Bugie, Pietro Ichino e l’Agenda Monti

C’è qualcosa che non torna nella spiegazione data dallo stesso Pietro Ichino sulla strana origine del file pdf dell’Agenda Monti divulgato in prima istanza dal Corriere della Sera. Ichino scrive quanto segue:

IL GIALLO DEL PDF DELL’AGENDA MONTI RECANTE IL MIO NOME
I frequentatori di questo sito sanno bene che Enrico Morando e io, nell’ambito di un’iniziativa politica intitolata L’agenda Monti al centro della prossima legislatura, abbiamo presentato questo memorandum a un’assemblea pubblica che si è svolta a Roma il 29 settembre scorso. Che Mario Monti  stesso abbia attinto, nel capitolo “lavoro”, alcune parti di quel memorandum, lo ha detto lui stesso pubblicamente e risulta anche dalle coincidenze testuali. Che infine, all’origine, il suo staff possa avere scaricato il documento dal mio sito, non sembra possa considerarsi materia per un “giallo” (www.pietroichino.it).

A parte il fatto che è ampiamente legittimo cambiare partito, proprio ora che si è in vista di elezioni, e di esprimere disappunto su una linea politica – che peraltro ha ricevuto il consenso di qualche milione di elettori in primarie aperte, non credo quindi che un uomo come Ichino debba porre delle scuse se ha contribuito a scrivere il programma di un presunto avversario politico. Ma trovo proprio di cattivo gusto nascondersi dietro spiegazioni raffazzonate e che non stanno in piedi, digitalmente parlando. Ichino abbia il coraggio delle proprie scelte.

In ogni caso, qui si parla di un pdf che recava la sua firma digitale, come ampiamente dimostrato altrove. Deve essere chiarite però un paio di faccende tecniche:

  1. esistono due versioni di file Agenda-Monti: una recante la “firma” di Ichino, l’altra di un certo “Nevio”; i due file differiscono fra di loro per dimensione del carattere, elemento che si può modificare non sul pdf ma sulla matrice che potrebbe essere un banalissimo file Office Word;
  2. il file a firma Ichno è stato creato su piattaforma Windows attraverso Acrobat Distiller; i più smanettoni sanno che si tratta dell’applicazione di Adobe che permette di trasformare un qualunque documento di Office in un file pdf. Quando Acrobat crea il file, riprende il nome dell’autore impostato in fase di installazione del medesimo software; il file “Nevio” su Mac Os X;
    copia_ichino

    Pagina autore del file “Ichino”

    ichino_nevio

    Pagina autore del file “Nevio”

  3. il memorandum di Ichino-Morando è pubblicato sul medesimo sito del professore; esso è incluso all’interno di una pagina web (html), quindi il semplice copia e incolla non implica che  siano state copiate anche le informazioni relative all’autore contenute nel documento Office che il prof. Ichino non ha mai pubblicato;
  4. non ho trovato documenti Word o pdf disponibili in download sul sito del giuslavorista, che evidentemente preferisce pubblicare tutto in html; l’unico pdf a cui si fa riferimento è quello dell’Agenda Monti.

Detto ciò, pare evidente che quel file messo online dal Corriere è stato creato circa un’ora dopo la versione “Nevio”, che è poi la versione pubblicata sul sito ufficiale dell’Agenda Monti. Ed è stato modificato nella sua forma (carattere più piccolo). E’ ipotizzabile che Ichino sia venuto in possesso di una copia dell’Agenda Monti, che l’abbia letta e magari anche suggerita, in qualche sua parte, come peraltro dichiarato. Poi ne ha stampato una copia in pdf e l’ha inviata al Corriere.

Ne consegue che Ichino è parte attiva al progetto “Agenda-Monti” e già da qualche tempo. Mentre lo strappo con il PD si è consumato soltanto ieri.

L’Agenda Monti l’ha scritta Pietro Ichino? Epic Troll del Corriere

Tutto nasce da questo tweet:

Paolo Ferrandi ha scaricato il file pdf divulgato da Il Corriere della Sera, ha cliccato su File->Proprietà ed è venuta fuori una finestra simile a quella che segue:

pietroichino_ghostLa questione è stata ripresa da Claudia Vago (@tigella) e pubblicata anche su Facebook. Tigella ha verificato sia il pdf del Corriere che quelli divulgati dalle altre testate e li ha raccolti in questa cartella pubblica:

Agenda Monti su dropbox.com

Nelle altre versioni, e dico in tutte le altre, l’autore è un certo Nevio. Ragion per cui il sospetto che si tratti di una storica trollata del Corriere.it si fa sempre più chiara:

Tigella afferma che ciò non esclude che il file sia stato preparato da Ichino e poi concluso da qualcun altro.

Ilva di Taranto: è falso che il GIP abbia imposto la chiusura

E’ semplicemente falso che il GIP Patrizia Todisco abbia imposto la chiusura degli impianti a caldo dell’Ilva di Taranto. Lo dice Affaritaliani.libero.it pubblicando le quattro pagine dell’ordinanza datata 10/08/2012.

In sostanza, il GIP Todisco ha confermato quanto stabilito dalla sentenza del Tribunale del Riesame del 25/07/2012, vale a dire che il sequestro preventivo è, e non può che essere, una misura funzionale alla tutela delle esigenze preventivo-cautelari indicate dalla legge (art. 321, c. 1, C.P.). Il GIP si limita a rinnovare il sollecito del Tribunale dei Riesame rivolto ai custodi ed amministratori di adottare tutte le misure tecniche necessarie a scongiurare il protrarsi delle situazioni di pericolo e ad eliminare le stesse.

Come si spiegano questi titoloni?

Ilva Taranto: gip, stop a produzione Impianti in funzione ma per ‎ AGI – Agenzia Giornalistica Italia

Ilva, arriva lo stop alla produzione Ordinanza a sorpresa del gip Corriere della Sera – 11 ago 2012

Ilva, gip: non prevista alcuna facoltà d’uso. L’azienda impugna il ‎ Adnkronos/IGN

Ilva, l’ordinanza del Gip: risanare gli impianti ma stop alla ‎ Il Sole 24 Ore

Grillo, Forza Nuova e il trollismo del Corriere

Le pagine di pessimo giornalismo online si arricchiscono oggi di una nuova pagina, grazie al Corriere della Sera e alla penna – anzi, tastiera – di Benedetta Argentieri. Tutti sanno il potere del blog di Grillo di aggregare intorno a sé un variegata platea di lettori e di sostenitori. Come ci ricorda la giornalista, è tra i “cento blog più influenti del mondo”. Da un anno circa, la Casaleggio ha creato un aggregatore di notizie che si chiama ‘tze tze’. Una colonna degli articoli maggiormente in evidenza su tze tze compare sulla destra della home page del blog di Beppe Grillo. Di fatto, potremmo scrivere un articolo che sostiene il ritorno del comunismo, ottenere un certo numero di visualizzazioni su tze tze e, come per magia, finire in home page su uno dei blog “più influenti del mondo”.

Non è un miracolo e non dovrebbe essere uno scandalo. E’ la perversione di un sistema che non valuta in nessun modo la qualità del contenuto, ma fa solo riferimento alla link popularity, o alla web audience che quel contenuto è in grado di convogliare. Il problema è se questo fatto sia o meno degno di diventare una notizia del Corriere.it: una notizia da home page del Corriere.it, che è pur sempre il portale web del “prestigiosissimo” quotidiano di Via Solferino.

L’autrice dell’articolo impiega tutte le armi della disinformazione maliziosa, quella che produce visualizzazioni “a manetta” sull’onda dell’indignazione: fa cioè finta di confondere un badge o widget di un aggregatore di notizie con un banner (che di solito è a pagamento); parla di spot, comparando quel trafiletto a uno strumento pubblicitario televisivo; e sulla base di queste assunzioni, costruisce una affinità fra Grillo e Forza Nuova, riesumando una dichiarazione di Roberto Fiore («Abbiamo idee simili anche sull’immigrazione»), che è vecchia di qualche mese. Gli è bastato fare un copia-incolla.

GRILLO E L’ESTREMA DESTRA– Il «banner» con il programma del partito è proprio sotto la promozione del libro di Grillo, una sorta di manifesto del movimento che sta sparigliando le carte della politica italiana. Roberto Fiore, da diverso tempo, strizza l’occhio a Grillo. «Abbiamo idee simili anche sull’immigrazione», cioè si vuole negare la cittadinanza italiana ai figli di immigrati. Oppure: «Grillo non si è mischiato con il potere». Il comico genovese, insomma, piace all’estrema destra. Anche ai «fascisti del terzo millennio», alias Casa Pound. Il Movimento 5 Stelle più volte aveva preso le distanze. «Forza nuova? Una realtà aliena all’impronta democratica del movimento». SUL WEB– Sarà quindi stata una svista? È vero che la pagina a cui rimanda la locandina di Forza Nuova, è gestita da «tze tze», una sorta di aggregatore di notizie che le sceglie in automatico, gestito da Casaleggio e Associati. La redazione del blog dovrebbe controllare anche i contenuti da fonti esterne. Intanto il programma della manifestazione di Forza Nuova a Bari si può leggere sul blog più visitato d’Italia, cioè quello di Grillo (Benedetta Argentieri, corriere.it).

Questo modo di fare giornalismo sul web è molto prossimo al trollismo. Si vuol solo generare traffico su una determinata pagina, con lo scopo non secondario di schizzare di fango la già non limpidissima immagine dell’ex comico, fondatore del M5S, accreditato oggi del 22% dei voti nei sondaggi, quindi a un soffio dalla maggioranza relativa (e virtuale). Non importa che le affermazioni divulgate siano vere o verosimili, l’importante è bruciare il carburante poco nobile dell’indignazione via web. Qualcosa di simile era già successo due giorni fa, quando un blog ha rilanciato la notizia falsa de L’Espresso sugli sprechi di  Favia, consigliere regionale dell’Emilia-Romagna del M5S. Quel post è rimasto a lungo fra i più letti dell’intera piattaforma WordPress in Italia. Ma non si è preoccupato di verificare alcunché di quello che ha riportato. Non è questo il netizen che abbiamo in mente.

La disinformazione corre sulle Auto Blu

Di questa vicenda dell’acquisto di auto da parte della Consip, una società del Ministero dell’Economia e Finanze che si occupa fra l’altro del Programma per la razionalizzazione degli acquisti nella P.A., resterà solo che il governo Monti ha acquistato 400 nuove auto blu. Sarà un caso, ma in questo periodo di forte discredito vissuto dal sistema partitico, alcuni giornali, fra cui l’Espresso ed a ruota Il Giornale e Libero, sparano titoloni a cinque colonne sulle Auto Blu di Monti.

Peccato che non si tratti di auto blu, nemmeno di auto vere e proprie. Il bando di gara lanciato dalla Consip prevede la stipula di una convenzione, ovvero di un accordo all’acquisto opzionale, nella fattispecie di auto e servizi. E’ tutto scritto e in chiaro. Tanto più che la vicenda era stata sollevata da una interrogazione parlamentare a firma di Antonio Di Pietro, a cui il viceministro Grilli ha fornito una risposta schiettamente tecnica nella seduta della Camera del giorno 11 Aprile 2012. Da allora sono passati quindici giorni senza che alcun giornale scrivesse una sola riga sulla vicenda. Ieri, come ci ricorda il Corriere della Sera, gli articoli online de Il Giornale e L’Espresso hanno innescato l’ennesima “rivolta del web”.

Nelle ultime ore è arrivata la risposta direttamente dal Presidente del Consiglio nella sua veste di Ministro dell’Economia:

Il Governo non acquisterà nuove “auto blu” nel 2012 e auspica, per le amministrazioni territoriali, l’adozione di un’analoga impostazione. Il bando di gara della Consip non determina automaticamente l’acquisto di nuove autovetture. Con l’aggiudicazione delle convenzioni, Consip stipula soltanto un accordo quadro che può essere utilizzato dalle pubbliche amministrazioni per soddisfare le necessità di spostamento sul territorio. Il bando è pensato soprattutto per le esigenze delle Forze dell’Ordine e di quelle che svolgono servizi di utilità sociale che, più di altre, hanno bisogno di mezzi operativi. Attualmente, infatti, il 61% del parco auto ha tra i 5 e oltre 10 anni. Gli elevati e continui costi di manutenzione rendono l’utilizzo di queste vetture, oltre che inquinante per l’ambiente, particolarmente diseconomico (governo.it).

Non pensate che ci sia una incongruenza di fondo nel protestare – imbeccati da Nicola Porro e Belpietro! – contro l’acquisizione di auto da parte della Pubblica Amministrazione, peraltro mediante bando di gara, auto che al massimo avranno una cilindrata di 1600, e indignarsi perché Polizia e Carabinieri devono pagarsi la benzina? Questo abbiamo fatto. Come soldatini ammaestrati, pigiamo il tasto del mouse e ci facciamo trascinare nella corrente del qualunquismo. Sappiate che avete fatto il gioco di quell’area politica che vuole perpetuare il ladrocinio del denaro pubblico attraverso i rimborsi elettorali. Queste auto nulla avranno a che vedere con le Maserati del Ministero della Difesa, sulle quali invece nessuna testata giornalistica di quelle citate poc’anzi (tranne l’Espresso) ha sprecato dell’inchiostro. Queste auto sono sicuramente più legittime dei diamanti di Belsito e “Family”. Sappiatelo.

Legge elettorale, Violante: il milione del referendum? Sono firme, non cittadini

 

Legge elettorale. Si aprono prospettive positive, dice Luciano Violante dalle colonne del Corriere della Sera. La spiegazione di questa affermazione è molto semplice: il PdL si sta convincendo a cedere sulla questione del premio di maggioranza, uno degli aspetti più deleteri del Porcellum. Non c’è da stupirsi che proprio ora il PdL voglia fare a meno del bonus aggiuntivo di seggi: se venisse meno l’alleanza con Bossi, non sarebbe più in grado di vincere le elezioni e rischierebbe di essere confinato in una nicchia dell’opposizione, ridotto a comparsa in un parlamento prossimo venturo diviso sul duopolio PD-Udc. Anzi, sembra proprio che la tendenza sarà quella di una saldatura al centro fra due dei partiti sostenitori di Monti, con isolamento a destra di PdL e Lega divisi, in collera fra di loro e dentro di loro, e con isolamento a sinistra dei vendoliani e di Di Pietro. Eccolo il futuro. Si presenta con il volto mascherato di una nuova/vecchia Democrazia Cristiana.

La prospettiva deve proprio piacere a Violante, al punto da lanciarsi in una previsione: la Lega senza PdL non trarrà alcun beneficio dal Porcellum. Idem il PdL senza Lega non trarrà nessun beneficio dal Porcellum. Se ne deduce che, a meno di successive redenzioni del popolo leghista, essendo impraticabile il vecchio legame dei leghisti con i berlusconiani, i tempi per la revisione del Porcellum sono più che mai maturi. Strano, poiché solo una settimana fa tutto taceva, in attesa del giudizio della Consulta sui quesiti referendari.

E che dire, la formula proposta sarà quella del doppio turno di collegio, come afferma Violante? ” Se si volesse invece il sistema proporzionale”, dice Violante, “bisognerebbe correggerlo con due misure fondamentali” (Corsera, 16.01.12, p. 21). Quali? La soglia di sbarramento al 5% e una norma costituzionale sulla sfiducia costruttiva. Per quei partiti che si trovano sotto la soglia minima del 5% ma che superano il 3%, verrebbe assegnato loro un ‘diritto di tribuna’ pari a tre seggi ciascuno.

E il bipolarismo? E il maggioritario? E soprattutto quel milione e duecentomila firme? “Sono firme, non cittadini”. Firme. Non cittadini.

Superato lo sgomento dinanzi a una frase del genere, apprendiamo che Violante è pure contro al reintegro delle preferenze per adottare un sistema come quello ‘spagnolo’ (che funziona con restrizioni al numero di candidati per collegio – 2, 3 – e con collegi dalle dimensioni molto piccole) oppure con primarie per la scelta del candidato da proporre nel singolo collegio.

Il PdL non vorrebbe che venisse meno l’opportunità per gli elettori di scegliere il candidato premier. Cosa che di fatto non avviene nemmeno ora. Alfano ha le idee confuse dallo stereotipo berlusconiano della elezione diretta del premier. Il Porcellum non prevede esattamente questo. La vulgata dell’indicazione del premier nasce dall’incapacità della classe politica di riformare il sistema istituzionale. Questi politici non hanno mai avuto il coraggio di riformare davvero, e si sono accontentati di una parvenza di riforma come quella che si è prodotta con la modifica della legge elettorale del ’93.

E’ pur chiaro che senza una vera riforma dei regolamenti parlamentari, una qualsivoglia riforma elettorale avrebbe ben pochi effetti sui fenomeni del trasformismo e del micropartitismo. Nemmeno agevolerebbe la governabilità del paese e la stabilità dei governi. Dalle parole di Violante emerge che allo studio ci sarebbero delle modifiche dei regolamenti parlamentari. In particolare, l’ex magistrato del PD prevede:

  1. abolire alcune fasi inutili della fase legislativa, come la discussione generale;
  2. fissare l’obbligo delle Camere di discutere le leggi di iniziativa popolare entro 90 giorni;
  3. diritto del premier di chiedere il voto in una data fissa per taluni provvedimenti del governo;
  4. fissare un range dei senatori fra 200 e 250; dei deputati fra 400 e 450.

Sul Corsera danno per certo l’avvio di una riforma triplice: modifiche dei regolamenti parlamentari; riduzione del numero dei parlamentari; superamento del bicameralismo perfetto. Ancora non si sa come, ma – come sembra dire Gasparri (Corsera, 16.01.12, p. 21, “è un complesso di leggi che vanno fatte”) – queste riforme sono inderogabili. Viene chiaramente da ridere poiché tutto ciò sembrava impossibile fino alla scorsa settimana, e ora viene dato per imminente. Sarà la solita strategia usata più volte in passato affinché non cambi assolutamente nulla.

Referendum elettorale, le colossali sviste nell’editoriale di Panebianco

Ho letto l’editoriale di stamane di Panebianco sul Corriere, intitolato ‘Un Referendum, due tesi errate’. Pensavo di trovarci una analisi lucida di quanto si rischia mercoledì sui quesiti del referendum contro il Porcellum. Invece è un articolo deludente. Se non fosse che è realmente pubblicato sul Corsera a firma Panebianco, l’avrei creduto un fake, un tarocco. Invece.

Coloro che temono il referendum, e pertanto si augurano che la Corte dichiari la non ammissibilità del quesito, hanno messo in circolazione due argomenti di cui è facile constatare la fragilità.

Il primo è quello secondo cui, se la Corte si pronunciasse per l’ammissibilità e gli italiani votassero l’abrogazione della legge elettorale in vigore, ne verrebbe fuori un vuoto legislativo, ci troveremmo senza legge elettorale. È falso. Sarebbe come dire che se nel 1974 gli avversari del divorzio avessero vinto il referendum abrogativo, non avremmo più avuto un matrimonio regolato per legge, ci saremmo ritrovati nella Repubblica del libero amore. Naturalmente no (per fortuna o per sfortuna). Se fosse stata cancellata la legge istitutiva del divorzio ne sarebbe automaticamente seguito il ripristino della legge precedente. Punto e basta. E così accadrebbe anche se gli italiani scegliessero di abrogare l’attuale legge elettorale (G. Panebianco, Corriere della Sera del 08.01.12, prima pagina).

Analizziamo il teorema argomentativo di Panebianco:

  • ci sono dei nemici del referendum (è vero, lo sono praticamente tutti i partiti politici);
  • questi signori avrebbero messo in circolazione due argomenti che propendono per l’inammissibilità dei quesiti.

Il primo argomento: la vacatio legis. Dice Panebianco che questo è un argomento falso. La spiegazione? Cita l’esempio del referendum sul divorzio. Dice il celebre editorialista, se nel ’74 avesse vinto il sì ci saremmo ritrovati senzauna legge che regolasse il matrimonio. A me sembra che Panebianco non abbia studiato. Avesse letto almeno Wikipedia:

Il Referendum abrogativo del 1974, meglio conosciuto come Referendum sul divorzio, si svolse nei giorni 12 e 13 maggio 1974, quando gli italiani furono chiamati a decidere se abrogare o meno la legge 1 dicembre 1970, n. 898 – “Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio” (la cosiddetta legge Fortuna-Baslini, dal nome dei due promotori Loris Fortuna e Antonio Baslini), con la quale era stato introdotto in Italia l’istituto del divorzio (Wikpedia alla voce Referendum abrogativo sul divorzio).

Il referendum del ’74 abrogava la legge sul divorzio, quindi se avesse avuto effetto, avrebbe abrogato quella legge e non la parte di normativa che regola il matrimonio. Questa è una grossa svista. Grossissima. Poi c’è un altro aspetto. Panebianco vi dice che queste voci – voci! – sono state messe in giro dai nemici del referendum. In realtà il divieto di vacatio legis in materia elettorale è stato definito dalla medesima Corte Costituzionale, come più volte detto, nella sentenza n. 29 del 1987: un “organo, a composizione elettiva formalmente richiesta dalla Costituzione, non può essere privato, neppure temporaneamente, del complesso delle norme elettorali contenute nella propria legge di attuazione” (cit.).

Panebianco nemmeno ci prova a prendere in esame la questione della reviviscenza. Il bello di questo referendum è che abroga una legge (Porcellum) che abroga un’altra legge (Mattarellum). E’ possibile quindi che la precedente legge abrogata torni a rivivere, o a ‘ri-espandersi’? Panebianco gira a largo da un quesito così complesso che forse metterà in crisi la Consulta. Infatti neanche lo menziona. Ma in realtà un referendum abrogativo non ha la stessa portata di una norma di legge che abroga una legge vigente. Tutto ciò per una serie di ragioni, che sicuramente la Consulta prenderà in esame, fra cui:

  • Non è possibile nel referendum abrogativo individuare alcuna altra volontà se non quella di delimitare l’efficacia di una norma (il Porcellum);
  • Un quesito che voglia al tempo stesso abrogare il Porcellum e ripristinare il Mattarellum è a rischio di eterogeneità – ovvero l’elettore si troverebbe a esprimere, con un solo voto, due volontà, e già solo questo aspetto dovrebbe esasere considerato dalla Corte come invalidante;
  • Il Mattarellum non è ‘normativa di risulta’ (quel che resta dopo le abrogazioni referendarie) bensì è normativa abrogata;
  • E’ necessario un atto esplicito per la riqualificazione della normativa abrogata – per esempio, non è sufficiente per il legislatore ridare effettività ad una norma abrogando la successiva norma che la abroga, deve scrivere un articolo in cui specifica la propria volontà di rivalidare quanto precedentemente abrogato, facoltà negata in caso di referendum.

Non vi ho parlato del secondo argomento degli anti-referendari: la destabilizzazione del quadro politico. Concordo con Panebianco sul fatto che la Corte non invaliderà i due quesiti per una questione di opportunità politica. Lui la mette in termini economici – la durata di Monti la detta il mercato. Io vi dico che invece ciò che guiderà la Corte in questo giudizio è solo la volontà di mantenere l’armonia del quadro normativo costituzionale.

Detto ciò, come si fa a scrivere un articolo del genere?

Tutti i dubbi sull’ammissibilità dei referendum elettorali.

Dietro il golpe di Generali l’ombra di Montezemolo

Sono pochi i commentatori che si sono sbilanciati ad analizzare quanto accaduto ieri in Generali. Il pre-pensionamento di Geronzi, il capo-cricca, ha lasciato esterrefatti i più. A cominciare da Vittorio Feltri che, ieri sera a Otto e Mezzo su La7, era quasi interdetto e non sapeva che balbettare e ribalbettare alla domanda della Gruber. Geronzi giù da Generali equivale a dire Berlusconi giù dal Corriere della Sera. Da qualche mese si combatteva una guerra intestina all’interno del CdA, fra i consiglieri in quota Mediobanca – quindi Mediaset – e quelli orientati verso il cartello Fiat-Telecom-Tod’s-Benetton & Friends, oggi prevalente in Confindustria e malamente rappresentato dalla Marcegaglia, ovvero quel capitalismo radical chic che vuole cambiare le regole del paese a proprio piacimento ma che ha trovato in B. solo uno che si fa gli affaracci suoi. Si stava giocando una partita decisiva in Generali: se avesse prevalso Mediobanca, quindi il partito Mediaset, presto il governo avrebbe rimosso quella norma transitoria della legge Gasparri, quella che vieta ai proprietari di televisioni di possedere giornali. E via: con il controllo di Generali si può ben fare la guerra per il Corriere. Ma qualcosa è andato storto. Non si sa cosa. Mediobanca si è poi riallineata al parere prevalente nel CdA, ma non con il beneplacito di Mediaset (nella fattispecie rappresentata da Marina Berlusconi).

Nessuno o quasi ha osato dire che l’uscita di scena di Geronzi è una sconfitta per B. Si è detto che è solo una questione anagrafica: Geronzi è un anno più vecchio di Berlusconi. E’ un sintomo ma non è una previsione della imminente caduta del premier. In realtà, la caduta di Geronzi è il segno che il capitalismo italiano non è più con Berlusconi. Significa che si sono rotti gli indugi e che presto o tardi il partito Fiat si farà: presidente Montezemolo, collocazione centro-centro-destra, simbolo generico con richiamo alla Nazione. Lo diceva Massimo Cacciari: Fini, Casini e Rutelli sono leader compromessi con una stagione politica da superare. Il nuovo non può che promanare dalla élite di Confindustria. Scopo ultimo: cambiare le regole del mercato del lavoro. In primis, però, gli interessi personali:

Naturalmente ci sarà chi vedrà dietro la sfida di Della Valle un disegno più ampio che passa dalle intenzioni dell’amico e socio Luca di Montezemolo, sempre più tentato dall’avventura in politica, nel caso certamente con un profilo ostile al declinante status quo berlusconiano. Nel caso di discesa in campo, però, qualche conflitto d’interessi dovrà essere sciolto se è vero che Generali (nel cui consiglio Della Valle siede come indipendente) è tra gli azionisti di Ntv, la società per il trasporto ferroviario che si appresta a fare concorrenza nell’alta velocità alle Fs. Si spera che la scossa che arriva da Trieste non si limiti a sostituire nuovi conflitti di interesse ai vecchi (Europa).

Quella critica ad orologeria sulle primarie del PD

Come inizia il 2011 in casa PD? Esattamente come era finito: parlando di sé nell’eterna disputa sulle primarie. Oggi è andato in scena un attacco simultaneo allo strumento delle primarie come metodo di selezione della leadership sia dalle colonne de Il Corriere della Sera, sia da quelle insospettabili di La Repubblica.

Il Corriere affida la filippica all’illustre politilogo professor Giovanni Sartori, il quale è notoriamente critico verso il panorama partitico italiano, figurarsi con il PD. La sua posizione in merito alle primarie nonché a tutte le innovazioni della politica italiana in fatto di sistemi elettorali e selezione delle classi dirigenti è nota. Sartori considera le primarie una scopiazzatura all’italiana del modello americano, una operazione di maquillage che non tiene in alcun conto le peculiarità di quel sistema politico: forma di stato federale, forma di governo presidenziale con elezione semi-diretta del presidente, sistema partitico aperto. La nostra democrazia è tutt’altro: la forma di stato è unitaria, la forma di governo è parlamentare in cui il capo del governo è un primus inter pares e il sistema partitico è chiuso in forme associative organizzate gerarchicamente. Due antipodi. E allora le primarie applicate al Partito Democratico sono da un punto di vista squisitamente teorico “una buona idea”, poiché danno “voce e peso effettivo all’elettorato nella scelta dei candidati”, ma si possono identificare tre ordini di ragioni contrarie alla loro applicazione:

  1. le primarie estremizzano la scelta del candidato: “chi va a votare alle primarie è di solito più coinvolto nella politica, quindi più intenso, più appassionato dell’elettore medio […] in tal caso il candidato scelto alle primarie è un candidato sbagliato, un candidato perdente. Se, per esempio, Vendola vincesse alla primarie, la mia previsione è che per il PD sarebbe una catastrofe”;
  2. le primarie producono all’interno del partito un forte frazionismo: per vincere, “i pretendenti debbono avere una propria organizzazione elettorale interna. La prima volta, o per un paio di volte, le primarie possono essere salutari: immettono aria fresca, svecchiano un partito troppo ingessato e intorpidito. Ma poi la frammentazione in correnti […] diventa inevitabile”;
  3. i partiti con le primarie dovrebbero piacere agli elettori di partiti che non le hanno, ma in Italia accade il contrario: “agli elettori di Berlusconi delle primarie non importa un fico” (G. Sartori, Corriere della Sera, 03/01/2011, p. 1).

Viene da chiedersi come una mente razionale come quella di Sartori possa cimentarsi in asserzioni del genere senza la necessaria evidenza empirica (ne ha scritto dei libri, ora dovremmo pretendere da lui che applichi tali principi scientifici anche a un argomento così faceto come le primarie). In ogni caso,

  • il punto 1 è evidentemente frutto di una considerazione personale: se vincesse Vendola, la mia previsione – scrive Sartori –  è una catastrofe per il PD. Verrebbe da aggiungere: cavoli del PD. Se si cerca di valutare razionalmente la vantaggiosità dello strumento delle primarie ci si deve astenere dalle opinioni. Dove è scritto che le primarie protendono per il candidato peggiore? Se votano soltanto coloro che sono più coinvolti nella politica, forse è proprio per la sfiducia nella possibilità di poter incidere realmente nella formazione della leadership del partito/coalizione. Il PD non ha vinto le primarie in Puglia, a Firenze, a Milano perché semplicemente ha sbagliato candidato, o non ha avuto la forza per aggregare consenso intorno al proprio candidato, malattia endemica che il PD ha ereditato dal duo PDS-Margherita. Il PD non è credibile nella proposizione dei propri candidati all’elettorato. Vi siete chiesti perché? Forse è a causa della inamovibilità della sua stessa classe dirigente? Del fatto che rimane imperterrita al suo posto nonostante le sconfitte elettorali accumulate negli anni? Esattamente ciò per cui sono nate le primarie: ovvero promuovere la circolazione delle vecchie classi dirigenti e consentire la partecipazione dell’elettore-cittadino alla definizione di quelle nuove.
  • il punto 2 è confuso: se il problema sono le correnti, non si può certamente imputarne la causa alle primarie. Le correnti partitiche sono una specialità italiana che il resto del mondo ci invidia. Forse il professor Sartori ha dimenticato le correnti della Democrazia Cristiana. Esse non erano certamente create dalle primarie bensì dai personalismi, dalla politica di professione che ha creato dei veri baronati con tanto di bacino di clientela da foraggiare con qualche elemosina al momento della discussione di una leggina. Le primarie servono allo scopo di rendere incerte le posizioni cumulate in anni di esercizio della “professione”.
  • il punto 3 è ancora più incomprensibile, dal momento che il PD ha grossi problemi a piacere in primis al proprio elettorato; ha problemi addirittura a definire i confini del proprio bacino elettorale di riferimento. Questo non è causato dalle primarie, bensì dalla questione identitaria del PD, che si barcamena fra posizioni filo-centriste e posizioni tipicamente progressiste. Se poi agli elettori di Berlusconi non piacciono le primarie, tanto peggio per loro: non è sulla base di ciò che piace ad essi che il PD deve calibrare la sua iniziativa politica.

Smontato lo schema argomentativo di Sartori, resta da chiarire il senso del sondaggio pubblicato da La Repubblica:

La domanda che mi pongo e che vi pongo è questa: che senso ha la risposta delle “primarie sì, ma qualche volta“? Che senso ha fare un sondaggio del genere? Ve lo dico io: significa introdurre un’etichetta per far ridurre la risposta affermativa “sempre”; significa confondere le carte. D’altronde quel 35.1 di elettori del PD che vuole le primarie ma soltanto qualche volta non lo si può nemmeno ascrivere ai contrari. In secondo luogo, appare chiaro che gli elettori di SeL vogliono le primarie “sempre” ben più di quelli del PD, eppure essi non le hanno. Ciò contraddice Sartori: le primarie piacciono a chi non le ha. Dipende forse dall’elettorato a cui ci si riferisce e dal grado di coinvolgimento del medesimo alla vita politica. Nei fatti, però, emerge che i pareri negativi sulle primarie fra gli elettori del PD sono solo del 14.2%: una minoranza. Sono ben più ostili alle primarie i votanti per Di Pietro, per esempio. Numeri su cui meditare, non c’è che dire.