Dev’essere questo il nostro Civati – il discorso conclusivo de Il Nostro Tempo

Il discorso di Giuseppe Civati ha concluso la due giorni bolognese di Prossima Italia. E contrassegna il suo movimento con una mutazione genetica: il passaggio da Rottamatori (definizione più coerente con il personalismo di Renzi) a Costruttori del PD. Un mutamento che è in realtà la riaffermazione di alcuni principi base che dovrebbero essere fondamento del Partito Democratico e che troppo spesso latitano. Non si rottama più, perché già viviamo nel degrado e nelle macerie. Invece si costruisce, con il cemento delle idee e della loro condivisione.

Civati, nella sua arringa finale, cita Saramago, “non bisogna avere fretta ma non bisogna perdere tempo”. Questo è il nostro tempo, questo è il nostro PD, un partito che smette di essere quella congrega di soliti noti persa nei dibattiti dell’assurdo eterno dilemma dell’antiberlusconismo. Viceversa il PD vero è quello “che si confronta con la società civile, anzi, civilissima“, “un PD che non perde tempo, che scende dal piedistallo, che partecipa senza indugio ai movimenti anziché chiedersi morettianamente se “mi si nota di più se vengo o se non vengo?”.

Il PD deve coltivare le relazioni, dice Civati; il PD deve muoversi senza imbarazzo, parlare a tutti la stessa lingua, rivolgersi di persona, personalmente, non con le teorie astratte, o con formule da alchimista, ma con le proposte che sono in realtà risposte alle domande della società civile.

Dev’essere questo il nostro posto, come la canzone dei Talking Heads che dà il nome al film di Sorrentino. Il nostro posto è quello di una politica ‘nuova’, che ha uno sguardo lucido verso il futuro. E per affrontare il futuro bisogna prima rovesciare il quadro politico italiano. I cittadini vogliono poter scegliere.

Le risposte:

  1. Al di là della forma della prossima legge elettorale, il PD dovrebbe scegliere i propri candidati di lista con le primarie;
  2. Uguaglianza fra chi lavora e chi guadagna dalla rendita;
  3. Legge feroce contro corruzione;
  4. Lotta culturale e tecnologica, alla ‘brasiliana’, contro l’evasione fiscale;
  5. Politica del paesaggio, affinché il paese non più umiliato;
  6. Prendere distanze dai luoghi comuni – per esempio sulle pensioni, quando si dice che non si devono toccare le pensioni senza ricordare che esse sono già state toccate;
  7. La sinistra è timida sul mercato del lavoro, che è già riformato anzi deformato. Bisogna tornare a parlare di salario, parola che oggi non pronuncia più nessuno.
  8. Non esiste la famiglia, ma ‘le famiglie’, che sono diverse fra loro e devono ugualmente esser sostenute.
  9. Non crediamo che la politica sia un mestiere a vita.

Il PD ha invece paura di non piacere, di non essere abbastanza ‘cool’, quasi che esso abbia dei sensi di colpa. Il PD non può continuare a cercare sé stesso laddove non si troverà mai. Siamo stanchi delle divisioni, dice Civati, stanchi dei personalismi e di esser fraintesi. Basta con il “si è sempre fatto così”, come è stato detto quest’estate a Nardò, parlando di sfruttamento dei braccianti stranieri.

Poi esclama, “abbiamo perso diciassette anni della nostra vita, questa si che è una questione generazionale!”; queste sono le nostre idee, le metteremo nel cartone della pizza e le porteremo a Roma. Soprattutto, seguito dall’ovazione della platea che era in realtà una piazza, ha detto “dobbiamo portare questa generazione al governo del paese, e lo facciamo senza paura!“. E cita l’amico Luca Sofri, “lo facciamo con costanza”, giorno dopo giorno, non ad intermittenza ma quotidianamente, come una missione.

Tutti in piedi! 110 anni di FIOM: rivedi la manifestazione in streaming

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oppure sul canale youtube: http://www.youtube.com/playlist?p=PL185A2BDDDF014B25

Analisi del voto a 5 Stelle fra populismo e mandato imperativo

Parlare del Movimento 5 Stelle è sempre una operazione a rischio. Poiché spesso si deve spostare l’attenzione dai programmi alle procedure che il Movimento si è dato, si rischia immediatamente di finire accomunati alla pletora del giornalismo mainstream che taccia Grillo e il M5S di populismo e altre nefandezze.

Che il risultato elettorale sia stato eccezionale non vi sono dubbi. Il M5S in alcuni casi è il vero terzo polo. In realtà il voto non ha mascherato alcuni problemi di fondo che permangono come una zavorra e impediscono al Mov stesso di raggiungere quella forma teorizzata della formazione politica interamente determinata dal basso.

Procedo per punti, e in ordine sparso:

1. Il caso Napoli e il rapporto d’amore/odio con De Magistris:

Napoli è sede del primo storico meet-up di Beppe Grillo, l’archetipo del M5S. Roberto Fico è stato candidato alla presidenza di Regione alle scorse elezioni regionali. Il suo nome compariva anche sulla scheda delle elezioni comunali la scorsa domenica. A distanza di un anno, il suo successo elettorale è stato brutalmente ridimensionato. Effetto De Magistris, si direbbe, e in effetti è così. Secondo l’analisi di Metapapero, gli elettori del Mov si sarebbero letteralmente spaccati a metà: il 50.2% ha votato Fico, il 49.3% ha votato De Magistris. Questo nonostante gli strali di Grillo medesimo, contrario al De Magistris sindaco di Napoli in quanto reo di non aver ottemperato al mandato grillino di sorvegliare in Europa sulle infiltrazioni delle criminalità (!), di aver preso i voti grillini per poi sprecare il proprio tempo negli studi televisivi a parlare di Berlusconi.

Si dice: l’opinione di Grillo non è quella del Movimento. Sarà. Ma quando Fico fu candidato alla Regione, lo fu in seguito all’opinione di Grillo. Quando De Magistris prese quella carrettata di voti, l’endorsment grillino provenne direttamente dal blog di Beppe. Il risultato del rifiuto del figliol prodigo si è rivelato disastroso:

REGIONALI 2010, comune di Napoli: Roberto Fico voti 9947 (2.34%), M5S voti 9902 (2.48%), effetto candidato +45 voti;

COMUNALI 2011, comune di Napoli: Roberto Fico voti 6441 (1.38%), M5S voti 7203 (1.75%), effetto candidato -762 voti.

Pare chiaro che la scelta di non appoggiare De Magistris, iscritto IDV, candidato per IDV, non sia stata affatto compresa dagli elettori del M5S. Tanto più che la tanto osannata Costituzione contiene un articolo sacrosanto, il n. 67, che recita così:

Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato.

I parlamentari esercitano la loro funzione senza vincolo di mandato. E’ l’esatto contrario di quello che in USA passa sotto il nome di lobbismo. Il parlamentare risponde solo alla propria coscienza, non al partito o a gruppi di riferimento. Per contro si può obiettare che tale libertà può essere esercitata in maniera eccessiva diventando trasformismo, un male profondissimo delle democrazie parlamentari. Ecco, tutto si potrebbe dire di De Magistris tranne che sia un trasformista. Ha solamente deciso di diventare sindaco di Napoli. Il mancato appoggio dei grillini è una occasione persa. Avrebbero ottenuto una decina di consiglieri e la possibilità di incidere veramente sulle politiche comunali, con il traino del candidato sindaco. Invece la logica ferrea del ‘non allearsi con nessuno’ ha strozzato in gola l’urlo della festa a 5 stelle;

2. Bologna, questa sconosciuta:

l’analisi dei flussi realizzata da Termometro Politico mostra l’emersione di due tendenze, entrambe dovute alla disaffezione verso il “miglior buon governo cittadino” dell’Emilia, finora rappresentato dal PD, erede diretto della tradizione comunista fortemente radicata nella regione. Da una parte, il voto della sinistra delusa converge verso Amelia Frascaroli, candidata civica ma sotto l’ombrello di Vendola; dall’altra fluisce rabbioso verso il M5S.

E’ indubbio che elettori attivi e passivi del M5S abbiamo provenienza dal movimentismo a sinistra. Ma ciò porta all’emersione di inevitabili divergenze interne ed esterne. Mi spiego:

a) l’equazione csx=cdx, per certi versi vera, si scontra con il fatto che all’interno del PD ci siano molti buoni amministratori che cercano di attuare quella politica progressista che trova il suo fulcro nel trinomio scuola-lavoro-tolleranza. Ebbene, diventa difficile per i grillini sostenere ad oltranza il non expedit di Grillo circa il fatto di potersi alleare o collaborare con la sinistra quando essa porta in discussione le buone riforme, tanto più se le condividono;

b) tanto spesso il M5S evita di schierarsi su argomenti “sensibili”: è accaduto relativamente ai problemi della scuola, come se il M5S soffrisse particolarmente l’incidenza del sindacato CGIL e la sua pervasività nell’ambito scolastico. Addirittura c’è chi lamenta l’assenza di discussione su questi temi specifici, cercando una facile condivisione sulle tematiche consuete – anticasta – del Mov: “Su queste e altre problematiche il Movimento non è in grado di prendere una posizione, perché al suo interno ci sono persone con idee spesso contrapposte: vi sono conservatori e “orfani della sinistra”, laici e cattolici integralisti, uniti nella “protesta”, nei facili luoghi comuni, ma incapaci di avere un progetto realistico e coerente di più ampio respiro […] Quando ho chiesto di discutere in assemblea di alcune problematiche, come il finanziamento dato alla fine di luglio dalla Commissaria Cancellieri alle scuole private a Bologna, l’adesione alla manifestazione in difesa della scuola pubblica indetta a Reggio Emilia il nove ottobre scorso, la discussione sull’eventuale nomina alla presidenza della Commissione Pari Opportunità in Regione di Silvia Noè, l’accordo di Pomigliano e la necessità di assumere una posizione politica in difesa dei lavoratori, non ho mai ricevuto risposta. Formalmente non rispondono, lasciano decadere, non ne parlano, così possono
fingere di essere tutti d’accordo, così possono coesistere nel movimento posizioni spesso contrapposte, intanto gli “eletti” decidono per tutti, perché loro sono i “portavoce” del
Movimento” (Monica Fontanelli, fuoriuscita dal M5S).

c) il meccanismo decisionale interno non è ancora chiaro: le dimissioni di Favia e De Franceschi sono apparse ai più come una farsa. Dovevano avere lo scopo di valutare il loro operato, applicando una sorta di customer satisfaction come avviene nelle aziende private. Però i due consiglieri regionali non sono stati valutati dai “clienti” del M5S, ovvero gli elettori, bensì dagli iscritti, che clienti non sono ma semmai sono soci. Ecco, questa confusione si aggrava dal fatto che è mancata una vera e propria discussione circa gli effetti perversi di una loro effettiva dipartita in caso di voto contrario dell’assemblea dei soci stessi. Avrebbero davvero abbandonato il seggio in Regione? Da chi sarebbero stati sostituiti? Dai secondi eletti? Da Sandra Poppi, che a Modena prese più voti di De Franceschi a Bologna?

La risposta è già scritta: non ci sarebbe stato alcun voto contrario. Non ci sarebbe stato alcun avvicendamento. Favia e De Franceschi hanno incassato il plauso dell’assemblea dei soci e hanno continuato il proprio lavoro. Mai se ne sarebbero andati. Questo è testimoniato dal fatto che nessuno ha previsto alcun meccanismo “democratico” di sostituzione  dei due. E solo il voto degli elettori sarebbe sufficientemente democratico, tanto più che i clienti-elettori del M5S potrebbero esprimere la propria soddisfazione soltanto con una consultazione elettorale, non avendo altro mezzo né possibilità di licenziare gli eletti. Vale ancora il discorso del divieto di mandato imperativo contenuto nell’art. 67 della Costituzione, elemento indiscutibile di una democrazia palramentare – dalla costituzione repubblicana francese del 1791 ad oggi è presente in quasi tutte le costituzioni (fa eccezione in Europa il caso del Bunsrat tedesco, la camera di rappresentanza dei Lander, dove se volete si realizza la rappresentanza locale e dove forse effettivamente i deputati devono esercitare la propria funzione in ottemperanza al mandato elettorale, pensate che accadrebbe se improvvisamente uno di essi si mettesse a fare gli interessi di un altro Lander: tradirebbe di fatto in un sol colpo i propri elettori e la propria terra). Certo, nella dissertazione sulla democrazia diretta, il mandato imperativo diventa un elemento di criticità: citando Rosseau, ogni cittadino è depositario di una parte della sovranità popolare, pertanto non potrbbero che esistere forme di democrazia diretta. Laddove essa è impossibile, essa si trasforma da diretta a rappresentativa, una forma nella quale la sovranità è delegata ai rappresentanti eletti a suffragio universale ma soggetti a mandato imperativo. Rosseau parlava di una società politica ancora scevra della tecnologizzazione della disucssione pubblica e nella quale il potere privato, e il conflitto che esso porta con sé, non avevano ancora quella dimensione garguntesca che hanno oggi. Il fenomeno del lobbismo è la perversione della bad influence che il privato esercita sulla funzione pubblica della rappresentanza. Il mandato imperativo diventa istituzionalizzazione del link con l’interesse particolare privatistico. Il rappresentante non esercita la propria funzione per conto della Nazione, quindi nell’interesse generale, ma per il raggiungimento di scopi privati.

Capite allora la non sussistenza del meccanismo delle dimissioni semestrali voluto dai grillini: è una misura che non cambia nulla. Il problema della casta e della mancata “circolazione delle élite” ha origine storicamente nel nostro sistema partitico e in un certa arretratezza della nostra democrazia. Sempre dalla Costituzione francese del 1791: “Art. 30. Le funzioni pubbliche sono essenzialmente temporanee; esse non possono essere considerate come distinzioni né come ricompense, ma come doveri”. Le funzioni pubbliche non sono onorificenze, ma doveri. Se non verrà assimilato questo concetto, non cambieremo mai. Forse è il caso di ribadirlo nella nostra Costituzione.

5 Stelle su a Bologna, giù a Napoli

Prime considerazioni sul voto alle amministrative cominciando dal Movimento 5 Stelle. Se si guardasse il solo dato bolognese ci sarebbe da dire che Grillo ha vinto. Nella realtà, bologna è un “caso” elettorale. Già questa tendenza era emersa alle Regionali, ma il risultato piemontese, con la sconfitta della Bresso anche a causa dei Grillini, l’aveva mascherata.

Oggi i dati parlano chiaro: a Torino il 5 Stelle prende il 5%, alle regionali del 28.03.2010 prese il 4.74%, non c’è differenza, a dispetto di un centrosinistra che passa dal 51.8% al 57%, e questo è il dato fuori Bologna più lusinghiero per i grillini. A Napoli, dove è nato il primo movimento, Roberto Fico, leader storico, candidato già alle regionali, è stato asfaltato da De Magistris: 1.2%. Poi c’è Bologna.

Verrebbe da chiedersi: perché? La risposta risiede nella storia di quella città. Storicamente rossa, sverginata dalla destra civica di Guazzaloca, poi delusa da Cofferati e da Del Bono, ha maturato una forte contestazione al potere che non può più esprimersi, per ragioni legate al fatto che ormai sono diventati istituzione, nella Lega Nord. Quale altro partito antisistemico? Il 5 Stelle. Chiusa l’analisi.

Qualcuno potrebbe dire: non è vero, i grillini hanno degli argomenti. Hanno un programma. Sono fuori dalla casta. Sì, ma ambiscono a farne parte, altrimenti non sarebbero lì. E poi tutti dicono di avere un programma.

Qui si cercano le ragioni profonde di questa anomalia che è Bologna. Non si spiegherebbe altrimenti l’abisso fra Bologna e Modena, fra Bologna e la Romagna.

Santoro, Annozero sul web il 25 Marzo da Bologna. Il CdA Rai conferma il bavaglio.

Guarda la diretta streaming su Yes, political!

E’ confermato: Santoro andrà in onda sul web con Annozero il 25 Marzo con una trasmissione in live streaming dal Paladozza di Bologna. La manifestazione è indetta dalla Fnsi a favore della libertà d’espressione. Ci sarà anche Giovanni Floris. La Federazione nazionale della stampa ha scelto Bologna e il PalaDozza come scenografia della manifestazione per la libertà d’espressione del 25 marzo prossimo. Si intitolerà “Rai per una notte”.

”La Fnsi ha fatto una comunicazione molto chiara alla Rai per delineare il quadro di questa manifestazione. La nostra presenza sarà a titolo non solo gratuito ma volontario, con grande partecipazione sentimentale”, dice Santoro. “Per quanto potremo far assomigliare questa iniziativa ad una trasmissione tv, non sembrerà mai una puntata di ‘Annozero’…”, conclude Santoro.

La decisione di procedere con l’organizzazione di una manifestazione sulla rete internet è maturata a prescindere dagli ultimi sviluppi in CdA Rai sull’applicazione del famigerato regolamento della Commissione di vigilanza Rai. Oggi, il CdA, riunito d’urgenza su iniziativa del Presidente Rai Garimberti ha nuovamente deliberato a favore della sospensione dei programmi di informazione e approfondimento politico. Il Consiglio ha deliberato a maggioranza (5 a 4) con il voto contrario del Presidente Garimeberti, il quale si è detto deluso da questa “divisione”. Il Consiglio ha dato mandato al dg Masi di interpellare la Vigilanza. Quest’ultimo ha inviato una lettera al Presidente Zavoli. Domani l’ulteriore riunione dell’ufficio di presidenza della Commisione, che provvederà ad ascoltare il direttore generale.

Di fatto, una – improbabile –  revisione della decisione già intrapresa da parte della Vigilanza, arriverà tardi, non in tempo per scongiurare il guasto alla opinione pubblica, oramai indirizzata dai soli telegiornali, ampiamente “monocordi”. Maurizio Lupi (PdL in quota finiana) sostiene che “abbiamo applicato una legge sbagliata, quella del par condicio”. Naturalmente non è così: la legge è stata applicata attraverso un regolamento e una decisione del CdA che eccedono la medesima legge. Ovvero, violandola. Non riconoscere questo fatto, messo in evidenza con enfasi dallo stesso presidente “di garanzia” Garimberti, significa operare una inversione di significato che impedisce ai più di capire. Quello che sfugge, e che si vuole tenere nascosto, è che il bavaglio è come una clava che per bastonarne uno, li ha bastonati tutti.

Aggiornamento 16.03.2010:

‘Rai per una notte’ (ovvero, Annozero di protesta) sarà trasmesso in diretta il 25 marzo dal PalaDozza di Bologna da Current Tv, visibile al canale 130 della piattaforma Sky, che èsolo una tra le tante televisioni (ad esempio, Red Tv) che si e’ offerta di trasmettere l’evento organizzato in seguito al regolamento che cancella i talk show dai palinsesti Rai. Immagini dell’evento sul sito della Fnsi. In allestimento il sito http://www.raiperunanotte.it/

La mancata nomina di Ignazio Marino a Bologna è lo spettro dell’insano rapporto sanità e politica.

(La risposta di Marino affidata a un video di Youtube).

Intercettazioni casuali eseguite per un’altra inchiesta hanno smascherato uno strano affare che si svolgeva mesi fa, a Bologna, quando il contratto fra l’Ospedale S.Orsola e il senatore chirurgo Ignazio Marino era in fase di perfezionamento. Proprio nei mesi caldi delle primarie del PD, quando il senatore decise di gettarsi in una sfida impossibile. I due interlocutori si lasciarono andare a certe frasi inequivocabili: “i vertici regionali sono schierati con Bersani e Marino non è più gradito, qua”; “ha fatto una scelta politica che lo ha messo in una certa luce rispetto all’entourage di questa zona”; “ufficialmente […] hanno detto tutte minchiate”; “Marino ha fatto una mossa che gli ha tagliato le gambe”.

Così funziona la sanità in Italia: se fai scelte di un certo tipo, sei tagliato fuori. Non sei in sintonia con l’entourage “della zona”. Si capisce. E i malati di Marino dove dovrebbero farsi operare? “Non certo a casa mia”, risponde uno degli intercettati, un chirurgo pure lui. Ciò vi fa capire che la gestione del servizio pubblico – che sottende a un diritto fondamentale dell’individuo, e sottolineo dell’individuo – è fatta sulla base di concetti quali la fiducia politica, la collateralità, il rapporto relazionale, lo scambio di favori, e così via. Non rientrano nei criteri di scelta né l’efficienza del servizio, né l’economicità. Marino aveva infatti richiesto un compenso per ogni intervento – Marino opera chirurgicamente sui fegati – di solo 1.500 euro. Lo rivelano gli stessi protagonisti delle intercettazioni.

E chi sarebbe l’artefice di tali pressioni? Chi la mano invisibile che ha escluso il senatore dalla nomina a Chirurgo del S. Orsola? Forse la stessa mano che allungò i documenti patacca dell’UPMC, l’università-ospedale di Pittsburgh per il quale Marino prestava servizio sino a qualche anno fa, documenti che accusavano Marino di false note spese, pubblicati su Il Foglio di Giuliano Ferrara proprio l’indomani della presentazione della mozione terza? Questa mano invisibile è pratica nel gestire la disinformazione, gettando il fango in faccia all’avversario. Un metodo sporco, da stalinisti della peggior specie.