Ragione e Fede: conciliabilità inconciliabile. Appunti a margine del tema laicità.

Raccolgo il suggerimento di esaminare il discorso di Papa Ratzinger all’Università di Ratisbona del Settembre 2006 – il discorso che indignò i fedeli musulmani per il riferimento a una sura del Corano e al tema della guerra santa come mezzo per l’affermazione del credo islamico) – che invece introduceva a una critica della ragione illuminista e una riaffermazione della concezione di Dio come logos, verbo, quindi ragione. Un passo del discorso sulla soggettivizzazione del credo religioso e della ragione scientifica come autolimitata in quanto non affronta i perché della vita, poiché “il metodo [empirico] come tale esclude il problema Dio, facendolo apparire come problema ascientifico o pre-scientifico”, è però fondamentale per capire l’auto-rappresentazione della religione cristiano cattolica come elemento centrale – fondante – nella società, e in tal modo escludente:

“in questo modo l’ethos e la religione perdono la loro forza di creare una comunità e scadono nell’ambito della discrezionalità personale”.

L’aspetto qui trascurato dal Papa è che la necessità di teorizzare il foro interiore della coscienza individuale, e lì confinare la scelta di credere o meno, è passo fondamentale per estirpare il conflitto religioso (si trascura in questa breve nota il tema del conflitto sociale) dalla società e quindi poter costituire la comunità politica. La comunità politica non si costruisce per la forza dell’ethos e della religione, poiché la comunità politica è eterogenea e comprende al suo interno più ethos, più religioni. L’eterogenità dei credi religiosi porta conflitto.
Di qui l’autolimitazione della ragione, che è empirica e ricerca la verità oggettiva attraverso la falsificazione delle proprie proposizioni, in quanto non ragione che promana dal verbo di Dio, ma dalla fattualità. La ragione rinuncia a essere Assoluta e a dare spiegazioni dell’Assoluto. In compenso, la comunità politica può affrancarsi dal conflitto religioso. Il fatto che Ratizinger non parli di religioni, ma di religionE, può lasciar supporre che, nella propria rappresentazione di società, la religione cattolica abbia un qualsivoglia carattere di rango superiore.

Di seguito l’articolo di stamane su l’Unità.it che offre una ricognizione sul concetto laicità dal punto di vista dello Stato e dal punto di vista della Chiesa (laicità santa). L’occasione è offerta dalla sentenza del TAR che esclude i professori di Religione dagli scrutini.

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    • una ragione che è creatrice e capace di comunicarsi ma, appunto, come ragione.
    • In principio era il logos, e il logos è Dio, ci dice l’evangelista.
    • la traduzione greca dell’Antico Testamento, realizzata in Alessandria – la «Settanta» –, è più di una semplice (da valutare forse in modo poco positivo) traduzione del testo ebraico: è infatti una testimonianza testuale a se stante e uno specifico importante passo della storia della Rivelazione
    • Nel profondo, vi si tratta dell’incontro tra fede e ragione, tra autentico illuminismo e religione. Partendo veramente dall’intima natura della fede cristiana e, al contempo, dalla natura del pensiero ellenistico fuso ormai con la fede, Manuele II poteva dire: Non agire «con il logos» è contrario alla natura di Dio.
    • la fede della Chiesa si è sempre attenuta alla convinzione che tra Dio e noi, tra il suo eterno Spirito creatore e la nostra ragione creata esista una vera analogia, in cui certo le dissomiglianze sono infinitamente più grandi delle somiglianze, non tuttavia fino al punto da abolire l’analogia e il suo linguaggio (cfr Lat IV).
    • ma il Dio veramente divino è quel Dio che si è mostrato come logos e come logos ha agito e agisce pieno di amore in nostro favore. Certo, l’amore «sorpassa» la conoscenza ed è per questo capace di percepire più del semplice pensiero (cfr Ef 3,19), tuttavia esso rimane l’amore del Dio  logos, per cui il culto cristiano è un culto che concorda con il Verbo eterno e con la nostra ragione (cfr Rm 12,1).
    • Riforma del XVI secolo
    • i riformatori si vedevano di fronte ad una sistematizzazione della fede condizionata totalmente dalla filosofia, di fronte cioè ad una determinazione della fede dall’esterno in forza di un modo di pensare che non derivava da essa.
    • Così la fede non appariva più come vivente parola storica, ma come elemento inserito nella struttura di un sistema filosofico.
    • Il sola Scriptura invece cerca la pura forma primordiale della fede, come essa è presente originariamente nella Parola biblica.
    • Con la sua affermazione di aver dovuto accantonare il pensare per far spazio alla fede, Kant ha agito in base a questo programma con una radicalità imprevedibile per i riformatori. Con ciò egli ha ancorato la fede esclusivamente alla ragione pratica, negandole l’accesso al tutto della realtà.
    • La teologia liberale del XIX e del XX secolo apportò una seconda onda nel programma della dis-ellenizzazione: di essa rappresentante eminente è Adolf von Harnack.
    • punto di partenza era utilizzata la distinzione di Pascal tra il Dio dei filosofi ed il Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe.
    • la novità che caratterizzava questa seconda onda di dis-ellenizzazione rispetto alla prima
    • in Harnack, il ritorno al semplice uomo Gesù e al suo messaggio semplice
    • Gesù avrebbe dato un addio al culto in favore della morale. In definitiva, Egli viene rappresentato come padre di un messaggio morale umanitario.
    • Lo scopo di ciò è in fondo di riportare il cristianesimo in armonia con la ragione moderna, liberandolo, appunto, da elementi apparentemente filosofici e teologici
    • teologia, per Harnack, è qualcosa di essenzialmente storico e quindi di strettamente scientifico. Ciò che essa indaga su Gesù mediante la critica è, per così dire, espressione della ragione pratica
    • Nel sottofondo c’è l’autolimitazione moderna della ragione, espressa in modo classico nelle «critiche» di Kant, nel frattempo però ulteriormente radicalizzata dal pensiero delle scienze naturali.
    • Questo concetto moderno della ragione si basa, per dirla in breve, su una sintesi tra platonismo (cartesianismo) ed empirismo, che il successo tecnico ha confermato.
    • Da una parte si presuppone la struttura matematica della materia, la sua per così dire razionalità intrinseca, che rende possibile comprenderla ed usarla nella sua efficacia operativa: questo presupposto di fondo è, per così dire, l’elemento platonico nel concetto moderno della natura.
    • Dall’altra parte, si tratta della utilizzabilità funzionale della natura per i nostri scopi, dove solo la possibilità di controllare verità o falsità mediante l’esperimento fornisce la certezza decisiva.
    • due orientamenti fondamentali decisivi per la nostra questione: Soltanto il tipo di certezza derivante dalla sinergia di matematica ed empiria ci permette di parlare di scientificità. Ciò che pretende di essere scienza deve confrontarsi con questo criterio. E così anche le scienze che riguardano le cose umane, come la storia, la psicologia, la sociologia e la filosofia, cercano di avvicinarsi a questo canone della scientificità.
    • il fatto che il metodo come tale esclude il problema Dio, facendolo apparire come problema ascientifico o pre-scientifico. Con questo, però, ci troviamo davanti ad una riduzione del raggio di scienza e ragione che è doveroso mettere in questione.
    • alla luce di questa prospettiva di conservare alla teologia il carattere di disciplina «scientifica», del cristianesimo resterebbe solo un misero frammento
    • è l’uomo stesso che con ciò subisce una riduzione
    • Poiché allora gli interrogativi propriamente umani, cioè quelli del «da dove» e del «verso dove», gli interrogativi della religione e dell’ethos, non possono trovare posto nello spazio della comune ragione descritta dalla «scienza» e devono essere spostati nell’ambito del soggettivo.
    • Il soggetto decide, in base alle sue esperienze, che cosa gli appare religiosamente sostenibile, e la «coscienza» soggettiva diventa in definitiva l’unica istanza etica.
    • In questo modo, però, l’ethos e la religione perdono la loro forza di creare una comunità e scadono nell’ambito della discrezionalità personale.
    • È questa una condizione pericolosa per l’umanità: lo costatiamo nelle patologie minacciose della religione e della ragione – patologie che necessariamente devono scoppiare, quando la ragione viene ridotta a tal punto che le questioni della religione e dell’ethos non la riguardano più. Ciò che rimane dei tentativi di costruire un’etica partendo dalle regole dell’evoluzione o dalla psicologia e dalla sociologia, è semplicemente insufficiente.
    • accennare ancora brevemente alla terza onda della dis-ellenizzazione che si diffonde attualmente
    • In considerazione dell’incontro con la molteplicità delle culture si ama dire oggi che la sintesi con l’ellenismo, compiutasi nella Chiesa antica, sarebbe stata una prima inculturazione, che non dovrebbe vincolare le altre culture.
    • tornare indietro fino al punto che precedeva quella inculturazione per scoprire il semplice messaggio del Nuovo Testamento ed inculturarlo poi di nuovo nei loro rispettivi ambienti
    • Questa tesi non è semplicemente sbagliata; è tuttavia grossolana ed imprecisa.
    • Il Nuovo Testamento, infatti, e stato scritto in lingua greca e porta in se stesso il contatto con lo spirito greco
    • Ma le decisioni di fondo che, appunto, riguardano il rapporto della fede con la ricerca della ragione umana, queste decisioni di fondo fanno parte della fede stessa e ne sono gli sviluppi, conformi alla sua natura.
    • Questo tentativo, fatto solo a grandi linee, di critica della ragione moderna dal suo interno, non include assolutamente l’opinione che ora si debba ritornare indietro, a prima dell’illuminismo, rigettando le convinzioni dell’età moderna.
    • Quello che nello sviluppo moderno dello spirito è valido viene riconosciuto senza riserve: tutti siamo grati per le grandiose possibilità che esso ha aperto all’uomo e per i progressi nel campo umano che ci sono stati donati.
    • L’ethos della scientificità, del resto, è volontà di obbedienza alla verità e quindi espressione di un atteggiamento che fa parte della decisione di fondo dello spirito cristiano.
    • si tratta invece di un allargamento del nostro concetto di ragione e dell’uso di essa
    • vediamo anche le minacce che emergono da queste possibilità e dobbiamo chiederci come possiamo dominarle. Ci riusciamo solo se ragione e fede si ritrovano unite in un modo nuovo
    • se superiamo la limitazione autodecretata della ragione a ciò che è verificabile nell’esperimento, e dischiudiamo ad essa nuovamente tutta la sua ampiezza
    • la teologia, non soltanto come disciplina storica e umano-scientifica, ma come teologia vera e propria, cioè come interrogativo sulla ragione della fede, deve avere il suo posto nell’università e nel vasto dialogo delle scienze
    • Ma le culture profondamente religiose del mondo vedono proprio in questa esclusione del divino dall’universalità della ragione un attacco alle loro convinzioni più intime. Una ragione, che di fronte al divino è sorda e respinge la religione nell’ambito delle sottoculture, è incapace di inserirsi nel dialogo delle culture.
    • E tuttavia, la moderna ragione propria delle scienze naturali, con l’intrinseco suo elemento platonico, porta in sé, come ho cercato di dimostrare, un interrogativo che la trascende insieme con le sue possibilità metodiche.
    • deve semplicemente accettare la struttura razionale della materia e la corrispondenza tra il nostro spirito e le strutture razionali operanti nella natura come un dato di fatto, sul quale si basa il suo percorso metodico
    • Ma la domanda sul perché di questo dato di fatto esiste e deve essere affidata dalle scienze naturali ad altri livelli e modi del pensare – alla filosofia e alla teologia.
    • Il coraggio di aprirsi all’ampiezza della ragione, non il rifiuto della sua grandezza – è questo il programma con cui una teologia impegnata nella riflessione sulla fede biblica, entra nella disputa del tempo presente. «Non agire secondo ragione (con il logos) è contrario alla natura di Dio»
    • È a questo grande logos, a questa vastità della ragione, che invitiamo nel dialogo delle culture i nostri interlocutori.
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    • Il concetto di libertà religiosa e laicità
    • Il confronto-scontro contrappone due grandi categorie: coloro che si identificano come «laici», di sinistra e di destra, i quali pretendono l’esclusione della religione e dei suoi simboli dalla vita pubblica; e i «cattolici», che, pur riconoscendo l’autonomia di Stato e Chiesa, ritengono legittima la proiezione della dimensione religiosa nella dinamica sociale.
    • I primi invocano l’idea di laicità nella forma più radicale, come separazione tra temporale e spirituale; i secondi richiamano la «sana laicità », nelle forme delineate dal magistero della Chiesa.
    • La laicità dello Stato, non indifferenza ma neutralità.
    • la Costituzione italiana non qualifica lo Stato come stato laico, e in essa neppure compaiono i termini «laico» e «laicità ».
    • Il principio di laicità dello Stato – elevato a rango supremo, non suscettibile di revisione costituzionale – compare significativamente nella giurisprudenza della Corte Costituzionale nel 1989, con la sentenza 203 in materia di insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche.
    • In essa la Corte sottolinea che il principio supremo di laicità dello Stato «implica non indifferenza dello Stato dinanzi alle religioni, ma garanzia dello Stato per la salvaguardia della libertà di religione, in regime di pluralismo confessionale e culturale».
    • in Italia il principio di laicità è sintesi di diritti individuali e garanzie per le istituzioni religiose: in primo luogo l’uguaglianza senza distinzione di religione, il diritto di professare liberamente la propria fede religiosa (purchè non in contrasto con l’ordine morale e non pericolosa per l’ordine pubblico), il riconoscimento dei diritti inviolabili dell’uomo.
    • Ma anche il riconoscimento della reciproca indipendenza e sovranità dello Stato e della Chiesa cattolica nei rispettivi ambiti e l’eguale libertà delle confessioni religiose.
    • Non, dunque, una laicità che – sul modello francese – implichi indifferenza dello Stato nei confronti delle religioni.
    • una laicità fondata sulla garanzia di neutralità dello Stato per la salvaguardia della libertà di religione in regime di pluralismo confessionale e culturale.
    • La “santa laicità” nel magistero della Chiesa.
    • secondo il magistero cattolico – che in un sistema permeato da «sana laicità » non può essere la Chiesa «a indicare quale ordinamento politico e sociale sia da preferirsi, ma è il popolo che deve decidere liberamente
    • allo stesso modo, lo Stato non può considerare la religione come un semplice sentimento individuale, che si potrebbe confinare al solo ambito privato. Al contrario, la religione, essendo anche organizzata in strutture visibili, come avviene per la Chiesa, va riconosciuta come presenza comunitaria pubblica»
    • La «sana laicità » – ha spiegato Papa Benedetto XVI in un discorso di alcuni mesi fa – implica «l’effettiva autonomia delle realtà terrene non certo dall’ordine morale, ma dalla sfera ecclesiastica.
    • Non può essere, pertanto, la Chiesa a indicare quale ordinamento politico e sociale sia da preferirsi, ma è il popolo che deve decidere liberamente i modi migliori e più adatti di organizzare la vita politica.
    • Ogni intervento diretto della Chiesa in tale campo sarebbe un’indebita ingerenza
    • ha osservato il Papa – «non è certo espressione di laicità, ma sua degenerazione in laicismo, l’ostilità a ogni forma di rilevanza politica e culturale della religione»
    • «non è segno di sana laicità il rifiuto alla comunità cristiana, e a coloro che legittimamente la rappresentano, del diritto di pronunziarsi sui problemi morali che oggi interpellano la coscienza di tutti gli esseri umani
    • Non si tratta, infatti, di indebita ingerenza della Chiesa nell’attività legislativa, propria ed esclusiva dello Stato – ha concluso il Papa – ma dell’affermazione e della difesa dei grandi valori che danno senso alla vita della persona e ne salvaguardano la dignità ».
  • La Chiesa italiana parte subito al contro attacco. La sentenza del Tar che mette fuori dagli scrutini e dai crediti per la maturità gli insegnanti di religione “aumenta la diffidenza verso i magistrati”.  All’indomani della sentenza n. 7076 del 17 luglio scorso, i vescovi fanno sentire la loro protesta: “Scuola, Università . L’insegnamento della religione cattolica è parte integrante della conoscenza della cultura italiana. E’ in questo senso va intesa nel sistema scolastico italiano,
    non come percorso confessionale individuale – ha detto mons. Diego Coletti, Presidente della Commissione episcopale per l’educazione cattolica.

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