Delocalizzazioni e Offshore: gli sporchi affari di Mitt Romney

Mitt Romney

Mitt Romney (Photo credit: Wikipedia)

Articolo scritto da me e pubblicato per Giovine Europa Now, blog di Giovanni Biava e Ernesto Gallo.

 

La politica europea di Romney è ancor più confusa di quella di Obama. Il suo background di offshorer potrebbe far pendere le politiche europee ancor più verso la liberalizzazione sfrenata della Finanza, quando invece c’è bisogno di regole, di separazione fra banche commerciali e banche d’affari, di contrasto all’elusione delle tassazione operata con società fittizie con sedi nei paradisi fiscali. Obama sinora non ha fatto nulla di tutto ciò, ma Romney potrà mai farlo?

Leggi il resto: http://www.linkiesta.it/blogs/giovine-europa-now/gli-sporchi-affari-di-mitt-romney#ixzz2BTK0EmL5

 

PIL Cina in vista di un hard landing?

Il tasso di crescita annuale del prodotto interno lordo cinese ha conosciuto negli ultimi sei trimestri un andamento decrescente. Ciò fa ipotizzare una sorta di “hard landing”, un duro atterraggio per la ricchezza della Repubblica Popolare Cinese. Insomma, gli investitori sono impauriti e temono che il terzo trimestre 2012 porti con sé una tendenza ulteriore alla recessione, con effetti molto negativi sui bilanci dei paesi europei già in difficoltà per la crisi del debito.

Le voci si rincorrono. A seconda del tipo di analisi condotta, le previsioni parlano di soft landing o di hard landing e in entrambi i casi si tratta di previsioni assolutamente credibili. Nel caso cinese la serie storica, a differenza di quanto accaduto per la Germania o per l’Italia, ha una scarsa capacità predittiva. Applicando il medesimo criterio impiegato su questo blog per analizzare il trend del PIL italiano e tedesco, scopriamo che i risultati del terzo e quarto trimestre cinesi sono difficilmente interpretabili:

– le polinomiali di grado 3 e 4 sono convergenti e suggeriscono un ‘hard landing’, ovvero una brusca frenata della crescita del PIL;

– la polinomiale di grado 5 diverge dalle altre due e suggerisce un andamento diametralmente opposto e poco credibile, ovvero un ritorno a ritmi di crescita pre-crisi;

– la polinomiale di grado 6 offre una interpretazione della curva del tasso di crescita cinese a due periodi futuri un po’ più ottimista – tende cioè ad un ‘soft landing’.

Nel cerchio rosso ho evidenziato il picco in ribasso del primo trimestre 2009: quindi chi prevede hard landing sta ipotizzando un tasso di crescita che a fine 2012 potrebbe risultare pari solo al 4%, un livello ancor più basso della crisi Lehman. Una miseria per il gigante post comunista. Chi invece prevede un soft landing ipotizza un andamento del tasso di crescita annuale appiattito intorno al 6.5-7%.

La Nuova Unione Europea resterà un fantasma politico

Lady “Casper” Ashton, Alto Rappresentante dell’Unione Europea

Il Consiglio europeo di giovedì e venerdì si troverà a dover decidere delle complicazioni della crisi del debito. Forse sorgerà una Unione Europea fondata su quattro pilastri: Finanza, bilanci pubblici, politica economica e legittimazione democratica. Ne manca uno. La politica estera. Il documento che sarà sul tavolo della UE rifonderà l’unione economica e monetaria. Non quella politica, che per antonomasia è il tallone d’Achille di questa multilevel governance disordinata. Ernesto Gallo e Giovanni Biava sono gli autori dell’articolo che segue, in cui si prendono le mosse da un interrogativo – la politica estera europea esiste? – per finire a parlare dello squilibrio delle potenze che ha come teatro l’Africa, le sue terre rare, il petrolio e naturalmente la guerra.

Politica estera europea: esiste?

di Ernesto Gallo e Giovanni Biava*

Lo studioso francese Justin Vaïsse ha recentemente scritto che ‘il malato d’ Europa è l’Europa stessa’ (16 febbraio 2012). Tale conclusione è stata raggiunta al termine di una valutazione dettagliata della politica estera europea nel 2010 e 2011 compiuta dallo European Council on
Foreign Relations (ECFR). Purtroppo, pensiamo che Vaïsse abbia ragione. Con un budget preventivo di appena €96 miliardi per il periodo 2014-2020, un Alto Rappresentante pressoche’ sconosciuto, la signora Catherine Ashton, le cui decisioni dipendono dal voto unanime di 27 paesi, e un profilo generalmente basso su molti temi (per tacere della assenza dal vertice regionale ASEAN del 2011), non puo’ sorprendere che la valutazione ufficiale dello ECFR sia stata piuttosto critica (Scorecard della Politica Estera Europea, 2012).

La politica estera europea e’ stata quasi mai unitaria e convincente. Quelle dei singoli Stati poi sono state spesso contradittorie e fallimentari. Se aggiungiamo a cio’ la persistente crisi dell’Euro ed il declino economico relativo di fronte ai paesi BRICS, possiamo concludere con Garton Ash (Guardian, 10 novembre 2010) che l’economia e la politica europee saranno presto facile preda di potenze emergenti (quale la Cina) e della loro presunta aspirazione a ‘dividere e governare’ il continente. Crediamo pero’ che un’Europa debole e divisa non sia in grado di portare benefici ne’ a potenze emergenti, né a qualunque ordine internazionale; la storia insegna che un benessere durevole e’ fortemente legato a pace e cooperazione, come l’esperienza dell’Europa occidentale dopo la seconda guerra mondiale illustra. Cina o Russia trarrebbero beneficio da accordi e cooperazione con un’ UE più forte, con una singola politica estera ed ispirata ad un modello federale, che coniughi unita’ e diversita’.

La relativa debolezza della politica estera europea è evidente in tutti i teatri d’azione. L’Europa è stata abbandonata dagli USA, che ora stanno dando priorita’ alla regione del Pacifico. In termini di sicurezza, i paesi UE restano junior partners della NATO, mentre non e’ emersa alcuna capacita’ militare europea alternativa ed autonoma. Quanto alle istituzioni finanziarie, l’UE non si e’ nemmeno pronunciata nella disputa sulla nomina del nuovo presidente della Banca Mondiale, in cui il vincitore, il candidato degli Stati Uniti, Kim, è stato criticato per molti motivi, compresa la sua relativa ignoranza in materia di sviluppo a paragone con il Ministro delle Finanze nigeriano, la Signora Okonjo-Iweala, e l’economista colombiano, Ocampo. Ciò è particolarmente deludente se consideriamo che i leaders europei dovrebbero essere più attenti ai cambiamenti di forza nelle relazioni economiche internazionali, così bene illustrati dalle origini degli ultimi due candidati.

Quanto ai rapporti UE-Russia, malgrado le complementarità tra le due regioni, persistono forti tensioni. Mosca è il principale fornitore di gas dell’Europa e gode di un forte potere di ricatto. Inoltre, la Russia è spesso riuscita a dividere l’UE; il consorzio North Stream, che sta attualmente
costruendo una gasdotto Germania-Russia (che taglia fuori i paesi baltici e dell’Europa centrale), è presieduto dall’ex cancelliere tedesco Gerhard Schroeder, un fatto che ha destato proteste in molti tra i paesi marginalizzati. La combinazione tecnologia tedesca – risorse russe è fonte di preoccupazione, sia in Europa che negli USA, come è stato espresso chiaramente dal Direttore di Stratfor, George Friedman (17 marzo 2012).

Le debolezze della politica estera UE sono ancora più visibili in una zona di importanza economica cruciale per la Cina e gli altri BRICS: L’Africa del nord e quella sub-sahariana. Qui la campagna libica della NATO sta mostrando i suoi effetti peggiori. L’intervento contro Tripoli fu soprattutto supportato da Francia e Gran Bretagna, con il sostegno USA e dei paesi del Golfo. Significativamente, la Germania si astenne sulla relativa risoluzione del Consiglio di Sicurezza ONU, mentre l’Italia, uno dei più importanti partners commerciali della Libia, mise a disposizione le basi militari dopo aver espresso qualche perplessita’. Sono queste divisioni profonde che svuotano di significato una
qualsiasi politica estera europea. Cio’ si aggiunge alla divisione fra paesi occidentali da una parte e Cina e Russia dall’altra; anche queste ultime astenute sull’intervento in Libia. La fine del regime di Gheddafi ha poi portato con se’ ulteriori problemi. I guai libici si sono riversati sui paesi limitrofi, con i ribelli Touareg e un numero imprecisato di militanti islamici che guadagnano terreno nel Mali ed
in Niger. Il golpe militare a Bamako, tradizionale alleato USA ed ex colonia francese, rappresenta un tentativo disperato di mantenere la regione sotto controllo occidentale.

In termini politici, il re e’ nudo. La Francia, il vecchio ‘padrone’ coloniale, non e’ in grado di dare stabilità ad una regione, il Sahel, in cui attori quali gli USA e la Cina hanno interessi vitali, mentre l’UE in quanto tale non ha alcun ruolo. È dunque difficile considerare l’intervento francese in Costa d’Avorio un ‘grande successo europeo’ (ECFR, 2012), se pensiamo che esso fu dettato da interessi puramente francesi ed in una zona caratterizzata da crescenti tensioni e divisioni. Fra coloro che dalle tensioni stanno traendo benefici, troviamo gruppi islamici militanti quali i nigeriani di Boko Haram, i cui tratti non sono ancora chiari. Cio’ che invece è evidente è che la politica estera europea
non ha funzionato neppure in questo contesto. Dopo l’8 marzo, quando un ostaggio britannico ed uno italiano di Boko Haram sono stati uccisi durante un’azione di salvataggio anglo-nigeriana, e’ scoppiata una dolorosa tenzone diplomatica fra l’Italia ed il Regno Unito. Non sappiamo se Londra avesse informato o meno l’Italia, né le ragioni del fallimento dell’azione. Politicamente parlando, tuttavia, il punto è un altro: dov’ era l’Unione europea? Come può accadere che due dei suoi paesi piu’ grandi litigano su un tema scottante, mentre Bruxelles resta in silenzio? Un’azione di salvataggio UE/Nigeria avrebbe forse avuto piu’ senso!

Considerazioni simili valgono per la crisi diplomatica tra Italia e India, dovuta alla presunta uccisione di due pescatori indiani da parte di due fanti di marina italiani (il 15 febbraio), ed al rapimento di due italiani in Orissa da parte dei ribelli maoisti (il 18 marzo). In entrambi i casi la politica italiana si e’ dimostrata contraddittoria ed inefficace. Ma dov’ è l’Unione Europea? Invocato dal Ministro degli Esteri Terzi (il 9 marzo), il suo fantasma non si è ancora materializzato. I limiti della politica estera UE sono stati ancora più evidenti nei rapporti con la Cina, il più grande dei BRICS. In primo luogo, la principale sede istituzionale, il Summit UE-Cina, è tenuto su base annuale, una cadenza probabilmente non sufficiente, se consideriamo che l’UE è il più grande partner commerciale cinese, con un traffico giornaliero di oltre un miliardo di Euro, come ricordato da Barroso in occasione dell’ultimo Summit (il 14 febbraio 2012). Mentre il numero di Summit annuali potrebbe essere raddoppiato, l’esistenza di tre ‘leaders’ europei, il presidente della Commissione, quello del Consiglio, van Rompuy e quello dell’Eurogruppo, Juncker, sembra generare ulteriori confusioni, incertezze sui rispettivi ruoli e lentezze decisionali. In effetti, le iniziative dei singoli Stati, soprattutto la Germania, sono molto più efficaci, a detrimento di un approccio europeo unitario. La disputa sull’estrazione delle ‘terre rare’, su cui l’UE ha recentemente sfidato la Cina (13 marzo 2012), è un segno di debolezza piuttosto che di determinazione. Una sola impresa del settore, Rhodia (Francia), è acquartierata nell’UE, mentre rilevanti porzioni dell’industria europea (per esempio, la produzione
di automobili tedesca) dipendono dalle importazioni di quei minerali. Nonostante i suoi interessi e la sua forza nel commercio internazionale, l’UE non ha assunto una posizione comune neppure in quest’area, con marcate differenze fra paesi più ‘protezionisti’ (l’Italia o occasionalmente la Francia) e più paesi ‘aperti’ (come il Regno Unito). La mancanza di una posizione comune in politica estera è poi nociva non solo all’ Europa, ma anche alla Cina. Come può l’Euro essere valuta di riserva stabile e sicura in assenza di una politica economica europea e di un governo europeo? Ancora, chi è autorizzato a ‘rappresentarla’? Il Signor Juncker è uno dei pochi leaders mondiali senza un budget,
dal momento che una politica fiscale europea non esiste. La mancanza di una singola politica estera ha altri effetti negativi sia sui rapporti UE-Cina sia sulle questioni piu’ generali di global governance.

Come si e’ visto, le relazioni internazionali in zone strategiche quali il Medio Oriente o l’Africa sono ancora dominio delle vecchie potenze coloniali, il cui approccio miope e spesso predatorio si e’ rivelato di ostacolo sia allo sviluppo locale che alla stabilità internazionale. L’ex presidente del Senegal Abdoulaye Wade ha fortemente criticato l’approccio ‘lento e a volte paternalistico’ degli investitori europei (gennaio 2008) a confronto con l’attitudine piu’ pragmatica e co-operativa dei cinesi. Inoltre, l’assenza di una vera politica europea ha chiaramente ostacolato ogni lotta efficace contro le forze estremiste e terroriste, che sembrano muoversi lentamente dal Medio Oriente verso l’ Africa del nord e a sud del Sahara. Sia l’UE che la Cina sono interessate ad una riforma della cosiddetta ‘global governance’; in questo senso, la Gran Bretagna e la Francia potrebbero rinunciare al loro seggio permanente nel Consiglio di Sicurezza in favore di un singolo seggio UE; tale scelta riconoscerebbe la necessità di aggiornare l’organizzazione politica mondiale, in cui i paesi BRICS e di altre regioni del mondo reclamano ormai un ruolo.

Il 2011 è stato l’anno del dialogo UE-Cina sulla gioventù, mentre il 2012 è quello del ‘dialogo interculturale’. Si tratta di iniziative encomiabili perché ogni cooperazione inizia con lo scambio culturale (inclusa la lingua), la formazione e la partecipazione dei giovani, ossia le generazioni future. Tuttavia, il loro successo potrebbe rimanere limitato, se l’UE non saprà dotarsi di una singola e ben definita politica estera, finalizzata a stabilizzare l’Europa e fornire un contributo più forte ad un ordine internazionale sostenibile.

*Ernesto Gallo e Giovanni Biava sono gli autori del blog Giovine Europa New.  Questo è il loro primo articolo su Yes, political! .

In Mali gli islamisti di Ansar Dine pronti a trattare con ECOWAS

La situazione in Mali si è ulteriormente modificata in una modalità poco prevedibile e che ha visto il gruppo islamico jihadista di Ansar Dine, capeggiato da Iyad Ag Ghali, accettare la mediazione del Burkina Faso ed aprire ad una trattativa sul destino del nord del paese che da Aprile è separato dalla capitale Bamako in seguito alla insurrezione Tuareg del MNLA.

L’ECOWAS, sorta di comunità economica africana, ha raggruppato circa 3000 uomini ai confini, in attesa di un mandato Onu, ma il Consiglio di Sicurezza è poco interessato alla vicenda e soprattutto non intende avallare il piano francese di un attacco contro i rivoltosi, un “intervento abbastanza ravvicinato” per usare i termini impiegati da François Hollande durante la visita del primo ministro maliano, Diarra, avvenuta negli scorsi giorni. L’obiettivo di Parigi è chiaro: attaccare il nord per liberarlo dai gruppi islamici e dai tuareg per “popolarlo” con le sue multinazionali (Total in primis). La Francia è stata in conflitto di interessi sin dal principio poiché si sospetta che dietro il gruppo MNLA ci sia la mano dell’emiro del Qatar, a sua volta grande amico dell’ex presidente francese Sarkozy. Sarkozy avrebbe lasciato fare all’emiro con l’obiettivo di aprire parte del Sahel al mercato francese e farne un territorio di salvaguardia delle terre rare, diventate motivo di contesa con la Cina, a sua volta molto presente nell’area dell’Est Sahara con acquisizione di concessioni di sfruttamento delle terre presso i governi locali (si legga per approfondimento Arturo Gallia IL RUOLO DELLA CINA IN AFRICA TRA INTERESSI ECONOMICO-POLITICI, SFRUTTAMENTO DELLE RISORSE NATURALI E CONFLITTI SOCIALI, Intervento presentato alla Conferenza di Studi Africanistici, 30 settembre – 2 ottobre 2010).

La politica cinese è “in netto contrasto con l’approccio allo sviluppo perseguito dai governi occidentali” (Gallia, cit.) in quanto è una politica senza condizioni, mentre quella occidentale è una politica di insediamento economico che presuppone l’accettazione delle priorità degli Occidentali: se ciò non avviene, essi procedono con i propri mezzi militari alla demolizione dello status quo per l’edificazione di strutture istituzionali presunte “democratiche” ma opportunamente addomesticate sul piano delle relazioni internazionali. Ciò ha indotto gli osservatori a parlare di un Beijing consensus in contrasto proprio con il Washington consensus, fondato sulle priorità imposte da Banca Mondiale, Fondo Monetario Internazionale e investitori occidentali. Il Beijing consensus tende a promuovere l’integrità sovrana degli stati africani laddove il Washington consensus tende a sostituirla.

Quanto sta accadendo in Mali può essere inteso o come un tentativo francese di mettere un freno a questa espansione “incondizionata” cinese (il gruppo MNLA appare così disorganizzato militarmente e poco potente politicamente da far pensare che sia solo una scatola vuota, una sigla costruita altrove) o come un effetto diretto di questa espansione. L’idea di fondo è che la Francia, per mezzo del Qatar, abbia alimentato la rivolta per poi giustificare un suo intervento militare; che Ansar Dine si sia trovata solo per caso nel mezzo degli scontri e che la conquista di Gao da parte degli jihadisti sia stata solo un caso, giustificato dalla estrema debolezza delle forze armate maliane. E che ora, messi in mezzo i gruppi qaedisti di AQMI e Mujao, la situazione sia sfuggita completamente di mano, producendo le condizioni per la creazione di un Afghanistan a due passi dall’Europa.

Crisi del Debito, proteste in Portogallo. Irlanda stampa Euro: è contraffazione?

L’ora del Portogallo è arrivata? Se dovessimo misurare il grado di vicinanza del paese all’orlo del default attraverso la tensione sociale, diremmo che ci siamo. Oggi oltre 300 manifestanti hanno protestato contro le misure d’austerità fin davanti alla residenza del premier portoghese José Socrates a Lisbona. Ci sono stati scontri con la Polizia. Scene già viste altrove (Grecia, Inghilterra, Irlanda, Italia, Francia).

Secondo gli ultimi sondaggi, il 46% dei cittadini portoghesi ritiene di vivere in condizioni peggiori rispetto all’epoca della dittatura, 40 anni fa. Il 60% ritiene che il Paese versi in condizioni peggiori da quando è entrato a far parte dell’Unione Europea (euronews).

Intanto una notizia approda sin su Il Fatto Quotidiano attraverso i media informali (blog e siti internet di informazione finanziaria): la BCE ha permesso all’Irlanda di stampare Euro – sì, cartamoneta; peccato che sia vietato dal Trattato di Maastricht. di fatto, la BCE ha concesso alla Banca Centrale dell’Irlanda un diritto di signoraggio maggiore rispetto a quanto scritto sui trattati. Il fine è finanziare il sistema bancario irlandese, che in realtà punta dritto come un treno verso la bancarotta. “I prestiti vengono registrati dalla Banca centrale irlandese sotto la voce altre attività”, scrive Mike Shedlock di Business Insider. Un vero trucco contabile. Se la cosa divenisse di dominio generale, nessuno si potrà sottrarre agli strali di Angela Merkel, a meno che anche la Bundesbank non faccia la medesima cosa. Poiché se così fosse, i mercati potrebbero improvvisamente scoprire che l’Euro è una moneta falsa e di fatto si aprirebbero le porte per la sua fine. Fonti BCE affermano che le quantità di denaro stampate sono risibili rispetto al prestito ricevuto direttamente dalla banca centrale medesima. Certo è che tornare al “signoraggio libero” è un grosso passo indietro: allora tutti potrebbero stampare moneta e domani avremmo un’inflazione a due cifre.

Debito, che fare? Il ricorso al capitale cinese non fa altro che spostare l’Europa a est. Il pendolo economico torna ad oscillare e così fare la politica: dall’impero americano, l’Europa dovrà orientare la propria bussola verso la Cina di Hu Jintao, ovvero verso un modello politico non democratico, radicalmente diverso inq uanto a protezione dei diritti individuali e sociali. Un paese con un forte grado di spereqauzione della ricchezza e con alcuni macro indicatori economici non invidiabili:

lo sviluppo tumultuoso della Cina, non è indenne da problemi. Prima fra tutti – per un miliardo e trecento milioni di persone – un reddito pro-capite che è all’incirca di 4.200 mila dollari contro i 47 mila dollari dei cittadini Usa. Un’inflazione che galoppa al 5,1% (in verità all’11% per i prodotti alimentari), una crescita del 6,1% dei prezzi immobiliari. A dimostrazione che il mercato della casa è a rischio di una bolla immobiliare come quella balzata alle cronache nel 2008 per l’emisfero occidentale. Tutti problemi che intimoriscono la classe dirigente cinese che vorrebbe una maggiore coesione sociale come è stato scritto in calce nell’XI Piano nazionale economico approvato l’anno passato (Maurizio Galvani, Il Manifesto, 18/01/2011).

 

Euro-Dollaro, partita a scacchi sull’orlo del default. E Tremonti balla con il morto.

L’Euro non è mai stato così in sofferenza sul Dollaro come in questi giorni. E come potrebbe essere possibile? Il Dollaro USA è gravato da un debito che si aggira intrno all’11% del PIL, fatto che sta facendo drizzare i capelli agli americani e al presidente Obama, alle prese con i mugugni del ceto abbiente – che non vuole scangiare un cent in più di tasse – e la lobby della Guerra, che chiede soldi e ne mangia a palate. Secondo alcuni, il dollaro è carta straccia. Non ce la farà a sopravvivere a lungo come moneta di riferimento negli scambi internazionali, in primis nel mercato del petrolio. Tutti cercano di liberarsene:

  • in primis, la recente iniziativa dell’Argentina e del Brasile di volere ridurre il peso del dollaro come moneta di riferimento nelle loro transazioni, sostituendolo con valute locali, promuovendo nel 2008 il “Sistema di Pagamento in Monete Locali (SML)
  • Si prevede che verso la fine del 2010 si moltiplichino per 10 le attuali transazioni intra mercato e bisogna rendere evidente che lo SML si è usato nell’80% dei casi nel 2009 da parte delle piccole e medie imprese del Mercosur
  • L’Alternativa Bolivariana per i Popoli della Nostra America (ALBA: Bolivia, Venezuela, Cuba, Nicaragua, e Repubblica Dominicana. L’Honduras, dopo il colpo di stato, non forma più parte del blocco; l’Ecuador partecipa, ma formalmente non forma parte dello stesso), sta orchestrando misure per staccarsi dalla dipendenza del dollaro come moneta di scambio internazionale e, per raggiungere quest’obiettivo, ha convenuto che per quest’anno le operazioni tra i soci si eseguano con “il SUCRE”: Sistema Unificato di Compensazione Regionale dei Pagamenti, come nuova moneta dell’ALBA – fonte: Il Sudamarica si rende libero dalla tutela del dollaro, di Carlos A. Pereyra Mele, uno dei più importanti geopolitici argentini della nuova generazione. Membro del Centro de Estudios Estratégicos Suramericanos ha recentemente partecipato alla realizzazione del “Diccionario latinoamericano de seguridad y geopolítica“. I suoi lavori sono pubblicati regolarmente in Eurasia. Rivista di Studi Geopolitici, tra i suoi contributi: Difesa nazionale e integrazione regionale (nr. 3/2007, pp. 101-106), La guerra infinita in America (nr. 4/2008, pp. 125-129)

Ma in Europa c’è un problema, e questo problema si chiama Grecia (ma domani potrebbe chiamarsi Spagna, Belgio, o perché no, Italia): a fine Febbraio molta parte del debito della Grecia giunge a scadenza, dovrà essere restituito. Con quali soldi? Chi può oggi acquistare il debito greco senza farsi troppo male? C’è qualcuno che ha in mano “carta che scotta”: questa carta che scotta è – udite, udite – il dollaro; questo qualcuno è niente di meno che la Cina.

    • Tramite la banca americana Goldman Sachs il ministro delle finanze della Grecia sta provando a vendere buoni del tesoro nazionali lì dove la liquidità per tali acquisti di certo non manca: ovvero in Cina. Atene sta infatti cercando di piazzare buoni del tesoro per un valore di oltre 25 bilioni di Euro, per ri-finanziare il proprio debito nazionale.
    • Con i suoi 2.4 trilioni di riserve in dollari americani la Banca centrale Cinese potrebbe essere il maggior acquirente del debito Greco; i bond in Euro sarebbero infatti una occasione ghiotta per  allentare un poco la dipendenza di Beijing dal dollaro americano
    • Onde evitare una bancarotta, bisogna fare in fretta, perché molti dei debiti di Atene sono in scadenza proprio a fine Febbraio. In cambio la Grecia promette una nuova disciplina fiscale e l’introduzione di nuove rigidità di spesa – sociale anzitutto.
    • il dragone cinese sembra scettico: secondo gli ufficiali finanziari di Pechino si tratterebbe infatti di un acquisto troppo rischioso

Bond in euro? Chi ha parlato di bond in euro? Non certo Tremonti. Lui, i bond, ve li ha venduti in dollari. Bella fregatura. E chi poteva immaginarselo che ora la Grecia aiuta la Cina a disfarsi di quella sporca dozzina per cambiarla con degli Euro. Solo un economista poteva saperlo. Solo un economista a capo del Dicastero dell’Economia poteva emettere titoli di debito in dollari rimborsabili in euro. Il risultato? Eccolo, fatevi due conti.

    • Ammettiamo che con tale operazione riesca a raccogliere 1.000 milioni di dollari, da restituire con un interesse ad esempio del 5%, che porta il debito complessivo a 1.050 milioni di dollari. Oggi, al cambio di 1,41 dollari per Euro, si ritroverebbe ad incassare circa 710 milioni di euro. Se il dollaro, in questi cinque anni si dovesse svalutare ad esempio del 50%, passando dagli attuali 1,41 a 2,11, lo stato italiano si ritroverebbe a dover pagare, per i 1.050 milioni di dollari ricevuti cinque anni prima, meno di 500 milioni di Euro

Riassumendo: il dollaro è cartaccia – poiché il debito USA cresce ogni giorno silenzioso come la piena di un fiume; ciò che evita il tracollo è il fatto che le principali transazioni commerciali sono fatte in dollari, quindi ogni paese se ne deve tenere un scorta più o meno grande; si sta cercando di sostituire il dollaro con un’altra moneta, lo yuan cinese o addirittura l’euro – anche l’Arabia Saudita lo vorrebbe e gli USA per tenerseli buoni farebbero la guerra a tutti i nemici dei Sauditi, se lo potessero fare; il debito europeo cerca acquirenti e lo può trovare nei nuovi padroni del mondo, che hanno già distrutto il tessuto della piccola e media industria europea e non sono una democrazia.
Come andrà a finire, allora? Che l’impero USA finirà in un default stile Argentina, e la Cina si comprerà l’Europa. Pazzesco. E c’era chi diceva che la teoria marxista della implosione del sistema capitalistico era falsa. Tzé.

Join the dots. Unisci i puntini. Dell’Utri e lo stalliere. Una storia, una banca.

Il processo Dell’Utri si sta consumando alla Corte d’Appello di Palermo, dove procede celermente alle battute finali. Anche il Giudice ha fretta: lo aspetta una bella promozione al Tribunale di Caltanissetta. Ovviamente il processo non farà luce sulle relazioni fra il caso Mangano, i rapporti Dell’Utri, Cinà e Bontade; nemmeno fra questi e il ruolo di Banca Rasini e dei Berlusconi, padre e figlio. Un intreccio troppo oscuro, che in realtà condurrebbe sino alle società off-shore di Mr b, al capitale di dubbia provenienza con il quale aprì tutta la sua attività imprenditoriale nell’editoria e nell’edilizia, e che invece viene disvelato solo in parte, solo in relazione ai rapporti intercorsi con il Mangano, quando invece c’è stata "tutta una banca intorno" a far da collante fra questi biechi personaggi.

  • L’arrivo di Mangano a Villa San Martino era avvenuto in un clima pesante per gli imprenditori milanesi. Lo stesso Silvio Berlusconi, oltre ai progetti di rapimento del padre Luigi e alle minacce di sequestro del figlio Pier Silvio, aveva subito anche un attentato: una bomba contro la sede delle sue società, l’ex villa Borletti di via Rovani a Milano. I pericoli però spariscono con l’arrivo di Mangano.
    • Francesco Di Carlo, capo della potente famiglia di Altofonte, poi espulso da Cosa Nostra con l’accusa di aver imbrogliato gli amici fingendo il sequestro di una partita di droga, riparato a Londra, mafioso pentito, racconta di aver conosciuto Dell’Utri perché “Cinà me lo presentò in un bar di via Libertà a Palermo, a metà degli anni 70. Qualche mese dopo rividi Dell’Utri a Milano. In un ufficio di via Larga di proprietà di alcuni nostri amici incontrai Cinà, Mimmo Teresi e Stefano Bontade. Quel giorno erano particolarmente eleganti. Io domandai il perché e loro mi risposero che dovevano andare da un grosso industriale milanese amico di Cinà e Dell’Utri, e mi proposero di seguirli”. Secondo il racconto di Di Carlo, i quattro si recano nella sede dell’Edilnord dove incontrano Berlusconi e Dell’Utri.
    • Parla Bontade: “Dottore, lei da questo momento può smettere di preoccuparsi. Garantisco io…Perché piuttosto non pensa ad investire nella nostra bellissima isola? Da noi c’è tanto da costruire”. E Berlusconi: “Vorrei, vorrei, …Ma sa, già qui al nord ci sono tanti siciliani che
      non mi lasciano tranquillo…”. Bontade: “La capisco, ma adesso è tutto diverso. Lei ha già al
      suo fianco Dell’Utri, io le manderò qualcuno che le eviterà qualsiasi problema con quei siciliani”.
      Berlusconi: “Non so come sdebitarmi, resto a sua disposizione per qualsiasi cosa”.
    • E fu dopo questo incontro che arrivò Vittorio Mangano. Questo secondo il racconto del pentito
      Di Carlo
    • Il fatto è che Mangano non avrebbe fatto solo lo stalliere, come pure l’amministratore, ma anche il furbetto nel suo soggiorno a villa San Martino, organizzando estorsioni, anche ai danni di Berlusconi, e progettando addirittura sequestri ai danni degli ospiti del suo nuovo padrone. Così racconta un altro pentito, Salvatore Cocuzza, successore di Mangano alla guida del clan di Porta Nuova, e suo compagno di cella dal 1983 al 1990.
    • Sempre secondo Cocuzza, Berlusconi si rivolse a Cinà per trattare direttamente con
      Bontade e Teresi e “raggiunse con loro un accordo per il versamento di una tangente di 50
      milioni l’anno. La stessa cifra che veniva prima versata a Mangano”. E così Mangano venne
      liquidato dalla ditta Berlusconi. I motivi dell’allontanamento di Mangano vanno a quadrare con le stesse dichiarazioni di Berlusconi e Dell’Utri, che lo motivarono con i tentativi di sequestro. Anzi, ci fu persino una bombetta, un “rozzo ordigno, poca roba”, vicino al cancello della sua villa, e in una telefonata con Dell’Utri, il cui telefono era sotto controllo dell’antimafia, Berlusconi aveva attribuito “l’avvertimento” allo stesso Mangano, ridendoci sguaiatamente sopra con l’amico Marcello, dicendo che “un altro avrebbe mandato una raccomandata, lui una bomba…è perché non sa scrivere”.
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    • "Vittorio Mangano fu assunto nella tenuta di Arcore di Silvio Berlusconi per coltivare interessi diversi da quelli per i quali fu ufficialmente chiamato da Palermo fino in Brianza".
    • lla requisitoria del processo di secondo grado in cui il senatore Marcello dell’Utri (Pdl) è imputato di concorso esterno in associazione mafiosa
    • Il parlamentare è stato condannato in primo grado a nove anni di carcere
    • Vittorio Mangano, morto alcuni anni fa, condannato nell’ambito di un processo di mafia. L’uomo per alcuni anni aveva svolto il ruolo di stalliere ad Arcore
    • Una scelta, secondo il magistrato, non legata a interessi agricoli, ma alla necessità, che all’epoca avevano tanti imprenditori, tra i quali lo stesso Berlusconi, di "proteggersi" dal pericolo di sequestri
    • Era stato lo stesso Dell’Utri a farlo assumere
    • "Ma davvero – si chiede il Pg – non fu possibile trovare in Brianza persone capaci di sovrintendere alla tenuta di Arcore? Davvero dall’estremo nord ci si dovette spostare a Palermo per trovare una persona che non conosceva la zona e le coltivazioni brianzole?"
    • non solo Mangano di cavalli e di coltivazioni non sapeva nulla: ma se guardiamo i suoi numerosissimi precedenti penali, gli interessi che coltivava erano di tutt’altra natura rispetto a quelli agricoli
    • "Nelle dichiarazioni spontanee rese il 29 novembre del 2004 – dice il Pg – fu Dell’Utri a dire che in realtà Mangano si interessava di cani e non di cavalli. Non si vede quale sarebbe stato dunque il suo contributo alla cura di animali che Berlusconi voleva allevare nella tenuta appena acquistata"
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    • “Nei processi non patteggiate mai, non parlate mai e fate passare più tempo possibile: magari intanto muore il pm, o il giudice, o un testimone…”. Così dieci anni fa Marcello Dell’Utri erudiva i colleghi imputati e i discepoli in un circolo delle Marche
    • Tirare in lungo, a dispetto dei programmi e proclami del Pdl per una giustizia più rapida, gli è convenuto parecchio. Il processo di Milano che lo vedeva imputato per estorsione insieme al boss Vincenzo Virga s’è chiuso dopo due condanne, un annullamento in Cassazione e una nuova sentenza d’appello che ha riformulato l’accusa in “minaccia grave”, ormai caduta in prescrizione.
    • L’appello a Palermo per concorso esterno in mafia ha appena imboccato una fulminea dirittura d’arrivo, con l’incredibile rifiuto della Corte di ammettere le nuove prove emerse dal fronte Ciancimino (compresa le lettere che Provenzano avrebbe scritto a Berlusconi per fargliele recapitare da Dell’Utri): il presidente Guido Dell’Acqua ha una gran fretta di raggiungere il Tribunale di Caltanissetta, dov’è stato promosso.
    • a furia di “far passare più tempo possibile”, rischia addirittura di evaporare in zona Cesarini l’appello del “Dell’Utri-bis”, in corso a Palermo per un presunto complotto di falsi pentiti che l’onorevole imputato avrebbe imbeccato per calunniare i veri pentiti che accusano lui
    • In primo grado Dell’Utri era stato generosamente assolto. In appello però s’è imbattuto in un presidente inflessibile: Salvatore Scaduti, giudice conservatore di Magistratura Indipendente, celebre per aver ribaltato in appello le assoluzioni di Andreotti (prescrizione per il reato commesso fino al 1980) e Contrada (condanna a 9 anni). Sentenze inossidabili, poi confermate in Cassazione. Ora anche Dell’Utri rischia grosso. Ma, proprio in extremis, Scaduti è stato nominato consulente della commissione Antimafia. Se il Csm desse l’ok alla sua nomina, collocandolo subito fuori ruolo, il processo ripartirebbe da zero e riposerebbe in pace grazie alla solita prescrizione.
    • c’è un dettaglio: a proporre Scaduti all’Antimafia è stato il Pdl. Cioè il partito di Dell’Utri e di alcuni suoi avvocati.
    • Scaduti, per la sua carriera, merita questa e altre promozioni. Ma, per un’esigenza di giustizia e per risparmiargli inutili malignità, il Csm dovrebbe autorizzarla a condizione che, prima, il giudice concluda il suo lavoro.
    • si consacrerebbe una singolare versione dell’antico “promoveatur ut amoveatur”: l’imputato fa promuovere il suo giudice per far saltare il suo processo.

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