Amministrative 2012: Alessandria, un comune diviso fra bilanci in rosso e ‘ndrine

Le amministrative 2012 saranno forse ricordate per il caos partitico: sia a sinistra che a destra la dipartita di Berlusconi ha innescato fenomeni centripeti tali per cui ci sono comuni che vedranno al primo turno una lista di candidati sindaco lunghissima. Un fatto che non si ricordava da tempo. Il vaso di Pandora della politica si è rotto e da esso fluiscono come veleni personaggi fra i più disparati e impresentabili. Prendete per esempio il comune di Alessandria, 95000 abitanti. Il sindaco Piercarlo Fabbio è del PdL e vinse le elezioni nel lontano 2007 contro l’odiato sindaco di sinistra, Mara Scagni. Fabbio era alla testa di una coalizione partitica che fotocopiava l’assetto del centrodestra nazionale: duopolio PdL-Lega con alleanza a destra (‘La destra’ – ex scissionisti di An). Oggi Fabbio si ripresenta alle urne senza più un simbolo di partito, sostituito da un cuoricino (sì, sui manifesti elettorali, condito di gergo giovanilistico del genere “I love AL”), ma soprattutto perde l’appoggio leghista e in ultima istanza anche la faccia.

1. Il bilancio comunale in rosso, l’inchiesta per truffa e il pressing della Corte dei Conti.

Parliamoci chiaro, il comune di Alessandria è stato ad un passo dal commissariamento. Fabbio si è salvato solo grazie all’inerzia leghista. Il partito di Bossi non ha ‘staccato la spina’ ma avrebbe potuto farlo e consegnare il sindaco al giudizio della Corte dei Conti. I bilanci comunale del 2010 e del 2011 presentano delle criticità. A novembre 2011 la situazione era talmente grave che era in dubbio anche il rispetto del patto di stabilità. I punti decisamente irregolari richiamati dall’organo di controllo, aspetti che ‘denotano una situazione di criticità’, erano almeno diciassette. Tra le misure richieste, la riapprovazione del rendiconto relativo all’esercizio 2010 e la modifica del bilancio di previsione 2011. Nel mirino della Corte sono finite anche le aziende partecipate per la presenza di ‘dubbi sulla effettiva contabilizzazione integrale dei debiti’, come emerge dalle scritture contabili, superiori a 42 milioni al 31 dicembre 2010. A dicembre 2011 la situazione si aggrava poiché la Corte giunge ad ipotizzare il ‘dolo’ e la ‘colpa grave’ nei confronti di sindaco, assessore al Bilancio, ragioniere capo, altri assessori e consiglieri comunali.

Luciano Vandone, l’artefice dell’intera operazione, una sorta di ‘deus ex machina’. Per la Procura Vandone avrebbe agito con dolo. Da lui sarebbero partite disposizioni agli uffici con l’intento di alterare, attraverso ripetute gravi violazioni, norme e principi contabili del Tuel e le risultanze contabili di amministrazione del Rendiconto per l’esercizio 2010. Il fine era quello di assicurare apparentemente il rispetto degli obiettivi fissati dal patto di Stabilità Interno. Un atteggiamento analogo sarebbe stato messo in atto anche in occasione della compilazione dei rendiconti consuntivi per gli esercizi 2008 e 2009 (Radio Gold).

2. Il ‘caso Ravazzano’.

Ciò che più sconcerta è la vicenda del ragioniere capo del comune, nominato dall’assessore Vandone, Carlo Alberto Ravazzano. Ravazzano, secondo la Corte dei Conti, sarebbe stato nominato ad arte da Vandone: “con il suo contributo [Ravazzano] a titolo doloso avrebbe prestato il proprio avallo all’intera operazione di alterazione dei risultati di gestione 2010. Una sorta di braccio operativo dell’assessore Vandone. Il suo intervento avrebbe garantito il rispetto degli obiettivi del Patto di Stabilità Interno per il 2010, sulla base di dati di bilancio falsi” (Radio Gold, cit.). Attenzione perché il sindaco Fabbio in tutto questo cattivo affare non è immune da accuse. Anzi, la Corte dei Conti non si è limitata a definire gli aspetti irregolari del bilancio ma ha individuato nella catena di comando l’intenzione deliberata di creare dei falsi. E il sindaco sarebbe stato la regia di tutta l’operazione. Responsabilità minori sono state ravvisate nei confronti dei membri della giunta, nonché dei consiglieri comunali, i quali avrebbero avallato i bilanci previsionali e i rendiconti finali senza il necessario controllo.

Non serve spiegare che successivamente la Corte dei Conti abbia bocciato anche gli interventi correttivi sui bilanci come sono stati decisi dalla giunta nei mesi di Gennaio e Febbraio 2012. I ‘residui passivi’ relativi al 2010 ammontano a quasi 7 milioni di euro, che fanno sprofondare il bilancio comunale nel 2010 a – 3.019.115,26. La risposta ultima del sindaco e della giunta è stata quella di affidare la soluzione del caso a degli esperti, la cui consulenza costerà almeno 12000 euro.

Intanto la Procura di Alessandria ha aperto un fascicolo nei confronti dei tre per i reati di di truffa aggravata, ipotesi di falso e abuso d’ufficio. Poco prima di Natale 2011, Ravazzano veniva anche sottoposto a carcerazione preventiva per la possibilità di reiterazione del reato e inquinamento delle prove. La città scopriva in quei giorni di essere governata da una banda di truffatori. Il teatro degli orrori non finisce qui: Ravazzano, una volta revocata la carcerazione preventiva, è stato prontamente reintegrato nell’organico comunale in un’altra funzione con un decreto a firma del sindaco. Un atto politico di ostilità nei confronti degli organi giudiziari ai confini con la sovversione. Ravazzano assumerà l’incarico di Direttore organizzativo di Base dell’Area Servizi alla Città, alla Persona e Sicurezza. Il sindaco Fabbio ha così deciso poiché l’ente in questione avrebbe inderogabili “esigenze gestionali e funzionali dell’Ente relative agli adempimenti per le prossime consultazioni elettorali” (Radio Gold).

3. L’esplosione dei partiti

La conseguenza di questo sfacelo, dei trucchi e del falso in bilancio è stata l’esplosione dei partiti e delle coalizioni. Complice anche l’avvento del governo tecnico a livello nazionale, Alessandria ha esperito, sia a destra che a sinistra, un fenomeno di disgregazione delle classiche coalizioni del periodo del bipolarismo. Da un lato vi è la Lega Nord che andrà al voto con un proprio candidato, fatto che evidentemente si spiega con la speranza di sottrarsi alla debacle collettiva di un centrodestra che ha salvato Fabbio da una giusta defenestrazione. Dall’altro, il centrosinistra si presenta altrettanto diviso: non si aggrega al centro – storicamente il comune di Alessandria ha una vocazione social-democratica, così anche nel PD a prevalere è la componente ex DS – e sembra ritenere impossibile da replicare a livello locale la ‘foto di Vasto’. Il PD ha indetto le primarie di coalizione, ma i candidati erano solo suoi: Rita Rossa, attuale assessore provinciale alla Cultura, e Mauro Buzzi, anch’esso PD però dell’area Prossima Italia (Civati). Rita Rossa, manco a dirlo, ha vinto con l’83% dei voti. E poi non dite che il PD non vince le primarie! Tuue le formazioni partitiche che non hanno accettato di allearsi con il PD hanno avuto buon gioco a bollare la consultazione come una farsa. L’Italia dei Valori ha deciso di andare al voto da sola. L’ex sindaco del PDS, Mara Scagni, si è appena dimessa dal PD e molto probabilmente si presenterà alle urne alla testa di una lista civica. Dulcis in fundo, anche il Movimento 5 Stelle è riuscito a trovare un candidato da proporre come sindaco. In totale, fra PD, IDV, Udc, Api, M5S e quanto’altro, i candidati sindaco – al primo turno – saranno dodici.

4. L’infiltrazione ‘ndranghetista

Come nel resto del Nordovest, anche ad Alessandria l’ndrangheta ha messo radici e coltivato interessi, stabilito relazioni, influenzato decisioni pubbliche. Il velo omertoso che la politica si è guardata bene dal sollevare, è stato squarciato dai magistrati della Procura di Genova con l’operazione Maglio 3. Una recente trasmissione televisiva (Presa Diretta, di Riccardo Iacona) ha raccontato bene la storia dell’ndrangheta ad Alessandria. Poiché se a Genova l’organizzazione teneva la propria base operativa, ad Alessandria era riuscita a scalare la piramide sociale e ad inserire uno dei suoi dritto in consiglio comunale. Si tratta di Giuseppe Caridi, consigliere comunale del Pdl di Alessandria. Il caso ‘Caridi’ scoppia a Novembre 2011 quando l’uomo viene arrestato con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa in seguito all’inchiesta della Procura Antimafia di Torino. Insieme a lui vengono arrestati altri sei alessandrini ritenuti affiliati alla ‘Ndrangheta. Si tratta di Bruno Pronestì di Bosco Marengo, ritenuto il boss, e il genero, Francesco Guerrisi, Domenico Persico di Sale, Romeo Rea di Spinetta e Sergio Romeo di Pozzolo. Caridi era diventato presidente della Commissione Territorio del Comune di Alessandria e da quella posizione poteva influenzare le decisioni relative al piano regolatore e alle concessioni edilizie.

Non c’è bisogno di spiegare che l’arresto del consigliere comunale Caridi, concatenato alla vicenda della truffa sul bilancio comunale e all’arresto del ragioniere capo Ravazzano, fossero ragioni sufficienti per chiedere ad un sindaco di dimettersi o perlomeno di non ricandidarsi. Non è questo il caso di Piercarlo Fabbio. Lui, indomito, si riconsegna alla cittadinanza con l’immagine di un sindaco che tappa i buchi delle strade con l’asfalto e chiude i buchi di bilancio con il falso. Un caso che addirittura sconfina nel pietoso.

Per Alfonso Papa il carcere duro non s’ha da fare

L’opinione delle Libertà, “organo ufficiale del Movimento delle libertà”, pubblica oggi una intervista ad Alfonso Papa sul regime carcerario cosiddetto “duro”, il 41 bis. Ovvero l’oggetto della oscura trattativa fra Stato e Mafia. L’ex magistrato ritiene che il dibattito in corso sia “una disputa cui manca un elemento essenziale, l’onestà intellettuale di chiamare le cose con il proprio nome”. Già perché il 41 bis è una fesseria, una invenzione, un arzigogolato sistema fatto apposta per imbeccare i mafiosi e infamare qualche avversario politico:

Trattasi, di tutta evidenza di un reato impossibile, perché alla mafia o si appartiene o non si appartiene. L’invenzione, che non trova riscontro normativo e non essendo l’Italia un paese di common law si tratta dell’unico caso di norma di uso consuetudinario giurisprudenziale, è stata pensata per trovare un riscontro alle parole di quei pentiti che in molti casi un riscontro o non lo trovano o faticano moltissimo a trovarlo […]Il reato è un mostro giuridico, un reato associativo è in quanto tale alternativo al concorso. Falcone e Borsellino vengono tirati nella polemica perché ovviamente non possono pronunciarsi in merito. La verità è che l’applicazione e l’uso di questo strumento avviene subito dopo la morte dei due magistrati, per iniziativa della pro­cura di Palermo, dando il via a innumerevoli indagini sui rapporti presunti tra mafia e politica grandissima parte delle quali finita nel nulla, come risultato finale processuale (L’opinione delle Libertà, 13/03/12, p. 1).

Papa si spinge così tanto in profondità nell’analisi che suggerisce un’equazione che neanche la mente di @angeaIfa (l’account twitter fake che fa il verso ad Angelino Alfano, quello con la I maiuscola) avrebbe inventato. Per Papa il 41 bis è come Guantanamo. Oibò, qui si paragona un campo di prigionieri di guerra – peraltro fuori delle regole del diritto internazionale – con una disposizione carceraria prevista per reati gravissimi che, anche per i detenuti in attesa di giudizio, viene comunque sottoposta alla valutazione del GIP. E il giornalista di questo giornalaccio che è l’Opinione delle Libertà non si permette neanche un attimo una obiezione al pensiero di Papa? Non c’è bisogno di dirlo. Leggete questa domanda:

D: E questi pentiti, sbaglio o in molti casi iniziano a parlare dopo lunghi periodi di detenzione in regime di 41 bis?

R: Purtroppo non si sbaglia affatto. Il combinato disposto della carcerazione preventiva in 41 bis, che per me andrebbe abolita in quanto trattasi di tortura psicofisica vera e propria e della contestazione di quel reato per me impossibile che è il concorso esterno in associazione mafiosa ha prodotto i tanti processi per mafia che si trascinano per anni con clamore ma che quasi sempre finiscono in un nulla di fatto. Troppi pentiti sono passati dal carcere duro al programma di protezione, come folgorati sulla via di Damasco, io penso che solo noi al mondo, e gli Stati Uniti con Guantanamo, istituito però solo dopo 1’11 settembre 2001, custodiamo le persone con queste modalità.

Per Papa sembra assurdo che la misura dell’isolamento sia “estesa ai detenuti in attesa di giudizio, per la costituzione innocenti, solo perché c’è un’imputazione di criminalità organizzata”. Così insignificante questo reato, non è vero Papa? Così ridicolo? La criminalità organizzata non si sarà mica macchiata di stragi e di omicidi plurimi. E’ solo un’allegra congregazione di amici.

Per Dell’Utri nuovo processo o sezioni unite?

Il sostituto procuratore generale della Cassazione Francesco Iacoviello sta chiedendo l’annullamento con rinvio della sentenza di condanna a sette anni di reclusione per il senatore del Pdl Marcello Dell’Utri, accusato di concorso esterno alla mafia. In alternativa, il pg ha proposto che la vicenda sia trattata dalle sezioni unite penali.

tratto da Il Fatto quotidiano

Sfiducia al ministro Romano: dibattito e voto in diretta streaming dalla Camera – http://bit.ly/onl8ak

Diretta streaming Camera dei Deputati: http://bit.ly/onl8ak

Sentenza Dell’Utri: i passi salienti sul pentito Spatuzza. Nessun diritto alla protezione

La sentenza di appello Dell’Utri ha messo in forte pregiudizio la credibilità del pentito Gaspare Spatuzza, il manovale delle stragi, l’uomo che rubò la cinquecento di Via D’Amelio e la caricò di tritolo, l’uomo che afferma di aver visto in quei frangenti, ovvero mentre imbottiva la vettura che ha ucciso Borsellino di esplosivo, un agente dei servizi segreti, individuato con estrema difficoltà nell’agente Sisde Narracci. Ebbene, i giudici della Corte di Appello di Palermo hanno tracciato uno schema argomentativo che critica l’uso delle dichiarazioni di Spatuzza e ne pone in evidenza due aspetti fondamentali che ne inficiano la veridicità:

  • la limitata se non insussistente consistenza nonché la manifesta genericità;
  • la colpevole tardività.

La genericità delle accuse di Spatuzza:

  1. [Incontro al Bar Doney di Roma con Graviano] fino a quel momento non aveva mai sentito neppure nominare Dell’Utri che pertanto era – e rimase – un perfetto sconosciuto non avendo chiesto alcunchè al suo interlocutore (pag.55: “PM: … All’epoca aveva mai sentito nominare l’odierno imputato Dell’Utri ? Spatuzza: No, no, mai. PM: E non chiese nulla a Graviano Giuseppe, <<ma chi è questo Dell’Utri>> ? Spatuzza: No, questo non lo chiesi”)
  2. anni dopo i fatti riferiti, nel 1999, mentre si trovava detenuto al carcere di Tolmezzo con i fratelli Graviano, aveva avuto modo di commentare con Filippo Graviano i discorsi che in quel periodo circolavano tra i carcerati riguardo ad una possibile dissociazione da cosa nostra […] Nell’occasione Flippo Graviano gli aveva fatto capire che la cosa non
    poteva interessare perché i magistrati non potevano dare nulla mentre “tutto deve arrivare dalla politica”
  3. richiesto di chiarire se egli avesse capito il senso di questa frase e da dove sarebbe dovuto arrivare qualcosa, Gaspare Spatuzza ha riferito che, sulla base delle parole pronunciate da Flippo Graviano, egli aveva subito capito che si riferiva a quanto egli aveva sentito dire nel colloquio del bar Doney ormai quasi 11 anni prima;
  4. frutto solo di una mera deduzione non avendo egli, dopo le poche criptiche parole di Filippo Graviano, rivolto alcuna domanda al suo interlocutore con il quale peraltro ha espressamente escluso di avere parlato, in questa o in altre occasioni, di Berlusconi o Dell’Utri, né soprattutto dell’incontro del bar Doney con il di lui fratello Giuseppe
  5. Spatuzza ha infatti dichiarato che non rivolse alcuna ulteriore domanda al Graviano, né al bar Doney, nè in auto durante il successivo viaggio da Roma a Torvaianica e ritorno, per cercare di comprendere a cosa il capomafia di Brancaccio facesse riferimento e quali fossero soprattutto i fatti che legittimavano una tale “euforica” convinzione.
  6. la pretesa euforia che animava il capomafia di Brancaccio per avere ormai “il paese nelle mani” grazie alla serietà delle persone che ciò avevano voluto e consentito, era destinata a svanire subito se proprio quello stesso Giuseppe Graviano, appena qualche giorno dopo quelle tanto entusiastiche quanto infondate previsioni, è stato arrestato a Milano assieme al fratello Filippo

La tardività delle dichiarazioni ai pm

  • oggettivo ed ingiustificato ritardo con cui i pochi fatti riferiti alla Corte erano stati dallo Spatuzza portati a conoscenza dell’A.G. nel corso delle indagini, ben oltre il termine dei 180 giorni che la legge sui collaboratori impone per riferire le notizie relative ai “fatti di maggiore gravità ed allarme sociale”
  • da quando ha formalmente manifestato l’intenzione di collaborare il 26 giugno 2008 […] Gaspare Spatuzza ha dolosamente taciuto quanto egli ha poi affermato di sapere riguardo all’incontro del bar Doney e soprattuto alla grave confidenza ricevuta da Giuseppe Graviano sul conto dell’odierno imputato e di Silvio Berlusconi
  • ha cercato in vario modo di spiegare l’evidente omissione affermando di non averne parlato volutamente in quanto si era espressamente “riservato” di farlo solo nel momento in cui gli fosse stato accordato il programma di protezione, dunque in palese violazione comunque della legge
  • lo Spatuzza vuol accreditare l’insostenibile tesi secondo cui, parlando di tabelloni pubblicitari e dei Graviano, egli aveva già effettuato un riferimento, non esplicito ma sottinteso, a Marcello Dell’Utri che sarebbe stato agevole rinvenire analizzando i pretesi “indizi” da lui “seminati”

La menzogna

  • già a novembre del 2008 lo Spatuzza aveva fatto il nome di Silvio Berlusconi, rivelandosi dunque falsa l’affermazione fatta alla Corte secondo cui egli prima del giugno 2009 non aveva voluto parlare dei politici […] Il verbale è quello del 9 luglio 2008, siamo ancora a ben … un anno quasi, prima del 16 giugno 2009, quando … pag.14 del verbale riassuntivo, a domanda risponde, parlando dell’episodio dell’incontro di Campofelice di Roccella [con i Graviano], a domada risponde: <<Né nel corso del colloquio a Campofelice di Roccella, né in altre circostanze, Graviano Giuseppe mi ha mai precisato chi o quali fossero i suoi eventuali contatti>>

Conclusioni:

  • Nel caso in esame deve ritenersi provato oltre ogni possibile dubbio che Gaspare Spatuzza ha volontariamente taciuto “notizie e informazioni processualmente utilizzabili su … fatti o situazioni … di particolare gravità” che erano a sua conoscenza attestando invece formalmente il contrario in seno al “verbale illustrativo dei contenuti della collaborazione” da lui sottoscritto, condotta da cui deriva, secondo l’inequivoco contenuto della legge sopra richiamato, il divieto di concessione delle misure di protezione ovvero, se già accordate, la loro revoca

Ma la tardività delle dichiarazioni di Spatuzza può essere presa come fattore di pregiudizio della veridicità delle stesse? Forse Spatuzza ha difettato di precisione. Si è rivelato essere poco informato, anche in virtù del fatto che era più che altro un manovale della mafia, un assassino specializzato in stragi. Tant’è che lui non conosce nemmeno Dell’Utri e deve chiedere a Graviano se quel Berlusconi fosse veramente quello di Canale 5. La vaghezza delle sue rivelazioni è legata alla sua posizione gerarchica in Cosa Nostra: egli sa, ma non conosce. L’episodio del cartello pubblicitario da abbattere, che lui verifica su indicazione di Graviano esser stato realmente abbattuto, lui lo riconduce a Dell’Utri soltanto in quanto il Dell’Utri era ai vertici di Publitalia, ergo interessato di pubblicità. Eppure analisi e retroanalisi giornalistiche avevano costruito ipotesi su quel cartellone pubblicitario che interessava Dell’Utri: si era detto che fosse il cartellone pubblicitario del primo esperimento politico di Dell’Utri medesimo, quel Forza Italia! Sicilia Libera che forse nei progetti doveva essere il referral politico di Provenzano, di chiara impronta regionalista e secessionista, l’alter ego della Lega Nord, e che invece divenne un partito nazionale destinato a governare (con alcune brevi parentesi) il paese per i susseguenti quindici anni.

E qui ritorna l’intervista, ripresa da questo blog, a Calogero Mannino: Mannino, forse per primo, negò che le stragi fossero soltanto opera della mafia – Riina non ne è capace, disse; ipotizzò l’esistenza di un piano militare e di uno politico-finanziario; legò la fase di destabilizzazione del 1992-93 all’esistenza di un vuoto politico “da riempire”. E guarda caso, già nel 1992, come spiegava Ezio Carlo Cartotto – ex manager Fininvest – ai pm Tescaroli, Gozzo e Palma in due deposizioni datate Giugno 1997:

Nel maggio-giugno 1992 sono stato contattato da Marcello Dell’Utri perché lo stesso voleva coinvolgermi in un progetto da lui caldeggiato. In particolare Dell’Utri sosteneva la necessità che, di fronte al crollo degli ordinari referenti politici del gruppo Fininvest, il gruppo stesso “entrasse in politica” per evitare che una affermazione delle sinistre potesse portare prima ad un ostracismo e poi a gravi difficoltà per il gruppo Berlusconi (L’Odore dei Soldi, di Elio Veltri e Marco Travaglio, Origini e misteri delle fortune di Silvio Berlusconi, Editori Riuniti).

Dell’Utri inaugura il progetto nel maggio-giugno 1992. Il “crollo degli ordinari referenti politici del gruppo” per opera dell’inchiesta Mani Pulite era appena avviato. Nessuno allora poteva ipotizzare che la DC e il PSI sarebbero scomparsi. Fino all’aprile 1992, Mario Chiesa era un semplice “mariuolo” (definizione che fu di Craxi); Falcone sarebbe saltato in aria a Maggio, durante il voto per il Presidente della Repubblica (una congiura della mafia/massoneria contro Andreotti?); Borsellino venne ucciso a Luglio. Mentre accadeva questo, Dell’Utri operava per creare un contenitore politico a beneficio degli interessi di Fininvest, contro l’ascesa delle Sinistre, ritenute un pericolo per l’azienda. A settembre 1992 si tenne la convention dei manager Fininvest a Montecarlo, nel corso della quale Berlusconi fece il suo primo discorso politico: “I nostri amici che ci aiutavano, contano sempre di meno; i nostri nemici contano sempre di più; dobbiamo prepararci a qualsiasi evenienza per combatterli” (rivelando una indiscussa propensione per le categorie amico-nemico, ritenute dalla politologia contemporanea come il fondamento della guerra, del conflitto e della divisione, più che della politica). Poi le stragi del ’93, la guerra del Sisde che voleva decapitare lo Stato, la preparazione di nuove elezioni e il vox populi sul nuovo partito-azienda di Berlusconi. Tutto in una precisa scansione temporale che per ora è possibile solo definire come “coincidenza”.

In ultima istanza, resta estremamente critica l’interpretazione data dalla Corte d’Appello di Palermo circa la delusione dei mafiosi per le aspettative riversate nel partito Forza Italia, in virtù delle posizioni garantiste manifestate in campagna elettorale, andate invece deluse:

Deve tuttavia registrarsi, all’esito dell’esame delle dichiarazioni di Maurizio Di Gati, che comunque anche da tale collaboratore proviene la conferma del fatto che in cosa nostra, pur dopo l’impegno sostenuto a favore di Forza Italia nel 1994 (senza che il collaborante sia a conoscenza di pretese garanzie ed impegni dati in cambio del sostegno elettorale: pag.21 esame), erano diffusi alla fine degli anni ’90 i malumori degli uomini d’onore che, a fronte di sperati ed attesi interventi legislativi di favore da parte del governo di “centro-destra”, si ritrovavano invece a subire una legislazione sempre più sfavorevole come nel caso della trasformazione in legge del regime detentivo del 41 bis (pag.13 esame: “La lamentela nostra è stata, come abbiamo votato tutti per fare salire il Centro-Destra, e adesso ci stanno mettendo il 41 bis? Ce lo stanno confermando come legge ? La promessa era che il 41 bis veniva, anche se veniva confermato come legge, veniva più agevolato nel senso del regime carcerario”).
Emerge dunque con evidenza che si cominciò a diffondere tra gli appartenenti all’associazione mafiosa una crescente delusione perché le aspettative di una legislazione che si riteneva sarebbe stata più favorevole da parte di un governo di “centro-destra”, fondate o meno che fossero su pretesi ma in realtà non provati impegni specifici assunti da esponenti politici e soprattutto, per quel che qui interessa, dall’imputato Marcello Dell’Utri, risultavano del tutto smentite dalla constatazione oggettiva di un progressivo inasprimento dell’azione di contrasto alla mafia che lo Stato e le sue articolazioni istituzionali, al di là delle contingenti e mutevoli maggioranze di governo, hanno voluto e saputo complessivamente e costantemente realizzare (Sentenza d’Appello Processo Del’Utri, p. 516).

La domanda è la seguente: può un Tribunale, una Corte d’Appello dare una valutazione della politica in fatto di antimafia di un governo? la constatazione oggettiva è tale poiché proviene dall’interno di Cosa Nostra? Ma non è una mera deduzione, questa?

Per la Corte d’Appello, Dell’Utri tramite fra la Mafia e Berlusconi

Quella che segue è la notizia battuta dall’ANSA qualche minuto fa relativa alle motivazioni della Sentenza della Corte d’Appello di Palermo su Marcello Dell’Utri, condannato a sette anni per concorso esterno in associazione mafiosa:

Il senatore Marcello Dell’Utri (Pdl) avrebbe svolto una attivita’ di ”mediazione” e si sarebbe posto quindi come ”specifico canale di collegamento” tra Cosa nostra e Silvio Berlusconi. Lo scrivono i giudici della Corte d’Appello di Palermo nelle motivazioni, depositate oggi e in possesso dell’ANSA, della sentenza con la quale Dell’Utri e’ stato condannato il 29 giugno scorso a 7 anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa. Per i giudici, Dell’Utri ”ha apportato un consapevole contributo al consolidamento e al rafforzamento del sodalizio mafioso” (ANSA.it).

E ora Fini potrà ancora chiedere a Berlusconi senso di responsabilità per la fase della crisi di governo che verrà presumibilmente dopo il 14 dicembre? Può Berlusconi, con un macigno simile, continuare a fare il Presidente del Consiglio? Possono i deputati radicali, eletti nelle liste del PD, compiere la trasmigrazione degli scranni e votare con il PdL la fiducia a Berlusconi come ha ventilato Marco Pannella oggi:

Premier a caccia di nove deputati Pannella tratta: da noi sei voti

Il Sole 24 Ore – ‎17/nov/2010‎

Forse si tratta di una provocazione. Certamente ogni deputato ha un prezzo e pare che questi non abbiano alcun ribrezzo a trovarsi dal giorno alla notte a votare per un signore connesso alla mafia per tramite del suo socio in affari. Pensate all’onorevole per fortuna, al secolo Maurizio Grassano: diventato deputato dopo l’elezione a governatore del Piemonte di Roberto Cota, l’ex leghista, ex presidente del consiglio comunale di Alessandria, inquisito per truffa al suo stesso comune, oggi ha manifestato l’intenzione di votare per B. Grassano è stato arruolato. Leggete la sua storia. Pare essere pienamente in sintonia con il governo che andrà a sostenere:

Renzi e Civati: ribelli, sfasciacarrozze e maleducati rottamatori. La platea romana del PD fischia mentre scoppia il caso Lombardo

Poco importa se alla Stazione Leopolda si siano incontrate le idee prima che le persone. Poco importa se si è parlato di politica. Poco importa alla dirigenza del PD, e forse a tutto il PD raccolto a Roma all’Assemblea Nazionale dei Circoli, se le idee e il alvoro portato avanti da Civati e dal gruppo di Andiamo Oltre si sua condensato in quattro volumi che qui riporto:

Probabilmente queste opere passeranno diritte negli archivi della Segreteria. Pare che Bersani sia in cerca solo di tregue e di alleanze, come in una sorta di enorme Monopoli Politico in cui contano i posizionamenti e tattiche, e la realtà “ci fa un baffo”, per parafrasare il segretario.

Così, oggi, mentre a Firenze si ascoltavano le buone esperienze delle tante ottime amministrazioni locali guidate dal PD, a Roma, all’Assemblea Nazionale dei Circoli si fischiavano Renzi e Civati, come in una orwelliana “giornata dell’odio”. Indicati come “i rottamatori”, definizione riduttiva ma giornalisticamente efficace che però lo stesso Renzi ha contribuito a creare suo malgrado, nei media l’evento di Firenze passa soltanto sotto l’egida dell’attacco al Segretario. Sfasciacarrozze, ribelli e maleducati: Renzi e Civati sono messi all’indice dei democratici blasfemi. Insomma, guai se si critica il Capitano della Nave (che però affonda da quindici anni). E’ l’eterno dilemma della (centro?)-sinistra italiana, il contorcersi fra eterodossia e ortodossia. Ma la politica, se la si vuol fare, è altra cosa. Lo hanno detto, a Firenze. A Roma, invece, ci si guardava in cagnesco. Con la “bolla Lombardo” – il governatore della Sicilia, ribaltonista insieme al PD insulare (appoggio esterno della Finocchiaro?) e ora sotto indagine per concorso esterno in associazione mafiosa – pronta ad esplodere in ogni istante. Ignazio Marino “chiede la convocazione della direzione nazionale, ma il segretario regionale Giuseppe Lupo getta acqua sul fuoco: “Finora nessun reato è stato contestato a Lombardo” (La Repubblica.it).

“Il partito ha sempre promosso la cultura della legalità  –  dice il chirurgo trapiantista, oggi senatore – distinguendosi nettamente dalla politica opaca del centrodestra. Alcuni nostri esponenti sono stati o sono in prima linea nella lotta alla criminalità organizzata come Maria Grazia Laganà Fortugno o Angelo Vassallo, ucciso nel Cilento pochi mesi fa. Ho scritto una lettera a Bersani chiedendogli di convocare la direzione nazionale del partito per affrontare il problema” (Ignazio Marino, La Repubblica.it, cit.).

Rosy Bindi si dice pronta ad autosospendersi se non avvenissero “gesti eclatanti”. Oggi, dal palco dell’Assemblea Nazionale dei Circoli nessuna parola del segretario sulla vicenda, mentre monta la protesta:

L’appello di Bianco ai vertici del Pd: “Fuori il partito dal governo regionale. Live Sicilia – ‎3 ore fa‎

Sicilia: Fava (Sel), Bersani stacchi spina a governo Lombardo Libero-News.it – 2 giorni fa

Pd sempre più diviso su Lombardo, diktat di Bianco‎ – BlogSicilia.it (Blog)

Se vi pare poco…

Il Tg1 l’ha fatto di nuovo. Dell’Utri? Assolto!

Ecco come comincia il servizio del Tg1 che narra della sentenza di secondo grado al processo Dell’Utri: “Assolto”. Con un ottimo taglia e cuci, viene imbastito un filmato ad hoc, in cui spicca la domanda della giornalista al Pg Antonino Gatto sulla teoria della trattativa Stato-Mafia: “Crolla tutto”, dice lei, mentre il procuratore generale la invita a aspettare le motivazioni della sentenza. Nemmeno mezza parola spesa su questa benedetta teoria della trattativa? Spatuzza, per il Tg1, è stato smentito. E che ne resta dell’accusa principale, per la quale Dell’utri era già stato condannato in primo grado a nove anni? Pena ridotta. Certo, è vero, la pena è stata ridotta, ma Dell’Utri, per i reati contestategli fino al ’92 è ritenuto colpevole dalla Corte d’Appello. Tutto questo è taciuto.

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Dell’Utri si difende in tv. “Spatuzza non sa nulla!”. E cosa dovrebbe sapere?

Secondo Dell’Utri, intervenuto oggi alla trasmissione di Lucia Annunziata “In 1/2 h”, il pentito Gaspare Spatuzza, da quel che si evince leggendo i verbali, “non dice nulla e non sa nulla”. La frase di per sé è comprensibile, ma a sua volta può generare una domanda: e cosa dovrebbe sapere Spatuzza che invece a giudizio di Dell’Utri non sa?
Spatuzza è pur sempre colui che rubò la cinquecento che esplose in Via D’amelio. Forse Dell’Utri non sa, non ricorda. Spatuzza lo sa, lo ha raccontato ai giudici e ne ha dato riscontro, tanto che con molta probabilità verranno rifatti i processi per le stragi di Via D’Amelio e forse di Capaci.
Spatuzza parla solo ora, ha aspettato quindici anni, è segno di una macchinazione dei giudici che lo governano a piacimento. Spatuzza avrà parlato solo di recente, ma esistono altri pentiti più o meno tali che chiamano in causa il duo Berlusconi-Dell’Utri (ad esempio Antonio Giuffré) e pure Giovanni Brusca ha fatto i loro nomi.
Spatuzza, secondo Dell’Utri, fa parte di un più ampio progetto architettato dai giudici per conto della Sinistra e dei poteri occulti. Bé, un massone epurato dai massoni? E poi quale Sinistra? Quella del centro-snistra con il trattino, quella radicale, quella movimentista, quella giustizialista, quella socialista, quella verde o quella antiproibizionista? Se Dell’Utri accusa la sinistra almeno specifichi di quale settore si tratta. Risulterebbe più credibile.

    • Si dovrebbe modificare la legge sui pentiti (…) I pentiti vanno regolamentati: sono utili, sono una cosa giusta, ma vanno regolamentati (…). Com’è ammissibile che dopo 15 anni uno si alza e dice: ‘Dell’Utri, Berlusconi…’, perché quelle cose non le ha dette prima”? ha detto oggi il senatore Pdl intervistato nella trasmissione “In mezzo’ora” su RaiTre, parlando anche di “collegamenti precisi” tra pm di diverse procure che indagano su di lui.

       

    • ”Dai verbali si capisce che non dice nulla, non sa nulla” e ”può inventarsi qualsiasi cosa”.

       

    • Il senatore del Pdl si dice ”angosciato per queste accuse assurde” ma quest’ultime, insiste, sono ”assolute falsità”

       

    • la ”coscienza è tranquilla” perché ”non mi aspetto nulla da nessuna procura. Mi aspetto solo che si acclari la verità su queste falsità”.

       

    • ”Si cercano pentiti che grazie a delle provvidenze possano parlare e poi si fa la convergenza del molteplice: una cosa assurda, fuori dal mondo”. Qui ”non si cerca il reato, si cerca di fare dei delinquenti’

       

    • ”Le sciocchezze vengono ben confezionate, ben montate e finché durano fanno danno. Per fortuna c’è la gran parte del paese che non ci crede…”

       

    • Ma come mai Silvio Berlusconi non decide di farsi processare come ha fatto Giulio Andreotti e come sta facendo lo stesso Dell’Utri? ”La giustizia – risponde il senatore a Lucia Annunziata – è un bene supremo, l’ingiustizia no”

       

    • ”Il premier è un carattere diverso, lui prova sgomento, lo indigna… Non ha mai avuto niente a che fare con queste cose. Ritiene le accuse un’ingiustizia, Berlusconi è una persona diversa da me’

       

    • ‘Non deve dimettersi per niente, la presunzione di innocenza vale fino al termine dei gradi di processo”. ”Giustifico il comportamento di Berlusconi perché lo conosco troppo bene”, insiste Dell’Utri che nel corso dell’intervista ha pure modo di ribadire: “Mangano è stato un eroe e lo ripeto”

       

    • c’è un’azione organizzata contro Silvio Berlusconi. ”I giudici sono l’elemento catalizzatore di tutto, ma c’è una parte politica, la sinistra, i poteri occulti che non vedono Berlusconi di buon occhio, hanno tentato in tutti i modi di far desistere Berlusconi dal fare politica, e l’arma più forte è quella giudiziaria”

       

    • ”cercano di puntare al patrimonio del premier”, ma ”non ci riusciranno perché anche i più grandi teoremi cadono di fronte alle cose che non esistono”. E’ ”offensivo” poi leggere le cose di questi giorni su un’azienda come Mediaset

       

    • Nemmeno a parlarne di ‘complotto’ dalla maggioranza. C’è una ”dialettica dall’interno” del Pdl, dice il senatore. ”Ho sentito le posizioni del presidente Fini di recente, ma la sua è una normale dialettica

       

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Proc. n°11531/09-2, procura antimafia di Firenze. La fibrillazione continua.

La giornata si è aperta con un articolo di Libero, che titola "Silvio indagato per mafia a Firenze". Poi un articolo di Giuseppe d’Avanzo su La Repubblica che si conclude con domande inquietanti: che cosa c’è di più inconfessabile che esser stato colluso con il potere mafioso? Perché Berlusconi non si rassegna a prendere in esame il caso di dimettersi e difendersi da queste accuse in Tribunale? Perché invece si ardimenta a escogitare soluzioni legislative ai limiti della sovversione costituzionale per garantirsi l’immunità? In questo modo rischia di trascinare il paese definitivamente nel fango. Rischia di sospendere la democrazia e lo stato di diritto per sottrarsi al giogo mafioso e alla verità.
La Procura di Firenze ha poi smentito di aver iscritto nel registro degli indagati il (finto) premier e Marcello Dell’Utri. Libero già prevedeva la risposta: secondo l’autore dell’articolo, si tratterebbe di una iscrizione virtuale, ovvero fatta impiegando nomi fittizi in sostituzione di quelli reali. Lo scopo è quello di non far divulgare la notizia anzitempo. Il fasciolo n° 11531/09-2 fu aperto nel 1998, contenente indagati senza nome ma con pseudonimo, che allora erano Autoreuno e Autoredue. Il fascicolo fu poi archiviato. L’ipotesi di reato a carico degli indagati era "concorso in strage", un reato gravissimo.
D’Avanzo sostiene sia molto difficile giungere a una effettiva formulazione di capi d’accusa con relativo carico probatorio. Non bastano le dichiarazioni, seppur coerenti e congiunte dei pentiti. Ad esse devono essere affiancati riscontri concreti, validi, dimostrabili della collateralità di Berlusconi e Dell’Utri ai fratelli Graviano.  Senza di questo, prepariamoci all’affondo finale del potere politico contro la magistratura.

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    • Il numero è quello del procedimento penale 11531/09-2 della procura antimafia di Firenze. La data è il 4 dicembre 2009

    • Nell’aula bunker di Torino la Corte d’Appello di Palermo in trasferta ascolterà il boss pentito Gaspare Spatuzza, prima linea operativa di Cosa Nostra fino all’arresto nel 1997, reggente del mandamento di Brancaccio tra il 1995 e il 1997, killer di don Puglisi, autore delle stragi che Cosa Nostra ha voluto firmare in continente nel 1993, da Roma a Milano passando per Firenze

    • Per evidenti motivi di sicurezza è stato deciso che Spatuzza è preferibile muoverlo su Torino anzichè su Palermo. Il pg Antonino Gatto, pubblica accusa nel processo d’Appello in cui Dell’Utri è accusato di concorso esterno in associazione mafiosa (9 anni la condanna in I°), il 23 novembre ha chiesto e ottenuto di riaprire il dibattimento – già arrivato alle arringhe – per poter interrogare Spatuzza.

    • E ascoltare dalla sua voce quello che il boss da quattordici mesi sta raccontando al procuratore Antimafia Piero Grasso, al procuratore di Firenze Pino Quattrocchi e ai sostituti Nicolosi e Crini. Centinaia di pagine di verbale che stanno riscrivendo la storia delle stragi (deve essere in parte rifatto il processo per via D’Amelio) e degli intrecci tra Cosa Nostra e politica

    • Tra luglio e ottobre Giuseppe e Filippo Graviano, messi a confronto con Spatuzza, non lo hanno confermato. Ma hanno accettato il confronto. Nel codice di Cosa Nostra vale moltissimo. Le conferme alle dichiarazioni di Spatuzza sono arrivate da altri pentiti doc come Romeo e Grigoli. Ora l’attesa è massima per quello che U tignusù dirà nell’aula bunker di Torino

    • quello che toglie il sonno è quel fascicolo n°11531/09-2 della procura fiorentina che prevede un registro degli indagati. Fu aperto anche nel 1998. Erano iscritti “ Autore Uno” e “Autore Due”. L’ipotesi era concorso in strage.

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    • Il premier Berlusconi e Marcello Dell’Utri non sono indagati nell’inchiesta riaperta a Firenze sulle stragi di mafia del ’93. Lo ha detto il procuratore capo di Firenze Giuseppe Quattrocchi rispondendo ai giornalisti che gli chiedevano un commento al titolo del quotidiano ‘Libero’. ”Non ci sono iscrizioni di questo tipo” ha risposto Quattrocchi.

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    • Nell’inchiesta per mafia, il senatore Marcello Dell’Utri e il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi sono indagati dalla procura di Firenze. L’accelerazione è avvenuta a metà ottobre. Esattamente tra il 13 e il 22 quando i magistrati modificano il fascicolo che contiene gli atti dell’inchiesta.

    • Il procedimento passa da un’indagine contro ignoti a un procedimento con degli indagati. Un salto testimoniato dall’incalzare dei fatti.

    • Il 13 ottobre arriva in procura una corposa relazione della Dia di Roma che indica  riscontri fotografici a dei dettagli ricordati dal pentito Gaspare Spatuzza che per gli inquirenti dovrebbero suggellare l’incontro con Giuseppe Graviano al bar Doney a Roma nel gennaio 1994

    • Le risultanze investigative spingono i magistrati a iscrivere nel registro degli indagati i due nomi. Sicuramente oggi i pubblici ministeri smentiranno la notizia. Potranno farlo in qualche modo perché per proteggere la scelta investigativa si è seguito un accorgimento tecnico previsto dal Codice in casi di particolari rilevanza e delicatezza: l’iscrizione virtuale. Una sorta di iscrizione top secret, che non compare nel registro ufficiale. Un espediente già utilizzato in indagini di mafia dai colleghi siciliani. L’effetto però è evidente. Giovedì 22 il pentito Giovanni Ciaramitaro si affianca a Spatuzza e punta l’indice contro il premier: «Berlusconi e altri politici», accusa, «stavano dietro le stragi». E nel verbale compare il nuovo numero del fascicolo n 11531/09 mod. 21; prima erano due diversi faldoni contro ignoti.

    • Anche Palermo (n.9145/08) e Caltanisetta (n.1595/08) hanno aperto i classici procedimenti a modello 21 contro noti. E chi sono i nomi dei nuovi indagati in questi procedimenti se si considera che tutti i pentiti stanno indicando agli inquirenti unicamente i nomi di Berlusconi e Dell’Utri?

    • anche in questo caso i pubblici ministeri sono ricorsi a iscrizioni criptate o virtuali per impedire la divulgazione della notizia. Il ricorso a lettere dell’alfabeto greco era già stato l’escamotage utilizzato qualche anno fa quando già si era indagato sui due politici per poi giungere a un’archiviazione del procedimento

    • Un atto dovuto imposto dal Codice se si considera che sono ormai sedici mesi che i nomi di Dell’Utri e Berlusconi piovono dalle labbra di collaboratori di giustizia come Gaspare Spatuzza

    • Ma di fronte alla tempesta agitata dai collaboratori le procure non potevano più procedere in un mare di omissis, sempre e comunque contro ignoti.

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    • Berlusconi non deve temere il suo coinvolgimento – come mandante – nelle stragi non esclusivamente mafiose del 1993. Può mettere fin da ora nel conto che sarà indagato, se già non lo è a Firenze. Molti saranno gli strepiti quando la notizia diventerà ufficiale, ma va ricordato che l’iscrizione al registro degli indagati mette in chiaro la situazione, tutela i diritti della difesa, garantisce all’indagato tempi certi dell’istruttoria (limitati nel tempo).

    • Quando l’incolpazione diventerà pubblica, l’immagine internazionale del premier ne subirà un danno, è vero, ma il Cavaliere ha dimostrato di saper reggere anche alle pressioni più moleste.

    • quel che deve intimorire e intimorisce oggi il premier non è la personale credibilità presso le cancellerie dell’Occidente, ma fin dove si può spingere e si spingerà l’aggressione della famiglia mafiosa di Brancaccio, determinata a regolare i conti con l’uomo – l’imprenditore, il politico – da cui si è sentita "venduta" e tradita, dopo "le trattative" del 1993 (nascita di Forza Italia), gli impegni del 1994 (primo governo Berlusconi), le attese del 2001 (il Cavaliere torna a Palazzo Chigi dopo la sconfitta del ’96), le più recenti parole del premier: "Voglio passare alla storia come il presidente del consiglio che ha distrutto la mafia" (agosto 2009)

    • le "seconde file" della cosca – manovali del delitto e della strage al tritolo – hanno finora tirato dentro il Cavaliere e Marcello Dell’Utri come ispiratori della campagna di bombe

    • Non bastano i ricordi di mafiosi che "disertano". Non sono sufficienti le parole che si sono detti tra loro

    • Non possono essere definitive le prudenti parole di dissociazione di Filippo Graviano o il trasversale messaggio di Giuseppe che promette ai magistrati "una mano d’aiuto per trovare la verità"

    • Occorrono, come li definisce la Cassazione, "riscontri intrinseci ed estrinseci", corrispondenze delle parole con fatti accertabili.

    • Il denaro, i piccioli, in queste storie di mafia, sono sempre curiosamente trascurati anche se i mafiosi, al di là della retorica dell’onore e della famiglia, altro non hanno in testa

    • Cosa Nostra minaccia in un regolamento di conti il presidente del consiglio. Ne conosce qualche segreto. Ha con lui delle cointeressenze antiche e inconfessabili. Le agita per condizionarne le scelte, ottenerne utili legislativi, regole carcerarie più favorevoli, minore pressione poliziesca e soprattutto la disponibilità di ricchezze che (lascia intuire) le sono state trafugate

    • L’uomo che parla ossessivamente di se stesso, compulsivamente delle sue imprese, tace e dimentica di dirci l’essenziale. Quando i giudici lo interrogano a Palazzo Chigi (è il 26 novembre 2002, guida il governo), "si avvale della facoltà di non rispondere". Glielo consente la legge (è stato indagato in quell’inchiesta), ma quale legge non scritta lo obbliga a tollerare sulle spalle quell’ombra così sgradevole e anche dolorosa, un’ombra che ipoteca irrimediabilmente la sua rispettabilità nel mondo – nel mondo perché noi, in Italia, siamo più distratti? Qual è il rospo che deve sputare? Che c’è di peggio di essere accusato di aver tenuto il filo – o, peggio, di essere stato finanziariamente sostenuto – da un potere criminale che in Sicilia ha fatto più morti che la guerra civile nell’Irlanda del Nord? Che c’è di peggio dell’accusa di essere un paramafioso, il riciclatore di denaro che puzza di paura e di morte? Un’evasione fiscale? Un trucco di bilancio?

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Il No-B-Day verrà dopo lo Spatuzza Day. Giorni di crisi a Palazzo Chigi.

Si è tenuta oggi la Conferenza Stampa di presentazione della manifestazione No Berlusconi Day, Contro le Leggi ad personam, organizzata da blogger e internauti via Facebook:

L’APPELLO del Gruppo No-B-DAY

A noi non interessa cosa accade se si dimette Berlusconi e riteniamo che il finto “Fair Play” di alcuni settori dell’opposizione, costituisca un atto di omissione di soccorso alla nostra democrazia del quale risponderanno, eventualmente, davanti agli elettori. Quello che sappiamo è che Berlusconi costituisce una gravissima anomalia nel quadro delle democrazie occidentali – come ribadito in questi giorni dalla stampa estera che definisce la nostra “una dittatura”- e che lì non dovrebbe starci, anzi lì non sarebbe nemmeno dovuto arrivarci: cosa che peraltro sa benissimo anche lui e infatti forza leggi e Costituzione come nel caso dell’ex Lodo Alfano e si appresta a compiere una ulteriore stretta autoritaria come dimostrano i suoi ultimi proclami di Benevento. Non possiamo più rimanere inerti di fronte alle iniziative di un uomo che tiene il Paese in ostaggio da oltre 15 anni e la cui concezione proprietaria dello Stato lo rende ostile verso ogni forma di libera espressione come testimoniano gli attacchi selvaggi alla stampa libera, alla satira, alla Rete degli ultimi mesi. Non possiamo più rimanere inerti di fronte alla spregiudicatezza di un uomo su cui gravano le pesanti ombre di un recente passato legato alla ferocia mafiosa, dei suoi rapporti con mafiosi del calibro di Vittorio Mangano o di condannati per concorso esterno in associazione mafiosa come Marcello Dell’Utri. Deve dimettersi e difendersi, come ogni cittadino, davanti ai Tribunali della Repubblica per le accuse che gli vengono rivolte.

Per aderire alla manifestazione, comunicare o proporre iniziative locali e nazionali di sostegno o contattare il comitato potete scrivere all’indirizzo e-mail: noberlusconiday@hotmail.it

(Il 5 dicembre in piazza forse ci sarà un clima speciale, diverso. Un clima di rinnovata tensione. Qualcosa che non si respira più da tempo, all’incirca da trent’anni. Qualcosa che potrebbe ricordare Piazza della Loggia, a Brescia nel 1974. Forse il 5 Dicembre- che viene dopo il 4 – sarà un giorno di forte crisi delle istituzioni di questo paese. Cosa succederà se verrà svelata la trama criminosa che si cela dietro le stragi del 1993? Cosa succederà se verranno scoperti e smascherati i mandanti occulti delle stragi? E se lo Stato ne verrà brutalmente scosso, potranno valere le parole di oggi del Presidente Napolitano, secondo il quale “niente può abbattere un governo quando sostenuto da una maggioranza”? Con un’accusa di collusione con la mafia, si può continuare a essere Presidente del Consiglio?).

Nicola Cosentino, tutti i nomi di chi ha negato l’autorizzazione a procedere.

Nicola Cosentino, sottosegretario di questo governo, deputato della Repubblica, accusato dai pm di Napoli di collusione con il clan dei Casalesi, e per questo oggetto di richiesta di arresto, ha tranquillamente passato l’esame della Giunta per l’Autorizzazione a Procedere della Camera.

Le motivazioni addotte dai parlamentari facenti parte della Giunta per le autorizzazioni sono alquanto fumose e prive di fondamento. Undici i contrari, sei i favorevoli. Ha votato contro l’autorizzazione anche la Lega nella persona dell’on. Luca Rodolfo PAOLINI:

crede che la concessione dell’arresto sarebbe un atto ingiusto, con cui si otterrebbe di restringere in carcere un soggetto a carico del quale si è proceduto con metodi da inquisizione spagnola, senza il benché minimo elemento fattuale. Crede che sia domandata a Nicola Cosentino una probatio diabolica, quella cioè di essersi dissociato da un sodalizio criminoso di cui non è mai stato parte. Voterà contro l’arresto.

Avete letto bene. Secondo il leghista Paolini, si sarebbe proceduto contro Nicola Cosentino, accusato di collusione con la camorra, con metodi da inquisizione e senza il benché minimo dato fattuale. I casi sono due: o Paolini non è un vero e proprio leghista, oppure il leghismo ha fatto il suo tempo, quel leghismo del cappio e della Roma ladrona, della secessione e del sud dei terroni. Ci sarebbe da riflettere su questo trasformismo, in atto oramai da anni e che oggi ha raggiunto il suo compimento, la Lega che salva il presunto camorrista Cosentino. Chi l’avrebbe mai detto.

L’unico astenuto, il parlamentare PD in quota Radicale, Maurizio Turco, il quale si è espresso incredibilmente in accordo con Paolini, ovvero:

dichiaratosi d’accordo in via di principio con le asserzioni del collega Paolini, sottolinea però che queste valgono per tutti e non solo per i parlamentari. Data lettura di un’intervista resa al Corriere del Mezzogiorno del 15 ottobre 2009 dal procuratore generale della Repubblica presso la corte d’appello di Napoli, dott. Vincenzo Galgano, crede che il reato di concorso esterno in associazione mafiosa sia un assurdo logico. Esprime rilievi sulla professionalità dei magistrati che hanno condotto l’inchiesta e si domanda se secondo costoro Cosentino debba essere considerato preminente rispetto al consorzio malavitoso o invece a questo sottoposto. Citati i risultati elettorali nelle recenti elezioni comunali di diversi paesi del casertano, preannunzia che voterà in modo tale da evidenziare il suo dissenso dall’arresto ma anche dalle ragioni esposte dal relatore.

Il resoconto non permette di capire se Turco consideri il reato di concorso esterno in associazione mafiosa un assurdo logico solo nel caso di Cosentino, oppure se invece a suo parere lo sia sempre in ogni circostanza. Poiché in tal caso dovrebbe egli stesso spiegarci come intenda argomentare ulteriormente questa affermazione, ovvero dovrebbe farsi carico di smentire la sentenza “Partecipazione e concorso esterno nel delitto di associazione di tipo mafioso ( art.416 bis c.p.) Cass. Sezioni Unite 12 luglio 2005” , detta Sentenza Mannino la quale così recita:

Si ha concorso esterno in associazione mafiosa quando un soggetto, non inserito stabilmente nella struttura organizzativa del sodalizio e privo dell’affectio societatis, fornisce all’associazione mafiosa un concreto, specifico, consapevole, volontario contributo che si configura come condizione necessaria per la conservazione o il rafforzamento delle capacità  operative dell’associazione.

In Giunta avrebbero dovuto chiedersi, sulla base delle carte processuali, se veramente da esse emergesse un quadro di contribuzione volontaria di Cosentino agli affari del clan di Casal di Principe, e se questo sia stato effettivamente concreto, specifico, consapevole.

Invece, secondo Maurizio PANIZ (PdL), “la Giunta non deve entrare nel merito della vicenda, il quale pure non ha il pregio della concludenza e della verosimiglianza, ma deve limitarsi a verificare se la situazione prospettata possa sovvertire le esigenze della sovranità popolare. Nicola Cosentino è stato eletto dal popolo per svolgere una funzione parlamentare e di governo. Un eletto del popolo non può essere privato della sua funzione senza validi motivi che in questo caso mancano del tutto. Peraltro è doveroso il compito di un esponente politico di intervenire nei fatti del suo territorio e nella nomina delle varie società di servizi. Nulla nelle carte processuali prodotte, i cui elementi peraltro si fermano al 2004, consente di intaccare il principio di sovranità popolare”.

Davvero il compito della Giunta è limitato alla valutazione della influenza della richiesta di arresto sulle “esigenze” della sovranità popolare? La sovranità popolare non potrebbe forse estrinsecarsi senza Nicola Cosentino? Non è forse la presunta collusione di Cosentino con la camorra a mettere a pregiudizio la sovranità popolare stessa? La sovranità popolare dovrebbe avere a che fare con l’interesse generale, mentre un colluso con la mafia ha in vista gli interessi – criminosi – del suo gruppo di appartenenza. L’on. Paniz è un esempio di ignoranza-crazia.

Concludo invece con l’intervento che più ha convinto, quello dell’on. Marilena SAMPERI (PD):

richiamatasi alla relazione conclusiva della Commissione d’inchiesta parlamentare sulla mafia della XV legislatura, approvata all’unanimità nel febbraio 2008, sottolinea come gli intrecci tra camorra, politica e imprese siano patrimonio conoscitivo indiscusso. L’inchiesta napoletana, a differenza di quanto ha sostenuto il relatore, non è quindi precaria o incongruente. Essa è invece cauta, verificata e puntuale. La vicenda descritta prende le mosse dalla costituzione, a opera dei fratelli Orsi, di una società la quale ha il precipuo scopo di inserirsi nel settore dei rifiuti, del quale i fratelli medesimi non conoscevano alcunché e del quale non avevano know-how. Gradualmente le strutture societarie riconducibili agli Orsi si espandono, acquisiscono compiti di gestione di servizi e si prestano alle richieste clientelari della politica. Emblematica è la vicenda della gara per scegliere il partner privato del consorzio CE4, connotata da illiceità a ogni passo. Altrettanto significativa è la vicenda della costituzione dell’Impregeco, la quale ha il precipuo scopo illecito di porsi come antagonista della Fibe-Fisia, che a sua volta si era legittimamente (con gara europea) aggiudicata l’esclusiva per una gestione industriale del ciclo dei rifiuti. Tutti questi passaggi sono seguiti e consentiti da Nicola Cosentino, quale effettivo dominus della situazione. Tutto ciò non è mera speculazione di un pentito ma è confermato da riscontri documentali, quali per esempio le verifiche al PRA in ordine ai veicoli usati per la raccolta dei rifiuti e gli atti amministrativi acquisiti (primi fra tutti i bandi di gara); le dichiarazioni dei medesimi fratelli Orsi; le intercettazioni telefoniche tra Sergio Orsi e Giuseppe Valente; un’informativa di polizia giudiziaria e dichiarazioni del medesimo Valente. Errano pertanto quanti propalano il concetto per cui si tratterebbe di un’inchiesta interamente basata sulle dichiarazioni del pentito Vassallo. A tal riguardo, si sofferma anche sulle dichiarazioni di Domenico Bidognetti ed Emilio Di Caterina e sulla perquisizione avvenuta a casa di Vincenzo Schiavone, presso la quale sono stati rinvenuti gli elenchi delle società vicine alla famiglia Schiavone che avrebbero dovuto ottenere lavori e commesse.

Qui il resoconto completo della seduta.