Oibò! L’AGCOM ha rispolverato a fini di protezione del copyright – che in Italia è una battaglia fatta dalla enclave televisivo-cinematografica in cui Mediaset è ben posizionata – una sorta di diritto di rimozione del contenuto audiovisivo indicato come lesivo del diritto d’autore in una forma molto simile a quella del diritto di rettifica che si voleva introdurre con la legge bavaglio dello scorso anno. Questo in sintesi il contenuto, come divulgato da Valigia Blu, come sempre in prima linea in fatto di difesa delle libertà digitali:
Secondo la delibera AGCOM, se il titolare dei diritti di un contenuto audiovisivo dovesse riscontrare una violazione di copyright su un qualunque sito (senza distinzione tra portali, banche dati, siti privati, blog, a scopo di lucro o meno) può chiederne la rimozione al gestore. Che, «se la richiesta apparisse fondata», avrebbe 48 ore di tempo dalla ricezione per adempiere. CINQUE GIORNI PER IL CONTRADDITTORIO. Se ciò non dovesse avvenire, il richiedente potrebbe, secondo la delibera ancora in bozza, rivolgersi all’Authority che «effettuerebbe una breve verifica in contraddittorio con le parti da concludere entro cinque giorni», comunicandone l’avvio al gestore del sito o del servizio di hosting. E in caso di esito negativo, l’Agcom potrebbe disporre la rimozione dei contenuti. Per i siti esteri, «in casi estremi e previo contraddittorio», è prevista «l’inibizione del nome del sito web», prosegue l’allegato B della delibera, «ovvero dell’indirizzo Ip, analogamente a quanto già avviene per i casi di offerta, attraverso la rete telematica, di giochi, lotterie, scommesse o concorsi in assenza di autorizzazione, o ancora per i casi di pedopornografia».
E per ovviare al caso di hosting su piattaforma estera – il caso di questo blog, per esempio – l’AGCOM sarebbe dotata di poteri straordinari e sarebbe in grado di chiedere e ottenere l’inibizione del nome e dell’IP del sito incriminato. Questo senza passare – neanche per idea – da un giudice.
La delibera AGCOM è per questa ragione illegittima. Comprime il nostro diritto alla difesa. Non possiamo essere accusati di aver violato un copyright se non possiamo difenderci da questa accusa. Qualcosa di simile è accaduto in Francia con l’HADOPI. La norma fu in principio bloccata dalla Suprema Corte proprio perché non contemplava il diritto dell’internauta – del “netizen” – a difendersi in un regolare procedimento dinanzi all’autorità giudiziaria competente.
Bloccare la delibera AGCOM è un dovere: essa è contro l’ordinamento democratico.
Creative Commons a Capitale Digitale, domani 17 dicembre, Roma
Anziché sforzarsi di prendere le misure con un mezzo a loro alieno, i politici italiani (salvo rari casi che si contano sulle dita di una mano, ovvero Ignazio Marino, Nicola Zingaretti, Maria Antonietta Farina Coscioni) passano il loro tempo a condannare l’uso dei social network e del web in generale, mettendo al mondo altri indimenticabili ecreti legge – o disegni di legge, vedremo – volti soprattutto a vietare. C’era una volta – e c’è tuttora -il decreto Pisanu, che vietata l’uso delle reti wi-fi pubbliche senza preventiva identificazione degli utenti (decreto che deve essere convertito entro la fine dell’anno, altrimenti decade), ideato brillantemente dai tecnici del ministero dell’Interno in funzione antiterrorismo – si era in epoca post Torri Gemelle. Poi vi furono , in ordine di tempo, l’emendamento a firma di Gianpiero D’alia all’Art. 50-bis, poi art. 60) del disegno di legge 733 (c.d. “Decreto Sicurezza”), nel quale si sancisce la “Repressione di attività di apologia o istigazione a delinquere compiuta a mezzo internet” a mezzo di oscuramento – emendamento poi abrogato; seguì l’opera della Sorella Carlucci, un disegno di legge a carattere censorio che doveva prevenire la pedofilia via internet; infine, non deve essere dimenticato il cosiddetto Ddl Intercettazioni, opera del ministro della Giustizia Alfano, con il quale si vuole introdurre una norma che equipara i blog a testate giornalistiche e introduce nel nostro Ordinamento l’obbligo di rettifica entro 48 ore a pena di una sazione pecuniaria tra i 15 ed i 25 milioni di vecchie lire per tutti i titolari di “siti informatici”. Tutto ciò si affianca a una politica velatamente sostenitrice delle istanze delle Major produttrici di contenuti (è notizia di questi giorni che i contenuti di proprietà di Mediaset non saranno più postati su Youtube: la casa di proprietà del (finto) premier ha vinto la causa civile in piedi dal 2008 contro Google, fonte http://www.techup.it/news/mediaset_no_gf_su_youtube-02986).
Per il Governo, Internet è da reprimere. Peccato che – per usare le parole illuminanti di Joi Ito, CEO di Creative Commons, domani relatore a Roma di “Capitale Digitale” – “Internet sarà qui per sempre” e “le società libere crescono, quelle controllate no”. Poche parole, ma chiare.
Intanto, Nicola Zingaretti, presidente della Provincia di Roma, fra i più in luce nella lotta contro il digital divide e l’analfabetismo informatico, debutta su Twitter: con la presenza su Twitter (http://twitter.com/provinciarm), la Provincia di Roma ed il suo presidente Nicola Zingaretti, in prima linea a sostegno della diffusione della banda larga e del WiFi libero, intendono confermare una forte attenzione alle nuove tecnologie e agli strumenti che rendono più semplice e diretta la comunicazione in tutta la rete web, dai social network ai blog agli aggregatori di news. Lo sforzo di zingaretti è senz’altro encomiabile, sebbene isolato. Finora è l’unica voce propositiva che si leva in una ridda di condanne.
Facebook è più pericoloso dei gruppi degli anni ’70. Il Presidente del Senato, Renato Schifani, non ha dubbi sul contenuto di alcuni messaggi che si leggono sul network americano. «Si leggono dei veri e propri inni all’istigazione alla violenza. Negli anni ’70, che pure furono pericolosi, non c’erano questi momenti aggregativi che ci sono su questi siti. Così si rischia di autoalimentare l’odio che alligna in alcune frange».
«Una cosa è certa – sottolinea – qualcosa va fatto perchè non si può accettare che si pubblichino istigazioni all’odio violento»
il ministro dell’Interno ha presentato oggi al Consiglio dei ministri l’annunciato testo del disegno di legge che prevede sanzioni contro chi crea turbative violente durante le manifestazione e diffonde contenuti violenti su Internet. Lo ha confermato il ministro Altero Matteoli, nel corso della conferenza stampa. «Il testo – ha aggiunto – è oggetto di valutazioni approfondite», e «salvo alcuni aggiustamenti» nel cdm «c’è l’accordo di tutti – ha proseguito Matteoli – nel presentare un provvedimento»
«bisogna conciliare, in un Paese democratico, la possibilità di manifestare senza che questa libertà venga disturbata gravemente»
Parte in questi giorni, a Roma, la quarta edizione di Capitale Digitale, un ciclo di incontri promossi da Telecom Italia, Fondazione Romaeuropa, Comune di Roma e la celebre testata Wired. Il convegno annuale cerca di fare il punto sugli aspetti della cultura digitale insieme a esponenti di livello internazionale provenienti da settori ed esperienze differenti
il protagonista sarà Joi Ito, CEO di Creative Commons, la principale organizzazione non profit dedicata all’espansione della portata delle opere di creatività offerte alla condivisione e all’utilizzo pubblici, che ha come obiettivo quello di riformulare non solo le leggi, ma il concetto stesso di copyright nell’era digitale; si parlerà quindi di temi attuali come Open Internet e Copyright.
Poiché proprio in questi giorni in Italia, il paese che lo ospiterà per la conferenza, si sta nuovamente parlando di assurdità strumentali come il controllo di Internet, a seguito dei fatti gravi avvenuti nei giorni scorsi, Ito si è così pronunciato in merito: “La mia opinione è che una società per crescere deve usare lo stesso sistema che si usa per curare il proprio corpo. Un corpo solido lo si costruisce quando ti esponi, quando accetti di superare dei limiti, quando ti poni in maniera aperta davanti alle sfide e le intemperie. Internet ha molte difficoltà, non è diventato forte con il controllo ma con l’apertura, l’esposizione alle “intemperie” e il superamento dei limiti. Internet non andrà via, la tecnologia dell’informazione sarà qui per sempre, e la società crescere ha bisogno di essere aperta non di essere limitata, le società libere crescono, quelle controllate no”.
Che futuro per il file sharing e le reti di P2P dopo l’approvazione del pacchetto Telecom da parte del Parlamento Europeo? Lo scambio di file diventerà defintivamente illegale e sarà perseguito, seppur giudiziariamente? La rete smetterà di essere neutrale e il principio del “mere conduit” sarà cancellato in favore di una regolamentazione dei contenuti usufribili? Le reti di P2P diventerannmo delle chiuse e ristrette darknet?
Il Pacchetto Telecom, se da un lato introduce un nuovo catalogo di diritti, quali il diritto alla libera informazione per mezzo della rete, dall’altro non risolve il problema della coesistenza fra diritto d’autore e libertà di scambio. Si limita solo a anteporre alla pretesa di rivalsa delle Major produttrici di contenuti le garanzie del giusto processo. La domanda se è illegale o meno scambiare contenuti coperti da copyright in rete, quindi se è illegale l’atto del mero scambio di opere intellettuali, del tutto lecito nel mondo normale, non trova risposte nel complesso di norme che sono state introdotte. Il file sharing in che modo viola il copyright se è puro scambio privo di rendiconto economico? Il cpoyright non consente la riproduzione dell’opera, ma il suo scambio? Cosa cambia se guardo un film che mi ha prestato un amico dallo scaricarlo da una rete di P2P? Il P2P facilita la diffusione delle opere, e quindi la loro fruibilità. Il copyright antepone la fruizione al pagamento di una somma, limita la diffusione e tende a mantenere l’individuo nella non-conoscenza. La rete rende il cittadino attivo e informato anche attraverso la fruizione di contenuti non acquistati ma semplicemente scambiati; allo stesso modo, l’esclusività dell’informazione veicolata solo sulla base dello scambio economico rende difficoltosa la sua diffusione. E senza informazione, qualsiasi scelta è condizionata e non libera.
Quando la compagnia di telecomunicazioni irlandese Eircom bloccò l’accesso a Pirate Bay, in settembre, l’azione parve alquanto inutile agli internauti di mezzo mondo
«Tempo perso – taglia corto un commentatore sulla community di studenti irlandesi Studentsmart.ie – vai su x.com e clicca su ‘bypass eircom block’ (ignora il controllo eircom, NdT): sei subito dentro. Stanno solo cercando di scoraggiare la gente: in realtà ci sono così tanti modi per condividere i file che per bloccarli tutti dovrebbero chiudere Internet”.
La profonda valenza anarchica del file sharing in Internet va ben oltre il semplice gusto di sfidare le grosse corporation. La cultura dello scambio di file gratuito e continuo non solo mette in dubbio l’egemonia della proprietà privata, ma ha diffuso una comunità internazionale di risorse personali in cui il denaro semplicemente non esiste più.
Le società discografiche e le case cinematografiche non riescono più ad essere convincenti sul perché il file sharing dovrebbe essere sbagliato (anche le belle parole sul tema “ok, adesso smettiamo di fregarvi i soldi” lasciano il tempo che trovano). La gente comincia a non pensare più ai propri materiali digitali come a qualcosa che “possiede”, ma piuttosto come a qualcosa che può condividere.
Un numero sempre maggiore di pubblicazioni digitali adotta la licenza “Copyleft”, che tutela la libertà di copiare e riprodurre il lavoro invece che ostacolarla. A Berlino, Helsinki e Copenhagen, gruppi come Pirate Cinema hanno fuso la pirateria cinematografica con il movimento squatter.
Organizzazioni online come la Free Software Foundation (FSF) vogliono liberare tutto il software dal concetto stesso di proprietà
Le aziende che stanno dietro al software proprietario spesso spiano le vostre attività e vi impediscono di condividere il software con altri – si legge sul sito della FSF – e poiché i computer controllano la maggior parte delle nostre informazioni personali e delle nostre attività quotidiane, il software proprietario rappresenta un pericolo inaccettabile per una società libera
«Non accetto la tesi che Internet dovrebbe essere il regno dell’anarchia, dove chiunque ha la possibilità di avere quello che vuole senza pagare», spiegava il segretario alla cultura inglese il 20 ottobre di fronte al governo britannico
Successivi provvedimenti anti-pirateria si sono ripetutamente dimostrati inefficaci
la maggioranza dei candidati svedesi al Parlamento europeo per quest’anno è dell’opinione che l’Europa sia già andata troppo oltre nella questione. «Le leggi dell’Unione europea sono spinte da una campagna di lobbying di Hollywood, basata su una cieca fiducia nel controllo totale di Internet – spiega il verde Carl Schlyter al giornale in lingua inglese The Local – il che non è né possibile né auspicabile»
Un commento sul sito web di The Local sintetizza forse meglio di altri l’atteggiamento della comunità del file-sharing, che contrappone all’autorità tradizionale un’innovazione inarrestabile: «Questa legge è sbagliata, ma la tecnologia non ha limiti e ci sono molti modi per aggirarla».
nel 1984 William Gibson, lo scrittore di fantascienza canadese che coniò il termine cyberspazio: «Internet è strana. Non fa guadagnare soldi, è transnazionale e fuori da ogni controllo: un grande evento anarchico»
Alcune norme già approvate nel pacchetto Telecom compromettono seriamente la Neutralità della Rete [2] e il Mere Conduit. [3]
Queste norme permettono di filtrare e/o degradare contenuti e applicazioni, per dare accesso preferenziale ad alcuni servizi bloccandone altri, e negando l’accesso a certi siti ad esclusivo giudizio dei Provider.
Questo consente, alle lobby che controllano l’informazione ed ai Governi, di decidere cosa e come deve essere la Rete del futuro con il rischio di trasformarsi in un mero mezzo per far denaro e mantenere il monopolio dell’informazione. C’è l’intenzione di svilire o annullare l’emendamento 138 [4] allo scopo di consentire politiche locali come quella Francese dei “3 schiaffi”, a cui purtroppo molti altri Paesi si stanno accodando, che ha come sanzione finale la disconnessione dalla Rete per i sospetti di praticare il file sharing [5] di opere coperte da copyright
La repressione, richiesta a gran voce dalle corporation che prosperano sullo sfruttamento del diritto d’autore, attraverso sproporzionate azioni giudiziarie, ha provocato l’indignazione generale innescando la nascita di organizzazioni e partiti politici che hanno come obbiettivo primario la riforma internazionale del diritto d’autore e la legalizzazione del P2P senza scopo commerciale
Sono uscite allo scoperto anche coalizioni di Artisti che contestano la criminalizzazione dei loro fan ed i Rappresentanti dei provider sono contrari a dover fare gli sceriffi della Rete in spregio al Mere Conduit.
Il principale elemento di novità contenuto nella versione finale e approvata del Pacchetto Telecom riguarda i diritti del cittadino ad informare e ad informarsi con la mediazione della rete, nel quadro sempre più globale del contrasto alla pirateria online
Su questo nodo si era arenato il dibattito su nell’estate scorsa, su questo nodo le autorità europee sono giunte ad un accordo nelle scorse settimane, dopo che la Francia ha approvato la cosiddetta dottrina Sarkozy, e dopo che altri paesi europei si stanno muovendo concretamente per brandire le disconnessioni punitive nei confronti di coloro che abusino della rete per scambiare senza autorizzazione contenuti protetti dal diritto d’autore
spiega di non aver ceduto sui diritti fondamentali del cittadino. Le autorità si sono espresse riguardo alla neutralità della Rete: lo hanno fatto con una raccomandazione che non ha però alcun effetto vincolante. I fornitori di connettività, secondo alcuni osservatori, potranno probabilmente continuare a battere la strada della misure tecniche volte alla discriminazione del traffico
Monitoraggio delle reti di sharing e disconnessioni non sono inoltre esclusi, non è esclusa la compressione del diritto ad informarsi e informare a mezzo Internet, ma il tutto deve avvenire in maniera proporzionata, nel rispetto della Convenzione europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali.
In sostanza, ai cittadini della rete che venissero colti dai detentori dei diritti a violare il copyright spetterà un giusto processo e non dovranno confrontarsi con autorità indipendenti che nulla abbiano a che vedere con l’autorità giudiziaria, come inizialmente previsto dalla dottrina Sarkozy
si darebbe carta bianca agli ISP che decidessero di agire di concerto con l’industria dei contenuti operando in un clima di giustizia privata
si tratta di interpretazioni che lo stesso commissario Reding ha provveduto a smentire: i soggetti privati che intendano muovere in questa direzione non avranno alcuna libertà di azione procedendo sulla strada dell’autoregolamentazione nelle disconnessioni
Se non sei su Google, non esisti. Almeno nelle prime tre pagine. Altrimenti è oblio. E se Murdoch e News Corp. minacciano di uscire dalla pagine delle notizie di Google, condannandosi a essere un nano della rete, Mediaset pensa a farsi pagare i contenuti di proprietà che poi finiscono nelle carrellate di Youtube o di Google video. Essi non sanno la portata del danno che l’uscita dal più famoso motore di ricerca gli potrà portare. Non ne hanno idea. Confalonieri ha imbeccato il governo, sostenendo che esso debba farsi promotore di iniziative legislative a tutela della proprietà intellettuale. Mediaset non lascia Youtube, ma chiede di essere pagata, o di far pagare la visione dei propri contenuti, messi in rete dagli utenti della piattaforma. Ovvero chiede una legge fatta ad hoc. File sharing e streaming video mettono a nudo il loro passatismo. Devono ricorrere al divieto per proteggere le proprie posizioni dominanti. Murdoch minaccia di uscire da Google, ma per quanto potrà resistere? Mediaset punta tutto sul diritto d’autore, un diritto che oggi ha subito trasformazioni e sta moltiplicando le proprie forme, le quali attendono solo di essere normate. E il governo? Il ministero della Gioventù, per mano del capo gabinetto Luigi Bobbio, ha preparato un documento in cui si afferma la necessità di forme alternative e estensive della proprietà intellettuale. Addirittura il ministro Meloni si è espressa dicendo che il diritto d’autore nell’era digitale non può essere difeso erigendo barriere, bensì puntare sulla qualità dei contenuti e sulla loro disponibilità in rete a prezzi accessibili. Certamente una non soluzione. Ciò non impedisce lo scambio libero fra utenti di un servizio web. Lo scambio e l’immediata fruibilità dell’informazione sono l’asse portante del web, che così si sostanzia e si rinnova. È esattamente questo aspetto che loro non comprendono e che invece dovrebbero cercare di fare proprio. Invece continuano a vivere di una concezione separata dei ruoli autore-editore-consumatore. Il web 2.0 rivoluziona i rapporti, rompe lo schema divisorio fra produttori di contenuti e semplici utilizzatori. Nel web 2.0 si è insieme produttori e consumatori, e il diritto d’autore nella sua concezione classica, ovvero la proprietà privata, si fa neutro.
Il ministro della Gioventù Giorgia Meloni torna sul tema Internet e conferma sostanzialmente le parole del suo capo gabinetto Luigi Bobbio, che nelle settimane scorse ha dato voce a un documento che offre un punto di vista molto interessante sul ruolo di Internet
una sorta di manifesto che tocca tutti i punti critici con cui è stato trattato in Italia il tema Internet dalle autorità, uno sguardo sempre e quasi solo esclusivamente volto alla pirateria
Ministro Meloni che proprio oggi affronta direttamente l’argomento: "Il diritto d’autore nell’era digitale non può essere tutelato erigendo barriere: Internet non si blocca alle frontiere"
necessità di "fornire prodotti di alta qualità e di facile accesso da parte di tutti a prezzi ragionevoli" e "valutare ed elaborare forme nuove di tutela del diritto d’autore"
sembrano spingere forme alternative di difesa della proprietà intellettuale: innanzitutto Creative Commons e Software Libero, ma anche riforma del funzionamento della SIAE
Nel documento di Bobbio si parlava già di contenuti di qualità, e si era affrontata la questione delle nuove forme televisive e della necessità, soprattutto per la Rai, di investigare i mezzi offerti da Internet su cui i professionisti della tv di stato sarebbero rimasti colpevolmente indietro
"Se sono stati investiti fiumi di denaro per la tecnologia-ponte (il digitale terrestre ndr) perché non ci si decide ad investire per le nuove generazioni che già – scriveva Bobbio – guardano sempre meno la TV?
I motori di ricerca attivi su Internet, da Youtube a Google, devono remunerare in qualche modo i contenuti che diffondono altrimenti chi produce questi contenuti non può più investire su essi. È in sintesi il monito che giunge dal presidente di Mediaset, Fedele Confalonieri
«Internet -spiega Confalonieri- si avvale di una parola magica che è free: se i vari Youtube e Google non riconoscono il valore della proprietà intellettuale non si può investire» sui prodotti.
«serve molta attenzione da parte dei regolatori, del governo, devono prendere a cuore questo problema»
dichiarazione rilasciata ieri sera da Luca Nicotra (Segretario dell’associazione radicale «Agorà Digitale») e Marco Cappato (Presidente, Membro del Comitato Nazionale di Radicali Italiani)
«In un mercato in cui è chiaro a tutti che, a dispetto della retorica messa in campo dall’industria dei contenuti, il contributo di maggior valore deriva dalla connettività, e non dal contenuto, lascia sbigottiti l’appello lanciato al Governo da Fedele Confalonieri affinchè difenda aziende come Mediaset da Google, Youtube, Yahoo e altri fantomatici approfittatori. Anzi, più di un appello sembra una minaccia, considerando che, proprio ieri, Mediaset ha ribadito quanto sia centrale nella sua strategia la causa che essa stessa ha intentato contro Youtube e in cui rivendica un danno di 500 milioni di euro per violazione del diritto d’autore. Confalonieri cerca di difendere un sistema bloccato, in cui i cittadini sono semplicemente audience, e la scelta dei contenuti da trasmettere è fatta da coloro che, come lo stesso Confalonieri, hanno in mano la TV generalista. A questo punto ci appelliamo a Google e Yahoo chiedendo loro di rimuovere per almeno un mese i contenuti online del gruppo Mediaset dai loro indici. Un’azione drastica, ma potrebbe essere davvero l’unico modo per aiutare a far comprendere a coloro che difendono modelli ormai superati quanto la Rete ha cambiato l’economia, anche quella dei contenuti, e quanta parte dei ricavi degli stessi produttori derivino dalla comunità di utenti che modifica e condivide»
Alcune settimane fa Ignazio ha incontrato un gruppo di esperti dei media digitali per approfondire alcuni aspetti legati all’utilizzo di internet e delle nuove tecnologie.
Dalla discussione abbiamo tratto un documento che, oltre ad arricchire la mozione Marino circa queste tematiche, traccia alcune linee guida che vorremmo continuare a portare avanti all’interno del Pd aldilà del risultato alle Primarie del 25 ottobre.
i 4 punti:
1- Banda larga universale e media literacy
2- Garanzie per la libertà di informazione in rete
3- Immergersi nella disintermediazione
4-Costruire una PA trasparente e accessibile
punto fondamentale: decriminalizzare il consumo amatoriale, comportamento sociale diffuso che è soprattutto scambio di valori e non semplice illegalità
Ecco il documento completo:
Noi, la rete
Questo documento è il risultato di una serie di riflessioni condivise nell’ultimo mese con diversi esperti di culture digitali. Sulla base di 4 punti fermi il documento suggerisce 4 proposte concrete che integrano la proposta della mozione Marino sui temi della rete, sulla libertà di informazione online e sull’estensione dei diritti digitali.
Internet come opportunità
Internet è in mezzo a noi e i bit che circolano in rete trasportano emozioni, valori e passioni. La stessa parola Rete non indica uno spazio digitale intangibile, è piuttosto un sistema di interconnessioni tra persone reali che permette di accedere a una conoscenza lontana dai propri luoghi di origine, superando ostacoli tecnici e economici. I nativi digitali conoscono le potenzialità di questa rivoluzione e sperimentano ogni giorno quanto l’interattività della navigazione arricchisca in termini di nuove relazioni ed esperienze.
Oltre la retorica del digitai divide
In Italia la diffusione di Internet è quasi ferma e cresce meno che nel resto d’Europa. Gli ultimi dati diffusi dall’ISTAT (2008) parlano del 42% di abitazioni raggiunte da connessione Internet e di 50% di famiglie in possesso del pc. Il digital divide non è un problema che si risolve con iniezioni di retorica o con altre operazioni di facciata: le “3 i” di Berlusconi, le lavagne multimediali a scuola proposte dalla ministro Gelmini, gli investimenti esclusivi sul digitale terrestre. Al contrario è indispensabile ragionare in termini di inclusione contrastando il digital divide su due principali terreni: quello dell’accesso fisico alla rete e quello della diffusione degli strumenti culturali necessari a vivere l’innovazione.
Difendere la libertà di informazione
La libertà di informazione in rete va difesa. Soprattutto in seguito alle recenti proposte di legge che vogliono mettere un bavaglio alla circolazione di contenuti o creare nuovi conflitti di interesse. Limitare la libera discussione su Internet rappresenta, quindi, un errore strategico gravissimo per un paese civile che vuole innovare.
Distinguere tra consumo amatoriale e consumo a fini commerciali
Bisogna distinguere chiaramente tra chi in rete opera per profitto e chi invece pubblica contenuti a fini amatoriali. Non possiamo perseguire allo stesso modo chi distribuisce a fini commerciali file protetti da diritto d’autore e chi scambia gli stessi contenuti a fini amatoriali: la cassetta copiata tra amici negli anni ’80 è nel 2009 il file che si scambiano due appassionati di musica o di serie tv americane. Chi conosce la rete sa che oggi gli user generated content sono una delle ultime frontiere nella produzione culturale di contenuti di pubblico dominio. In questo senso occorre promuovere la creatività attraverso una ridefinizione dei confini del fair use ed incentivi all’utilizzo di forme di licenza alternativa quali licenze creative commons e licenze collettive estese.
Quindi:
I – Banda larga universale e media literacy
II PD deve far propria la battaglia per la diffusione su tutto il territorio nazionale della banda larga, bene universale e prerequisito essenziale per l’accesso a contenuti e servizi, prestando particolare attenzione a quei luoghi dove la bassa densità di popolazione scoraggia gli operatori economici privati ad investire. Devono inoltre essere definite regole eque e precise per chi gestisce la rete. Occorre, allo stesso tempo, diffondere la cultura digitale puntando sulla media literacy attraverso azioni sul territorio dirette a studenti e docenti, a partire dalle scuole pubbliche che devono trasformarsi in palestre digitali per tutti i cittadini che ancora non
possiedono gli strumenti per esprimersi in rete.
2- Garanzie per la libertà di informazione in rete
Su Internet le norme esistono e sono applicate: chi diffama o insulta sul web è, infatti, identificabile e perseguibile. Semmai mancano in Italia i punti di riferimento legali delle grandi corporation che operano in rete (non esiste, ad esempio, una sede nazionale di Facebook, nonostante siano iscritti al social network oltre 10 milioni di italiani). Non servono, quindi, nuove leggi sulla rete, serve al contrario una “Carta dei diritti” (Internet Bill of Rights) che fissi ‘garanzie minime’ a livello internazionale: in questo senso la proposta di Rodotà del 2007 è un ottimo punto di partenza che il PD deve impegnarsi a rilanciare.
Occorre difendere la neutralità della rete respingendo nettamente la creazione di corsie preferenziali per flussi di dati privilegiati. Il fatto che ogni bit – indipendentemente dal contenuto che contiene e da chi lo invii – abbia lo stesso valore e lo stessa priorità è la garanzia che consente alle idee di diffondersi liberamente online.
3- Immergersi nella disintermediazione
Bisogna pensare a nuove modalità di remunerazione per un mercato dei contenuti dove le regole di produzione e distribuzione sono rivoluzionate. Occorre ridimensionare rendite di posizione ormai superate (si spendono, ad esempio, ogni anno 11 milioni di euro per la stampa dei bollini SIAE) e decriminalizzare il consumo amatoriale, comportamento sociale diffuso che è soprattutto scambio di valori e non semplice illegalità. Possibili soluzioni sono offerte dalla rete stessa che, lungi dall’essere teatro di scorribande di pirati, è un ambiente maturo in grado di venire incontro alle necessità degli autori. Nel campo musicale, ad esempio, la disintermediazione consente ai produttori di comunicare direttamente con i consumatori, accrescendo le possibilità di essere conosciuti e ascoltati. È infatti irragionevole lottare per una cultura libera senza provvedere al riconoscimento dovuto a chi tale cultura produce.
4- Costruire una PA trasparente e accessibile
Bisogna puntare a realizzare una pubblica amministrazione efficiente e trasparente che grazie alle tecnologie digitali realizzi la piena accessibilità degli atti pubblici. Un’amministrazione che sceglie di investire sul software open source, con un evidente risparmio di risorse e una maggiore valorizzazione del know how pubblico. Occorre, infine, incentivare la realizzazione di servizi pubblici di micropagamenti (aperti ed interoperabili, basati su sistemi telematici o RFID) per compiere piccole transazioni che semplifichino la vita dei cittadini.