di contesa con la Cina, a sua volta molto presente nell’area dell’Est Sahara con acquisizione di concessioni di sfruttamento delle terre presso i governi locali (si legga per approfondimento Arturo Gallia IL RUOLO DELLA CINA IN AFRICA TRA INTERESSI ECONOMICO-POLITICI, SFRUTTAMENTO DELLE RISORSE NATURALI E CONFLITTI SOCIALI, Intervento presentato alla Conferenza di Studi Africanistici, 30 settembre – 2 ottobre 2010).

La politica cinese è “in netto contrasto con l’approccio allo sviluppo perseguito dai governi occidentali” (Gallia, cit.) in quanto è una politica senza condizioni, mentre quella occidentale è una politica di insediamento economico che presuppone l’accettazione delle priorità degli Occidentali: se ciò non avviene, essi procedono con i propri mezzi militari alla demolizione dello status quo per l’edificazione di strutture istituzionali presunte “democratiche” ma opportunamente addomesticate sul piano delle relazioni internazionali. Ciò ha indotto gli osservatori a parlare di un Beijing consensus in contrasto proprio con il Washington consensus, fondato sulle priorità imposte da Banca Mondiale, Fondo Monetario Internazionale e investitori occidentali. Il Beijing consensus tende a promuovere l’integrità sovrana degli stati africani laddove il Washington consensus tende a sostituirla.

Quanto sta accadendo in Mali può essere inteso o come un tentativo francese di mettere un freno a questa espansione “incondizionata” cinese (il gruppo MNLA appare così disorganizzato militarmente e poco potente politicamente da far pensare che sia solo una scatola vuota, una sigla costruita altrove) o come un effetto diretto di questa espansione. L’idea di fondo è che la Francia, per mezzo del Qatar, abbia alimentato la rivolta per poi giustificare un suo intervento militare; che Ansar Dine si sia trovata solo per caso nel mezzo degli scontri e che la conquista di Gao da parte degli jihadisti sia stata solo un caso, giustificato dalla estrema debolezza delle forze armate maliane. E che ora, messi in mezzo i gruppi qaedisti di AQMI e Mujao, la situazione sia sfuggita completamente di mano, producendo le condizioni per la creazione di un Afghanistan a due passi dall’Europa.