Parlare del Movimento 5 Stelle è sempre una operazione a rischio. Poiché spesso si deve spostare l’attenzione dai programmi alle procedure che il Movimento si è dato, si rischia immediatamente di finire accomunati alla pletora del giornalismo mainstream che taccia Grillo e il M5S di populismo e altre nefandezze.
Che il risultato elettorale sia stato eccezionale non vi sono dubbi. Il M5S in alcuni casi è il vero terzo polo. In realtà il voto non ha mascherato alcuni problemi di fondo che permangono come una zavorra e impediscono al Mov stesso di raggiungere quella forma teorizzata della formazione politica interamente determinata dal basso.
Procedo per punti, e in ordine sparso:
1. Il caso Napoli e il rapporto d’amore/odio con De Magistris:
Napoli è sede del primo storico meet-up di Beppe Grillo, l’archetipo del M5S. Roberto Fico è stato candidato alla presidenza di Regione alle scorse elezioni regionali. Il suo nome compariva anche sulla scheda delle elezioni comunali la scorsa domenica. A distanza di un anno, il suo successo elettorale è stato brutalmente ridimensionato. Effetto De Magistris, si direbbe, e in effetti è così. Secondo l’analisi di Metapapero, gli elettori del Mov si sarebbero letteralmente spaccati a metà: il 50.2% ha votato Fico, il 49.3% ha votato De Magistris. Questo nonostante gli strali di Grillo medesimo, contrario al De Magistris sindaco di Napoli in quanto reo di non aver ottemperato al mandato grillino di sorvegliare in Europa sulle infiltrazioni delle criminalità (!), di aver preso i voti grillini per poi sprecare il proprio tempo negli studi televisivi a parlare di Berlusconi.
Si dice: l’opinione di Grillo non è quella del Movimento. Sarà. Ma quando Fico fu candidato alla Regione, lo fu in seguito all’opinione di Grillo. Quando De Magistris prese quella carrettata di voti, l’endorsment grillino provenne direttamente dal blog di Beppe. Il risultato del rifiuto del figliol prodigo si è rivelato disastroso:
REGIONALI 2010, comune di Napoli: Roberto Fico voti 9947 (2.34%), M5S voti 9902 (2.48%), effetto candidato +45 voti;
COMUNALI 2011, comune di Napoli: Roberto Fico voti 6441 (1.38%), M5S voti 7203 (1.75%), effetto candidato -762 voti.
Pare chiaro che la scelta di non appoggiare De Magistris, iscritto IDV, candidato per IDV, non sia stata affatto compresa dagli elettori del M5S. Tanto più che la tanto osannata Costituzione contiene un articolo sacrosanto, il n. 67, che recita così:
Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato.
I parlamentari esercitano la loro funzione senza vincolo di mandato. E’ l’esatto contrario di quello che in USA passa sotto il nome di lobbismo. Il parlamentare risponde solo alla propria coscienza, non al partito o a gruppi di riferimento. Per contro si può obiettare che tale libertà può essere esercitata in maniera eccessiva diventando trasformismo, un male profondissimo delle democrazie parlamentari. Ecco, tutto si potrebbe dire di De Magistris tranne che sia un trasformista. Ha solamente deciso di diventare sindaco di Napoli. Il mancato appoggio dei grillini è una occasione persa. Avrebbero ottenuto una decina di consiglieri e la possibilità di incidere veramente sulle politiche comunali, con il traino del candidato sindaco. Invece la logica ferrea del ‘non allearsi con nessuno’ ha strozzato in gola l’urlo della festa a 5 stelle;
2. Bologna, questa sconosciuta:
l’analisi dei flussi realizzata da Termometro Politico mostra l’emersione di due tendenze, entrambe dovute alla disaffezione verso il “miglior buon governo cittadino” dell’Emilia, finora rappresentato dal PD, erede diretto della tradizione comunista fortemente radicata nella regione. Da una parte, il voto della sinistra delusa converge verso Amelia Frascaroli, candidata civica ma sotto l’ombrello di Vendola; dall’altra fluisce rabbioso verso il M5S.
E’ indubbio che elettori attivi e passivi del M5S abbiamo provenienza dal movimentismo a sinistra. Ma ciò porta all’emersione di inevitabili divergenze interne ed esterne. Mi spiego:
a) l’equazione csx=cdx, per certi versi vera, si scontra con il fatto che all’interno del PD ci siano molti buoni amministratori che cercano di attuare quella politica progressista che trova il suo fulcro nel trinomio scuola-lavoro-tolleranza. Ebbene, diventa difficile per i grillini sostenere ad oltranza il non expedit di Grillo circa il fatto di potersi alleare o collaborare con la sinistra quando essa porta in discussione le buone riforme, tanto più se le condividono;
b) tanto spesso il M5S evita di schierarsi su argomenti “sensibili”: è accaduto relativamente ai problemi della scuola, come se il M5S soffrisse particolarmente l’incidenza del sindacato CGIL e la sua pervasività nell’ambito scolastico. Addirittura c’è chi lamenta l’assenza di discussione su questi temi specifici, cercando una facile condivisione sulle tematiche consuete – anticasta – del Mov: “Su queste e altre problematiche il Movimento non è in grado di prendere una posizione, perché al suo interno ci sono persone con idee spesso contrapposte: vi sono conservatori e “orfani della sinistra”, laici e cattolici integralisti, uniti nella “protesta”, nei facili luoghi comuni, ma incapaci di avere un progetto realistico e coerente di più ampio respiro […] Quando ho chiesto di discutere in assemblea di alcune problematiche, come il finanziamento dato alla fine di luglio dalla Commissaria Cancellieri alle scuole private a Bologna, l’adesione alla manifestazione in difesa della scuola pubblica indetta a Reggio Emilia il nove ottobre scorso, la discussione sull’eventuale nomina alla presidenza della Commissione Pari Opportunità in Regione di Silvia Noè, l’accordo di Pomigliano e la necessità di assumere una posizione politica in difesa dei lavoratori, non ho mai ricevuto risposta. Formalmente non rispondono, lasciano decadere, non ne parlano, così possono
fingere di essere tutti d’accordo, così possono coesistere nel movimento posizioni spesso contrapposte, intanto gli “eletti” decidono per tutti, perché loro sono i “portavoce” del
Movimento” (Monica Fontanelli, fuoriuscita dal M5S).
c) il meccanismo decisionale interno non è ancora chiaro: le dimissioni di Favia e De Franceschi sono apparse ai più come una farsa. Dovevano avere lo scopo di valutare il loro operato, applicando una sorta di customer satisfaction come avviene nelle aziende private. Però i due consiglieri regionali non sono stati valutati dai “clienti” del M5S, ovvero gli elettori, bensì dagli iscritti, che clienti non sono ma semmai sono soci. Ecco, questa confusione si aggrava dal fatto che è mancata una vera e propria discussione circa gli effetti perversi di una loro effettiva dipartita in caso di voto contrario dell’assemblea dei soci stessi. Avrebbero davvero abbandonato il seggio in Regione? Da chi sarebbero stati sostituiti? Dai secondi eletti? Da Sandra Poppi, che a Modena prese più voti di De Franceschi a Bologna?
La risposta è già scritta: non ci sarebbe stato alcun voto contrario. Non ci sarebbe stato alcun avvicendamento. Favia e De Franceschi hanno incassato il plauso dell’assemblea dei soci e hanno continuato il proprio lavoro. Mai se ne sarebbero andati. Questo è testimoniato dal fatto che nessuno ha previsto alcun meccanismo “democratico” di sostituzione dei due. E solo il voto degli elettori sarebbe sufficientemente democratico, tanto più che i clienti-elettori del M5S potrebbero esprimere la propria soddisfazione soltanto con una consultazione elettorale, non avendo altro mezzo né possibilità di licenziare gli eletti. Vale ancora il discorso del divieto di mandato imperativo contenuto nell’art. 67 della Costituzione, elemento indiscutibile di una democrazia palramentare – dalla costituzione repubblicana francese del 1791 ad oggi è presente in quasi tutte le costituzioni (fa eccezione in Europa il caso del Bunsrat tedesco, la camera di rappresentanza dei Lander, dove se volete si realizza la rappresentanza locale e dove forse effettivamente i deputati devono esercitare la propria funzione in ottemperanza al mandato elettorale, pensate che accadrebbe se improvvisamente uno di essi si mettesse a fare gli interessi di un altro Lander: tradirebbe di fatto in un sol colpo i propri elettori e la propria terra). Certo, nella dissertazione sulla democrazia diretta, il mandato imperativo diventa un elemento di criticità: citando Rosseau, ogni cittadino è depositario di una parte della sovranità popolare, pertanto non potrbbero che esistere forme di democrazia diretta. Laddove essa è impossibile, essa si trasforma da diretta a rappresentativa, una forma nella quale la sovranità è delegata ai rappresentanti eletti a suffragio universale ma soggetti a mandato imperativo. Rosseau parlava di una società politica ancora scevra della tecnologizzazione della disucssione pubblica e nella quale il potere privato, e il conflitto che esso porta con sé, non avevano ancora quella dimensione garguntesca che hanno oggi. Il fenomeno del lobbismo è la perversione della bad influence che il privato esercita sulla funzione pubblica della rappresentanza. Il mandato imperativo diventa istituzionalizzazione del link con l’interesse particolare privatistico. Il rappresentante non esercita la propria funzione per conto della Nazione, quindi nell’interesse generale, ma per il raggiungimento di scopi privati.
Capite allora la non sussistenza del meccanismo delle dimissioni semestrali voluto dai grillini: è una misura che non cambia nulla. Il problema della casta e della mancata “circolazione delle élite” ha origine storicamente nel nostro sistema partitico e in un certa arretratezza della nostra democrazia. Sempre dalla Costituzione francese del 1791: “Art. 30. Le funzioni pubbliche sono essenzialmente temporanee; esse non possono essere considerate come distinzioni né come ricompense, ma come doveri”. Le funzioni pubbliche non sono onorificenze, ma doveri. Se non verrà assimilato questo concetto, non cambieremo mai. Forse è il caso di ribadirlo nella nostra Costituzione.
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