Primarie PD | Renzi e il rendiconto spese molto light

Leggi la prima parte – https://yespolitical.com/2013/12/27/primarie-pd-alcune-curiosita-nei-rendiconti-spese/

Vi dicevo ieri che il rendiconto spese del Comitato Matteo Renzi meriterebbe una più ampia e attenta analisi. Perché? Per una serie di ragioni, la prima delle quali è che il totale spese dichiarato è appena al di sotto del limite, imposto per regolamento, stabilito a 200000 euro, ma è indicato Iva esclusa – almeno per le spese di “Comunicazione, Web e Servizi” di cui all’Allegato E. Ora, il Comitato Renzi non è soggetto giuridico che fiscalmente può scaricare l’Iva essendo esso stesso il terminale dell’interazione economica quindi non se ne comprende la omissione dal resoconto finale. Solo aggiungendo l’imposta prevista dalle prestazioni elencate in fattura nell’allegato suddetto (pari a 12000 euro), il totale spese supera già il tetto regolamentare.

Preciso un aspetto, onde evitare fraintendimenti: la vittoria di Renzi è netta e regolare. Non si vuol qui dire che Renzi abbia vinto violando le regole, bensì che abbia vinto e che abbia violato le regole (in materia di finanziamento). I due aspetti vanno tenuti disgiunti, altrimenti si commette un grave errore, diciamo così, svilendo la volontà elettorale espressa democraticamente da quasi tre milioni di elettori.

Ma Democrazia equivale a dire anche parità di condizioni e rispetto delle regole. In entrambe le voci, il Comitato Renzi si trova in una posizione delicata.

In termini di parità delle condizioni, ci sarebbe da dire qualcosa circa il ruolo della Fondazione Big Bang (oggi Fondazione Open). Renzi ha potuto cominciare la campagna congressuale sfruttando il volano finanziario ed organizzativo della sua struttura personale che gli ha consentito di coprire gli extra costi per circa 89000 euro e di organizzare la manifestazione “Leopolda 2013” senza per questo farla rientrare nelle manifestazioni correlate al congresso. I costi della Leopolda sono quindi stati espunti dal Resoconto Generale renziano e non sono nemmeno così chiari, non essendo ancora stati resi pubblici. Sul sito della Fondazione Open (fondazioneopen.it) si spiega – alla voce ‘Spese’ –  che “il totale e le voci di spesa della Fondazione, con i relativi importi, risultano dai bilanci di esercizio annuali”, per cui occorre attendere la chiusura del bilancio (a Gennaio?). In ogni caso, sul sito matteorenzi.it, che è il media ufficiale del sindaco-segretario e lo è stato per tutta la campagna elettorale, potete ancor oggi entrare nella pagina dedicata alla manifestazione della Leopolda come se fosse una iniziativa stessa del (ex) candidato. Innegabile che la Leopolda abbia consentito al sindaco una esposizione mediatica eccezionale: durata tre giorni, è stata l’apertura di quotidiani online e cartacei, nonché dei telegiornali. Un bel credito comunicativo che è stato sfruttato a dovere, non c’è che dire. Gli altri due candidati? Uno aveva dalla sua la macchina del partito (un po’ inceppata, ad onor del vero); l’altro – Civati – non aveva proprio nulla, a parte l’operosità dei propri volontari. La Commissione di Garanzia nazionale avrebbe, pertanto, dovuto adoperarsi affinché i candidati avessero parità di trattamento e di opportunità a livello comunicativo. Sorvoliamo?

Non del tutto. Perché di mezzo, appunto, c’è il rispetto delle regole. Veniamo al famigerato Allegato E. In esso, come anticipato poche righe più sopra, sono contenute le fatture dei servizi di Comunicazione e Web, fra cui quelle relative ai pagamenti verso Proforma, la nota agenzia di Comunicazione e Marketing politico. Si tratta di tre pagamenti fatturati da Proforma al Comitato Matteo Renzi che elenco qui di seguito: fattura n. 76 del 16/10/2013 per un importo totale di 27450 iva compresa; fattura n. 100 del 13/12/2013, con importo totale pari a 9150 euro; fattura n. 82 per 1342 euro. Niente di illecito, sia chiaro. Ma, ad un occhio più attento, sorgerebbe un dubbio. Il primo documento, il n. 76 del 16 Ottobre reca nel campo descrizione la frase seguente: “Quota acconto (pari al 50% del compenso totale concordato)”. L’importo netto è di 22500 euro; ne consegue che il totale pattuito con Proforma sarebbe di 45000 euro Iva esclusa. Purtroppo i pagamenti verso Proforma, come rendicontati dal Comitato Renzi, ammontato a sole 31100 (Iva esclusa), di cui 1100 di rimborso spese. Mancano 15000 euro più Iva che (insieme all’imposta omessa) impattano sul totale speso da Renzi spingendolo ben sopra quota 250000, sforando il tetto massimo di spesa consentito dal Regolamento congressuale di 50000 euro.

Riassumendo:

  1. il Comitato Renzi ha presentato un rendiconto spese per 197000 euro circa, ma in esso non ha conteggiato l’Iva;
  2. nel Rendiconto Spese – Allegato E, mancano almeno 15000 euro di versamenti verso Proforma;
  3. non è chiaro se la somma messa a disposizione da parte della Fondazione Big Bang/Open sia stata nelle disponibilità del sindaco-segretario sin dall’inizio della campagna o se sia stata ‘trasferita’ in forma di copertura degli extracosti (considerato il budget pari alla somma raccolta con i finanziamenti volontari); non è altrettanto chiaro se tale finanziamento rientra nelle finalità della fondazione medesima;
  4. la manifestazione Leopolda è stata espunta dal rendiconto ma era parte integrante del sistema comunicativo del candidato; non esiste rendiconto pubblico di entrate/uscite della Leopolda 2013.

Avete spiegazioni in merito?

Quattordici

Quando a Settembre iniziavano a circolare i primi sondaggi sulle primarie del Partito Democratico, accanto al nome di Giuseppe Civati compariva un 5. Cinque per cento. La macchina congressuale doveva ancora mettersi in moto. E in due mesi scarsi doveva svolgersi ciò che in passato si era svolto in quattro mesi: elezioni delle segreterie, convenzioni di circolo, convenzione nazionale, campagna elettorale, primarie. Il sondaggio della IPR Marketing del 2 Settembre scorso assegnava a Renzi l’80% dei consensi. A Cuperlo il 14%. Non si poteva parlare nemmeno di polarizzazione dell’elettorato.

Dalle consultazioni di ieri, la mozione del #civoti esce con il 14%. Ed è puntualmente seconda nelle regioni del Nord, laddove il Pd fa sempre troppa fatica a raccogliere i voti. Per intenderci, le regioni rosse sono esclusivo appannaggio del neo-segretario sindaco di Firenze. Il flusso elettorale rispetto alle precedenti primarie – non quelle del 2009, bensì quelle del 2012 – è ben chiaro. Questo è un voto di riparazione. È un voto di pentimento. Ha pesato, sulla scelta dell’elettorato, la ferita del 24-25 Febbraio scorso e la convinzione che, se si fosse votato diversamente a Novembre, il risultato sarebbe stato profondamente diverso. È un voto del se.

L’elettorato del Pd è rimasto, in questo lasso di tempo, impermeabile alla politica. Poco hanno pesato i tentennamenti di Renzi sul governo Letta, i riposizionamenti di molta parte delle seconde e terze linee bersaniane, il carrismo franceschiniano. Lo choc è stato tale da fissare l’immagine della sconfitta. Avremmo potuto scegliere la rottamazione per tempo, è stato il sottotesto che in questi mesi si è insinuato nel senso collettivo circa il congresso democratico.

Questo schema è stato via di seguito rafforzato dalla prospettiva televisiva che, per dirla con le parole di Fabio Fazio, ha scelto i due candidati che essa stessa riteneva più rilevanti. Così, per conto proprio, e in maniera del tutto arbitraria, la televisione ha riflesso solo l’immagine che giudicava congrua alla narrazione dello scontro bipolare. Gli altri, che pure esistono e solo il 14%, sono una anomalia trascurabile. In tal modo, lo schermo è ancora il primo e principale strumento della conservazione.

È facile per taluni dire ora che Twitter non conta nulla. Dopo essersi posti pesantemente il dubbio di quel che stava accadendo, dopo non esser riusciti a leggere il dato di Febbraio, dopo aver arrangiato alla buona una ‘war room’ nel tentativo di contrastare la vivacità della comunicazione di Civati, adesso sentenziano l’inutilità dei social media. Posso smentire. Posso dire che i social media sono stati uno strumento essenziale nell’organizzare la campagna vis à vis. Non avranno spostato migliaia di voti, ma hanno permesso di rendere trascurabili i costi dell’interazione fra i volontari, e fra i volontari e i sostenitori. Civati ha percorso chilometri, così i referenti regionali e provinciali. I social media hanno permesso di stabilire una comunicazione politica anche localmente. È In tal modo che la mozione #civoti ha quasi triplicato il consenso iniziale. Dopotutto, ciò è successo mentre il frame della rottamazione è rimasto nell’aria, non in virtù di una strategia comunicativa, ma di un sentimento diffuso. Un sentimento molto difficile anche solo da scalfire. È la sconfitta di Febbraio ad aver indirettamente determinato questo risultato.

Grazie al #civoti una comunità politica dispersa ha ripreso a conoscersi. È ciò che chiamiamo sinistra e che non smette certo di esistere perché ha vinto Matteo Renzi, anzi. Il contributo di innovazione portato dall’iniziativa politica di Civati non deve essere disperso, deve essere invece di sprono ad uscire dall’isolamento. La sinistra esiste. Ed è ora che si manifesti, che si riprenda il proprio ruolo nella politica. Una politica fatta di cose concrete, di buona amministrazione, di passione verso il giusto. È questo a cui abbiamo lavorato, a cui anche chi scrive ha preso parte con il proprio piccolo contributo di parole. È possibile guardare alle cose non più in senso disfattista. Il nichilismo non alberga più qui. Non è tutto da distruggere e da cancellare. Abbiamo trovato un significato comune e il 14 è infine solo un numero.

Far finta che non sia successo

Ci sono ora due rischi sulla strada delle primarie del Partito Democratico. Il primo è quello più ovvio: che i giornali e le televisioni continuino con il consueto schema della arcinota e fin troppo sfumata contrapposizione fra discendenti dei Ds e discendenti dei Popolari. Per alcuni mesi sono state scritte paginate di giornali con il racconto di questa guerriglia più o meno simulata, sono stati progettati e realizzati sondaggi che fornissero la pezza d’appoggio statistica a tale rappresentazione.

Ieri questo schema è andato in pezzi. Per certi versi sembrava impossibile, era collaudato da quasi venti anni, forse troppi. Ma eventi di siffatta portata avvengono quando improvvisamente nella telecamera entra l’anomalia. La presenza di Giuseppe Civati ha avuto questo effetto. Le sue parole, in primis – chi lo segue giornalmente le ha oramai mandate a memoria – hanno colpito per la nitidezza, per l’assenza di ombre, di retropensieri, di secondi o terzi livelli di interpretazione. No, le parole di Civati volevano dire proprio quello e null’altro. Non c’era distinzione fra la parola e la voce: esse hanno lasciato una traccia univoca, visibile a tutti, comprensibile a tutti. Per la politica italiana, intrisa com’è di ipocrisia, di Giano Bifronte, di sotterfugi e strateghi delle ombre, è un enorme passo avanti.

E l’Apparato cosa starà pensando adesso? Avrà forse preparato la sua cervellotica exit strategy, così disperata e ingegnosa insieme, sopraffina e intelligentissima: gettare a mare il proprio candidato per privilegiare la logica del voto utile, del voto da dare al solo che può contrastare l’arrivo della realtà e della parola libera al vertice del principale partito della attuale maggioranza. La strenua resistenza passa per amare ciò che è stato odiato sino a ieri l’altro. Una nemesi beffarda, passare al nemico.

Leaderismo di burro

Cosa conta un leader se, dinanzi alla vicenda di un ministro della Giustizia molto operoso per salvaguardare gli amici in difficoltà, bofonchia dichiarazioni ipotetiche e prive di prospettiva, specie se nel brevissimo il suo medesimo partito, il partito che si candida a guidare, deve decidere se votare o no una mozione di sfiducia individuale?

Due dei tre candidati alle primarie, come ho scritto ieri, preferirebbero che Cancellieri si dimettesse domani o dopo. Certamente tale fatto toglierebbe i due dall’imbarazzo di effettuare una scelta. Altrimenti, insieme a loro, tutto il partito potrebbe affondare con entrambi i piedi in un paludoso cerchiobottismo, anche ora che dovrebbe esser chiaro dove stare.

Il dato politico è inequivocabile: se non arrivano dimissioni e scuse, la Ministra Cancellieri deve essere o rimossa dal suo Presidente del Consiglio, o sfiduciata dal Parlamento. In queste ore, nel Pd, sono state inaugurate formule alchemiche inedite tali per cui il parlamentari democratici non potrebbero né chiedere le dimissioni (né votare la mozione dei 5S?) ‘perché ci sono le primarie’ (Boschi, quota Renzi; cito testuale da Il Fatto Q: “Se questa vicenda fosse arrivata dopo l’8 dicembre, data delle primarie, conclude Boschi, “il Pd avrebbe già chiesto le dimissioni”).

In queste ore si stanno concludendo in tutta Italia le convenzioni di circolo, primo passo del congresso del Pd. Durante questi brevi dibattimenti, buona parte degli iscritti ha compiuto una certa scelta, sicuri di trovare in tal candidato (Renzi) un leader che parla la voce della chiarezza, che può dire ciò che pensa e che non ha mezze misure, specie verso il suo stesso partito e i soloni presenti in tutte le correnti. Ecco, ormai è tardi per avvisarli, ma sappiano che possono correggersi l’8 Dicembre. Sempre che Renzi medesimo non scelga per tornare sui propri passi e dichiarare pubblicamente il voto favorevole alla mozione di sfiducia che Civati presenterà martedì mattina nella riunione del gruppo parlamentare del Pd

Mai chiudersi – #civoti

Confrontarsi con il problema delle tessere gonfiate deve togliere il sonno a Gianni Cuperlo. A tal punto che quella proposta, biascicata in diretta televisiva, di sospendere immediatamente il tesseramento, facendo appello agli altri candidati, al segretario, alla Commissione di Garanzia (alla quale lui giura di aver rivolto formale denunzia), sembra esattamente ciò che serve per mandarlo definitivamente al tappeto. Già perché chiudersi, chiudere il partito proprio ora che la battaglia congressuale è iniziata, significa mandar via le persone che ci credono e tenersi quelli che invece lavorano nelle pieghe oscure delle regole al fine di avvantaggiare qualche piccolo candidato segretario locale.

Diciamolo, i congressi di circolo non hanno avuto storia. L’apparato ha difeso le proprie posizioni, con ogni mezzo. Era proprio quel che cercavano approvando quelle regole, a Settembre: la prima prevedeva lo svolgimento dei congressi di circolo in anticipo sul nazionale; la seconda, prevedeva il tesseramento libero sino al giorno del congresso, per quanto concerne l’elettorato attivo. Ora che le posizioni locali sono bloccate, ecco che Cuperlo prende in mano il cuore e, angosciato per tutte le nefandezze udite sinora, chiede indignato la chiusura dei cancelli. Voi che volete cambiare, restate fuori. Teniamoci, invece, e gelosamente custodiamo, i bari, i capibastone, gli uomini della pioggia (di tessere).

Tutto ciò è semplicemente ridicolo e dovrebbe far indignare a tal punto da promettere, ai fautori della conservazione, la più grande mobilitazione mai vista prima ad una elezione primaria di partito. Pensateci, è un’occasione unica.

“E’ incredibile e molto ipocrita che a scandalizzarsi per il tesseramento gonfiato sia proprio chi ha tra i propri sostenitori e candidati sul territorio i signori delle tessere.
Da settimane mi appello agli altri candidati perché fermino i loro sostenitori impegnati in queste pratiche, appelli caduti nel vuoto: troppo facile, come fa Gianni Cuperlo, pronunciarsi adesso che i risultati sono in cassaforte, come nel caso dell’incandidabile Crisafulli eletto in Sicilia. E chi si propone di guidare il Pd non può dichiararsi
disinteressato a ciò che avviene al suo interno, come fa Matteo Renzi.
In questo momento, anche solo applicando le pur blande norme che il Pd si è dato sui tesseramenti anomali, il 25 per cento dei congressi locali, uno su quattro, sarà probabilmente annullato, anche se in realtà le situazioni irregolari documentate sono persino di più. Inutile dire che il Pd ne esce davvero molto male” – Giuseppe Civati – ASCA.it)

Imparare tutto daccapo

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Ti avvicini all’uomo tatuato che sta caricando i sacchi di pane. Lui smette di lavorare perguardarti. C’è qualcosa che non va nel modo in cui muovi le gambe. Ti chiedi se ti stia ancorascendendo il sangue dal naso.
«Pane.» Così gli dici, anche se avevi intenzione di dire qualcosa di più.
«Come hai fatto a indovinare?» dice lui. E’ un uomo che ha servito il suo paese, pensi, un uomo conuna famiglia da qualche parte fuori città.
«Potrei averne un po’? Un panino o qualcosa del genere?»
«Squagliati.»
«In cambio dei miei occhiali da sole,» dici tu. Te li togli e glieli porgi.
«Ray-Ban. Ho perso la custodia.» Lui se li prova, scuote un paio di volte la testa, poi se li toglie.
Li ripiega e se li mette nel taschino della camicia.
«Sei pazzo,» dice. Poi lancia un’occhiata dentro il magazzino. Prende un sacco di panini e te logetta ai piedi.
Ti inginocchi e apri il sacco con uno strappo. Il profumo del pane fresco ti avvolge tutto. Il primo boccone ti si ferma in gola e ti fa quasi vomitare. Dovrai cercare di andar piano. Dovrai imparare tutto daccapo.

Jay McInerney, Le Mille Luci di New York, Bompiani).

Splendida metafora, io credo, di quel che dovrebbe accaderci dopo venti anni di sbornia berlusconiana. A noi comunità politica e al Partito Democratico.

Il Matrimonio egualitario nella Mozione Civati – #civoti

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Dalla Costituzione Italiana, Art. 2.

La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.

Viene spesso immediato appellarsi alla Costituzione. Impiegarla come scudo, come libro rosso, il fondamento della Legge. E’ a questo punto che, di solito, in tema di diritti delle coppie omosessuali e delle Famiglie Lgtb, il nostro interlocutore, con un balzo al contrario, riesce a negare sempre attraverso la Costituzione, il loro diritto a costituirsi e ad esistere liberamente. Gli basta sciorinare il primo comma dell’articolo 29, e solo quello: “La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio”. Tale schema argomentativo è stato messo in crisi sia dalla Corte di Cassazione (sentenza n. 4184/2012), sia dalla Corte Costituzionale (sentenza n. 138/2010). Durante il dibattito delle scorse primarie, nel Novembre 2012, mentre in Europa e nel mondo il dibattito verteva sul diritto delle coppie gay a sposarsi e ad adottare figli, i due candidati principali, Bersani e Renzi, biascicavano sottovoce di Civil Partnership e di Patti Civili per unioni di fatto. Non mancava solo il coraggio, mancava la visione.

Fra i documenti congressuali depositati la scorsa settimana, solo uno riesce ad affrontare la questione con tale afflato, senza perifrasi, senza slittamenti lessicali: la mozione Civati.

Ho voluto riassumere in otto punti la parte della mozione in cui si parla, per la prima volta in Italia, di Matrimonio Egualitario.

  1. Riconoscimento della rilevanza costituzionale delle Famiglie Lgbt, a una delle «formazioni sociali» di cui parla l’art. 2 della Costituzione;

  2. Diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia;

  3. Riforma globale del diritto di famiglia, al fine di riconoscere nuove famiglie e regolamentarne le diverse forme di relazioni affettive;

  4. Riconoscimento del concetto di Amore Civile;

  5. Estendere il matrimonio civile alle coppie formate da persone dello stesso sesso;

  6. Riconoscere pubblicamente delle unioni civili per coppie dello stesso sesso o di sesso diverso, attraverso una normativa differente da quella del matrimonio

  7. Estensione al partner o al genitore non biologico della co-responsabilità sul minore;

  8. Estensione della possibilità di adozione a persone singole o alle coppie formate da persone dello stesso sesso.

Civati il parresiastes, o della rivincita sul Konduttore

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Durante la #direttacivati, ieri sera, molti di noi, molti di quelli che agivano su twitter per raccontare in 140 caratteri la partecipazione di Giuseppe Civati a Ballarò, fatto più unico che raro, hanno scritto che guardare un talk-show tutto intero per sole tre domande fosse una fregatura, o una seccatura almeno. Cose così, buttate giù di pancia.

Devo ammettere di esser stato fra quelli che hanno istintivamente pensato che Civati fosse un pesce fuor d’acqua in quella circostanza, come spesso gli capita quando si trova in trasmissioni tv in cui la regola è non far capire nulla a chi sta a casa. La critica, ovvia e automatica, è stata più o meno questa: un leader deve sapere impiegare questi mezzi di comunicazione. Deve saper parlare in tv, come parlare alla radio, come stare sui social network, e via discorrendo. Un leader politico è oggi soprattutto un personaggio televisivo; ha cioè un suo carattere, una sua figura televisiva. Parla la lingua della televisione. E’, di fatto, un campione della mimesis del piccolo schermo. Non necessariamente il suo personaggio è autentico. Nella televisione questo non importa: si è finché si rimane in onda, fuori dallo schermo si è qualcos’altro.

Dal post moderno in poi, con la nascita della società dello spettacolo, è tornato in auge il personalismo. Il personalismo è quel fenomeno che fa sì che non sia tanto un’idea o un concetto o una visione di vita ad emozionare il pubblico e gli elettori, quanto il personaggio che veicola tali contenuti (Barbara Collevecchio, il Fatto Q).

Ora per chi pretende di cambiare il paese iniziando da un partito, cosa che qualifica Civati come ‘folle’ bastian contrario (i partiti sono m..da, dice il Capo Comico, facendosi interprete del comune sentire in virtù del suo carisma), si impone la necessità di rompere il campo dell’avanspettacolo politico portando la scomodità della verità addosso. Chi fa ciò non è meno leader di chi si pavoneggia bene davanti al Konduttore, abile maître della retorica da talk show. Il konduttore non sa che farsene di un parresiastes. La banalità del reale in tv non funziona. Il parresiastes ha il coraggio di dire la verità a discapito di sé stesso: non va incontro all’opinione pubblica, ma la conduce verso il vero (l’esatto opposto del leader populista, che invece guida la propria mimesis in virtù dell’opinione generale). Se in una discussione politica, un oratore rischia di perdere la sua popolarità perché la sua opinione è contraria a quella della maggioranza, egli sta usando la parresia. Il leader televisivo, invece, cerca di accrescere la propria popolarità, cavalca l’onda del sentimento, fa vivere al telespettatore l’esperienza della condivisione d’intenti che è effimera poiché dipendente dallo schermo.

Dopo venti anni di berlusconismo, non abbiamo bisogno di palcoscenici, né di teatri di posa, né di studi televisivi. Il leader è tale poiché si fa carico del cambiamento, perché mette sé stesso, la propria carne, la propria voce al servizio di un movimento fatto di persone oramai disilluse. L’incantesimo è finito. E allora, restare in silenzio aspettando che il konduttore ti dia la parola, non è sinonimo di sconfitta bensì di alterità. Perché se anche Landini alza la voce per togliere la battuta all’avversario politico, allora dobbiamo renderci conto che qualcosa non funziona più in noi. Se riteniamo che questo sia il modo giusto, se lo riteniamo vincente, scopriamo inorriditi di essere definitivamente cambiati, in questi venti anni.

Ecco, il leader è timido poiché timida è la verità. Aiutarla a tornare protagonista della nostra vita politica non è solo un’opportunità, è un dovere civile. Per poi alzarsi da quelle poltrone e dire al konduttore, quasi con un piede fuori: no, non è con me che stai parlando.

Congresso PD, la possibilità in una Delibera – #propostahard

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Tempo addietro, discutendo del Congresso PD, ci eravamo soffermati sulle regole e sulle ambiguità dell’articolo 4 del Regolamento approvato dalla Direzione Nazionale lo scorso 27 Settembre. Questo il testo:

Art. 4 comma 2. Partecipano con diritto di parola e di voto alle riunioni di Circolo (territoriale e di ambiente) tutti coloro regolarmente iscritti fino al giorno stesso (fino al termine delle operazioni di voto). Possono invece essere eletti negli organismi dirigenti o di garanzia, nonché essere delegati ad una Convenzione di livello superiore, tutti gli iscritti al partito regolarmente registrati alla data dell’approvazione del presente Regolamento da parte della Direzione Nazionale.

In sintesi, dall’interpretazione letterale si desumeva che:

  1. l’elettorato attivo è aperto sino al giorno del congresso di circolo;
  2. l’elettorato passivo è congelato alla data del 27 Settembre, giorno di approvazione del regolamento medesimo.

Sul punto si è espressa lo scorso 1 Ottobre la Comissione di Garanzia del Partito Democratico, di fatto aprendo le prote degli organismi consigliari a tutti i nuovi iscritti.

La Commissione nazionale per il congresso, riunitasi il 1 ottobre 2013, ai sensi dell’art.18 comma 2 del Regolamento, adotta la seguente norma esplicativa dell’art.4 comma due del Regolamento medesimo:
partecipano con diritto di parola e di voto alle riunioni di circolo (territoriale e di ambiente) tutti coloro regolarmente iscritti al Pd fino al termine delle operazioni di  voto dei congressi di circolo, e del voto per le primarie dell’8 dicembre 2013;
hanno diritto di elettorato attivo e passivo tutti gli iscritti al Pd, anche online, regolarmente registrati nella Anagrafe degli iscritti al 27 settembre 2013, data di approvazione del Regolamento da parte della Direzione Nazionale;
gli iscritti 2012, che rinnovino l’iscrizione fino al termine delle operazioni di voto dei congressi e delle primarie, hanno diritto di elettorato attivo e passivo, possono cioè eleggere ed essere eletti negli organismi dirigenti e/o di garanzia, nonché essere delegati ad una Convenzione di livello superiore;
ai nuovi iscritti – ivi compresi quelli registratisi online o con Pd live – registrati nell’Anagrafe degli iscritti dopo il 27 settembre 2013, a norma del comma due articolo quattro del regolamento, è riservato il diritto di elettorato attivo e la possibilità di essere eletti nei comitati direttivi nonché essere delegati ad organismi di livello superiore. Non possono invece accedere a cariche monocratiche interne del Pd, salvo i circoli costituiti nel 2013, previa verifica delle relative commissioni per il Congresso e delle commissioni di garanzia territorialmente competenti.
Tutti i nuovi iscritti che hanno preso la tessera dopo l’approvazione del Regolamento, possono eleggere ed essere eletti nei direttivi di circolo e nelle convenzioni provinciali, ambiti nei quali si gioca una parte molto importante della partita congressuale e che influirà sulla possibilità del cambiamento reale e profondo del partito.
Prendere la tessera (del PD!) potrà essere considerata una proposta oscena. In realtà, questo atto oggi assume un valore anticonformista, di disobbedienza verso i formalisti delle Larghe Intese; forse il vero atto punk che a lungo su queste pagine avete visto evocato nel logo e in quel sottotitolo – Riprendiamoci la Politica.

Oppure

Oppure possono provare ad ascoltare quel «segnale» che questa volta proviene da una parte del Pd che si candida a cambiare la sua politica, a ricostruire il centrosinistra, a riprendere l’alleanza elettorale che è saltata ad aprile, a considerare finalmente come protagonisti «quelli che si muovono», in questo Paese, e che fanno politica fuori dal Palazzo e dalle sue logiche. Senza ambiguità, senza retropensieri, senza alcuna opacità.

Il segnale, insomma, che diamo noi, in previsione delle primarie dell’8 dicembre, risalendo la storia delle delusioni del Pd e del centrosinistra per dare un nuovo corso a tutto quanto. Che poi era quello per cui avevamo votato a febbraio, e il senso di quel segnale, non è così?

Leggi tutto: http://www.ciwati.it/2013/10/07/il-segnale-da-dare-ai-segnalatori/

D’altronde, aggiungo io, inutile insistere a dire che mai il Pd potrà cambiare se non si è mai – mai! – provato a cambiarlo. E si comincia direttamente così, saltando a piè pari al centro di una scena che vede i soliti protagonisti da molti troppi anni. Chi vi dice che non c’è speranza, vi dice di andar via, di abbandonare la politica, vi dice “non tentare neanche di capirla” (che già ci sono loro e voi non siete in grado). L’esatto contrario di quel che serve. Poiché serve esserci. Fisicamente. Entrare in quelle stanze (i circoli, i congressi, le assemblee) ormai vuote o semi-vuote. Pretendere di contare in un meccanismo decisionale che non contempla non solo più la diversità d’opinione, ma persino averla espressa. E in fondo a tutto, il più grande moto di ribellione civile che potremmo esercitare, oggi, non domani, non in un futuro où tòpos (utopico, e perciò senza luogo, senza spazio qui sulla Terra).

Civati: ‘se Matteo cambia verso, io il verso non lo cambio’

Intervista a La Stampa di Giuseppe Civati. Inevitabile parlare di Renzi e della sua nuova, nuovissima, anzi vecchia, posizione sul governo Letta. Se Matteo cambia verso, dice Civati, suo avversario nella corsa alla segreteria PD, allora io il verso non lo cambio.

Quale trasparenza per il bilancio del Partito Democratico? Un dibattito fra Guidi, Misiani e Civati

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Così lo scambio epistolare fra Gabriele Guidi, Giuseppe Civati e il tesoriere del PD, Antonio Misiani circa la trasparenza del bilancio del partito, si è concretizzato in un dibattito aperto avvenuto ieri sera al Circolo Arci Bellezza di Milano.

A Gabriele Guidi è toccato l’onere dell’apertura del dibattito, essendo l’autore della lettera per mezzo della quale è stato avviato questo confronto. In essa, Guidi chiedeva al tesoriere del PD da un lato trasparenza nelle uscite (è fondamentale sapere come il partito spende i propri soldi); dall’altro, di divulgare la lista dei dipendenti, o per meglio dire, di conoscere la pianta organica del partito insieme al numero delle posizioni dirigenziali e dei quadri, anche a livello territoriale, al fine di costruire un vero e proprio organigramma nazionale del Partito Democratico.

Il gran merito del bilancio nazionale certificato si scontra con l’opacità della gestione territoriale. Si possono però trovare metodi per imporre ai segretari regionali bilanci se non certificati, almeno trasparenti, sia dal lato delle entrate che da quello delle uscite. Una soluzione potrebbe essere quella di giungere a una integrazione dei bilanci territoriali in una sorta di bilancio ‘corporate’, quello che per le aziende si chiama ‘consolidato del gruppo’. Quelle di Gabriele Guidi sono soluzioni tecniche a problemi politici. Non è secondario il problema delle fondazioni, ambiti di oscurità nei quali il tesoriere del PD nulla può poiché si tratta di ‘soggetti esterni al partito’ ma che dall’esterno ne condizionano le scelte.

Misiani ha risposto con due ordini di argomenti: 1) la critica alla legislazione vigente sui rimborsi elettorali, ‘è ad essa che dobbiamo la presenza dei Lusi e dei Belsito’;

2) la contrarietà ad un finanziamento completamente privato; è necessaria una tipologia di finanziamento trasparente poiché la trasparenza riavvicinerebbe il cittadino alla politica:

La via è quella di trasformare il sistema del rimborso automatico in una scelta volontaria del contribuente. Il meccanismo del 2 per mille potrebbe essere una soluzione. Qualcosa di questa idea è già compreso nel testo di legge proposto dal governo Letta. Una seconda opportunità su cui lavorare potrebbe essere la costruzione di un sistema di fundraising per i circoli.

In merito alle fondazioni: Misiani concorda sul fatto che costituiscono un problema, specie per quella a carattere immobiliare che, in diverse circostanze, sono i soggetti a cui i circoli pagano l’affitto dei locali.

Giuseppe Civati ha quindi esposto la sua idea di riforma del bilancio del Partito Democratico. Civati ha riconosciuto che, in materia di volontarietà del finanziamento, la proposta del governo Letta ricalca in buona parte la proposta di Walter Tocci, da lui stesso emendata.

Sulle lobbies insediate nelle fondazioni, specie quelle personali, Civati ha un’idea molto chiara: se partecipano alla vita politica del partito, i loro responsabili devono aderire ai criteri di trasparenza di quest’ultimo (“anche il capo-corrente deve attenersi al codice etico”), quindi fare un bilancio pubblico, se non lo fanno tuttora; dichiarare da chi arrivano i finanziamenti e a chi li inoltrano. Devono dire chi appoggiano, esclama Civati. E quando dal pubblico viene detto:

Civati così risponde inizialmente con una battuta:

ma poi riprende il filo del discorso ribadito poco prima (chi ha la fondazione e vuol stare nel PD ci deve dire come si comporta):

Sulla parte dello stipendio che i parlamentari democratici versano al partito (circa 3000 euro), Civati e Misiani scoprono però di essere in disaccordo. Secondo Civati, questa parte retributiva, se è ritenuta in eccesso, non dovrebbe essere ‘girata’ al partito bensì alla Camera:

Secondo Misiani, invece, è normale che gli eletti diano “una mano al partito che ne ha permesso l’elezione”. Si tratta, secondo lui, di un modo per ricordare all’eletto da dove proviene e responsabilizzarlo verso chi ne ha curato la campagna elettorale.

E anche sulle fondazioni, a furia di parlarne, qualche sottile differenza viene fuori. Per civati,

Per Misiani,

Lo schiaffo di Palazzo Grazioli

Così Alfano non c’era alla riunione del PdL. E’ arrivato a Palazzo Grazioli ben dopo la mezzanotte. L’incontro con Berlusconi è durato non più di venti minuti. Una visita, null’altro, per comunicare che un manipolo di senatori farà la scissione. Silvio, Dudù, Francesca, l’aria improvvisamente impietrita. Alfano, e quella spocchia da azzeccagarbugli abbronzato. Abbiamo dirazzato, Silvio.

E’ la prima volta forse che la trama di relazioni di Silvio Berlusconi trova un limite, anzi, la prima volta che viene lentamente sgretolata ai bordi. L’ex Cavaliere ha scoperto che un’altra affinità, un’affinità rimasta sommersa per quasi venti anni, lega questi uomini al Presidente Letta. Fabrizio Cicchitto, Maurizio Lupi, Carlo Giovanardi, lo stesso Alfano, hanno percepito il ritorno di un comune sentire. E così tradiscono il padre padrone del loro partito, l’ormai vecchio avvizzito e degenerato fondatore del Predellino, in vista forse di una qualche ricompensa politica: avere un ruolo da protagonista nell’epoca post-berlusconiana. Che poi questo coincida con il ritorno del Grande Centro, o della Balena Bianca, poco importa. In fondo – questo è il loro segreto – sono sempre stati, intimamente, duplici e democristiani.

In tutto questo scenario, il Partito Democratico è arrivato al capolinea: ora il PD dovrà scegliere se essere la carne sacrificale per il risorgimento della DC o scegliersi la propria parte e una identità, risolvendo per sempre quell’ambiguità di fondo che lo ha contraddistinto sin dalla prima ora. Sarebbe bello che, ad operare questa scelta, fossero non i gerarchi chiusi in una riunione stile ‘caminetto’, ma gli iscritti e gli elettori, e non necessariamente in questo ordine. Sarebbe bello, ma potrebbe non accadere. E’ appunto per tale ragione che occorre esserci. C’è una differenza sostanziale fra i Democratici e Alfano, Giovanardi, Lupi, Cicchitto. E non serve che ve la spieghi. Bisogna solo farla rispettare.

Congresso PD, le nuove vecchie regole

Alla fine, tutto o quasi rimase com’era. D’altronde, i reggenti del PD sono impegnati sul fronte della crisi di governo, mai come ora linea ‘valicabilissima’ da parte dei sostenitori dell’ex Cavaliere. La Direzione di oggi è corsa veloce come un soffio. Il Regolamento è stato approvato: la presentazione delle candidature è fissata per l’undici di Ottobre.

Articolo 3
(Presentazione delle candidature a Segretario nazionale)
1. Entro le ore 20.00 dell’11 ottobre 2013 vengono depositate presso la Commissione nazionale le candidature alla Segreteria e le relative linee politico-programmatiche.
2. Tutte le candidature debbono essere sottoscritte: da almeno il 10% dei componenti l’Assemblea Nazionale uscente, oppure, da un numero di iscritti compreso tra 1500 e 2000, distribuiti in non meno di cinque regioni, appartenenti ad almeno tre delle cinque circoscrizioni elettorali per il Parlamento europeo.

I congressi di circolo si svolgeranno dal 7 al 17 Novembre. Vi potranno partecipare tutti gli iscritti; ci si potrà iscrivere fino al giorno stesso del voto di circolo. Ogni Assemblea di circolo elegge i propri rappresentanti alla Convenzione provinciale.

La figura del Presidente di Circolo, eletto in apertura dei lavori, dovrà garantire la “presenza di almeno un rappresentante per ciascuna candidatura”. Le riunioni – questo è importante – saranno aperte alla partecipazione di elettori e simpatizzanti del PD (“La Presidenza dell’assemblea, sulla base dei tempi e delle modalità concrete di svolgimento della riunione, valuta la possibilità di dare la parola anche agli elettori e ai simpatizzanti che ne facciano richiesta”, art. 4 comma 7 del Regolamento).

Anche le Convenzioni provinciali rispettano il medesimo schema, sebbene non sia prevista la partecipazione degli elettori. Il criterio di assegnazione dei delegati, per ciascuna mozione, è di tipo proporzionale con riparto dei resti mediante quoziente naturale e dei migliori resti; invece, ad ogni circolo, è assegnato un numero dei delegati sulla base della media degli iscritti degli ultimi due anni.

Da notare che la ripartizione regionale dei delegati dell’Assemblea Nazionale (sempre quella pletorica di 1000 eletti) sarà effettuata solo il 6 Novembre. La ripartizione territoriale segue il criterio demografico/elettorale: 50% sulla base della popolazione residente; restante 50% sulla base dei voti ricevuti dal Partito Democratico nelle elezioni del 2013 per la Camera dei Deputati.Viene introdotta, unica vera novità, la lista unica per candidato, anche se la formula impiegata nel comma 4 dell’articolo 9 lascerebbe spazio a qualche fraintendimento: “In ciascun collegio può essere presentata una lista collegata a ciascun candidato alla Segreteria” (quel può, per esempio, è ambiguo e inoltre anche la locuzione ‘una lista collegata‘ non significa di certo ‘una sola lista collegata‘, ma tant’è, se tale regolamento è stato approvato all’unanimità e senza quasi discussione, con la sola astensione di Nico Stumpo, vuol dire che l’intezione degli estensori era la medesima dell’interpretazione data sinora a questa norma).

La convenzione nazionale è convocata per il 24 novembre e si concluderà  con le primarie per il segretario, previste per l’8 dicembre.

Il Regolamento completo: http://www.europaquotidiano.it/2013/09/27/ecco-il-regolamento-pd-per-segretario-e-assemblea-nazionale/

Aggiornamento:

Confermo. Gli iscritti Coloro che ad oggi non sono regolarmente iscritti (il che non vuol dire che si tratti di quelli che non hanno rinnovato la tessera) non hanno rinnovato la tessera non sono ammessi come elettorato attivo. Attendo comunque conferme. Restate in attesa.

Piccolo breviario dell’Assemblea PD di oggi

Letture preliminari: AutoboicottaggioLa Follia Totale.

Saprete che non s’è deciso nulla. Ma non sapete come ci si è arrivati, a questo nulla. Comincia tutto alle 2.20 (ante meridian) di sabato. La commissione Regolamento, dopo lunga e penosa malattia, approva all’unanimità un pacchetto di regole che non implicano modifiche statutarie. Si trattava di semplici indirizzi che però sono stati votati uno ciascuno e tutti insieme come pacchetto. Le revisioni riguardanti l’articolo 3 (suddivisione delle figure di segretario e candidato premier) incontrano sin dall’inizio l’opposizione di Morassut e Miotto, che votano contro.

Di fatto è stato deciso che:

  1. il voto finale sul segretario nazionale si terrà l’8 dicembre (il voto finale, se non erro, è previsto, Statuto alla mano, che ratifichi l’esito delle primarie attraverso il voto dei delegati in Assemblea Nazionale, ragion per cui le primarie dovranno esser fatte prima dell’8 Dicembre);
  2. a ciascun candidato sarà collegata una sola lista di candidati all’assemblea nazionale (quindi gli endorsement di Franceschini e soci verso Matteo Renzi non potranno trovare degna esplicitazione in una lista collegata);
  3. i segretari provinciali verranno eletti prima del segretario nazionale, ma quando le candidature nazionali saranno già state depositate;
  4. gli organismi regionali verranno eletti dopo, entro la fine di marzo;
  5. non ci saranno pre-registrazioni e chi vuole votare per il segretario nazionale o per i segretari regionali si potrà presentare il giorno stesso del voto (cosa già chiara nello statuto);
  6. le candidature per gli organismi territoriali non dovranno esibire collegamenti espliciti con le candidature alla segreteria nazionale.

Potete ben comprendere che la discussione si era impantanata proprio – e solo – sull’articolo 3 dello Statuto. Con le modifiche previste si intendeva rendere la premiership contendibile, sempre, anche da parte di iscritti al Partito Democratico. A Novembre 2012, molti si erano battuti per una deroga all’articolo 18 che consentisse proprio a Matteo Renzi di competere contro Perluigi Bersani. Su questa modifica nessuno ha sollevato obiezioni. Mentre la modifica all’articolo 3 avrebbe di fatto eliminato la corrispondenza fra segretario e candidato premier: in aula si sono dichiarati contro anche Bindi e Morando.

Quindi è successo il pasticcio. Che ciò sia stato voluto dagli stessi che si sono opposti in Commissione e in Aula alla modifica dell’articolo 3, non è dato a sapere. In ogni caso, gli indirizzi sono stati approvati a maggioranza semplice; le modifiche di natura statutaria necessitavano di una maggioranza qualificata, ma il numero totale dei presenti era circa uguale al numero minimo di voti necessari a qualsiasi modifica statutaria. Dulcis in fundo: sono stati sospeso i lavori. Epifani ha detto che senza certezza del quorum, non si potevano votare le modifiche.

Se non è un fallimento questo. Per mesi è stato detto che il Congresso non si poteva fare con queste regole statutarie. Ergo, serviva una Kommissione (sì, con la k) che studiasse le nuove mirabolanti norme. Si sono naturalmente dimenticati di discuterle. Già la scorsa volta l’Assemblea era dimezzata, almeno rispetto alle dimensioni originarie. Non poteva questo aspetto essere valutato, prima di sbattere come mosche contro una finestra chiusa?