Duemiladiciotto

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Continuando di questo passo, nel 2018 avremo fatto meglio dei piromani nello Yellowstone Park. Non scherzo. La cosa peggiore è che tutto ciò è frutto del più grande fraintendimento elettorale della storia (recente, recentissima e fors’anche miserrima). Perché molti degli enne-milioni elettori di Matteo Renzi, alle primarie dell’8 Dicembre scorso, erano mossi dal desiderio di riscatto, un riscatto politico ma soprattutto elettorale. Erano – hanno detto – stanchi di perdere. Di perdere contro Berlusconi.

Invece l’Uomo della Pioggia ha portato una siccità improvvisa. Dice: “via dalla palude”, ma rischia di fare il deserto intorno. Il futuro Renzi I sarà quindi il terzo governo derivato dalle alchimie di palazzo dal Novembre 2011, momento della rottura dell’ordine berlusconiano. Le elezioni, questo spauracchio, sono posticipate al mitico 2018, anno in cui tutte le riforme saranno compiute e non ci sarà più bisogno di questo commissariamento della volontà popolare.

Le riforme che ci attendono saranno fortemente punitive nei confronti dell’assetto costituzionale del 1948, inteso – secondo questa voluntas riformatrice – causa di tutte le inefficienze del paese. Via il Senato, via le Province, sostituite da assemblee di nominati. E poi, cos’altro ci attenderà? Quale dovrà essere il nostro nuovo nemico da abbattere?

Il metodo della velocità, dell’energia, della immediatezza di Matteo Renzi e della sua capacità di intercettare la volontà popolare, ha soltanto provocato la sua ulteriore compressione. Quale democrazia nella scelta di continuare una legislatura caratterizzata dalla ingovernabilità e che si è avviata solo e soltanto con una formula parecchio difforme dal progetto presentato alle urne ai propri elettori?

Tutte le criticità delle Larghe Intese ritorneranno, insolute, nel Renzi I. E allora “non ti servirà l’inglese” (F. Battiato).

 

Con la crisi ritorna la retorica di Beppe Grillo: subito al voto con il Porcellum

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Ha parlato in pubblico, a Paderno Dugnano, Beppe Grillo. La sua posizione non è cambiata:

  1. tornare subito al voto con il Porcellum;
  2. vinciamo e facciamo un governo a 5 Stelle;
  3. se non ci votate, siete dei cog..oni (non ha usato questo termine ma il senso è quello, ed è un senso pienamente berlusconiano; cito testuale, per gli amanti del genere: “Io voglio parlare ai venti milioni di personaggi che hanno votato ancora il Pd e il Pdl. Se continuate così il Movimento se ne va. Se non ci votate io mi tiro fuori);
  4. quando governeremo noi, potrete con un click decidere se restare o meno nell’Euro.

Cominciamo dal punto 1).

Saprete che il Porcellum apporta due importanti distorsioni al voto: da un lato, le liste sono bloccate, decise dal partiti/movimenti, non dagli elettori; dall’altro, attribuisce un premio di maggioranza per entrambe le Camere ma con differente criterio. L’effetto è quello della ingovernabilità massima: perché gli eletti rispondono, in buona parte, a logiche di sopravvivenza personale; perché il sistema non è in grado di creare maggioranze al Senato, specie quando il pendolo politico  torna verso sinistra.

Punto 2)

Qui viene il bello: con il Porcellum, e il sistema tripartito emerso dalle urne dello scorso Febbraio, non è possibile avere un monocolore (che sarebbe fortemente distorsivo del criterio della rappresentanza), pertanto, per la formazione di un governo, non si può prescindere dal negoziare una coalizione post-elettorale con chi è arrivato secondo.

Punto 3)

Lascio al lettore la possibilità di interpretare a proprio piacimento la frase di Grillo. In ogni caso, se venti milioni di elettori non ti votano, non è corretto chiamarli ‘personaggi’, poiché equivale a dire che essi sono persone bizzarre, strane, forse un po’ matte. ‘Dovete essere proprio matti’ se votate ancora Pd e Pdl. E’ una vulgata che spesso circola, anche a sinistra. Dovete essere proprio matti se votate ancora Berlusconi. Eppure, vi informo che ci sarà ancora qualcuno che lo farà. E qui viene il bello: per convincere la maggioranza a fare il contrario, ci vogliono argomenti, ci vuole la Politica. Poiché se continuiamo a tenere il dibattito circoscritto alla contrapposizione fra berlusconismo e antiberlusconismo, o tanto peggio, fra casta e anti-casta, ci dimenticheremo ancora una volta che il paese è allo sfascio e che serve gente capace e orientata al bene comune e non alla curatèla di interessi personali.

Ultimo, il punto 4)

Uscire o meno dall’Euro è una faccenda seria. Una faccenda che implica la perdita di migliaia di posti di lavoro, inflazione galoppante, forse anche il default dello Stato. E mi rifiuto di pensare che si possa trattare una cosa del genere, una scelta dirompente e di portata storica, con un click. L’adesione all’Euro è, in primis, adesione al sogno europeo federalista. Che, è vero, si è evoluto in un sistema di integrazione prettamente di tipo economico-burocratico. Ma rinnegarlo ora significa rinnegare la politica di pacificazione delle relazioni internazionali che il continente ha intrapreso a partire dal 1957 in poi. Bisognerebbe battersi per l’abbandono del rigido monetarismo della Buba (Bundesbank). Battersi per avere maggior voce nelle scelte del Consiglio. Per avere istituzioni europee autonome rispetto al giogo degli egoismi dei governi nazionali.

Per queste ragioni, proprio perché l’Euro è elemento di quella politica di pacificazione del dopoguerra, l’adesione a questo progetto non può essere votata con un click, da casa, affondati nel divano. Tanto più che nella nostra Costituzione, che è – a detta di chi l’ha difesa sinora (ma Grillo, pur essendosi molto esposto nella campagna contro la modifica dell’articolo 138, ha vagheggiato esso stesso modifiche al testo costituzionale) – la più bella del mondo, i trattati internazionali non possono essere sottoposti a referendum abrogativo. La nostra adesione all’Euro, sappiatelo, è avvenuta proprio in virtù di un trattato internazionale, il Trattato di Maastricht.

inoltre, molto ci sarebbe da dire sulla cosiddetta democrazia diretta elettronica. Ci piacerebbe molto che il signor Grillo iniziasse ad adottarla per le decisioni sulla linea politica del proprio partito (movimento). Per esempio, il signor Grillo dovrebbe raccontarci di quella volta, quella in cui ha discusso con i propri iscritti ed elettori sull’opportunità o meno di riformare la legge elettorale. Chi di voi avesse partecipato, è pregato di scrivere nei commenti a questo post il resoconto dettagliato di queste deliberazioni elettroniche. Che sicuramente ci sono state. Sicuramente. Ci. Sono. State.

La Legislatura dell’Oca

Di fatto, siamo tornati ad Aprile. cinque mesi di non governo archiviati con una dimissione ad orologeria. Stessa strategia che avrebbero seguito un mese fa se il governo Letta non avesse trovato i denari per coprire la rata di Giugno dell’Imu e provvedere all’eliminazione dell’odiata tassa. Ma Letta-Saccomanni avevano solo una cartuccia da sparare. L’hanno usata subito ed hanno ottenuto il brillante risultato di prolungare la vita poco dignitosa delle Larghe Intese per qualche settimana ancora. Il secondo ricatto è stato vinto da Berlusconi. Ora i suoi sodali potranno dire che hanno lasciato l’esecutivo per l’incapacità di Letta di scongiurare l’aumento automatico dell’Iva. Parleranno di gestione fallimentare, come se loro non fossero mai stati seduti allo stesso scranno del presidente Letta.

La verifica si svolgerà in aula martedì. Ora è interessante quello che faranno i 5 Stelle. Orellana è già da giorni nell’occhio del ciclone poiché ha proposto un governo civico, con presidente del Consiglio proposto da M5S.

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https://www.facebook.com/luis.orellana.info/posts/158008361074327

I commenti sono fra i più deprecabili. Orellana viene apostrofato come traditore. Naturalmente, in serata, le dichiarazioni di Morra mettono deputati e senatori pentastellati in guardia da possibili trattative. Si attende invettiva domenicale di Beppe Grillo.

Dall’altra parte, Scelta Civica fa sapere di essere disponibile alla formazione di un nuovo governo con una maggioranza diversa da quella attuale (la presenza della formazione di Mario Monti è indispensabile per ottenere avere la fiducia al Senato); le primarie democratiche dell’8 Dicembre possono trasformarsi in consultazioni per il nuovo candidato premier e il congresso finirebbe per essere rimandato a data futura.

Insomma, siamo tornati al caos di cinque mesi or sono. E’ la Legislatura dell’Oca.

 

Fallita la mediazione di Alfano, non resta che il baratro

L’incontro Alfano-Letta di ieri, ovvero fra presidente del Consiglio e vicepresidente (paradossale questo cortocircuito), è stato nefasto per Berlusconi. Alfano si era auto-incaricato per questa missione impossibile. Si era convinto di avere possibilità e argomenti per far propendere l’indomito Letta e il PD per l’allungamento dei tempi e il rinvio alla Consulta della legge Severino sull’incandidabilità e la decadenza, altrimenti nota come Decreto Monti. Ha fallito e probabilmente con questo vano tentativo svaniranno anche i suoi sogni di futura leadership del PdL.

Ma non è questo il punto. All’ex Cavaliere è rimasta la sola carta, la carta che voleva giocarsi già ieri, quando si è frapposto Alfano fra lui e il ‘bottone rosso’. La carta è questa: entro il 30 Agosto il governo dovrà trovare due miliardi per cancellare la rata Imu di Giugno. Basterà far dimettere i ministri prima, o in conseguenza della decisione del governo sull’Imu ed aprire la crisi non già sul voto in Giunta per le autorizzazioni, previsto per il 9 Settembre e già in odore di rinvio, bensì proprio sull’odiata tassa. Poi sarà battaglia mediatica. Videomessaggi. Telegiornali viziati dalla visione del padrone. E’ abbastanza tutto prevedibile. Letta ha tradito l’accordo del governissimo. Letta non ha cancellato l’Imu. Letta di qua, Letta di là. In realtà, il battage propagandistico è già in atto. Si svolge da teleschermi e dalle rotative con un perpetuo capovolgimento della verità, per cui uno che ha frodato il fisco viene dipinto come una vittima di ingiustizia.

In ogni caso, gli scenari in Parlamento potrebbero essere i seguenti:

ipotesi 1) il PD resta fermo nelle sue posizioni, viene votata la decadenza già il 9 Settembre, si apre la crisi, Napolitano rinvia alle Camere un Letta bis senza i berlusconiani e con qualche ministro che possa intercettare il voto radicale dei 5 Stelle, che a loro volta avranno perso una trentina fra deputati e senatori, numero minimo ma sufficiente per il PD e Letta a ricucire la crisi;

ipotesi 2) gli incappucciati (cfr. Puppato) del PD aiutano Berlusconi e la Giunta vota per il rinvio; il PD si spacca ma non del tutto, Letta può continuare a governare per alcuni mesi;

ipotesi 3) la linea dura di Berlusconi e dei falchi del PdL genera una rottura nel partito del predellino e Letta può beneficiare di venti senatori di centrodestra, passati al nemico; Letta può far valere la sua rete relazionale, vastissima e sotterranea;

ipotesi 4) le minacce di B. impediscono ai venti senatori traditori di fuoriuscire; la crisi mette al tappeto Letta e il PD che si divide di nuovo fra chi cerca un dialogo con i 5 Stelle e chi no; entra in campo Renzi, che chiama le primarie e di conseguenza le urne;

ipotesi 5) il M5S resta unito; Napolitano rifiuta di sciogliere le Camere e si dimette; caos istituzionale; il PD si divide in aula in due gruppi, i letto-franceschiniani, per responsabilità verso il paese, diventano sostenitori dell’incostituzionalità del decreto Monti; un berlusconiano viene eletto al Colle e viene predisposto un governo con il centro destra, la Lega, i letto-franceschiniani, Casini, i resti di Scelta Civica, che come primo provvedimento emetterà un decreto salvacondotto finendo per violare definitivamente lo Stato di Diritto.

Questo è un racconto fantasioso, anche se non esaustivo, delle possibili evoluzioni della crisi di governo (che vive e lotta in mezzo a noi) ricostruite attraverso le elucubrazioni giornalistiche di questi giorni. Sarà poi tanto lontano dal vero?

Monti: intendo rassegnare le dimissioni

[In aggiornamento]

Così il presidente del Consiglio, Mario Monti, stasera, dopo l’incontro con il presidente della Repubblica. Il presidente del consiglio accerterà quanto prima se le forze politiche non intenderanno proseguire l’esperienza di governo dei tecnici, il che significa che si presenterà alle Camere, dopo il voto sulla legge di stabilità, per chiedere il voto di sfiducia. Quanto detto da Alfano l’altro giorno è stato inteso come una sfiducia di fatto.

Ore 22.00: il Comunicato della Presidenza della Repubblica.

Il Presidente del Consiglio intende rassegnare le dimissioni dopo aver verificato se è possibile approvare in tempi brevi le leggi di stabilità e di bilancio

Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha stasera ricevuto al Quirinale il Presidente del Consiglio dei Ministri, Senatore Mario Monti.

Il Presidente della Repubblica ha prospettato al Presidente del Consiglio l’esito dei colloqui avuti con i rappresentanti delle forze politiche che avevano dall’inizio sostenuto il Governo e con i Presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei Deputati.

Il Presidente del Consiglio ha dal canto suo rilevato che la successiva dichiarazione resa ieri in Parlamento dal Segretario del PdL on. Angelino Alfano costituisce, nella sostanza, un giudizio di categorica sfiducia nei confronti del Governo e della sua linea di azione.

Il Presidente del Consiglio non ritiene pertanto possibile l’ulteriore espletamento del suo mandato e ha di conseguenza manifestato il suo intento di rassegnare le dimissioni. Il Presidente del Consiglio accerterà quanto prima se le forze politiche che non intendono assumersi la responsabilità di provocare l’esercizio provvisorio – rendendo ancora più gravi le conseguenze di una crisi di governo, anche a livello europeo – siano pronte a concorrere all’approvazione in tempi brevi delle leggi di stabilità e di bilancio. Subito dopo il Presidente del Consiglio provvederà, sentito il Consiglio dei Ministri, a formalizzare le sue irrevocabili dimissioni nelle mani del Presidente della Repubblica.

Ed ecco l’hashtag ufficiale:

Governo Monti: ecco la lista dei ministri

Giurano stasera. E domani si comincia dal Senato.

Da Il Fatto Quotidiano Read more

Mario Monti (Economia), Anna Maria Cancellieri (Interni), Paola Severino (Giustizia), Giulio Maria Terzi di Sant’Agata (Esteri), Giampaolo Di Paola (Difesa), Corrado Passera (Sviluppo Economica), Mario Catania (Agricoltura), Corrado Clini (Ambiente), Elsa Fornero (Lavoro e Pari Opportunità), Renato Balduzzi (Salute), Francesco Profumo (Istruzione), Lorenzo Ornaghi (Cultura). Oltre a questi, il presidente Mario Monti ha nominato anche 5 ministri senza portafoglio, ovvero Enzo Moavero, Piero Gnudi, Fabrizio Barca, Piero Giarda e Andrea Riccardi.

Anna Maria Cancellieri – Interni67 anni, romana, ex commissario prefettizio a Bologna (dopo il ‘Cinziagate’ in cui è stato coinvolto Del Bono) e appena nominata commissario a Parma. Il suo è un curriculum di tutto rispetto. Appena maggiorenne inizia a lavorare alla presidenza del Consiglio, poi si laurea in Scienze politiche a Roma e nel ’72, a Milano, inizia la carriera apicale al ministero dell’Interno. Nel 1993 è nominata prefetto. Da qui in poi, una sfilza di impegni: sub-commissario a Milano, commissario a Parma e poi prefetto a Vicenza, Bergamo, Brescia, Catania e Genova. Da segnalare anche il ruolo ricoperto come commissario del teatro Bellini di Catania.

Lorenzo Ornaghi – Cultura63 anni, di Villasanta (Monza), è attuale rettore (al terzo mandato consecutivo) dell’università Cattolica di Milano, dove si è laureato in Scienze politiche nel 1972 ed è stato ricercatore fino al 1987, quando è diventato professore associato all’università di Teramo. Nel 1990 il ritorno a casa, come cattedratico di scienza politica nell’omonima facoltà. Già prorettore, diventa rettore nel 2002. Saggista e autore di prestigio, Ornaghi ricopre e ha ricoperto diversi incarichi di prestigio: è direttore dell’Aseri (Alta Scuola di Economia e Relazioni Internazionali), della rivista Vita e pensiero, è vicepresidente di Avvenire e della Fondazione Vittorino Colombo di Milano. Non solo. Membro del Cda della Fondazione Policlinico IRCCS di Milano, dal 2001 al 2006 è stato presidente dell’Agenzia per le Onlus. Nel 2006 ha ricevuto l’Ambrogino d’oro dal Comune di Milano.

Corrado Passera – Sviluppo e Trasporti56 anni, di Como, attualmente è amministratore delegato di Intesa Sanpaolo. Laureato alla Bocconi, master in Business Administration alla Wharton School di Philadelphia, dal 2005 è Grande Ufficiale dell’Ordine al merito della Repubblica Italiana e dal 2006 Cavaliere del Lavoro. Il manager ha un curriculum vitae a dir poco corposo. E’ membro del Consiglio di Amministrazione dell’Università Bocconi e della Fondazione Teatro alla Scala, consigliere e membro del Comitato Esecutivo dell’ABI – Associazione Bancaria Italiana, dell’International Executive Board for Europe, Middle East and Africa alla Wharton School, del Consiglio Generale della Fondazione Cini di Venezia e dell’International Business Council del World Economic Forum di Ginevra. Dopo una lunga collaborazione col gruppo De Benedetti (direttore generale di Cir, dg di Arnoldo Mondadori Editore e del gruppo editoriale L’Espresso), dopo passa a Olivetti, dove è co-amministratore delegato del gruppo Olivetti. Nel 1996 è amministratore delegato e direttore generale del Banco Ambrosiano Veneto e nel 1998 è nominato dal governo ad di Poste Italiane. Dal 2002 è a Banca Intesa e nel 2006 è tra gli artefici dell’integrazione tra Banca Intesa e Sanpaolo Imi, da cui nasce Intesa Sanpaolo.

Paola Severino – GiustiziaStimato avvocato penalista e vicedirettore dell’Università Luiss “Guido Carli” di proprietà di Confindustria, dal 1997 al 2001 è stata vicepresidente del Consiglio della magistratura militare. Nel 2002, invece, è stata per quasi un mese in pole position per diventare presidente del Consiglio Superiore della Magistratura. La sua candidatura era la sintesi di un accordo tra maggioranza e opposizione, ma alla fine l’intesa saltò e lei, che era un nome in quota Udc, alla fine, rinunciò all’incarico con un fax inviato direttamente a Pierferdinando Casini. Il suo nome era recentemente circolato come sostituta di Angelino Alfano a via Arenula.

Giampaolo Di Paola- Difesa
67 anni, originario di Torre Annunziata (Napoli), l’ammiraglio Di Paola è attuale presidente del comitato militare della Nato e dal 2004 al 2008 è stato capo di stato maggiore della Difesa (quindi sia con Prodi che con Berlusconi). A testimonianza della stima bipartisan nei suoi confronti, è stato capo di gabinetto prima con il ministro della Difesa in quota centrodestra Carlo Scognamiglio e poi col suo successore Sergio Mattarella (centrosinistra).

Elsa Fornero – Lavoro e Welfare63 anni, docente di economia all’università di Torino, è direttore del Cerp (Centre for Research on Pensions and Welfare Policies), prestigioso centro studi sullo stato sociale in Italia e Europa. Elsa Fornero è anche vicepresidente del consiglio di Sorveglianza di Intesa Sanpaolo e e componente del Nucleo di valutazione sulla spesa previdenziale presso il ministero del Lavoro. Le sue aree di ricerca riguardano il risparmio delle famiglie, la previdenza pubblica e privata e le assicurazioni sulla vita, ed è convinta sostenitrice dell’estensione del metodo contributivo a tutti i lavoratori con previdenza complementare.

Corrado Clini – Ambiente
64 anni, chirurgo, specializzato in medicina del lavoro, è direttore generale del ministero dell’Ambiente e funzionario dello stesso dicastero dal 1990. Clini ha collaborato con diverse università italiane, con l’Agenzia Europea dell’Ambiente e l’Onu, ha collaborato alla stesura del “Piano nazionale per la riduzione delle emissioni di gas serra” ed è autore di oltre 40 pubblicazioni scientifiche.

Giulio Maria Terzi di Sant’Agata – Esteri
65 anni, originario di Bergamo, è l’attuale ambasciatore italiano a Washington. Già responsabile al Cerimoniale della Repubblica e per le visite ufficiali delle delegazioni del Governo Italiano all’estero, nel 1975 gli è stato affidato l’incarico di Primo Segretario per gli affari politici all’Ambasciata italiana a Parigi. Successivamente, è stato consigliere economico e commerciale in Canada per quasi cinque anni e console generale a Vancouver durante l’Expo ’86. Nel 1987 è tornato in Italia per lavorare con compiti di grande responsabilità prima presso la Direzione Generale degli Affari Economici e in seguito alla Direzione Generale del Personale. Successivamente è stato a Bruxelles, dove ha ricoperto la carica di Consigliere Politico della Rappresentanza d’Italia presso la Nato. Dal 1993 al 1998 è stato a New York presso la Rappresentanza d’Italia alle Nazioni Unite, prima come primo consigliere per gli affari politici, e successivamente come ministro e vice rappresentante permanente. Terzi di Sant’Agata ha già lavorato alla Farnesina come vice segretario generale, direttore generale per la cooperazione politica multilaterale e diritti umani e direttore politico. Non solo, negli anni scorsi è stato ambasciatore d’Italia in Israele e, dall’estate del 2008, è stato rappresentante permanente d’Italia alle Nazioni Unite a New York.

Gabriella Carlucci, “Silvio, ti voglio Bene”, ma ti tradisco. E dico sì a Monti

Cosa? Gabriella Carlucci, pasdarand forzista e mediasettizzata sino al midollo, passa all’UDC?

La Carlucci ha detto espressamente che andando avanti così, l’Italia non potrà rispettare gli impegni presi con l’Europa. C’è bisogno di un passo indietro di B. Di un governo Letta o Schifani. Se lo dice lei. E chissà quali profondi dilemmi l’hanno agitata in questi giorni. Dice la Carlucci che addirittura non dorme la notte. Che sacrificio, il suo. Un sacrificio per la patria?

E poi viva la coerenza. Alla domanda, se Letta o Schifani non ce la fanno, lei sosterrebbe un governo Monti? La Carlucci che ti potrebbe rispondere? Ma certo, dice al giornalista del Corsera:

(tratto da Corsera, 07/11/11, p. 11)

Diario della sfiducia: dalla Camera al Senato il mercimonio dei voti mentre i finiani vacillano

Domani mattina, ore 9.00, il Senato apre i lavori dopo la pausa forzosa discutendo la mozione di fiducia presentata dalla maggioranza. Protagonista della prima giornata sarà il daemon (demone) della Politica Berlusconi. La Camera dei Deputati, invece, apre alle 16. Verrà discussa la mozione PD-IDV e altri, detta di “sfiducia”. Berlusconi parlerà in serata, prima dei telegiornali. Domani nelle tv rimbomberà la sua voce decrepita, una voce che ha suggestionato e ammaliato e talvolta vilipeso questo paese negli ultimi sedici anni. Lui stesso evoca scenari apocalittici: dopo il 14 Dicembre nulla sarà come prima. E’ qualcosa che avvertiamo tutti. Nulla sarà come prima. Da un lato, la sua probabile – ma non certa – sconfitta aprirà una fase politica di incertezza in cui le opposizioni saranno chiamate a uno sforzo di inventiva per uscire dal nodo gordiano della legge elettorale e della ingovernabilità. Viceversa, la sua vittoria sarà una vittoria numerica ma non sostanziale: si ritroverà in Parlamento non più due opposizioni bensì tre, con una pletora di servi e servetti a libro paga da foraggiare quotidianamente, pena la caduta. Ecco, allora: la sua probabile vittoria del 14 non sarà vera vittoria. Con la compravendita di deputati e senatori, B. ha scelto per la lenta caduta, per la lunga decadenza che – la storia insegna – termina sempre nella volgarità e nella violenza. Il suo predecessore, Prodi, scelse coraggiosamente per l’immediato patibolo. Questo vuole rimandare la sentenza, ma quando essa giungerà, non ci sarà alcun appello.

Sì, il 14 Dicembre sarà la fine del mondo così come lo conosciamo. Fine del bipolarismo all’italiana, per esempio. Fine del berlusconismo inteso come stretta applicazione del managerialismo alla politica. Fine dei personalismi e della politica della bottega. Fine del pollaio televisivo, della battaglia fittizia fra le parti in gioco. E se conosciamo cosa sta per finire, sia che termini subito, sia che si trascini morente per altri cinque o sei mesi, non sappiamo cosa succederà a questo cadavere putrescente della vita pubblica italiana. Il 14 imporrà delle scelte. In primis, a Gianfranco Fini, che oggi ha dichiarato che se B. dovesse ottenere la fiducia, si dimetterà e FLI passerà all’opposizione. Vale a dire, non potrò più sostenere il ruolo super partes del Presidente della Camera. Questa affermazione è però lo specchio di una insicurezza. Il rischio di una fiducia in extremis è reale. Certamente B. vivrà di stenti, dopo. Certamente Fini lo ha sfasciato. Ha demolito quella granitica maggioranza prodotta dai meccanismi distorisivi del Porcellum. B. non ha più carta bianca. Alla Camera dovrà entrare togliendosi il cappello. Ma se così fosse, la pattuglia finiana subirebbe uno scossone non di poco conto. Fini conta sulla dissoluzione del PdL. Sa che al suo interno sono in molti a fiutare il pericolo del naufragio. Molti parlamentari non sono disposti a colare a picco insieme al partito. Eppure, in caso di fiducia, pure Futuro e Libertà rischia di ribaltarsi come una zattera di quattro legni. Il partito non c’è; a livello locale raggiunge la consistenza ectoplasmatica; a livello nazionale è già diviso fra falchi e colombe.

Poi, Lui: il suo potere mediatico è intatto. Berlusconi sta impiegando i media, nel buio delle stanze di Arcore o Palazzo Grazioli, come una precisione chirurgica. Ieri, mentre parlava Bersani dal palco di Piazza S. Giovanni, al culmine di una manifestazione partecipata, esce nelle agenzie di stampa la notizia che è avvenuto un contatto fra le “colombe” finiane e quelle del PdL. Un artificio da vecchia volpe, un modo per distrarre da Bersani e concentrare i titoli dei siti e dei telegiornali su di lui e contemporaneamente a gettare nel panico i finiani che devono mandare in tutta fretta Italo Bocchino da Mentana per correggere le affermazioni contenute in un documento firmato dalle predette colombe. Qualche giorno fa ha silurato Matteo Renzi, il sindaco rottamatore che dopo la Leopolda si era guadagnato un certo seguito soprattutto sul web, con un comunicato in cui si diceva dell’incontro a cena fra i due ad Arcore e degli apprezzamenti di B. verso il Renzi, che un po’ gli somiglia. Per tutta questa settimana ha ripetuto come in un mantra che il 14 vincerà e oggi persino lo stesso Fini incomincia a credergli. E domani il grande show in Palramento a frustare i cosiddetti teatranti della politica che lo ostacolano, lui che dalla politica è cosa a se stante pur avendola fatta per sedici anni sparigliandone tutte le regole, persino quelle costituzionali; lui che è un uomo della società, che fa e produce ma nasconde gli utili in conti esteri; lui che in fondo ha soltanto settantaquattro anni e a quell’età si è nel pieno della gioventù, quella gioventù che viene sempre prima della morte.

Domani diretta streaming del dibattito alla Camera e al Senato dalle ore nove su CubicaTV.

Cercasi Badoglio Disperatamente

Chi sono i candidati? Questa domanda alberga sulla scena politica italiana come una nube nera. Chi dopo B? Non Fini, che non troverebbe nessuno all’interno del PdL pronto a votarlo. Non Casini, che fa troppo Terzo Polo. Non sia mai Pisanu, lui che non è un traditore, ma pensa troppo con la propria testa ed è chiaramente in opposizione al federalismo di stampo leghista, in ogni modo una carta da giocarsi in chiave anti-Bossi. C’è un rischio da evitare: che PdL e Lega diventino improvvisamente opposizione di un governissimo Terzo Polo-PD e che lo usino come una preziosa leva elettorale. Allora per Fini e soci è necessario tenere la Lega dentro il governo. Serve un Badoglio, urgentemente.

Due i nomi che circolano insistentemente: Gianni Letta, per un governo da maggiordomi; Roberto Maroni, per un inedito governo di garanzia leghista, ipotesi suffragata dalle prese di posizione antitetiche a Bossi del Ministro dell’Interno (Europa). Pare che questa sia la sola alternativa spendibile dei terzopolisti con Berlusconi. Se sarà invece, come probabile, sfiducia con rottura delle trattative Fini-Casini-Berlusconi, quest’ultimo getterà la polpetta avvelenata ai due che dovranno prendersi la responsabilità della decisione: governissimo con il PD o elezioni. Nel primo caso, il nome candidato per eccellenza alla guida di un nuovo esecutivo con una nuova maggioranza non elettorale, è quello di Mario Draghi. Un revival dell’operazione Ciampi del 1993.

Infine c’è il Partito Democratico. Il quale deve guardarsi bene dall’entrare in un esecutivo che gli farebbe perdere altri elettori e gli getterebbe addosso l’onta del collaborazionismo, già ventilata da più parti soprattutto in ambienti IDV. Certo, la pressione a sinistra si fa sempre più pesante. Vendola con SeL è al 7%, secondo gli ultimi sondaggi. La disponibilità del PD per un governo di responsabilità nazionale è – dicono – “fuori discussione”. Quelle vecchie canaglie di Ferrero e Diliberto soffiano sul fuoco: «un eventuale governo di transizione permetterebbe di nuovo a Berlusconi di fare la vittima e di candidarsi a vincere le prossime elezioni». «Nuove elezioni, non c’è alternativa minimamente decente» (Europa). Non mancano le frecciate di Di Pietro, il quale, forse in affanno nei sondaggi, vista l’arrembanza di Vendola che porta via consensi a tutti a sinistra del PD,e certamente in ritardo sui tempi della mobilitazione in vista del voto di sfiducia del 14 Dicembre, ha organizzato una manifestazione al Paladozza di Bologna per questo venerdì, 10 Dicembre. Ci saranno tutti i paladini dell’antiberlusconismo di ferro: da Travaglio a Vauro, a Dario Fo. E’, diciamolo, un tentativo in extremis per oscurare la manifestazione del PD prevista per sabato 11 Dicembre, per la quale si prevede una adesione record: la riparazione al danno fatto al partito medesimo con quella decisione cervellotica di non aderire al No Berlusconi Day dello scorso anno.

[Questo blog seguirà entrambe le manifestazioni].

Per la Corte d’Appello, Dell’Utri tramite fra la Mafia e Berlusconi

Quella che segue è la notizia battuta dall’ANSA qualche minuto fa relativa alle motivazioni della Sentenza della Corte d’Appello di Palermo su Marcello Dell’Utri, condannato a sette anni per concorso esterno in associazione mafiosa:

Il senatore Marcello Dell’Utri (Pdl) avrebbe svolto una attivita’ di ”mediazione” e si sarebbe posto quindi come ”specifico canale di collegamento” tra Cosa nostra e Silvio Berlusconi. Lo scrivono i giudici della Corte d’Appello di Palermo nelle motivazioni, depositate oggi e in possesso dell’ANSA, della sentenza con la quale Dell’Utri e’ stato condannato il 29 giugno scorso a 7 anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa. Per i giudici, Dell’Utri ”ha apportato un consapevole contributo al consolidamento e al rafforzamento del sodalizio mafioso” (ANSA.it).

E ora Fini potrà ancora chiedere a Berlusconi senso di responsabilità per la fase della crisi di governo che verrà presumibilmente dopo il 14 dicembre? Può Berlusconi, con un macigno simile, continuare a fare il Presidente del Consiglio? Possono i deputati radicali, eletti nelle liste del PD, compiere la trasmigrazione degli scranni e votare con il PdL la fiducia a Berlusconi come ha ventilato Marco Pannella oggi:

Premier a caccia di nove deputati Pannella tratta: da noi sei voti

Il Sole 24 Ore – ‎17/nov/2010‎

Forse si tratta di una provocazione. Certamente ogni deputato ha un prezzo e pare che questi non abbiano alcun ribrezzo a trovarsi dal giorno alla notte a votare per un signore connesso alla mafia per tramite del suo socio in affari. Pensate all’onorevole per fortuna, al secolo Maurizio Grassano: diventato deputato dopo l’elezione a governatore del Piemonte di Roberto Cota, l’ex leghista, ex presidente del consiglio comunale di Alessandria, inquisito per truffa al suo stesso comune, oggi ha manifestato l’intenzione di votare per B. Grassano è stato arruolato. Leggete la sua storia. Pare essere pienamente in sintonia con il governo che andrà a sostenere:

Crisi di governo, perché a soccombere non può essere la Camera

FLI è fuori dal governo. La crisi si fa vicino. Tanto che a Palazzo Grazioli regna il dubbio: che fare? Lasciare che le cose precipitino, andare alle urne rispolverando la strategia comunicativa del 2008 – Berlusconi annuncia un ritorno in grande stile in televisione per la prossima settimana, segno che la sfiducia verrà votata entro le stesse date – oppure fare affondare soltanto la Camera?

Domani Fini e Schifani sono convocati da Napolitano. E’ probabile si parli proprio di ciò, di quale Camera dovrà discutere per prima le mozioni di sfiducia e se sia praticabile o meno l’opzione dello scioglimento parziale del Parlamento. Ma perché a soccombere deve per forza essere la Camera dei Deputati?

La Costituzione prevede lo scioglimento anche di una sola delle Camere. Tale potere è attribuito al Presidente della Repubblica (art. 88). Lui e solo lui può decidere, naturalmente sentiti i Presidenti di Camera e Senato. Appare singolare che Napolitano provveda ad ascoltare i due Presidenti prima ancora che il governo sia stato sfiduciato. Le moral suasions di Napolitano tendono a essere quasi una vera e propria strategia o piuttosto un tentativo di pilotare la crisi prima che le cose sfuggano di mano. In questo caso, Napolitano dovrebbe esaminare se esista o meno il presupposto per lo scioglimento parziale: il mancato funzionamento dell’attività legislativa. Non basta che “la maggioranza in quella Camera sia cambiata dal momento delle elezioni”, afferma il costituzionalista, nonché presidente emerito della Corte Costituzionale Piero Alberto Capotosti, intervistato da Il Messaggero, ma “occorre che tale ingovernabilità ne paralizzi il funzionamento”.

Paralisi dell’attività legislativa legata all’ostruzionismo o all’ingovernabilità: l’esatto opposto di quel che accade alla Camera, laddove invece si è materializzata, e per ben due volte, la scorsa settimana, una maggioranza alternativa (seppur aleatoria nei confini), quella formata dalle attuali opposizioni (PD+IDV, UDC) e i fuoriusciti di FLI. La Camera quindi non è l’aula che rischia di non funzionare: è il governo a non funzionare e con esso la sua maggioranza. Di fatto il governo al Senato potrebbe reggersi solo grazie al voto dei senatori a vita. Non è mai accaduto, e non può accadere, che un governo in crisi, che perde la maggioranza, chieda al Presidente della Repubblica lo scioglimento della Camera che lo ha sfiduciato. Questa, fino a prova contraria, è una Repubblica Parlamentare. Il bilancio dei poteri che l’architettura costituzionale prevede, mette al centro il Parlamento, il quale è rappresentazione della sovranità popolare. Può esso, o una parte di esso, soccombere al potere esecutivo, che invece è dipendente dal Parlamento per tramite del rapporto di fiducia? La risposta è no. Se ciò dovesse avvenire, sarebbe la morte della Costituzione. Sarebbe il definitivo scalzamento dell’ordine democratico sostituito da un regime personalistico che straccia le norme per perpetuare se stesso.

Attenti, poiché siamo ad un passo.

Lodo Alfano, la maggioranza rinuncia alla reiterabilità?

Presentato ieri in Commissione Affari Costituzionali un sub-emendamento a firma di Maurizio Saia (PdL) al disegno di legge costituzionale S.2180 in riferimento all’articolo 1. Il testo è il seguente:

All’emendamento 1.1000, al comma 3, primo periodo, dopo la parola: «giudice» aggiungere le seguenti: «il compimento degli atti urgenti e».Conseguentemente, dopo il comma 3, inserire i seguenti:

«3-bis. Le prove dichiarative acquisite anteriormente alla sospensione del processo disposta ai sensi della presente legge possono essere in ogni caso utilizzate per la decisione mediante lettura dei relativi verbali ai sensi dell’articolo 511, comma 1, del codice di procedura penale e il nuovo esame è ammesso solo se riguarda fatti o circostanze diversi da quelli oggetto delle precedenti dichiarazioni ovvero se il giudice o alcuna delle parti lo ritengano necessario sulla base di specifiche esigenze.

3-ter. Se nel processo sono imputate persone diverse da quelle indicate nei commi precedenti, il giudice, disposta in ogni caso la separazione delle posizioni del Presidente della Repubblica e del Presidente del Consiglio dei ministri, dispone la sospensione. Il processo prosegue nei confronti degli altri imputati.

3-quater. Anche nel caso di rinuncia ai sensi del comma 2, la sospensione di cui alla presente legge non è reiterabile e non si applica nel caso di successiva investitura, anche nel corso della medesima legislatura, nella stessa o in altra delle cariche o delle funzioni» (Emendamenti S.2180).

Sembra che la maggioranza voglia riparare il danno prodotto con il primo testo della legge salva-Berlusconi, almeno laddove si voleva rendere la sospensiva del dibattimento valida per tutta la “vita” politica del soggetto beneficiario, appunto introducendo il principio della reiterabilità. Non si fa menzione alcuna in merito all’altro principio abominevole, quello della retroattività del lodo, la sua applicabilità ai procedimenti in corso, aspettto irrinunciabile per Berlusconi altrimenti che cosa gli servirebbe questa inutile faticaccia della legge costituzionale. Il suo scopo è difendersi in primo luogo dal processo Mills, che potrebbe decapitarne per sempre quel che resta della sua carriera politica, dai più intesa agli sgoccioli. Certo, i venti di crisi che soffiano come la buriana d’inverno, rendono poco praticabile l’ipotesi di una rapida approvazione del provvedimento, però esso potrebbe diventare merce di scambio in una prossima trattativa con FLI e UDC al fine di formare un nuovo esecutivo: quello che passerà alla storia come il Berlusconi V, il governo dell’immobilismo.

Fini: Berlusconi si dimetta o sarà appoggio esterno. La crisi per un nuovo patto di legislatura

Un lungo, a tratti noioso e ripetitivo (molte delle cose dette oggi erano già state dette a Mirabello ad inizio Settembre), discorso che termina – finalmente – con la richiesta di dimissioni di Berlusconi da parte di Gianfranco Fini. Si dimetta, o i ministri di Futuro e Libertà usciranno dal governo.

Serve un nuovo patto di legislatura, ha detto il leader di FLI, in cui al centro debbono essere messi i temi economici. Ha insistito molto sull’economia e sul lavoro, Fini. Ha lamentato l’assenza della politica dal tavolo aperto dalle parti sociali, mesi or sono, al fine di rianimare la crescita economica italiana. Ha parlato della necessità di stabilizzare i precari del lavoro, di agganciare il salario alla produttività, di sgravi fiscali per le imprese che investono al sud. Il federalismo non può essere un danno per il meridione: deve diventare una opportunità per la sua classe dirigente. Bisogna però fare una riforma completa, modificare la forma parlamentare del bicameralismo perfetto, creando un Senato delle Regioni – coerentemente con una forma di Stato che sia genuinamente federale; non come si fece con la riforma costituzionale che cambiò l’art. 117 (opera ahimé del governo D’Alema) suddividendo confusamente la competenza regionale da quella statale e istituendo una serie di competenze concorrenti che hanno fatto aumentare il contenzioso davanti alla Corte costituzionale. Serve anche una riforma dell’amministrazione pubblica, in special modo per quanto concerne la concessione degli appalti, dove adesso è preminente l’interferenza della politica e dove prevalgono meccanismi di fedeltà all’insegna di un cameratismo proprio di cricche affaristiche plutocratiche.

Fini chiede ora una svolta– meglio tardi che mai, si è detto. Futuro e Libertà, in circa due mesi – da Mirabello a Perugia – si è strutturato come un partito popolare. Fini pare pronto alla svolta, sebbene lo sbuffo finale abbia tradito l’ansia per i probabili risvolti polemici e per le conseguenze politiche al suo pur durissimo discorso. E’ mancata, però, del tutto l’autocritica sulla strategia mantenuta in parlamento in questi ultimi due mesi, quando FLI ha votato con la maggioranza negando l’autorizzazione a procedere nei confronti dell’ex ministro Lunardi, e permettendo che passasse quell’obbrobrio della norma della retroattività del Lodo Alfano costituzionale.

Restiamo in attesa delle reazioni di Arcore.

Silvio e le cinque giornate di Sodoma

Hendrik Goltzius, Lot e le figlie (1616)

 

Durante il periodo del suo ritiro a Capri fece arredare con divani una stanza apposita, che divenne il luogo dove dava sfogo alla sua segreta libidine. Lì, infatti, requisiti da ogni dove gruppi di ragazze e invertiti, assieme a quelli che lui chiamava “spintrie”, che inventavano mostruose forme di accoppiamento, li costringeva ad unirsi a tre a tre e a prostituirsi tra loro in ogni modo, per eccitare la sua virilità di uomo ormai in declino.

[Svetonio, Vite dei Cesari, Tiberio]

La decadenza di Silvio IV; Silvio si è fermato a Sodoma; la senilità di Silvio: in altre decine di modi avrei potuto intitolare questo post. La realtà appare oramai chiara: il caso Ruby Rubacuori potrebbe essere il capolinea del governo. La Lega si è spazientita, ma anche nelle ultime ore è tornata a rivolgere parole di fuoco contro l’ipotesi di governo tecnico. Al di là della decadenza sessuale di B., forse solo ipotetica ma pur così letteraria, è il caso politico a far da detonatore a una situazione già di per sé esplosiva, con la questione Lodo Alfano irrisolta, la querelle sulla Riforma della Giustizia e della assoggettabilità al Viminale dei pubblici ministeri, i rifiuti di Napoli e le rivolte di Terzigno e Boscoreale. Le indebite pressioni sulla questura di Milano per la liberazione di Karima El Mahroug, una diciassettenne ora diciottenne aspirante Velina o Letterina o Consigliera Regionale – che intanto è lo stesso – sono il nuovo inaspettato caso giudiziario che coinvolge B. fino al collo: l’uso abnorme del potere personale. Ed è una inchiesta per giunta nelle mani di Ilda Boccassini, la quale stamane ha provveduto a interrogare l’ex questore Indolfi, difeso invece strenuamente da Maroni. Se ne deduce che lo scenario ritorna ad essere quello di inizio settembre, con la possibilità di un voto di sfiducia e l’apertura di una crisi al buio.

L’escalation della polemica politica oggi sui giornali:

Governo, Berlusconi: non mi ritiro, Udc valuti suo sostegno Reuters Italia

Caso Ruby, interrogato l’ex questore Lega: rivolta contro il Governo Tecnico la Stampa

Berlusconi: se lasciassi procurerei danni seri al paese RaiNews24

Calderoli, governo tecnico e’ golpe ANSA.it

E indovinate nelle mani di chi è la pistola con il colpo in canna di questa irrazionale roulette russa? Proprio di Fini. Sono infatti i deputati e i senatori di FLI a dover prendere la scelta se terminare con l’iniezione letale questo governo immobilista, o continuare la pantomima dell’appoggio condizionato, con qualche voto a favore regalato (vedi casi immunità Lunardi e il voto sulla retroattività del Lodo Alfano) in cambio di una pubblica dialettica inconcludente ma che appaga da un punto di vita elettorale. Insomma, mentre PD, IDV e UDC per una volta sembrano non ammettere dei distinguo e marciano insieme verso la mozione di sfiducia, il cero corto rimane nelle mani di Fini. Stando alle sue dichiarazioni di ieri, pare proprio la fine per B.:

Decisamente meno bonarie le valutazioni del presidente della Camera Gianfranco Fini che ha parlato di una vicenda «imbarazzante per l’Italia», augurandosi che le cose «non siano andate così come sono state raccontate» e cioè che quella telefonata del premier non ci sia stata. Perchè altrimenti, dice chiaro e tondo il leader di Futuro e Libertà, si configurerebbe un «uso privato di incarico pubblico» (La Stampa.it).

E forse, soltanto allora, B. potrà optare come Tiberio per il suo ritiro dorato ad Antigua e così circondarsi di ragazzi e ragazze e nani e ballerine.

Festa PD: Bonanni contestato, “squadristi”. Ma è crisi delle relazioni industriali

Liberi fischi in libero Stato, scriveva ieri Travaglio nella sua striscia settimanale sul blog di Grillo. Ora dovrebbe coniare un altro detto, del tipo Libero Fumogeno in libero Stato. A questo si è giunti oggi alla Festa PD, durante il dibattito con Bonanni (CISL). La contestazione è scesa a livelli da stadio: c’è stata anche l’invasione di palco.

Bonanni è stato prima accolto dai centri sociali con da fischi, urla e lanci di banconote finte. Quindi, quando è stato raggiunto da un fumogeno che gli ha bruciato il giubbotto senza però ferirlo (La Repubblica.it).

Marchionne comanda e Bonanni obbedisce, uno degli slogan. Tanto per capirci: a ciò si arriva perché manca la politica. Federmeccanica disdetta il CCNL, la Fiom si oppone e minaccia il ricorso a vie legali. Dove è il governo in tutto questo? Le parti sociali hanno oramai aperto il conflitto, la concertazione è solo più un campo di cenere e non c’è più freno all’arroganza. Si potrà mai fermare questa discesa all’inferno del conflitto sociale? Sacconi ha diviso il sindacato. Berlusconi ancora dimentica di nominare il Ministro allo Sviluppo Economico. Il governo con la scadenza abbandona il paese; i lavoratori mai li ha presi in considerazione.

Ma ora gli effetti nefasti della globalizzazione hanno avviato l’Italia verso una infelice deindustrializzazione. Non c’è un solo settore dell’industria a essere salvato dalla concorrenza cinese, dell’est Europa o dell’America Latina. Per un imprenditore non c’è alcuna convenienza a produrre in Italia. Produrre qui da noi costa venti volte che in Cina o in Messico. La globalizzazione ha emesso una condanna per la nostra industria. O si cambia, o si chiude. Lo dicono in molti, anche fra i finiani: serve un nuovo patto fra Capitale e Lavoro. Non già a senso unico, sia chiaro. Il lavoro deve essere rispettato, concedendo aumenti salariali e ribadendo la necessità di combattere la precarietà. Eppure, per poter essere competitivi, le relazioni industriali devono rinnovarsi. A cominciare dalle forme contrattuali, i cui rinnovi costano troppo in termini di contrattazione e ore di sciopero. Aprire le Assise del Lavoro sarebbe una buona idea. Discutere del lavoro è necessario e urgente.

Ecco perciò che un sindacato asservito al governo, come sembra essere quello guidato da Bonanni, non serve a nulla. Bonanni oggi è vittima di un’aggressione verbale. Però è anche arteficie di questa situazione di blocco: lui e Angeletti hanno rotto con CGIL; loro hanno permesso la creazione di un ghetto per il sindacato di sinistra. Un ghetto nel quale rimane ancor più isolata la FIOM. Anziché creare i presupposti di un dialogo che comprendesse anche Epifani e Landini, hanno lavorato per delegittimarli. Questa è la loro grave colpa.

Oggi viene facile gridare ‘squadristi’ a coloro che danno alla loro protesta la forma poco democratica della rivolta. La rivolta è ciò che serve per uscire dai ghetti, se lo ricordino. Invece, a questo paese, servono dialogo e democrazia, a cominciare dalle relazioni industriali. Certamente, al governo non ci tengono a dare il buon esempio. Prendete ad esempio le dichiarazioni di oggi di Bossi a margine della condizione di quasi crisi di governo:

Governo: Bossi, se tecnico portiamo dieci milioni di persone a Roma

Fini: Bossi, ognuno si fa uccidere dall’elettorato come vuole

Ecco, questo lessico trasuda violenza e conflitto. E generalmente il lessico è una anticipazione dell’agire collettivo. Se il lessico politico si fa violento, allora, prima o poi, quella violenza verbale si farà atto compiuto. La storia recente ce lo ha insegnato. Tenete presente ciò che accadde negli anni ’70 in questo paese.

Per concludere, il premio dell’Incoerenza è assegnato a Antonio di Pietro, prima difensore del diritto di fischiare Schifani e ora…

BONANNI CONTESTATO: DI PIETRO, VIOLENZA DANNEGGIA DEMOCRAZIA