Fornero, forse abolita la cassa integrazione?

C’è un’indiscrezione che rischia di far deflagrare le parti sociali e di mandare mezzo paese in tilt, quella metà di paese – grosso modo – che è in cassa integrazione.

Elsa Fornero, ministro del Welfare del governo Monti, era oggi al Consiglio dei Ministri del Lavoro a Bruxelles ed ha fatto un importante discorso circa la riforma delle pensioni, la tanto temuta riforma. La Fornero ne ha anticipato alcuni aspetti, che sono:

  1. metodo contributivo pro-rata per tutti con il passaggio al calcolo della pensione sulla base dei contributi versati e non sulla base delle ultime retribuizioni;
  2. innalzamento già dal 2012 a 100 della quota di età e contributi versati necessaria per il ritiro (dalla attuale quota 96, con 61 anni di età e 35 di contributi) e il superamento del tetto dei 40 anni di contributi come limite massimo per lasciare il lavoro fino a 41-43 anni;
  3. innalzamento dell’età pensionabile con incentivi (per chi si ritira dai 65 anni in su) e disincentivi (per chi si ritira prima);
  4. un aumento delle aliquote contributive degli autonomi, attualmente tra il 20% e il 21%, per allinearle o almeno avvicinarle a quelle dei dipendenti pari al 33%;
  5. eventuale blocco per uno o due anni a partire dal 2012 dell’adeguamento degli assegni all’inflazione, fatte salve le pensioni minime.

Questi, è ovvio dirlo, sono dettagli “dolorosi”: ogni intervento sull’età pensionabile risulta ingiustificato poiché sempre al centro della furia riformatrice e smantellatrice dei governi di destra degli ultimi anni; eppure esistono sacche di privilegio che fin qui non sono mai state sfiorate, ben difese dal corporativismo leghista nonché dalle potentissime associazioni di categoria e dagli altrettanto potentissimi ordini professionali. Unificare tutti i trattamenti al metodo contributivo è buona cosa, meno buono il blocco degli adeguamenti all’inflazione.

Fornero ha poi volto lo sguardo verso il mondo del lavoro. E ciò ci fornisce la misura del nuovo metodo seguito dal governo Monti, che è per così dire ‘integrale’, ovvero cerca di orientare la propria azione verso il sistema welfare per intero e non limitandosi a interventi a spot o a tagli indiscriminati ‘alzo zero’ tipici della strategia di inazione di Tremonti.

Gli interventi annunciati sulla materia ‘lavoro’ sono stati anticipati da una dichiarazione che faceva ben sperare: “Abbiamo ben chiari i difetti del nostro mercato lavoro, il suo dualismo e i principi di flexicurity che dovrebbero ispirarne la riforma” […] ma pur essendo importante, essa non potrà entrare ora in agenda. Il riferimento alla flexicurity, o flexsecurity, è di buon auspicio poiché in questa etichetta sono compresi provvedimenti importanti per superare il precariato selvaggio e fornire una cornice di diritti – contratto unico, salario minimo e indennità di disoccupazione – a quei lavoratori esclusi dalle tutele. Viceversa, l’istituzione di questi due strumenti potrebbe significare la revisione profonda, se non l’abolizione, dell’istituto della cassa integrazione straordinaria, sostituita appunto dall’indennità di disoccupazione.

Fornero non fornisce sufficienti particolari per poter comprendere questo, ma la voce è stata veicolata stasera da un servizio del TgLa7. Quale sia la fonte, nessuno lo sa. Dice Fornero, “in questo particolare momento noi abbiamo l’agenda dettata dalla sopravvivenza dell’euro. Sono riforme che implicano dei sacrifici. I privilegi vanno eliminati, ma questo non risana i conti pubblici”. Sperando che la sopravvivenza dell’euro non passi attraverso il sacrificio di noi tutti.

Nichi Vendola? Politiche, non personalismi

Il moto di ribellione di Bersani, ieri ad Annozero, contro il fuoco di fila di Travaglio e Santoro, non può che far pensare alla prosecuzione della stagione della titubanza che tiene il PD in letargo da anni. Il dichiarazionismo di cui è malato il partito non può essere curato dallo scatto d’orgoglio del segretario. Non solo. Sebbene l’impeto mostrato possa lasciar presagire un diverso approccio, ci si muove ancora sulla vecchia prospettiva – malata – dei conteggi di percentuali e delle ampie alleanze. Lo dimostrano le strane manovre che si stanno compiendo a ‘sinistra’, laddove, dalle ceneri della costellazione post-comunista e neo-comunista, risorge la bandiera rossa, ma nella forma berlusconniana del personalismo.
Chi è costui? Nichi Vendola, obviously. Si parla apertamente di ‘Operazione Nichi’. Di un progetto politico di sinistra in ottica 2012 (e se si trattasse di elezioni anticipate?). Protagonisti insieme al governatore della Puglia, neo-eletto, Luigi De Magistris, in ovvia migrazione da IDV, Ignazio Marino e – udite, udite – Michele Santoro. Lo rivela La Stampa, stamane (Scatta l’operazione Nichi Vendola – LASTAMPA.it), ma forse è fantapolitica.
Certo, la ricostruzione della sinistra radicale, dopo l’ammucchiata dell’Unione e la conseguente ‘scossa veltroniana’, era al primo posto nel costruzione idealtipica delle alleanze PD secondo la mozione Bersani. Eppure non mancano le scaramucce: secondo Enrico Letta, numero due del partito, “il Pd deve essere più coraggioso e fare un salto di qualità nel rapporto col paese, perchè la sua centralità rischia di essere insidiata da soggetti esterni al bipolarismo, da movimenti estemporanei ma organizzati da nuovi (o presunti tali) astri nascenti della politica italiana”. Vanno bene gli astri nascenti, purché non minaccino la centralità del partito nel disegno bersaniano di nuovo ulivismo che concilii Vendola e UDC inserito in un patto repubblicano esteso a Fini.
Ignazio Marino si è invece già smarcato da tempo: “il Partito Democratico parli di temi e faccia proposte concrete. Questo vuol dire essere alternativa di governo, non si perda tempo ed energie commentando Silvio Berlusconi […] Io lavoro per un PD che sappia offrire una visione concreta all’Italia nei temi importanti per le persone: crisi economica, lavoro, innovazione e sviluppo, sanità e scuola pubblica, diritti civili”. L’Area Marino già da tempo premeva per aprire un dibattito serio sulle politiche del PD. Su questo blog abbiamo parlato dell’iniziativa di Civati, ‘Andare Oltre’. Bersani ne ha copiato la parte relativa alle cosiddette ‘best practices’ delle pubbliche amministrazioni governate dal PD:

  • In Buone Mani, questo il nome dell’iniziativa e del sito, servirà a raccogliere e diffondere “le buone pratiche di governo locale nelle amministrazioni del centrosinistra”. Una vera e propria banca dati aperta al contributo diretto degli utenti e dei cittadini
  • L’idea è quella di innestare pian piano un progetto di “formazione continua”, per cui le buone legge e le buone prassi vengano diffuse e alimentate, anche attraverso woorkshop e laboratori territoriali su specifici temi. Un’idea semplice ed efficace che negli scorsi fu sperimentata anche dal Psoe spagnolo, come spiegava anche il Post, con l’obiettivo di “condividere le informazioni all’interno del maggior partito di opposizione e rinnovare il suo progetto politico spesso impigrito”
  • creare anche una sorta di condivisione delle modalità e della cultura che muove il partito (Il Pd e le idee dai territori. In buone mani | Cambia l’Italia).

Politiche, quindi. Non personalismi. Il PD non ne ha bisogno. Poiché pullula di personalismi, che vagano per le stanze vuote del palazzo recitando ognuno la propria litania. L’alleanza prossima ventura, quella per le politche 2012, sia costruita sulla quarta gamba del tavolo, quella che ora manca, la sinistra, ma bisogna ripartire dalle fondamenta. Il primo pilastro deve essere il lavoro. Poiché se di similitudini dobbiamo parlare, allora l’Italia non somiglia solo alla Grecia in fatto di corruzione, di divisioni nel sistema politico, di clientelismo e di disfacimento del tessuto economico, ma anche – e soprendentemente – alla Spagna. La Spagna di Zapatero, l’icona della sinistra radicale, oggi al gancio, declassata da S&P e gravata da una disoccupazione a doppia cifra. La crisi, in Spagna, viene scaricata- indovinate? – sui precari, sui giovani precari. I contratti a termine sono stati il piedistallo su cui si è costruito il miracolo economico spagnolo, soprattutto nel settore edile. Hanno toccato cifre del 30% del totale della forza lavoro. Che ora sono espulsi dal mercato. Un vero dramma sociale. Giovani e meno giovani lavoratori scaricati dalle proprie aziende da un giorno all’altro. E così si scopre che anche in Spagna esiste il dualismo del mercato del lavoro. Che i sindacati difendono i diritti degli insiders, mentre gli outsiders non hanno alcuna tutela. Ma le similitudini con l’Italia finiscono qui: la classe politica italiana è distratta da sé medesima, è incapace di guardare al mondo là fuori. E i giornali ne fanno il controcanto. In Spagna no. In Spagna il problema dei precari è una emergenza nazionale:

  • Un gruppo di economisti spagnoli ha redatto un documento con alcune proposte per ristrutturare il mercato del lavoro senza ingessarlo […] aumentando le protezioni per le fasce attualmente «scoperte» (con un «contratto unico» simile a quello proposto in Italia dagli economisti Boeri e Garibaldi), ma allo stesso tempo rendendo le condizioni di licenziamento meno proibitive e le contrattazioni collettive più flessibili. Una proposta che ha raccolto oltre cento adesioni tra economisti di tutta la penisola iberica (viene infatti chiamato «la proposta dei cento») e che vede un forte sponsor nella Banca di Spagna e nel Fondo Monetario Internazionale (La Spagna sta meglio o peggio di noi? – LASTAMPA.it).

Qui da noi sono più importanti le diatribe interne al PdL, lo ‘strappo’ di Fini, la suocera di Fini, la testa di Bocchino o la moglie di Bocchino, l’emendamento D’Addario, l’emergenza intercettazioni e l’Operazione Nichi Vendola. E allora il sussulto sulla poltrona di Bersani di ieri sera è anche il nostro. Un sussulto dovuto allo sconcerto nel vedere una classe politica che, tra lazzi e sollazzi, balla l’ultimo valzer sul ponte del Titanic.

Una svolta per il PD: andare oltre, verso il lavoro e il contratto unico di inserimento

Ieri si è svolta la riunione della Direzione del PD: Bersani ha parlato di "vergogna" per una "generazione buttata al macero in termini di prospettiva e di diritti". Parlava di lavoro? Forse. Forse si riferiva al fatto che è necessario dotarsi di una proposta chiara in merito. Ha poi aggiunto: ci vuole una "politica industriale e degli investimenti", bisogna "dare lavoro". Non solo. Aggiungiamo da queste colonne: bisogna dare lavoro stabile. Bisogna ripartire dai diritti. E quindi il superamento del dualismo del mercato del lavoro è coessenziale alla vita stessa del PD. ‘Andare Oltre’, per usare ancora una volta le parole di Giuseppe Civati, significa in questo momento, per il dilemma lavoro, mettere insieme i pezzi di normative innovative che qua e là vengono presentate senza una effettiva armonizzazione. Se Bersani vuol davvero andare oltre alle beghe da bocciofila, se vuol davvero superare il guano delle correnti e dei cacicchi, dei prodiani e dei federalisti, dei franceschiniani e della fronda cattolica, bene, unifichi il partito intorno al dilemma lavoro, sintetizzi il tutto in una proposta che sia in grado di far fare al partito medesimo quello scarto verso il futuro che lui stesso auspica. Poiché i lavori già presentati da deputati e senatori e professori del PD sono tre (quattro, considerando il doppio DDL a firma Ichino e altri) e una sistematizzazione dei punti chiave si rende obbligatoria.
Eccoli esposti, attingendo a piene mani dal sito dello stesso prof. Ichino (vedi link sottostante):

DDL n. 1481/09 Ichino + 34 (sperimentazione flexsecurity) e DDL n. 1873/09 Ichino + 53, artt. 2119-2120 (nuovo Codice del lavoro)
PDL n. 2630/09 Madia Miglioli Gatti (C.U.I.F., Contratto Unico di Inserimento Formativo)
DDL n. 2000/10 Nerozzi (modellato sul progetto Boeri-Garibaldi)

Convergenze oramai acquisite:

– adozione della nozione di dipendenza economica come nuovo criterio di delimitazione del campo di applicazione della maggior parte della normativa protettiva in materia di lavoro […] l’idea di far leva su questa nozione per il superamento del dualismo del mercato del lavoro italiano è stata fatta propria dalla Cgil nel suo congresso nazionale del 2006 (Rimini);

– necessità che l’istituzione del nuovo tipo legale di contratto di lavoro si accompagni all’assorbimento in esso di tutte le forme di lavoro atipico oggi utilizzate dalle imprese per ridurre la stabilità del rapporto nella fase di ingresso e a un ritorno alla limitazione del contatto a termine a una casistica ben determinata.

Differenze sostanziali:

due innovazioni, presenti soltanto nel primo e non nei secondi:

severance cost (progetto Blanchard-Tirole 2004): sostituzione del filtro del controllo giudiziale sul motivo dei licenziamenti economico-organizzativi con il filtro costituito dal costo dei licenziamenti stessi volto a responsabilizzare le imprese circa la sorte dei propri ex-dipendenti nel mercato del lavoro;

– istituzione di un trattamento di disoccupazione universale, applicabile a tutti i nuovi rapporti di lavoro caratterizzati da dipendenza economica, fondato su due pilastri:
il trattamento-base a carico dell’Inps;
il trattamento complementare a carico dell’impresa (nel quadro del “contratto di ricollocazione” dovuto a chi perde il posto);
quest’ultimo costituisce un forte incentivo all’attivazione di buoni servizi di assistenza al lavoratore licenziato nel mercato (outplacement, riqualificazione professionale mirata agli sbocchi occupazionali effettivamente possibili, ecc.), poiché più presto il lavoratore viene ricollocato, minore è il costo del trattamento complementare per l’impresa.

– libertà del primo contratto a termine tra le stesse due parti, estendendo ad esso l’indennità finale di mancata conversione in contratto a tempo indeterminato, allo scopo di allineare perfettamente il costo di questa forma di ingresso nel tessuto produttivo rispetto al costo del lavoro ordinario a tempo indeterminato
(http://www.pietroichino.it/?p=6989).

Possibilità di sintesi dei progetti? Una ipotesi: implementazione fra la disciplina Ichino in fatto di licenziamento economico (che prevede sì la deroga complessiva all’art. 18, ma introduce il trattamento complementare di disoccupazione, un costo nuovo per l’impresa, che dura finché il lavoratore non viene ricollocato), con limitazione nel tempo, e disciplina Madia/Nerozzi in fatto di licenziamento disciplinare, ovvero mantenimento dell’articolo 18 senza introdurre pericolosi ambiti di discrezionalità per il giudice. Una valutazione dei benefici ricadenti sulle opportunità di ricollocazione del lavoratore connessi all’introduzione del trattamento complementare a carico dell’impresa è assolutamente necessaria: ovvero, sarebbe opportuno rispondere alle seguenti domande: "fino a quanto l’impresa è interessata a ricollocare il lavoratore?", "lo farebbe in caso di passaggio a soggetti concorrenti?", e poi "quali strumenti formativi dovrebbe poter impiegare e chi è il soggetto che ha la responsabilità di organizzarli?".
I severance cost possono avere soli benefici per il lavoratore? Quindi una fase di sperimentazione potrebbe essere utile per comprendere meglio i ruoli in gioco e la loro effettività.
L’outplacement deve necessariamente diventare una attività dell’impresa, che diventa soggetto sostitutivo in materia di collocamento nel mondo del lavoro. L’impresa diventa responsabile del destino del proprio ex-lavoratore, ma al tempo stesso, la leva dei costi del licenziamento non può cancellare del tutto il diritto del lavoratore (art. 18), semmai lo può sostituire per un periodo limitato di tempo (non superiore ai 5 anni). Al medesimo momento, la necessità condivisa da tutti e tre i progetti di ridurre le forme contrattuali atipiche ad una sola non può cancellare la forma contrattuale a tempo determinato, la quale dovrà subire un restringimento di ambito di applicazione e un aggravio di costi affinché risulti allineata alla forma a tempo indeterminato.

Per riassumere:
Disciplina del licenziamento economico

  • Ichino n. 1: Indennità di licenz. (1 mese per anno anz.) + tratt. complementare di disoccupazione a carico dell’impresa
  • Ichino n. 2: Indennità di licenz. (1 mese per anno anz.) + tratt. complementare di disoccupazione a carico dell’impresa
  • Madia: la prima fase (<3a.) è contratto a termine, con libertà di scelta delle parti circa la convers. in rapporto regolare; poi art. 18 S.L.
  • Nerozzi: Indennità di licenz. pari a 5 gg. per mese di anzianità, fino al limite massimo dei 3 anni; poi art. 18 S.L.

Disciplina del licenziamento disciplinare

  • Ichino n. 1: Controllo giudiziale pieno, con risarcimento e/o reintegrazione a discrezione del giudice – DEROGA all’art. 18
  • Ichino n. 2: Controllo giudiziale pieno, con risarcimento e/o reintegrazione a discrezione del giudice – DEROGA all’art. 18
  • Madia: Controllo giudiziale pieno, con risarcimento e reintegrazione secondo art. 18 S.L.
  • Nerozzi: Controllo giudiziale pieno, con risarcimento e reintegrazione secondo art. 18 S.L.

Trattamento di disoccupazione al termine (base attuale + tratt. complementare a carico impresa)

  • Ichino n. 1: Primo anno 90% con tetto 36.000 euro, poi decresc. per altri 3 anni: 80%, 70%, 60%
  • Ichino n. 2: Primo anno 90% con tetto 36.000 euro, poi decresc. per altri 2 anni: 80% e 70%
  • Madia: Accesso al trattamento di disoccupazione oggi vigente (non è previsto tratt. complementare)
  • Nerozzi: Accesso al trattamento di disoccupazione oggi vigente (non è previsto tratt. complementare)

Quale Contratto Unico contro la precarietà: critica al DDL Nerozzi-Marini e ipotesi per una terza via

Per ‘rirprenderci la politica’ il passaggio obbligato è il confronto con la realtà. E la precarietà del mondo del lavoro è realtà. Perciò, se la realtà dà fastidio, se non si hanno risposte per le domande che inevitabilmente pone, allora si occupano le colonne di giornali perdendosi in discussioni sulla forma del Partito Democratico. Sì, è una critica a Prodi e pure a Chiamparino, che discutono amabilmente, da finissimi teorici del nulla, di partito federale piuttosto che centralizzato, dimenticandosi che il PD è andato a Congresso solo lo scorso Ottobre e le primarie le ha vinte una certa corrente che ha una certa idea, dichiarata, di partito.

Stop. Non c’è altro da aggiungere. E soprattutto, non c’è altro tempo da perdere. Vadano alla bocciofila: alla loro età è rimasto quello.

Perciò qui si parla di precarietà e di lavoro. Di superamento della precarietà come della regola, di relegare la precarietà nell’ambito dell’eccezione. E allora ci sovviene in aiuto il lavoro di Davide Imola, esperto di Mercato del Lavoro e responsabile Professioni CGIL, socio fondatore di “Associazione 20 Maggio – Per una flessibilità sicura”, del Forum per il Lavoro del PD, autore di una analisi della proposta Nerozzi-Marini comparata con i precedenti lavori, la ‘bozza Ichino’ e il progetto di legge riferibile al professor Boeri. Il lavoro che qui si ripropone – è disponibile in diversi documenti sul web – è assolutamente copyleft, anzi, se ne fa un punto di partenza per cominciare a discutere di precarietà, riportando all’attenzione che merita, alla ribalta nazionale, se possibile togliendo la scena alle inutili discussioni del ‘se prender parte’ alla mattanza costituzionale voluta dalla maggioranza. Si può scegliere e cliccare sull’immagine in apertura post oppure no. Ma la scelta è una scelta di campo: o stai dalla parte del vero o dalla parte del nulla. Decidi tu, lettore.

Per Imola, il DDL Nerozzi, così come la bozza Ichino, non “affronta realmente il tema della precarietà e del superamento condiviso e riformista di uno dei grandi problemi della nostra società”. Entrambi i progetti di legge “si nascondono dietro alla precarietà per affrontare il tema della flessibilità” esclusivamente “in uscita”. Si deve invece “considerare sia il punto di vista dei costi delle imprese che hanno usato le forme di lavoro precario per uscire dal costo delle tutele e dei diritti finendo per danneggiare milioni di famiglie e la competitività del nostro paese, sia quello dei lavoratori oramai non solo giovani e per di più con competenze intellettuali ad alta scolarità ma trattati con meno tutele delle donne delle pulizie e dei manovali edili”. E le riforme andrebbero comunque fatte con il sostegno più ampio e la più alta condivibilità possibile. Anche il testo Boeri sarebbe ispirato ai principi della flexsecurity, ma trattando apertamente della flex, dimentica di introdurre elementi concreti di security. Insufficiente sarebbe infatti l’apporto normativo in termini di flessibilità in uscita per i lavoratori, in fatto di percorsi di ricollocazione al lavoro, formazione ed estensione degli ammortizzatori. Il nodo principale che non ha il coraggio di prendere in considerazione, come del resto tutta la politica, è la fuga dal ‘costo dei diritti’.

Il documento qui pubblicato è auspicabile che serva a riaprire il dibattito. Cervelli Fertili, ora al lavoro per cambiare ciò che non va.

sperto di Mercato del Lavoro e responsabile Professioni CGIL

Contratto Unico, flexsecurity e metodo del layering.

Quello che segue è un estratto della bozza Ichino, il documento – parte del programma di Ignazio Marino – ispirato alla disciplina del lavoro danese, che propone una riforma della contrattazione collettiva introducendo tre nuovi elementi:
il contratto unico a tempo indeterminato per tutti – o quasi (eccezioni: i lavoratori stagionali);
il concetto di flexsecurity, vale a dire non solo garanzia di reddito per il lavoratore licenziato ma anche un contratto di ricollocazione;
il metodo del layering: la riforma non verrebbe introdotta con un improvviso e repentino cambio, con effetti anche sui contratti in essere, ma sarebbe lasciata alla decisione derivata dalla contrattazione collettiva con effetto ai  nuovi rapporti di lavoro.

Parole chiave: CONTRATTO UNICO – FLEXSECURITY – LAYERING.

In tal modo i lavoratori cosiddetti "insiders" non avrebbero nulla da perdere, e pertanto non costituirebbero ostacolo alla riforma, e i nuovi lavoratori ("outsiders", non protetti da msiure di welfare) otterrebbero le garanzie della nuova disciplina pur in un contesto di maggior flessibilità. La riforma produrrebbe il supermento del cosiddetto "dualismo" del mercato del lavoro, la divisione e l’opposizione fra lavoratori insiders e lavoratori outsiders.

  • tags: no_tag

    • UN NUOVO DIRITTO DEL LAVORO PER LE NUOVE GENERAZIONI: TUTTI (O QUASI) A TEMPO INDETERMINATO, MA NESSUNO INAMOVIBILE; SICUREZZA E SERVIZI EFFICIENTI PER TUTTI NEL MERCATO DEL LAVORO
    • Disposizioni per il superamento del dualismo del mercato del lavoro, la promozione del lavoro stabile in strutture produttive flessibili e la garanzia di pari opportunità nel lavoro per le nuove generazioni
    • Il disegno di legge qui illustrato si propone di rispondere a questa esigenza vitale. Ma si propone di farlo adottando una strategia di riforma e una tecnica normativa in parte nuove nel panorama delle politiche del lavoro sperimentate nel nostro Paese:
         ‑ non con un improvviso – e improbabile ‑ mutamento drastico della disciplina del mercato del lavoro e dei servizi in esso disponibili, bensì innescando un processo di superamento graduale del vecchio regime, secondo il metodo che proprio per questo tipo di riforma è stato proposto quindici anni or sono da un autorevole economista (G. SAINT PAUL, On the Political Economy of Labor Market Flexibility, intervento alla NBER Macroeconomic Annual, 1993, Cambridge Mass., Mit Press, 1993) e che nel linguaggio dei politologi è indicato con il termine layering: istituire un nuovo ordinamento applicabile soltanto alle fattispecie – in questo caso: i rapporti di lavoro – che vengono a esistenza da un dato momento in poi
    • nuovo regime, quello ispirato ai migliori modelli della flexsecurity nord-europea, rispetto al nostro vecchio regime di protezione; ma su di una superiorità che non viene presunta a priori, bensì assoggettata alla verifica della negoziazione tra le parti e della sperimentazione concreta
    • puntando, dunque, non sull’imposizione autoritativa, ma sull’accordo spontaneo tra le parti interessate, auspicabilmente destinato – se la scommessa verrà vinta – a estendersi a macchia d’olio dopo le prime esperienze positive
    • puntando non, come sempre in passato, sull’impegno di risorse pubbliche, ma sulla capacità del sistema di relazioni industriali di attivare autonomamente, e senza oneri per la collettività, un nuovo gioco a somma positiva nel quale i lavoratori stabili già in organico non hanno alcunché da perdere, mentre i new entrants e le imprese hanno molto da guadagnare
    • Uno standard universale di protezione della continuità del lavoro e del reddito, a stabilità crescente
    • Il progetto cui il disegno di legge si ispira rientra fra quelli comunemente indicati con l’espressione “contratto di lavoro unico a stabilità crescente”, dei quali l’ultimo è quello proposto da Marco Leonardi e Massimo Pallini (Contratto unico contro la precarietà, nel sito web NelMerito.com, 19 febbraio 2008)
    • Tra questi progetti, il più noto, oggi, è quello proposto dagli economisti Tito Boeri e Pietro Garibaldi in un libro pubblicato recentemente (Un nuovo contratto per tutti. Per avere più lavoro, salari più alti e meno discriminazione, Milano, Chiarelettere, 2008)
    • il progetto qui delineato – pur ispirato allo stesso intendimento di fondo – si differenzia per i quattro aspetti seguenti: i) il progetto di Boeri e Garibaldi prevede soltanto una flessibilizzazione del rapporto di lavoro subordinato tradizionale nel suo triennio iniziale, ma non incide sulla disciplina delle vecchie forme di lavoro precario: in particolare del contratto a termine e delle collaborazioni autonome continuative;
    • ii) la flessibilizzazione prevista da Boeri e Garibaldi riguarda soltanto i primi tre anni del rapporto di lavoro, mentre in questo progetto essa si estende ai primi venti;
    • iii) il progetto di Boeri e Garibaldi non collega immediatamente la riforma della disciplina del licenziamento all’attivazione di nuovi ammortizzatori sociali e servizi di riqualificazione;
    • iv) la tecnica proposta da Boeri e Garibaldi adotta anch’essa il metodo del layering, ma per il resto ricalca ancora quella dell’intrervento legislativo tradizionale, che modifica immediatamente e autoritativamente la disciplina di tutti i rapporti di lavoro, mentre il progetto qui presentato condiziona il mutamento della disciplina inderogabile a un’opzione compiuta in sede di autonomia collettiva e a un impegno operativo e finanziario delle imprese coinvolte, sul terreno degli ammortizzatori e dei servizi.
    • Il “contratto di transizione” – Istituto cardine della riforma qui proposta è dunque il contratto collettivo
    • Il “contratto di ricollocazione al lavoro” e il suo costo per le imprese – Secondo istituto cardine della riforma è il contratto che, nel nuovo regime introdotto dal “contratto di transizione”, deve essere offerto al lavoratore dipendente dall’agenzia (quale che ne sia la forma) preposta alla fornitura dell’assistenza necessaria nei processi di aggiustamento industriale (articolo 3).
    • Il trattamento di disoccupazione (dovuto in caso di licenziamento al lavoratore con più di un anno di anzianità di servizio), ispirato, per quel che riguarda la determinazione degli importi, all’esperienza danese

Posted from Diigo. The rest of my favorite links are here.