Oppure

Oppure possono provare ad ascoltare quel «segnale» che questa volta proviene da una parte del Pd che si candida a cambiare la sua politica, a ricostruire il centrosinistra, a riprendere l’alleanza elettorale che è saltata ad aprile, a considerare finalmente come protagonisti «quelli che si muovono», in questo Paese, e che fanno politica fuori dal Palazzo e dalle sue logiche. Senza ambiguità, senza retropensieri, senza alcuna opacità.

Il segnale, insomma, che diamo noi, in previsione delle primarie dell’8 dicembre, risalendo la storia delle delusioni del Pd e del centrosinistra per dare un nuovo corso a tutto quanto. Che poi era quello per cui avevamo votato a febbraio, e il senso di quel segnale, non è così?

Leggi tutto: http://www.ciwati.it/2013/10/07/il-segnale-da-dare-ai-segnalatori/

D’altronde, aggiungo io, inutile insistere a dire che mai il Pd potrà cambiare se non si è mai – mai! – provato a cambiarlo. E si comincia direttamente così, saltando a piè pari al centro di una scena che vede i soliti protagonisti da molti troppi anni. Chi vi dice che non c’è speranza, vi dice di andar via, di abbandonare la politica, vi dice “non tentare neanche di capirla” (che già ci sono loro e voi non siete in grado). L’esatto contrario di quel che serve. Poiché serve esserci. Fisicamente. Entrare in quelle stanze (i circoli, i congressi, le assemblee) ormai vuote o semi-vuote. Pretendere di contare in un meccanismo decisionale che non contempla non solo più la diversità d’opinione, ma persino averla espressa. E in fondo a tutto, il più grande moto di ribellione civile che potremmo esercitare, oggi, non domani, non in un futuro où tòpos (utopico, e perciò senza luogo, senza spazio qui sulla Terra).

M5S, Morra capogruppo al Senato prima reazione alla crisi?

Morra capogruppo per due voti. Crimi cede il posto senza nemmeno presentarsi. Fa capolino in video e appena prende parola, lancia una battuta (“scusate, mi ero perso”), una chiara citazione del recente diverbio fra sé stesso e Giarrusso ai margini della nomina del presidente della Giunta per le elezioni, carica per la quale Giarrusso medesimo aveva qualche remota aspirazione e che Crimi ha clamorosamente snobbato.

Morra è un fedelissimo di Grillo. Forse più di Crimi. Ma le differenze con Orellana sono puramente ipotetiche. Forse una parte dei senatori a 5 Stelle preferiva una figura più moderata. Ed ha scelto Morra che, con i suoi modi affabili e le citazioni colte, rappresenta certamente un passo in avanti rispetto alla grettezza di Crimi. Se volete, in un certo senso, è una notizia significativa.

Il linguaggio politico para-leghista assunto da Grillo nel dopo elezioni e durante le due campagne elettorali delle amministrative, ha causato una serie di danni difficili da quantificare per i 5 Stelle. La Sicilia, al voto in alcune città la scorsa domenica, non è più quella pentastellata delle regionali 2012. E’ successo che pure Grillo, tanto capace di comprendere il linguaggio della strada, ha parlato una lingua diversa, troppo intrisa di retorica anticasta e per questo priva di prospettive. Già, il Movimento 5 Stelle aveva uno scopo, ma l’aver rinunciato al governo con il Partito Democratico lo ha reso un guscio vuoto. I 5 Stelle, i suoi elettori, sono stati privati della prospettiva del cambiamento. L’Italia ideale è rimasta nel territorio dell’idealità, nuovamente posticipata, posta come un traguardo là nel futuro, un traguardo lontano, mentre il paese attende risposte adesso.

Lo staff se ne è accorto in ritardo. E’ corso ai ripari con le espulsioni dei contestatori interni e con corsi di formazione in comunicazione politica. Risposte ridicole. Dal Blog, Grillo continua a usare il pugno duro coi suoi e anche con tutti coloro che si permettono di discutere l’approccio alla sconfitta elettorale. Un approccio negazionista. Ma è evidente anche ai sassi che, se a Catania, solo tre mesi fa, il M5S prendeva il 30% dei voti e oggi solo il 4% – 5869 voti soltanto – non ci si può nascondere dietro giustificazioni improvvisate (la Politica! la solita Politica! lo schifo della Politica!).

No, gli elettori non ne possono più. La politica ha subito, dopo il 24-25 Febbraio, un crollo di interesse. Insieme ad essa, è crollato l’interesse verso il blog di Grillo e Grillo medesimo. I trend di ricerca di Google sono un indicatore insolitamente chiaro, in questo caso:

Ultimi 90 giorni

Ultimi 90 giorni

Ultimo anno

Ultimo anno

 

M5S | Risposta aperta a Massimo Bugani

Massimo Bugani è consigliere comunale dei 5 Stelle a Bologna. E’ considerato come uno dei fedelissimi di Grillo e Casaleggio. Il grande avversario del personalismo di Giovanni Favia. O qualcosa del genere. Oggi ha pubblicato su Facebook un tread intitolato ‘Lettera a chi ha capito’. La prima parte è un po’ rindondante e ci ricorda tutti i drammi che sono stati vissuti a Sinistra dell’arco costituzionale negli ultimi quindici-venti anni. L’ultimo capoverso invita gli elettori di sinistra (o i neo-deputati/senatori del PD?) a ‘ribaltare i tavoli’.

Non ho resistito e gli ho risposto.

Questo il post di Bugani. Di seguito il mio intervento.

Oggi parlo a coloro che, all’interno del PD, a mio avviso, hanno capito. Non so quanti siano, non so se sono pochi o tanti, ma so che ce ne sono, alcuni li conosco personalmente.

Voglio parlare a voi che avete votato con il mal di pancia anche questa volta, a voi che fate attività nel partito sempre più controvoglia, a voi consiglieri, assessori, sindaci, parlamentari che siete stanchi di essere assimilati a Bersani, a Violante, a Fassino, a Rosy Bindi, a voi che avete pianto dolore sincero per i casi Penati, Lusi, DelBono, ecc., a voi che non volevate l’indulto, a voi che avreste fatto di tutto per non far passare lo scudo fiscale, a voi che non avreste mai dato concessioni televisive a Berlusconi e che non avreste mai nemmeno pensato ad una “bicamerale” con lui, a voi che vorreste una legge per i matrimoni gay, a voi che non avreste mai scelto Mastella come Ministro di Grazia e Giustizia, a voi che non avreste mai sostenuto il governo Monti, a voi che avreste tanto voluto fare una legge sul conflitto di interessi, a voi che non avete mai rubato un euro e che vorreste strapenalizzare il falso in bilancio, a voi che fanno schifo i vostri colleghi corrotti, a voi che non avete mai detto che Grillo era un fascista e che il M5S sapeva solo protestare, a voi che vorreste una scuola pubblica decente, a voi che vorreste una sanità pubblica di livello, a voi che avreste rinunciato ai rimborsi elettorali dal primo giorno che siete entrati in politica, a voi che ritenete assurdo finanziare i giornali con soldi pubblici, a voi che la faccia e la voce di D’Alema vi urtano i nervi, a voi che piacciono i buchi nell’Emmenthal e non nelle valli, a voi che da sempre pensate che delle province in fondo se ne può anche fare a meno, a voi che vorreste accorpare i comuni sotto i 5000 abitanti, a voi che non avete mai preso un auto blu e che forse non ci avete mai nemmeno pensato, a voi che piuttosto che mangiare a Montecitorio con 2 euro vi portereste un panino da casa, a voi che i soldi degli f35 gli avreste spesi sicuramente meglio, a voi che non avreste mai votato per una missione di pace in cui muoiono innocenti, a voi che non avreste mai svenduto il nostro verde ai costruttori, a voi che siete stanchi di essere attaccati per tutto questo e per la stupidità dei vostri dirigenti, a voi (e solo a voi) io voglio dire: Ora è il vostro momento, ora o mai più!

Non so dirvi di preciso cosa dovreste fare, io non ho le soluzioni in mano, ma so che qualunque cosa stiate sognando da una vita, dovete andarvela a prendere ADESSO! Noi la nostra parte l’abbiamo fatta, sembrava impensabile 4 anni fa eppure ci siamo riusciti. Ora tocca a voi! Ribaltate quei tavoli!

Molti uomini hanno vita di quieta disperazione, non rassegnatevi a questo (https://www.facebook.com/notes/massimo-bugani/lettera-aperta-a-chi-ha-capito/491912810843945)

 

Ho saltato tutta la prima parte, un po’ retorica, a onor del vero. Ribaltare dei tavoli non è prettamente una cosa da democratici. Ma opportunità di cambiamento ci sono state, nel corso degli ultimi anni. Cito ad esempio: il congresso PD del 2009 poteva rappresentare l’occasione per scalzare la dirigenza di allora, che ancora fortemente risentiva della ripartizione fra DS e Margherita, sopravvissuta quasi per intero ai giorni nostri. La mozione Marino, nel 2009, conteneva già moltissimi dei temi che voi portate in Parlamento oggi. Ma il vostro Portavoce non spese una parola, una sola, per la causa di Marino, che naturalmente perse la segreteria. Preferì la sceneggiata di una sua propria candidatura, che fu respinta con sdegno da D’Alema. Oggi – Grillo! – ha fatto eleggere 160 fra deputati e senatori ed avrebbe l’occasione di condizionare direttamente l’agenda politica nel senso descritto negli ultimi anni, almeno per la parte condivisibile con la sinistra. Avrebbe addirittura l’opportunità di far concedere l’autorizzazione per le indagini contro Berlusconi nel caso della corruzione/compravendita di De Gregorio. Una occasione a dir poco storica. Può (potete?) scegliere fra un paese in macerie e un paese radicalmente cambiato. Non siete in grado di votare la fiducia a Bersani? Chiedete che vengano proposti altri nomi per la presidenza del consiglio, come ad esempio quello di Giuseppe Civati. Civati da anni cerca di spiegare – invano – alla dirigenza del PD che cosa è e che cosa si dice nel M5S. Cerca da anni di cambiare il PD, che non è morto ma è patrimonio pubblico di tutti gli elettori della sinistra, gli stessi che tu esorti a ‘ribaltare i tavoli’. Civati è divenuto per la prima volta parlamentare in questa tornata elettorale. E’ stato scelto con le primarie per i parlamentari – ideate da egli stesso in tempi antecedenti alle vostre parlamentarie – del 29-30 dicembre scorso. Si è sempre battuto contro il berlusconismo, contro il consumo di suolo, ecc. Basterebbe poco, da parte vostra, per poter innescare il cambiamento tanto sperato nel PD. Che ciò vada contro i vostri interessi ‘elettorali’ è ovvio, ma forse dovreste pensare più al bene comune, all’interesse collettivo, che alle percentuali che potreste prendere in presunte elezioni anticipate nell’estate 2013 (o 2014, o 2015, o 2016?). Quindi, caro Bugani, fai pienamente la tua parte all’interno del M5S. Pretendi una linea politica diversa di quella dello sfascio di tutte le istituzioni. Chiedi, se ci tieni davvero, una soluzione alternativa come quella che ti ho suggerito. Fallo per il bene di tutti.

Noam Chomsky e la delusione Obama: un presidente dimezzato

Il testo che segue è opera del famos scrittore ed economista noam Chomsky, pubblicato in Italia per la prima volta da Il Manifesto lo scorso 18 Novembre: è un’analisi spiazzante, che inchioda Barack Obama ai legni della sua strategia compromissoria.

“Un bilancio in rosso per Obama”
di Noam Chomsky

L’azione più importante di Barack Obama prima di assumere la carica è la scelta dello staff dirigente e dei consiglieri. La prima scelta è stata per la vice-presidenza: Joe Biden, uno dei sostenitori più tenaci dell’invasione in Iraq tra i senatori democratici, da lungo tempo addentro al mondo di Washington, che vota coerentemente come i compagni democratici – sebbene non sempre, come quando ha portato allegria negli istituti finanziari appoggiando un provvedimento per rendere più difficile agli individui cancellare i debiti dichiarando la propria condizione di insolvenza.
Il primo incarico post-elettorale è stata la nomina cruciale del capo di gabinetto: Rahm Emanuel, anch’egli uno dei più strenui sostenitori dell’invasione in Iraq tra i deputati democratici e, come Biden, buon conoscitore di Washington. Emanuel è anche uno dei maggiori beneficiari dei contributi di Wall Street alla campagna elettorale. Il Center for responsive politics riferisce che «è stato il massimo beneficiario, tra i rappresentanti, dei contributi per la campagna del 2008 provenienti da fondi a rischio, società private con capitale di rischio e le maggiori società finanziarie e di assicurazione». Da quando è stato eletto al Congresso nel 2002, «ha ricevuto più soldi da singoli e da comitati di sostegno elettorale nel mondo degli investimenti e delle assicurazioni che da altri settori dell’industria»; che sono anche quelli che hanno dato i contributi più consistenti ad Obama. Il suo compito era quello di controllare il modo in cui Obama affrontava la peggiore crisi finanziaria mai verificatasi dagli anni ’30, per la quale i suoi finanziatori e quelli di Obama condividono ampie responsabilità.
La sinistra ai margini

In un’intervista di un editorialista del Wall Street Journal ad Emanuel fu chiesto che cosa avrebbe fatto la nuova amministrazione Obama riguardo alla «leadership democratica al Congresso, piena di baroni di sinistra con il loro proprio programma»; che contempla il taglio delle spese per la difesa e le «manovre per applicare esorbitanti tasse sull’energia per combattere il riscaldamento globale»; per non parlare dei pazzi totali che in Congresso si trastullano con i risarcimenti per la schiavitù e simpatizzano anche con gli europei che vogliono mettere sotto processo l’amministrazione Bush per crimini di guerra. «Barack Obama si opporrà», ha assicurato Emanuel al giornalista. L’amministrazione sarà «pragmatica», schiverà i colpi degli estremisti di sinistra.
L’esperto di diritto del lavoro e giornalista Steve Early ha scritto che «durante la campagna elettorale, Obama ha detto che appoggiava fermamente l’Employee free choice act, una riforma legislativa sul lavoro, a lungo attesa, che dovrebbe essere parte integrante del piano che ha promesso per stimolare l’economia». Tuttavia, quando Obama presentò i suoi massimi consiglieri economici al momento dell’insediamento «e parlò dei passi da fare per dare una “scossa” all’economia (…) la legge di riforma non faceva parte del pacchetto».

Continuando a passare in rassegna le nomine di Obama, il suo Transition board, l’équipe che si occupa di introdurre i nuovi incaricati nel governo, fu guidato da John Podesta, capo di gabinetto di Clinton. Le figure di punta della sua équipe erano Robert Rubin e Lawrence Summers, entrambi entusiasti della deregolamentazione, il principale fattore scatenante della crisi finanziaria attuale. Come segretario del tesoro Rubin ha lavorato duramente per abolire la legge Glass-Steagall, che aveva separato le banche commerciali dagli istituti finanziari esposti ad alto rischio.
Conflitto di interessi nello staff

La stampa economica esaminò i documenti del Transition economic advisory board di Obama, che si riunì il 7 novembre 2008 per definire le linee di intervento sulla crisi finanziaria. L’editorialista di Bloomberg News, Jonathan Weil concluse che «molti di loro dovrebbero ricevere immediatamente una convocazione in tribunale come persone informate sui fatti, non un posto nel circolo ristretto di Obama». Circa metà «ha avuto incarichi fiduciari in società che, in qualche misura, o hanno bruciato i loro bilanci o hanno contribuito a portare il mondo al collasso economico, o entrambe le cose». È plausibile pensare che «non scambieranno i bisogni della nazione per gli interessi dei loro consoci?» Weil ha anche precisato che il Capo di gabinetto Emanuel «era amministratore alla Freddie mac nel 2000 e 2001, mentre la finanziaria commetteva frodi in bilancio».

La preoccupazione primaria dell’amministrazione è stato il tentativo di arrestare la crisi finanziaria e la parallela recessione nell’economia reale. Ma c’è anche un mostro nell’armadio: un sistema sanitario privatizzato notoriamente inefficiente e scarsamente regolato, che minaccia di mettere in difficoltà il bilancio federale se la crisi persiste. La maggioranza della gente è da lungo tempo a favore di un servizio sanitario nazionale, che dovrebbe essere molto meno costoso e più efficace, come prove comparative (e molti studi) dimostrano.

Appena nel 2004, qualunque intervento del governo nel sistema sanitario era descritto sulla stampa come «politicamente impossibile» e «privo di sostegno politico» – che vuol dire: contrastato dalle compagnie di assicurazione, dalle grandi aziende farmaceutiche e da altri che contano, qualunque cosa ne pensi la popolazione, del tutto irrilevante. Nel 2008, tuttavia, prima John Edwards, poi Obama e Hillary Clinton, hanno avanzato proposte che si avvicinavano a quello che la gente ha a lungo desiderato. Queste idee ora hanno un «sostegno politico». Che cosa è cambiato? Non l’opinione pubblica, che resta come era prima. Ma nel 2008 i settori di potere più potenti, in prima fila l’industria, era arrivata a riconoscere che subivano gravi danni dal sistema sanitario privatizzato. Di conseguenza, la volontà popolare comincia ad avere «sostegno politico». Lo spostamento ci dice qualcosa sulle disfunzioni della democrazia e sulle lotte che si prospettano.

Quello che è accaduto dopo dice ancora di più.
Obama ha abbandonato subito l’opzione popolare e sensata dell’assistenza medica da parte di un unico ente, che aveva detto di voler appoggiare. Ha anche raggiunto un accordo segreto con le aziende farmaceutiche secondo il quale il governo non avrebbe «negoziato il prezzo dei medicinali e non avrebbe richiesto rimborsi addizionali» a seguito delle pressioni delle lobby e contro l’opinione di un netto 85 per cento della popolazione. Una «opzione pubblica» – nella sostanza l’opzione di «medicare per tutti» – rimase, ma fu sottoposta ad un intenso attacco in base alla motivazione, interessante, che gli assicuratori privati non sarebbero stati in grado di competere con un piano governativo efficiente (pretesti più sofisticati non erano meno bizzarri). Nel giugno 2009 il 70 per cento della popolazione era a favore del piano, nonostante l’instancabile e spesso isterica opposizione di gran parte del settore assicurativo.

Due mesi dopo, l’articolo di fondo di Business Week era titolato: «Le assicurazioni sulla salute hanno già vinto: come United health e Rival carriers, manovrando dietro le quinte a Washington, hanno modellato la riforma sanitaria a loro beneficio». Il settore assicurativo «è riuscito a ridefinire i termini della discussione sulla riforma in misura tale che non contano i dettagli del voluminoso progetto di legge che il Congresso manderà al presidente Obama l’autunno prossimo, il settore riemergerà ancora più redditizio (…) i manager delle assicurazioni dovrebbero sorridere di piacere».
A metà settembre, quando i progetti di legge stavano arrivando sul tavolo del Congresso, il mondo degli affari manifestò il suo appoggio alla versione della Commissione finanze del senatore Max Baucus, che aveva lavorato «in stretto contatto con i gruppi imprenditoriali», più che con altri, si dice con approvazione. Le proposte della Camera furono respinte perché non sufficientemente a favore dei gruppi affaristici. Il presidente della Business Roundtable definì la proposta della Commissione finanze del Senato «molto in linea» con i suoi principi, specialmente per il fatto che «non richiede la creazione di un piano pubblico».
Una riforma dimezzata

Naturalmente nessuna vittoria basta di per sé. Perciò, mentre la lotta per la riforma del sistema sanitario paralizzò virtualmente il Congresso alla fine del 2009, le lobby affaristiche iniziarono una grande campagna per ottenere ancora di più, e ci riuscirono. L’opzione pubblica fu alla fine «fatta naufragare» insieme con un connesso «medicare buy-in» che avrebbe permesso alle persone di 55 o più anni di avere il servizio sanitario nazionale. A quel punto la gente era a favore dell’opzione pubblica dal 56 al 38 per cento e il Medicare buy-in in percentuale anche maggiore, tra il 64 e 30 per cento. Il sondaggio che mostrava questi risultati fu reso pubblico, ma i fatti furono omessi: il titolo diceva «Sondaggi: la maggioranza non approva le leggi per il servizio sanitario». L’articolo lascia l’impressione che la popolazione si unisca all’attacco della destra contro il coinvolgimento del governo nell’assistenza sanitaria, assalto condotto dagli interessi affaristici, contrari a quello che proprio il sondaggio rivela e che altri sondaggi mostrano da decenni.
E che hanno continuato a mostrare nel 2010. Un sondaggio della Cbs reso pubblico l’11 gennaio ha rilevato che il 60 per cento degli americani non approvava il modo in cui il Congresso stava affrontando il problema del sistema sanitario. Le cifre dettagliate mostrano che, tra quelli che sono contro il modo in cui la proposta regola il rapporto con le compagnie di assicurazione, la grande maggioranza pensa che non si spinga abbastanza avanti (il 43 per cento di «non abbastanza», contro il 27 per cento di «troppo»). L’assistenza sanitaria è stata una questione cruciale nelle elezioni al senato nel Massachusetts nel gennaio 2010, in cui ha vinto il repubblicano Scott Brown. Tra i Democratici che si sono astenuti o hanno votato per Brown, il 60 per cento pensava che il programma sanitario non si spingeva abbastanza avanti (l’85 per cento di quelli che si astennero). Tra gli astenuti e i democratici che hanno votato per Brown, circa l’85 per cento era a favore dell’opzione pubblica.

In breve, l’evidenza mostra che in realtà cresceva la rabbia popolare contro il progetto di legge sulla sanità di Obama, prima di tutto perché era troppo limitato.
Mentre il settore finanziario aveva tutte le ragioni per sentirsi soddisfatto dei risultati ottenuti dopo gli sforzi per far eleggere il suo uomo, Obama, la storia d’amore ha cominciato a volgere alla fine nel gennaio 2010, quando Obama ha deciso di reagire al montare della rabbia popolare contro gli «stipendi d’oro» per i finanzieri, mentre altri erano impantanati in una «triste strada tutta in salita per i lavoratori». Ha dunque adottato una «retorica populista», criticando le enormi gratifiche per chi era stato salvato dall’intervento pubblico, e proponendo anche delle misure per limitare gli eccessi delle grandi banche (inclusa la «regola Volcker», che avrebbe in parte ristabilito la legge Glass-Steagall, impedendo alle banche commerciali con garanzia governativa di usare i depositi per investimenti a rischio). La punizione per la sua deviazione è stata rapida.
In nome del libero mercato

Le grandi banche hanno annunciato con rilievo che avrebbero spostato i finanziamenti verso i repubblicani, se Obama avesse insistito con i discorsi sulla regolazione e la retorica contro i finanzieri.
Obama ha capito il messaggio. In pochi giorni ha informato la stampa economica che i banchieri sono bei «tipi», scegliendo Dimon e il presidente Lloyd Blankfein della Goldman Sachs come persone degne di lode e, per rassicurare il mondo degli affari, ha spiegato: «Io, come la maggior parte del popolo americano, non provo invidia per chi ha successo e ricchezza», nella forma delle enormi gratifiche e profitti che fanno infuriare la gente. «Fanno parte del sistema di libero mercato», ha continuato Obama; e non sbagliava, considerato il modo in cui il «libero mercato» è interpretato nella dottrina del capitalismo di stato.

Osservazioni come queste suggeriscono un interessante esperimento mentale. Che cosa sarebbe il contenuto del «marchio Obama» se la popolazione dovesse diventare «partecipe» piuttosto che semplice «spettatrice dell’azione»? È un esperimento degno di essere tentato, non solo in questo caso, e c’è qualche ragione per supporre che il risultati potrebbero indicare la via per un mondo più sensato e decente.

Futuro prossimo o futuro remoto: il PD e l’ineluttabile Vendola

credits Vauro

L’analisi di Miguel Mora su El Pais, che qui pubblico integralmente, è impietosa ma vera: quale il futuro della politica in Italia? Il futuro passa per le mani di Fini-Casini? Per quelle di Bersani? O di D’Alema? Resterà in quelle di Berlusconi, magari un pochino più ammanettate alla Lega Nord? Il giornalista di El Pais impiega spesso nell’articolo l’aggettivo ‘desolante’: è desolante questa Italia che vede compromessa la sua speranza di stabilità politica; è desolante il governo di B. che è attanagliato da una corruzione ‘senza freno’; è desolante che l’unico partito che mostri un certo grado di affidabilità – la Lega – mostri i tratti della destra europea xenofoba; è desolante che la prossima battaglia si consumi fra destra legalista e destra xenofoba; ed è oltremodo desolante che il PD non abbia il coraggio di andare oltre e affrancarsi da un gruppo dirigente ormai consegnato alla Storia. Ma forse c’è uno spiraglio: il flebile vento del cambiamento sembra spirare da sud.

Un paese senza futuro politico.

La situazione è grave ma non seria. L’adagio dello scrittore Ennio Flaiano continua a definire la deprimente scena politica italiana. Il paese va di nuovo verso il caos gettando via, dopo due anni e quattro mesi di mandato, il desiderio di stabilità degli elettori che nel 2008 scelsero la più larga maggioranza della storia repubblicana. Berlusconi, afflitto da una corruzione senza freno, senza altre idee che quella di salvare la propria ‘pelle giudiziaria’ e abbandonato dal suo delfino-squalo, è solo, a capo di un partito di plastica, un feudo in cui prosperano segretari fedeli, sudditi, dipendenti, ex veline e capi-clan più o meno legali.
Il Popolo della Libertà, o Partito dell’Amore, appare per come è sempre stato: un anti-partito, un comitato di affari e una mera fabbrica di leggi ad personam pensate e create per la maggior gloria del padrone. Quando giunge l’ora di fare una politica di verità o di responsabilizzarsi realmente per il paese, è lo stallo. La ricetta che conosce il populismo italiano è “ottimismo e elezioni”. Quando qualcosa va storto, si fa appello al popolo. La speranza è sempre il Grande Fratello: tre mesi di televisione, burle e propaganda unificata radono al suolo quelli che non hanno televisioni né sono showman. E si vince di nuovo. Se il cammino porta il paese ad affondare in una deriva greca, colpa degli altri…
L’avventura solitaria di Gianfranco Fini corre il serio rischio di finire in una partita al buio o peggio. Per disattivarlo, Berlusconi cercherà le elezioni anticipate il più presto possibile, e la Lega Nord lo abbraccia senza esitazione: alla fine è l’unico partito serio, e il crescente discredito di Berlusconi le consegnerà una valanga di voti.
Fini, meno coraggioso che opportunista, e la ex-sinistra, capace di qualsiasi aberrazione per non essere costretta a vincere le elezioni e, peggio, a governare, completano il quadro desolante di un paese senza futuro politico. Berlusconi ha 73 anni e diversi procedimenti pendenti, che gli impediscono di lasciare il potere pena la perdita dell’immunità. Fini è stato 16 anni all’ombra del magnate, e se è diventato il punto di riferimento per la legalità e il rispetto per le istituzioni è a causa della desolante inazione del Partito Democratico, incapace di diventare un’alternativa al berlusconismo data la complicità dei loro vecchi gerarchi con la casta politica, i suoi vizi irrecuperabili e i complessi propri degli ex-comunisti e cattolici.
Affiché la nuova battaglia non sia solo tra un centro-destra europeo, onesto e rispettoso della separazione dei poteri, e una destra corrotta, xenofoba e alleata di Dio e il Diavolo, la sinistra dovrebbe correggere la rotta quanto prima. Ma sarebbe un’impossibilità quasi metafisica, che i loro leader facciano harakiri politico e lascino il campo aperto ad una nuova generazione. Se lo fanno, il candidato in grado di sconfiggere il Cavaliere esiste.Si chiama Nichi Vendola, governatore della Puglia.